Le associazioni ambientaliste: per scongiurare nuove crisi puntiamo sulla transizione ecologica dell’agricoltura

17 associazioni ambientaliste scrivono al Governo rimarcando le cause della crisi in corso e indicando la strada per risolverla. La sicurezza alimentare in Europa e in Italia si difende infatti puntando sulla transizione ecologica dell’agricoltura, non indebolendo le norme della nuova PAC post 2022 e le Strategie UE “Farm to Fork” e “Biodiversità”.

 “Indebolire le Strategie UE Farm to Fork e Biodiversità 2030 dell’Unione Europea e rivedere le norme ambientali della nuova PAC post 2022 sarebbe un grave errore e non risolverebbe i problemi collegati all’aumento dei prezzi e disponibilità di materie prime, problemi ulteriormente aggravati dalla guerra in Ucraina che stanno mettendo in grave difficoltà le aziende agroalimentari europee e nazionali. Serve, invece, accelerare la transizione ecologica della nostra agricoltura rivedendo i modelli di produzione e consumo del cibo”.

È quanto sostengono 17 associazioni ambientaliste, dei consumatori e dei produttori biologici, in una lettera inviata al Presidente del Consiglio, Mario Draghi, e ai Ministri Patuanelli e Cingolani. Una lettera che fa seguito a un analogo appello in difesa della transizione ecologica dell’agricoltura inviato il 10 marzo scorso alla Commissione Europea da quasi 100 Associazioni europee. Con questa lettera le associazioni nazionali rispondono agli argomenti con cui le lobby dell’agricoltura industriale sostengono la necessità di rivedere gli obiettivi del Green Deal per affrontare la crisi dei prezzi e delle materie prime causata, solo in parte, dalla guerra in Ucraina. Le strategie europee che le lobby contestano puntano a tutelare la biodiversità e a ridurre l’impatto che le pratiche agricole intensive determinano su clima e ambiente, con obiettivi al 2030 che riguardano la riduzione dell’utilizzo di pesticidi e sostanze chimiche nei campi e nelle stalle e il mantenimento di uno spazio per la biodiversità nel paesaggio agrario. Le 17 associazioni, nella loro lettera, stigmatizzano la strumentalità e l’inadeguatezza di un dibattito che utilizza la drammatica contingenza della guerra in Ucraina per attribuire alla transizione ecologica la responsabilità delle crisi in corso in Europa. Nel quadro di drammatica incertezza che affligge l’agricoltura occorre invece concentrarsi proprio su interventi che garantiscano un futuro sostenibile per il settore agricolo, anche dal punto di vista economico. È surreale che invece si sposti la discussione sulle strategie della transizione ecologica che si proiettano su scadenze di medio e lungo periodo. La nuova PAC infatti entrerà in vigore dal 2023 e sarà pienamente operativa dal 2025, mentre per molte aziende agricole la sopravvivenza è questione di giorni o settimane. È pertanto urgente intervenire a sostegno delle aziende agricole in grave difficoltà per l’aumento dei prezzi delle materie prime con interventi tempestivi e mirati, tenendo anche conto delle speculazioni finanziarie in atto. Allo stesso tempo però, è necessario accelerare le risposte alle grandi sfide della sostenibilità ambientale e climatica dell’agricoltura, a partire dall’attuazione delle strategie Farm to Fork e Biodiversità 2030 e della nuova PAC post 2022, proprio per rendere i sistemi agroalimentari meno vulnerabili a questi shock. Senza provvedimenti adeguati ed efficaci per la soluzione di questi problemi globali i rischi di nuove crisi saranno sempre maggiori in futuro.

La guerra in Ucraina sta evidenziando la vulnerabilità dell’Europa nella dipendenza da importazioni di materie prime e di energia. Ma il conflitto è l’ultimo di una serie di eventi avversi, iniziati con la pandemia di Covid e proseguiti con la siccità in Nord America che ha dimezzato i raccolti, innescando dinamiche speculative e una pericolosa ascesa dei prezzi. In un mondo sempre più esposto a shock globali e a conflitti, abbiamo bisogno di una radicale riforma dei nostri sistemi agroalimentari per promuovere modelli produttivi e di consumo più resilienti e sostenibili”, sottolineano le 17 Associazioni.

“I timidi passi verso una transizione agroecologica attesi con la riforma della PAC non possono essere vanificati dalla conservazione degli stessi sistemi produttivi e modelli di consumo che ci hanno condotto in questa situazione. Non è aumentando la produzione attraverso un ulteriore degrado dell’ambiente naturale o aumentando la dipendenza da energie fossili che si risolveranno i problemi. Occorrono politiche che favoriscano la sicurezza alimentare, sostengano pratiche estensive e rispettose del benessere degli animali, valorizzino il ruolo degli agricoltori e promuovano diete più sane, con una riduzione e una qualificazione del consumo di prodotti di origine animale”.

Evidenze scientifiche supportano queste posizioni, come il recente rapporto IPCC secondo cui “mentre lo sviluppo agricolo contribuisce alla sicurezza alimentare, l’espansione agricola insostenibile, guidata in parte da diete squilibrate, aumenta la vulnerabilità dell’ecosistema e la vulnerabilità umana e porta alla competizione per la terra e/o le risorse idriche”.

L’ISMEA, nell’analizzare i problemi attuali di disponibilità del mais in Italia, evidenzia come sia divenuta “ormai strutturale la dipendenza degli allevamenti dal prodotto di provenienza estera”: si tratta di un grosso segmento della nostra produzione agroalimentare che si dichiara Made in Italy, ma si basa su importazioni di mangimi, spesso prodotti in Paesi che hanno norme, ad esempio in materia di OGM e pesticidi, molto meno rigorose di quelle europee.

Gran parte dell’insicurezza dei sistemi agroalimentari dipende dalla espansione della zootecnia intensiva, se si considera che il 70% dei terreni agricoli europei è destinato all’alimentazione animale e a questi si sommano le terre coltivate al di fuori della UE da cui importiamo mangimi per alimentare un settore produttivo divenuto ipertrofico e inquinante, oltre che non rispettoso del benessere animale. Per le 17 associazioni, “la risposta in grado di garantire una maggiore sicurezza ai sistemi agroalimentari in Europa passa pertanto dalla riduzione del numero degli animali allevati, che richiede una contemporanea riduzione dei consumi di carne e prodotti di origine animale e consentirebbe di liberare terreni per colture alimentari, capaci di soddisfare meglio diete diversificate e a basse emissioni, garantire il diritto di accesso al cibo locale e biodiverso a prezzi sostenibili”.

In un mondo sempre più esposto a shock globali e a conflitti, abbiamo bisogno di una radicale riforma dei nostri sistemi agroalimentari per promuovere modelli produttivi e di consumo più resilienti e sostenibili

Arare più terreni trasformando i prati-pascoli e le aree naturali in seminativi – come si sta proponendo di fare per incrementare superfici agricole destinate a produrre mangimi, usando ancora più pesticidi e fertilizzanti – aumenterebbe pericolosamente il rischio di collassi degli ecosistemi, riducendo la capacità dell’agricoltura di reagire agli shock esterni.

Una revisione al ribasso degli obiettivi della nuova PAC e delle Strategie UE Farm to Fork e Biodiversità 2030 cancellerebbe ogni residua prospettiva di transizione ecologica della nostra agricoltura, che invece può sganciarsi dalle dinamiche speculative dei mercati globali – come ha già saputo fare in gran parte il settore dell’agricoltura biologica – e puntare su qualità e sostenibilità.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2022/03/transizione-ecologica-agricoltura/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

I lockdown per Covid in Europa hanno evitato oltre 800 morti grazie a un miglioramento della qualità dell’aria

Lo dice un nuovo studio pubblicato da Copernicus Atmosphere Monitoring Service insieme alla London School of Hygiene and Tropical Medicine (LSHTM), che ha esaminato la correlazione tra le diverse misure governative adottate nella prima fase della pandemia, la diminuzione dei principali inquinanti in 47 grandi città europee e il tasso di mortalità associata. I risultati confermano le stime precedenti, secondo cui la diminuzione dell’inquinamento si è tradotta in centinaia di decessi evitati

Patrice Calatayu / Flickr cc

Secondo nuovo studio pubblicato da Copernicus Atmosphere Monitoring Service (CAMS) insieme alla London School of Hygiene and Tropical Medicine (LSHTM), durante la prima fase di lockdown in Europa per la pandemia da Covid_19, sono stati evitati oltre 800 morti grazie a un miglioramento della qualità dell’aria. Lo studio peer-reviewed ha esaminato gli effetti quantitativi della riduzione dei livelli di inquinamento e, per la prima volta, ha messo quantitativamente a confronto l’impatto delle diverse misure politiche adottate nei diversi paesi dell’Unione. I risultati confermano le stime precedenti, secondo cui la diminuzione dell’inquinamento si è tradotta in centinaia di decessi evitati in tutte le città.

I risultati più importanti dello studio:

  • L’impatto delle diverse misure politiche riscontrato sulla qualità dell’aria variava sensibilmente tra le misure adottate.
  • Le misure che hanno limitato la quotidianità, come la chiusura di scuole e luoghi di lavoro, hanno avuto l’impatto più significativo sui livelli di inquinamento dell’aria. Le restrizioni relative ai viaggi nazionali e internazionali, tuttavia, hanno evidenziato un minor impatto sui livelli di inquinamento locale.
  • Gli scienziati stimano un totale di oltre 800 decessi evitati grazie al miglioramento della qualità dell’aria derivante dalle misure governative adottate per limitare la diffusione del virus SARS-Cov-2.

    Gli scienziati impegnati nello studio hanno esaminato la correlazione tra diverse misure governative, la diminuzione dei principali inquinanti normativi tra cui NO2, ozono, particolato fine PM2.5 e PM10 in 47 grandi città europee, e il tasso di mortalità associata durante il periodo iniziale della pandemia COVID-19 in Europa (dal mese di febbraio a luglio 2020).
  • I dati relativi alla prima fase di lockdown per COVID possono aiutare a progettare strategie di inquinamento atmosferico più efficaci

Il principale risultato della ricerca ha dimostrato che l’esito differiva notevolmente tra i vari interventi. Ad esempio, la chiusura di scuole e luoghi di lavoro, la cancellazione di eventi pubblici e l’obbligo di restare a casa hanno avuto l’impatto più significativo sulla riduzione dei livelli di NO2. Viceversa, le restrizioni relative a viaggi nazionali e internazionali hanno avuto un impatto minimo sui livelli di inquinamento dell’aria locale. È significativo notare che lo studio ha quantificato i cambiamenti nei decessi prematuri causati da cambiamenti dell’inquinamento a breve termine in tutte le città. Utilizzando i cambiamenti osservati nelle concentrazioni giornaliere degli inquinanti studiati, combinati con la valutazione dell’esposizione delle persone, gli scienziati stimano che un totale di oltre 800 decessi sono stati evitati grazie al miglioramento della qualità dell’aria derivante dalle misure governative adottate al fine di limitare la diffusione del virus SARS-Cov-2. Parigi, Londra, Barcellona e Milano risultano essere tra le prime sei città con il maggior numero di decessi evitati.

Le città spagnole, francesi e italiane hanno sperimentato la maggiore diminuzione di NO2 tra il 50% e il 60% nel periodo, e questo inquinante si è considerevolmente ridotto in tutta Europa. Le riduzioni di altri inquinanti sono state meno marcate. Tale risultato era atteso, in quanto circa la metà delle emissioni di NO2 vengono generate dal trasporto stradale, che rappresenta il settore più colpito dalle restrizioni governative. Il trasporto stradale contribuisce in maniera sensibilmente inferiore alle emissioni totali degli altri inquinanti esaminati. Questo studio all’avanguardia si è basato sui dati di superficie forniti da CAMS utilizzando un insieme di modelli di qualità dell’aria regionali al fine di comparare le concentrazioni dei principali inquinanti atmosferici ottenute grazie a due scenari specifici di emissioni inquinanti, uno corrispondente a condizioni di “business-as-usual” e l’altro corrispondente a una stima dettagliata delle emissioni risultanti dalle misure governative effettive adottate quotidianamente durante il primo lockdown – variabili a seconda del paese – e per ciascuno dei principali settori di attività (traffico stradale, industria…).

Gli scienziati responsabili dello studio hanno utilizzato questo dataset unico sull’inquinamento atmosferico di CAMS e un approccio metodologicamente avanzato al fine di valutare i singoli interventi politici in ogni città e i relativi effetti sulla diminuzione dei livelli di inquinamento. Sebbene gli effetti siano stati variabili come previsto, è stata osservata un’importante diminuzione di NO2 e, in minor misura, del particolato fine PM2.5 e PM10 nelle aree nelle quali sono state imposte chiusure più severe.

Vincent-Henri Peuch, Director of the Copernicus Atmosphere Monitoring Service (CAMS), ha commentato:” Questa ricerca dispone di un dataset unico fornito da CAMS, che permette di confrontare, nella maniera più realistica e accurata, la qualità dell’aria europea per come essa è stata sperimentata a seguito delle misure adottate a causa della pandemia COVID-19 e ciò che invece sarebbe accaduto in condizioni normali. Questo supera molte limitazioni legate ad altri studi, che hanno paragonato ad esempio anni diversi o periodi differenti. L’insieme multi-modello CAMS utilizzato per generare questo dataset ha capacità senza equivalenti nel mondo. “

“I risultati ottenuti sono estremamente significativi in quanto consolidano l’evidenza quantitativa che le misure governative legate alla pandemia COVID hanno influito direttamente sui livelli di inquinamento atmosferico in tutta Europa, in particolare per quanto riguarda l’inquinante NO2. Oltre all’analisi sulla mortalità durante i primi mesi della pandemia, questo studio potrebbe contribuire a definire le policy futura considerando che risultano evidenti i benefici per la salute pubblica riconducibili alla riduzione dell’inquinamento nelle nostre città e l’efficacia di talune misure”, ha aggiunto. Rochelle Schneider, Honorary Assistant Professor in Geospatial Data Science at LSHTM, Visiting Scientist at ECMWF, e prima autrice dello studio ha dichiarato:”Le politiche governative adottate durante la primavera e l’inizio dell’estate del 2020 ci hanno dato un’opportunità unica di studiare uno scenario “reale” con livelli minori di inquinamento atmosferico inferiori. Questo studio ha espresso forti segnali sul potenziale della ricerca replicabile, scalabile e collaborativa condotta con competenze e conoscenze complementari dalle università di salute pubblica e medicina tropicale, Copernicus e gli istituti di meteorologia. Mettere in collegamento le diverse expertise a seguito e durante l’inizio della pandemia di COVID-19 ci ha fornito la possibilità di stimare i benefici per la salute ottenuti da specifiche misure governative. Questo, e altri studi simili, possono contribuire a lanciare un segnale chiaro: “dobbiamo assolutamente migliorare la qualità dell’aria nelle città per la salute dell’uomo e per l’ambiente”.”

Antonio Gasparrini, Professor of Biostatistics and Epidemiology at London School of Hygiene and Tropical Medicine e senior author dello studio, ha commentato: “Il lockdown durante la prima ondata della pandemia di COVID-19 ha provocato enormi costi sanitari e sociali, seppur offrendo condizioni senza precedenti utili per studiare gli effetti potenziali di politiche rigorose volte a ridurre i livelli di inquinamento nelle aree urbane. Questo “esperimento naturale” ci ha permesso di intravedere come la qualità dell’aria possa essere migliorata grazie a misure drastiche di salute pubblica che sarebbero di difficile attuazione in tempi normali. Le informazioni possono essere importanti per progettare politiche efficaci per affrontare il problema dell’inquinamento nelle nostre città.”

Accedi allo studio qui: https://www.nature.com/articles/s41598-021-04277-6

Fonte: https://www.ecodallecitta.it/covid-in-europa-evitati-oltre-800-mortie-grazie-a-un-miglioramento-della-qualita-dellaria-durante-i-lockdown/

Gli aerei? Sempre di più e più inquinanti

A dirlo è il Rapporto ambientale europeo dell’aviazione 2019, pubblicato da Easa, Eea e Eurocontrol: i voli aerei aumenteranno di oltre il 40% di qui al 2040 e peggiorerà l’impatto sui cambiamenti climatici, sul rumore e sulla qualità dell’aria.

Il Rapporto ambientale europeo sull’aviazione 2019 è stato pubblicato congiuntamente dall’EASA, dal EEA e da EUROCONTROL e fornisce una valutazione aggiornata delle “prestazioni” ambientali del settore dell’aviazione in Europa. Il rapporto afferma che la crescita del settore ha aumentato il suo impatto negativo sui cambiamenti climatici, il rumore e la qualità dell’aria.

Il numero di voli è cresciuto dell’8% tra il 2014 e 2017 e si stima possa aumentare del 42% tra il 2017 e il 2040. Inoltre, a partire dal 2014 è stato osservato un aumento delle emissioni acustiche e delle sostanze inquinanti.
Nel 2016, l’aviazione produceva il 3,6% delle emissioni di gas serra nell’Europa a ventotto membri e il 13,4% di quelle legate al settore dei trasporti. Nel 2011, considerando tutte le sorgenti esaminate nella Direttiva sul Rumore Ambientale nell’Unione Europea, di tutte le persone esposte a livelli di rumore oltre la soglia, il 3,2% lo era a causa dell’aviazione. E questo dato non è destinato a diminuire, visto che il rapporto atteata una sostanziale stabilizzazione del numero di persone esposte a livelli significativi di rumore nelle aree circostanti i 47 principali aeroporti europei. Si prevede, inoltre, un aumento del numero di aeroporti che gestiscono più di 50.000 movimenti di aeromobili annuali, che passeranno da 82 nel 2017 a 110 nel 2040. Pertanto, l’inquinamento acustico generato dal traffico aereo potrebbe ugualmente influire sulle nuove aree urbane coinvolte. E non è tutto: entro il 2040, le emissioni di anidride carbonica e ossidi di azoto dovrebbero aumentare di almeno, rispettivamente, il 21% e 16%. Secondo le stime, un aereo di linea inquina come circa 600 auto non catalizzate (Euro 0). Di conseguenza i più grandi aeroporti italiani emettono ogni giorno la stessa quantità di emissioni di circa 350mila auto Euro 0. Vogliamo viaggiare tutti e a basso costo? Eccoci serviti. I voli low cost si moltiplicano, il traffico aereo si annuncia in crescita costante, tutti in tutto il mondo vogliono raggiungere luoghi lontani. Pagandone conseguenze assai pesanti.

Fonte: ilcambiamento.it

Particolato atmosferico e rischi per la salute: conta anche la ‘qualità’

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Lo studio condotto da un gruppo di ricerca dell’Isac-Cnr di Lecce e dell’Università del Salento ha dimostrato che la tossicità per la salute umana dipenderebbe sensibilmente dalla ‘qualità’ del particolato più che dalla sua concentrazione

abbia effetti dannosi per la salute umana è cosa nota: per questo motivo, nella comunità scientifica internazionale, il potenziale ossidativo è sempre più studiato come indicatore di rischio. Ora uno studio condotto da un gruppo di ricerca dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Isac-Cnr) di Lecce dimostra come il potenziale stress ossidativo vari a seconda della composizione chimico-fisica e delle sorgenti del particolato stesso: la tossicità per la salute umana dipenderebbe sensibilmente, quindi, dalla ‘qualità’ del particolato più che dalla sua concentrazione. Lo studio, condotto in collaborazione con l’Università del Salento, è pubblicato su Atmospheric Environment.

È stato valutato mediante specifici test il potenziale ossidativo di tre tipologie raccolte presso l’Osservatorio climatico-ambientale Isac-Cnr di Lecce, provenienti da diverse sorgenti: campioni ‘standard’ in giornate di normali condizioni climatico-atmosferiche, campioni contenenti polveri trasportate dal Sahara e campioni ad alto contenuto di carbonio (derivante da traffico veicolare, combustioni industriali, di biomasse e/o incendi)”, spiega Daniele Contini (Isac-Cnr), ricercatore che ha coordinato lo studio. “I risultati mostrano che questi ultimi, cioè i campioni ad alto contenuto di carbonio, hanno un potenziale ossidativo molto elevato, mentre durante gli eventi di trasporto di polveri africane si registrano grandi incrementi di concentrazione del particolato, ma il potenziale ossidativo rimane relativamente basso, simile a quello dei campioni standard”.

La valutazione ha riguardato, in particolare, particelle con diametro inferiore a 2,5 micron (PM2.5) e a 10 micron (PM10), mediante un test ampiamente utilizzato a livello internazionale (DTT test o test di velocità di deplezione del ditiotreitolo, che analizza, nel tempo, la quantità di sostanze ossidanti presenti nei campioni). “L’obiettivo era approfondire i meccanismi della tossicità del particolato atmosferico nel tempo: il confronto ha dimostrato che le proprietà ossidative di campioni provenienti da diverse sorgenti sono molto diverse”, prosegue Contini. “Questo è un aspetto di cui si dovrebbe tenere conto negli studi epidemiologici: il potenziale ossidativo è, infatti, un indicatore quantitativo diretto, spesso ancora più significativo dell’incremento di concentrazione dovuto a una specifica sorgente. Ciò permetterebbe una migliore interpretazione dei dati di qualità dell’aria e dell’esposizione dei cittadini a sostanze potenzialmente dannose per la salute”.

I risultati sono stati ottenuti utilizzando la rete infrastrutturale realizzata nell’ambito del progetto PON I-Amica, che ha permesso di costruire a Lecce l’Osservatorio climatico-ambientale dedicato allo studio dei cambiamenti di composizione dell’atmosfera.

 

Fonte: Cnr

Traffico e mobilità urbana nelle città italiane nel 2016. Legambiente: ‘Nessuna luce all’orizzonte’

Secondo appuntamento con Pendolaria 2016, la campagna di Legambiente dedicata al trasporto pendolare, vuole fare il punto sulla mobilità urbana in Italia con un nuovo rapporto che mette a confronto le dotazioni infrastrutturali nelle città europee, determinanti per la qualità dell’aria ma anche per la qualità della vita dei cittadini.386785_1

Fine anno, tempo di bilanci ma anche di emergenza smog. Il secondo appuntamento con Pendolaria 2016, la campagna di Legambiente dedicata al trasporto pendolare, vuole fare il punto sulla mobilità urbana in Italia con un nuovo rapporto che mette a confronto le dotazioni infrastrutturali nelle città europee, determinanti per la qualità dell’aria ma anche per la qualità della vita dei cittadini. Il Belpaese infatti, risulta terribilmente arretrato in termini di infrastrutture di trasporto su ferro rispetto al resto d’Europa: siamo sotto del 50% rispetto alla media europea per metropolitane e tramvie, e al 51% per le ferrovie suburbane. Nel complesso, il 2016 si chiude con la realizzazione di 4,5 chilometri di linee metropolitane grazie a due prolungamenti a Milano e Catania (mentre nel 2015 sono stati inaugurati 6,9 km di metro a Roma e 7,4 a Milano) e di 17 chilometri di tramvie (tutti a Palermo). In totale, sono in esercizio in Italia 235,9 km di rete metropolitana, distribuite tra 14 aree urbane. La città con la rete più estesa è Milano, seguita da Roma, poi Napoli, Brescia, Torino, Genova e Catania. Niente a che vedere con i 291,5 km di Madrid, i 464,2 di Londra o i 219,5 di Parigi. Linee di tram sono invece presenti in 10 città italiane per un totale di 336,1 km, tra Milano, Torino, Roma, Venezia, Palermo, Bergamo, Napoli, Padova, Messina e Firenze. In 12 città troviamo invece le linee ferroviarie suburbane pendolari, con la rete più estesa a Roma, cui seguono Milano, Napoli, Torino, Bari, Palermo, Bologna, Genova, Cagliari, Salerno, Sassari e Catania. In totale si tratta di 679,3 km distribuiti su 14 lineeSono invece 2.038,2 i km di suburbane in Germania, 1.694,8 km nel Regno Unito e 1.432,2 in Spagna. Questo il contesto attuale. E le prospettive future? Anche qui, nessuna luce all’orizzonte. Pochi i progetti finanziati dal Governo e i cantieri aperti. Roma nel 2016 non ha visto inaugurare alcun tratto di metro o linee di tram e, al momento, l’unico progetto finanziato riguarda il prolungamento (3,6 km) della metro C fino a Colosseo. Peggiore è la situazione che riguarda i tram: nessun cantiere aperto e nessun progetto di prolungamento finanziato. Se si continuerà con questi ritmi nei cantieri delle metro impiegheremmo 80 anni per recuperare la distanza dalle altre città europee (in termini di km di metropolitane ogni 1.000 abitanti).Ovviamente senza considerare aumento  di popolazione e crescita delle infrastrutture in tutte le altre città. Migliore situazione a Milano, che vanta la più alta dotazione di metro in Italia e perché sono in costruzione altri 17 chilometri. Eppure anche qui per raggiungere la dotazione media di una città europea, con i ritmi previsti dai finanziamenti, occorreranno altri 15 anni, sempre a parità di popolazione ed infrastrutture nelle altre città europee. A Napoli sono in costruzione 6,9 km di nuove metropolitane, ma qui il tempo che ci vorrebbe per raggiungere la media europea, con questi ritmi, è di circa 70 anni. In positivo, però, vanno segnalate Firenze, dove si è deciso di puntare sui tram per cui ai 7,4 chilometri in esercizio se ne aggiungeranno nei prossimi anni altri 10,8 creando un servizio a rete utile a cambiare la mobilità nella città, e Palermo, che ha inaugurato 4 linee di tram per complessivi 17 chilometri e prevede di realizzarne altri 29, integrati con la realizzazione dell’anello e del passante ferroviario.

“Il ritardo infrastrutturale italiano rispetto agli altri Paesi europei è un tema che ha caratterizzato il dibattito politico degli ultimi venti anni – ha dichiarato il vicepresidente di Legambiente Edoardo Zanchini -. Ma nella spinta a rilanciare i cantieri che ha contraddistinto tutti i Governi, si è persa di vista una analisi seria che riguardasse le città, dove è più forte la domanda di mobilità e dove invece si evidenzia proprio il ritardo più forte in termini di dotazione di trasporto su ferro rispetto al resto d’Europa. Occorre dare una speranza a chi vive nelle città italiane, di non dover aspettare decenni prima di vedere un cambiamento nella mobilità e quindi nella qualità della vita”.

Per Legambiente la grande sfida infrastrutturale per il nostro Paese sta nel ridurre la distanza dall’Europa in termini di dotazioni infrastrutturali su ferro nel minor tempo possibile. Serve un progetto per realizzare nelle principali città almeno 25 km all’anno di linee metropolitane nei prossimi 10 anni, per raggiungere la media europea, e 25 di linee tramviarie. Una svolta che consenta in una città come Roma di realizzare almeno 9 km all’anno nei prossimi 10 anni, per raggiungere, ad esempio, la media di dotazione di metro ogni 1.000 abitanti di Berlino. Evidentemente le città continuano ad avere un ruolo marginale nella programmazione delle risorse per i prossimi anni. La parte del leone continuano a farla gli investimenti autostradali da parte dei concessionari, quelli stradali di Anas e i grandi progetti ferroviari (completamento dell’alta velocità e tunnel alpini). Nel piano delle 25 opere prioritarie del Governo, dal costo di 90,1 miliardi di euro, quelle per il potenziamento del trasporto ferroviario metropolitano nelle grandi città sono 8 per un costo complessivo di 14,9 miliardi di euro. Mentre per le opere stradali sono previsti 28,4 miliardi di euro, e per l’Alta velocità 41,4 miliardi di euro. Invece sono solo 1,3 i miliardi di euro per le nuove metropolitane, cioè per il completamento dei progetti in corso a Torino, Milano, Napoli, Catania, Palermo. Stessa impostazione nella delibera Cipe che a Dicembre ha distribuito 11,5 miliardi di fondi europei FSC 2014-2020. E anche nella Legge di stabilità, il nuovo Fondo investimenti infrastrutture, che prevede una dotazione di 1,9 miliardi nel 2017 e risorse fino al 2032 per complessivi 47,5 miliardi mette assieme investimenti di ogni tipo (trasporti e viabilità, infrastrutture idriche, edilizia pubblica, ecc.). Purtroppo continua a non esserci la consapevolezza di come gli investimenti nelle città debbano essere prioritari e non confondersi con gli altri cantieri. Altrimenti, come già avvenuto in questi anni, il ritardo rispetto al resto d’Europa non potrà che aumentare e a pagarne le conseguenze saranno i cittadini italiani. Negli altri Paesi europei esiste una programmazione pluriennale per le politiche di investimento nelle città, con una struttura di coordinamento statale che accompagna i Comuni nella definizione delle priorità di investimento e poi nella fase di cantiere per verificare l’attuazione. Eppure, nel bilancio dello Stato le risorse per realizzare un salto di qualità nell’offerta di trasporto pubblico nelle città italiane, ci sono. I trasporti e le infrastrutture sono una voce rilevante del bilancio dello Stato: oltre 800 miliardi di Euro all’anno che bisogna investire in maniera più intelligente,destinando il 50% degli investimenti infrastrutturali alle città; spostando gli investimenti dalla strada alle città e orientando quelli previsti da RFI prioritariamente nei nodi urbani.   “Le risorse ci sono – ha sottolineato ancora Edoardo Zanchini -, quello che manca è un progetto che punti a realizzare decine di chilometri ogni anno di metropolitane, tram, ferrovie suburbane. I vantaggi sarebbero evidenti in termini di riduzione dell’inquinamento ma anche di qualità della vita per milioni di persone che potrebbero lasciare a casa l’auto, con risparmio anche sulla spesa familiare, e di possibilità di riqualificazione intorno alle stazioni del trasporto su ferro”.

Nel dossier (http://www.pendolaria.it/2016/12/29/pendolaria-citta-europee-a-confronto/), anche le infrastrutture urbane ed i progetti finanziati in Italia e i confronti con le migliori esperienze europee.

Fonte: ecodallecitta.it

India, Modi inaugura il monitoraggio dell’inquinamento

Il premier indiano ha presentato il primo indice di qualità dell’aria dell’India. In Cina qualcosa è cambiato. Già da un paio d’anni Pechino sembra avere intrapreso un nuovo corso, ben consapevole dei costi sociali ed economici dell’inquinamento sulla salute pubblica e sull’ambiente in generale. Ora anche l’India sembra volersi adeguare e il premier Narendra Modiha presentato, per la prima volta il National Air Quality Index, un indice di qualità dell’aria che fornirà informazioni in tempo reale sui livelli di inquinamento. Negli indici mondiali sulla qualità dell’aria, l’India non se la passa affatto bene visto che l’Environment Preference Index la piazza alla174esimo posto su 178 nazioni censite. Quanto alla capitale New Delhi, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità è la metropoli più inquinata del pianeta. Inizialmente il National Air Quality Index monitorerà 10 città per poi allargarsi ad altre. Il premier indiano ha suggerito ai propri connazionali di attingere alle vecchie tradizioni nazionali per lottare contro l’inquinamento: si potrebbero spegnere le luci stradali nelle notti di luna piena, ma anche cambiare stile di vita scegliendo la bicicletta per gli spostamenti a corto raggio. Modi ha anche lanciato l’idea di fare della domenica la “giornata della bicicletta”. Una bella idea ma i frenetici autisti delle metropoli indiane sono pronti per una convivenza più consistente con i pedalatori? Delhi, Agra, Kanpur, Lucknow, Varanasi, Faridabad, Ahmedabad, Chennai, Bangalore e Hyderabad sono le prime dieci città oggetto del monitoraggio, mentre in una seconda fase l’indice dovrebbe misurare le 22 città capitali di Stato e altri 44 centri urbani nei quali la popolazione è superiore a un milione di abitanti.Obama-Modi

Fonte:  The Economic Times

© Foto Getty Images

Mal’aria 2015: le 32 città più inquinate in Italia

E’ critica la situazione in Pianura padana, ma anche nelle grandi città del Centro Sud, a causa dell’elevato livello di inquinamento generato da polveri sottili e ozono responsabili di patologie e morti premature. Mal’aria 2015, il dossier di Legambiente sulla qualità dell’aria che respiriamo non porta buone notizie: alla fine di gennaio 2015 la situazione relativa all’inquinamento atmosferico è già fuori controllo. Dall’inizio dell’anno a oggi la soglia massima giornaliera consentita di PM10 è stata superata in 10 giorni in 32 capoluoghi. A guidare la classifica ci sono i principali centri urbani della Pianura padana, mentre Roma ha registrato 12 giorni di superamento e Napoli 11 giorni. Ma le città dall’aria più inquinata in questo inizio di 2015 sono state Parma e Frosinone con 20 giorni di superamento. Nel 2014 la campagna di Legambiente, Ti tengo d’occhio, aveva monitorato 88 capoluoghi e ben il 37 per cento, ovvero 33 città hanno superato il limite di 35 giorni oltre la soglia massima ammessa di PM10.

  1. Frosinone Frosinone scalo 20 giorni
  2. Parma Montebello 20 giorni
  3. Venezia Via Beccaria 19 giorni
  4. Padova Arcella 18 giorni
  5. Treviso Via Lancieri di Novara 18 giorni
  6. Vicenza Quartiere Italia 18 giorni
  7. Terni Le Grazie 17 giorni
  8. Asti Baussano 17 giorni
  9. Monza via Machiavelli 16 giorni
  10. Torino Rebaudengo 16 giorni
  11. Cremona via Fatebenefratelli 15 giorni
  12. Lodi S. Alberto 15 giorni
  13. Milano Pascal Città Studi 15 giorni
  14. Reggio Emilia Timavo 15 giorni
  15. Ferrara Isonzo 14 giorni
  16. Mantova Via Ariosto 14 giorni
  17. Pavia Piazza Minerva 14 giorni
  18. Rovigo Centro 14 giorni
  19. Verona VR – Borgo Milano (TU) giorni 13
  20. Piacenza Giordani – Farnese 13 giorni
  21. Ravenna Zalamella 13 giorni
  22. Alessandria Volta 12 giorni
  23. Brescia Villaggio Sereno 12 giorni
  24. Roma Preneste 12 giorni
  25. Benevento BN32 Via Floria 11 giorni
  26. Napoli NA09 Via Argine 11 giorni
  27. Bologna Porta San Felice 11 giorni
  28. Aosta Pepiniere 10 giorni
  29. Lucca Michletto 10 giorni
  30. Modena Giardini 10 giorni
  31. Rimini Flaminia 10 giorni
  32. Forlì-Cesena Roma 10 giorni

Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente ha detto:

E’ quanto mai evidente la necessità di un urgente e decisivo piano di intervento che vada finalmente ad incidere sulle politiche relative alle fonti di inquinamento più volte annunciato ma ancora mai attivato a livello nazionale. Le cause si conoscono e le soluzioni ci sono, occorrono la volontà politica e gli strumenti per metterle in campo. Per ridurre le emissioni industriali occorre avviare la rapida approvazione delle Autorizzazione Integrate Ambientali per gli impianti nuovi ed esistenti e promuovere l’applicazione delle migliori tecnologie disponibili per ridurne gli impatti. Bisogna poi uscire dalla dipendenza dai combustibili fossili puntando su fonti energetiche rinnovabili; investire nella riqualificazione energetica degli edifici per ridurne i consumi e migliorarne l’efficienza e l’isolamento termico, garantendo così una riduzione nelle emissioni dagli impianti di riscaldamento domestici e affrontare uno dei nodi principali: il trasporto a livello urbano ed extra urbano. Oggi l’Italia continua ad avere il record per numero di auto per abitante, 65 ogni 100 contro una media europea di 48 circa, con un tasso di motorizzazione addirittura in crescita negli ultimi anni, e il trasporto privato continua ad essere la modalità più diffusa per muoversi verso le città e al loro interno. Solo invertendo questa tendenza e garantendo un trasporto pubblico efficace e competitivo si possono restituire ai cittadini una migliore qualità dell’aria e della vita.

Ricordiamo che l’Italia ha il primato in Europa per morti premature causate dall’inquinamento da ozono. Il dato relativo al 2011 ci dice che nel nostro Paese sono morte 3400 persone mentre sono 64000 le vittime per morte causata da PM10 e dietro di noi la Germania. L’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha stimato che l’aria inquinata ha causato 400 mila morti premature che hanno pesato sui costi dei sistemi sanitari e ricordo che lo IARC ha chiaramente detto che l’inquinamento e sopratutto del particolato atmosferico è cancerogeno del gruppo 1.GERMANY-THEME-LIGHT-INDUSTRY-ENERGY-COAL

Fonte:  Legambiente

Accordo USA-India per contrastare i cambiamenti climatici

L’accordo prevede un’attivita’ di cooperazione per lo sviluppo delle energie rinnovabili, delle tecnolgie off grid e di riduzione dell’inquinamento. Il Presidente Obama ha siglato uno storico accordo con il presidente del”India Narendra Modi perche” le due nazioni operino insieme per contrastare i cambiamenti climatici, mettendo sul tappeto una serie di obiettivi che dovrebbero “espandere il dialogo politico e il lavoro tecnico sulle energie rinnovabili e le tecnologie a bassa emissione di gas serra.” L’accordo non specifica obiettivi di riduzione delle emissioni, come nel caso di quello raggiunto con la Cina lo scorso novembre, ma contiene tuttavia una serie di punti qualificanti:

(1) Cooperazione per raggiungere obiettivi ambiziosi alla conferenza di Parigi di fine anno;

(2) Un fondo comune di 125 milioni di dollari in 5 anni per sostenere progetti di ricerca su energie rinnovabili, efficienza energetici e biofuel di nuova generazione;

(3) Accelerare la crescita di una finanza dell’energia pulita, che potrebbe riguardare un portafoglio di un miliardo di dollari

(4) Cooperazione per migliorare la qualita’ dell’aria nelle citta’ indiane

(5) Sviluppo di tecnologie off grid in grado di portare le energie rinnovabili a chi e’ ancra fuori dalla rete elettrica nelle campagne.

L’India ha il 17% della popolazione mondiale, ma contribuisce solo per il 5,5% alle emissioni di gas serra. Tuttavia e’ molto probabile che verra’ colpita duramente dai cambiamenti climatici; per questo l’accordo di oggi e’ particolarmente importante.Obama-Modi

Fonte: ecoblog.it

Smog 2014: potrebbe essere il miglior dicembre del secolo

Torino e Milano, le regine dello smog italiano hanno visto in questo 2014 il dicembre più pulito degli ultimi dieci anni – con ogni probabilità dal 2000 -almeno per questi primi 21 giorni. E’ stato nel complesso un autunno mite per il Pm10, anche grazie alle abbondanti piogge di novembre. Gli sforamenti annuali restano comunque fuori legge381453

Torino

Nei primi ventun giorni di dicembre che segnano la fine dell’autunno, la media giornaliera torinese è rimasta ferma a43,6 mcg/m3 con 9 sforamenti. Meglio del 2013, quando a dicembre il Pm10 aveva sforato ogni singolo giorno fino al 21, con picchi da 137 mcg e una media vicina agli 80 mcg/m3. Non se l’era cavata tanto meglio il 2012 – 19 sforamenti fino al 21 dicembre e media superiore ai 50, né tantomeno il 2011 – sempre 19 sforamenti ma media vicina ai 90 mcg. Proviamo a tornare indietro ancora di qualche anno: nel 2010 la media aveva sforato ancora: 71,3 mcg/m3, con 20 sforamenti; nel 2009 77,7 mcg/m3 e 18 sforamenti; 2008: 60,8 mcg/m3 con 15 sforamenti; 2007: 83,5 mcg/m3, con 21 sforamenti su 21 giorni;altissima la media del 2006: 94,5 mcg/m3 e 19 sforamenti; 2005: 80,4 mcg/m3 di media e 20 sforamenti; per chiudere il decennio, vediamo infine il 2004: 81 di media e 20 sforamenti.
Insomma, dicembre 2014 per Torino sembrerebbe esser stato per ora il migliore degli ultimi dieci anni, per quanto il numero di sforamenti dei soli tre mesi autunnali sia stato praticamente analogo al limite massimo annuale – a questo punto più che doppiato.

 

Milano 

Per Milano prendiamo in considerazione la centralina Pascal Città Studi, la stessa usata come riferimento da Legambiente per le edizioni di Mal’aria. Nei primi 21 giorni di dicembre2014, la centralina ha registrato 10 sforamenti con 45,9 mcg/m3 di media, dunque al di sotto delle soglie massime previste dalla legge. L’anno scorso la media giornaliera dello stesso arco temporale era praticamente il doppio: 91,3 mcg/m3, come gli sforamenti (20). Sempre fuori legge, ma ben più mite il 2012: 51,7 mcg/m3, con 10 sforamenti. Nel 2011 le centraline segnarono ancora 69,5 mcg/m3, con 14 superamenti. Nel 2010 invece la media era rimasta per poco al di sotto della soglia limite: 47 mcg/m3, con 8 sforamenti: l’unico dato paragonabile a quello del 2014, per quanto leggermente più alto. Andando indietro ancora di un anno arriviamo al 2009, quando si registrarono 58,2 mcg/m3 di media e 12 sforamenti. Per il 2008, 57,3 mcg di media e 13 sforamenti. Infine, nell’ultimo anno disponibile dall’archio di Arpa Lombardia, cioè il 2007, la media aveva nuovamente superato la soglia di legge, attestandosi su un valore di 84,5 mcg/m3, per 18 sforamenti.

Conclusioni

Come ricordato più volte, la qualità dell’aria – pur essendo ancora lontana dall’aver raggiunto risultati soddisfacenti o perlomeno conformi alle leggi attuali – è andata migliorando nel corso dell’ultimo decennio. Una considerazione che ci permette di sopperire alle lacune d’archivio per poter affermare che, con ogni probabilità, questo dicembre 2014, per quanto il problema del Pm10 sia tutt’altro che debellato, si rivelerà essere stato il migliore dall’inizio del secolo.

 

Fonte: ecodallecitta.it

Smog, l’aria delle città in Europa è ancora troppo inquinata

La relazione annuale sulla qualità dell’aria che raccoglie dati provenienti da stazioni di monitoraggio ufficiali in tutta Europa mostra che quasi tutti gli abitanti delle città sono esposti a sostanze inquinanti a livelli ritenuti non sicuri dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). In Europa respiriamo aria troppo inquinata, tanto che il 95 per cento della popolazione urbana europea è esposta a livelli pericolosi. E’ quanto emerge dalla relazione annuale sulla qualità dell’aria pubblicata dall’EEA che mostra i dati dei livelli di inquinamento in quasi 400 città europee. Mentre molte grandi città hanno livelli relativamente bassi di inquinamento, altre hanno livelli di inquinamento superiori ai limiti UE per una parte significativa dell’anno. Ha detto Hans Bruyninckx direttore esecutivo dell’EEA:

L’inquinamento atmosferico è ancora alto in Europa, il che incide sui costi: per i nostri sistemi naturali, la nostra economia, la produttività della forza lavoro europea, e più gravemente sulla la salute generale dei cittadini europei.Air Pollution Reaches High Levels Across London

Il più grave inquinante dell’aria sono le polveri sottili, PM10 e PM2,5 simili alla polvere o alla fuliggine, ma con particelle molto piccole, è in grado di penetrare in profondità nei polmoni: in Italia si calcola che le vittime siano state 64 mila. L’esposizione a lungo termine al particolato è responsabile per la stragrande maggioranza delle morti premature dovute all’inquinamento atmosferico-provocato in Europa nel 2011, mentre alti livelli di ozono troposferico pure hanno causato un numero significativo di morti. La maggior parte degli inquinanti atmosferici sono lievemente diminuiti nel corso dell’ultimo decennio, tra cui particolato e l’ozono. Il biossido di azoto (NO2), un altro inquinante, non è diminuito cos’ come previsto e ciò perché veicoli e autovetture che sono un’importante fonte di NO2 non hanno sempre rispettato la riduzione delle emissioni previste. Ma l’agente inquinante che è aumentato di più negli ultimi 10 anni è stato il benzo(a)pyrene (BaP), il cui volume nell’atmosfera è cresciuto di un quinto tra il 2003 e il 2012 e generato dall’uso delle stufe a legna e dal riscaldamento delle biomasse. Nel 2012 quasi nove su dieci abitanti delle città sono stati esposti al BaP al di dei livelli di riferimenti indicati dall’OMS. Un numero crescente di ricerche scientifiche indicano che gli inquinanti atmosferici possono essere più dannosi di quanto si pensasse; e l’effetto sulle malattie respiratorie e cardiache dell’inquinamento atmosferico è ben noto, ma nuovi studi hanno dimostrato che può anche incidere sulla salute anche in altri modi, dallo sviluppo fetale a malattie che si presentano in età avanzata. Mentre la maggior parte del danno deriva da esposizione a lungo termine, gli episodi d esposizione a breve termine possono essere altrettanto pericoloso. Accanto la salute, questi inquinanti hanno anche un effetto significativo sulla vita delle piante e degli ecosistemi. Questi problemi, tra cui l’eutrofizzazione e l’acidificazione sono diminuiti negli ultimi anni. Tuttavia, sono ancora molto diffusi. Dunque la Commissione europea pensa di rivedere il pacchetto sulla qualità dell’aria. Spiega Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente:

Si tratta di uno strumento fondamentale per aiutare i governi e ridurre l’inquinamento sul proprio territorio e a tutelare la salute dei cittadini, sul quale Legambiente sta lavorando insieme all’EEb e altre ONG europee affinché vengano adottate misure restrittive più ambiziose e vincolanti sulla base delle recenti raccomandazioni fornite dall’OMS. La revisione del pacchetto sulla qualità dell’aria prevede, tra le altre cose, la riduzione delle emissioni degli inquinanti più pericolosi. Ritirandolo si renderebbe più difficoltoso il percorso verso il raggiungimento degli standard idonei di qualità dell’aria e per questo chiediamo al Governo Italiano di impegnarsi concretamente per una sua rapida approvazione.

Fonte:  EEA

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