«Via dalla vita che ci fa appassire»: la storia di Giovanna

Giovanna Cambi ha lasciato il lavoro d’ufficio, che ormai sentiva come una costrizione e che non aveva più niente da darle. Si è trasferita in una casetta di campagna, si dedica all’orto e al frutteto e soprattutto oggi può dire: «Sono felice».cambiovitaelavoro

«Tutto cominciò il giorno in cui decisi che per sentirmi realizzata dovevo assolutamente raggiungere i principali obiettivi che un individuo, specie una donna, auspica: sposarsi, fare bambini, avere una casa e un posto di lavoro sicuro. Premetto che fino ad allora avevo avuto una vita soddisfacente e stimolante. Riuscivo sempre a raggiungere gli obiettivi che mi proponevo e questo continuava ad accadere, specie in campo professionale». Esordisce così Giovanna Cambi, nel raccontare la storia del suo personale cambiamento. Giovanna è uno dei numerosi partecipanti agli workshop tenuti dall’ufficio di scollocamento di Paea per prendere coraggio e cambiare vita e lavoro.

«In virtù di questo, non passò molto tempo da allora che conobbi il fidanzato “giusto”, trovai la casa “ideale” e il lavoro fisso in una grande società. Arrivò anche il figlio maschio… Un anno e mezzo dopo la nascita di mio figlio mi resi conto di quanto fosse illusorio e falso il retaggio culturale/sociale da cui provenivo, almeno dal mio punto di vista! Avevo la chiara sensazione che ciò che avevo messo in piedi con le scelte effettuate non veniva realmente da me e che quello che invece auspicavo era tutt’altro. Non dimenticherò mai quanto è stata dura uscire dalla rete che avevo io stessa tessuto…ora posso raccontarlo!».

«Sono sempre stata un adulto libero di sperimentare e muoversi in questa realtà con la netta sensazione di essere protetta e guidata da qualcosa di diverso dal mio Ego, eppure consentivo spesso a quest’ultimo di agire nella totalità. Sono passati alcuni anni da quando ho avuto la piena consapevolezza di dove stavo andando e cosa invece realmente volevo ma solo oggi posso dire di avercela in parte fatta. E’ stato un lungo e duro cammino di grande pulizia interiore che mi ha portato alla scelta di separarmi da mio marito, vendere la casa in centro e lasciare il lavoro».

«Sto attraversando finalmente la porta che mi conduce verso la mia vera realizzazione: essere felice e libera di esistere. Cosa ne sarà di me? Non so, ma sono tanto felice (anche la via in cui abito ora ha questo termine affinchè possa ricordare sempre ciò che per me è importante!). Oggi e da circa un anno e mezzo, viviamo in una piccola casa in campagna con poche pretese ma che suggerisce tanta creatività, vicino Roma con 7.000 metri di terra a frutteto. Non abbiamo televisore da anni e uso internet e radio per le notizie che valuto se ascoltare/leggere o meno nella massima libertà. I frutti sono abbondanti, il piccolo orto è rigoglioso e dalla colorata amaca osservo i colori del tramonto dipingere meravigliosi oceani di luce. Il mio bambino chiama e insieme andiamo ad accarezzare i giovani alberi appena piantati. Diamo loro costantemente il nostro benvenuto per farli sentire a casa…la nostra dolce casa».

«I gattini e la nostra cagnolina maremmana ci seguono lungo il percorso e osservano ad ogni passo gli insetti danzare loro davanti. Mi dirigo verso il mio albero maestro, l’alfa e l’omega della mia terra, e da uno scorcio osservo gli uccelli planare verso i lidi prescelti. Lui mi rincuora, mi rende forte e sicura…mi fa sentire a casa. Ho rivolto una preghiera chiedendo protezione per questa terra e i suoi molteplici abitanti, ho chiesto che possa essere un luogo di guarigione per me stessa in primis e per chiunque varchi i suoi confini così accuratamente accarezzati dal mio sguardo e dal mio intento. Questo è solo l’inizio…».

«Stiamo ristrutturando una piccola rimessa accanto alla casa per realizzare un piccolo progetto di auto-sostenibilità. Abbiamo ottimi rapporti con il vicinato e le associazioni locali. Ci nutriamo principalmente di prodotti locali e acquistiamo il resto con il GAS della zona con il desiderio di riuscire totalmente a staccarci dal circuito dei supermercati. I nostri animali sono pura gioia…ci aiutiamo vicendevolmente, rispettando ognuno i propri spazi. Dopo aver lanciato, qualche anno fa e senza esito positivo, un progetto di ecovillaggio e di scuola familiare, ho compreso che il cambiamento doveva iniziare principalmente da me come essere singolo prima di pensare in grande. Nonostante ciò l’anno scorso ci fu il tentativo di lanciare una proposta di vacanza alla pari. Scrissi un appello a cuore aperto…forse troppo! Mi hanno risposto in pochi…sono rimasta sbalordita su quanto la gente poco si affidi al proprio sentire! Maggiormente coloro che dichiarano a parole di procedere verso i sentieri della consapevolezza e della “luce”…».

«Sicuramente molti pregiudizi hanno offuscato il cuore di coloro che a primo impatto hanno saputo ascoltare! E’ stato comunque prezioso conoscere ed incontrare coloro che mi hanno scritto. Questa ultima esperienza mi ha insegnato che occorre arrivare al cuore delle persone a piccoli passi affinchè il fiammifero di ognuno possa naturalmente accendersi e illuminare a poco a poco tutto il loro essere. La guarigione per me è stata reale e concreta e posso testimoniarlo ma è anche vero che c’è voluto del tempo… altra lezione di vita per il mio ego e altra esperienza arricchente che mi ha permesso di essere ciò che sono oggi».

«Chi sono? Sono finalmente io! Una persona semplice, da sempre amante della natura e dell’ambiente, della sana socialità ma anche capace di stare in silenzio da sola in contemplazione. Un mese fa ho avuto l’ultimo slancio di amore per me stessa: lasciare il lavoro di dipendente nel gruppo FS Italiane ed avventurarmi alla ricerca di ciò che vorrei diventare. I lavori sono ancora in corso ma sono tanto felice di aver fatto questa scelta, anche se non è stato semplice! Ormai era tutto vecchio e superato per me e la sensazione che percepivo quando entravo in ufficio immagino sia quella che un fiore provi quando lentamente appassisce. So che molte persone provano lo stesso e so anche che la paura dell’ignoto è tanta. L’ultimo giorno di lavoro ho festeggiato con alcuni colleghi d’ufficio e ho ricevuto tanti complimenti per il coraggio che ho dimostrato nel prendere questa decisione. Ho risposto che il loro coraggio di restare ancora in quell’ambiente era notevolmente superiore al mio! Devo dire che sono stata aiutata in questo percorso da una forza sconosciuta che volente o nolente mi ha trascinato verso un’unica direzione; tutte le richieste che proponevo all’Azienda e che mi avrebbero agevolato nella mia posizione lavorativa (part-time, eventuali trasferimenti…) trovavano sempre uno schieramento di opposizione che mi stava portando ad un forte e sempre più incontenibile stress. Al lavoro non avevo più soddisfazione professionale e stavo subendo un velato attacco di mobbing. Nonostante avessi consapevolizzato ciò, continuavo a pormi nel migliore dei modi cercando altre soluzioni o scappatoie a quella che era sempre più chiaramente l’unica via da intraprendere. La mia indole è forte e collaborativa ma la mia testardaggine è notevolmente superiore. Ad ogni modo, sapevo che le mie paure richiedevano tempo per essere metabolizzate e le decisioni da prendere in questi casi ancor di più!».

«Da tempo ormai avevo maturato il desiderio di andare via da quell’ambiente per me malsano ma non osavo farlo a meno che non fosse accaduto qualcosa. Quel qualcosa accadde! Il tempo a disposizione però non era molto: era in corso una ristrutturazione aziendale. In vista di questo, l’Azienda stava proponendo un incentivo all’esodo a chi ne avesse fatto richiesta. Dovevo trovare la forza di agire al meglio, con mente lucida. Mai uno sforzo è stato più grande, neanche quando ho partorito mio figlio! Dare alla luce me stessa è stato ancora più impegnativo. Un ciclo era concluso e la via per altre esperienze si apriva chiaramente davanti a me; era giunto il tempo che io prendessi in mano la responsabilità della mia vita e così è stato! Ora sto percorrendo quel sentiero che non so dove mi porterà ma è luminoso e mi fa stare bene! Questo è ciò che conta! Ognuno di noi ha tutto ciò che serve per farcela, dobbiamo solo credere di più nella nostra forza interiore e continuare a sognare, sognare; perché i sogni che vengono dal cuore possono veramente realizzarsi!».

 

Fonte: ilcambiamento.it

Come prepararsi all’eclissi di Sole del 20 Marzo

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Sono passati ormai quattro anni dall’ultima eclissi di Sole visibile dal nostro Paese. Meglio non perdersi quindi quella del 20 marzo, anche perché bisognerà aspettare altri 5 anni prima di poter assistere nuovamente ad un simile spettacolo. Tutti pronti dunque tra le 9:00 e le 11:45, per godersi il Sole oscurato quasi al 50% dal passaggio della Luna. Per stare sicuri, ecco qualche coniglio per seguire al meglio l’eclissi.

Come si osserva un’eclissi

Guardare il Sole ad occhio nudo non è una buona idea, visto che può provocare danni permanenti alla nostra vista anche quando è parzialmente oscurato. Il fai da te dunque è da evitare: non usatevecchie pellicoleradiografievetri affumicati o occhiali da sole, che vi esporrebbero a rischi inutili. Meglio acquistare filtri e occhiali appositi, disponibili anche online a un prezzo tutto sommato contenuto. In alternativa, gli esperti del sito AstroPerinaldo consigliano anche gli occhiali da saldatore con indice di protezione numero 14 (ma mai meno di 14, altrimenti risulterebbero inutili) reperibili nei negozi di ferramenta e assolutamente efficaci per guardare l’eclissi in tutta sicurezza.

Fotografare l’eclissi

Anche binocolimacchine fotografiche e telescopi sono pericolosi, se non si utilizzano adeguate protezioni. Binocoli e telescopi possono essere utilizzati con filtri appositi, disponibili online e nei negozi di materiale astronomico. Anche per le macchine fotografiche esistono filtri specifici (anche qui, sicuri delle soluzioni fai da te e migliori anche dal punto di vista della resa delle immagini), un po’ costosi, ma che torneranno utili per fotografare anche le macchie solari, altro soggetto amato dagli astrofili. Gli esperti consigliano inoltre di regolare manualmente messa afuoco ed esposizione, perché la grande quantità di luce solare può ingannare i sensori della macchina fotografica. Un trucco, rivelato dall’esperto di foto astronomiche Andrew Fazekas, è quello di scattare due foto: una durante l’eclissi, e una identica per posizione verso il tramonto, e di unire in seguito le due immagini con photoshop per ottenerne una più simile all’esperienza reale dell’eclissi (questo però solo in caso di eclissi totali, e non parziali come quella di quest’anno).

Cos’è un’eclissi

Un’eclissi di Sole avviene quando la Luna si frappone tra l’astro e la Terra, proiettando al sua ombra sul nostro pianeta. In base alla dimensione apparente del disco lunare al momento del passaggio, l’eclissi può essere parziale o totale.

Quella di quest’anno appartiene alla famiglia delle Saros, eclissi di Sole molto simili tra loro perché avvengono quando la Luna si trova pressappoco nella stessa posizione rispetto al proprio nodo(il punto, cioè, dove l’orbita del nostro satellite interseca quella terrestre) e alla stessa distanza dalla Terra. Avvengono inoltre più o meno nello stesso periodo dell’anno, e con una periodicità perfetta: 6.585,3 giorni, pari a 18 anni, 10 giorni e 8 ore (o 18 anni, 11 giorni e 8 ore, a seconda di quanti anni bisestili cadono nell’intervallo temporale).

Cosa si vedrà?

L’eclissi sarà di mattina, con un orario di inizio leggermente diverso a seconda della località da cui la si osserverà: inizierà prima in Sardegna, alle 9:16 se ci si trova a Cagliari, poi a Roma(9:23), a Milano (9:24),  a Napoli (9:25) e a Lecce e Trieste (9:30). Il massimo oscuramento si avrà dopo circa un’ora dall’inizio dell’eclissi, che si concluderà poi intorno alle 11:45. Anche l’intensità dell’eclissi dipenderà dal punto di osservazione: sarà massima al Nord (ad Aosta sarà coperto il 67,2% del disco solare, a Milano quasi il 65%), diminuendo via via che si scende lungo al penisola (Roma 53,8%, a Napoli solo 39,7%, mentre a Siracusa non supererà il 39,7%). Per assicurarsi delle condizioni dal proprio punto di osservazione, si può consultare questa mappa interattiva realizzata dalla Nasa.

Come accorgersi dell’eclissi

In Italia purtroppo non avremo un’eclissi totale (molti di noi non ne vedranno mai una, visto che la prossima è prevista per il 2081), e quindi non vedremo scendere di colpo la notte in pieno giorno. Sarà comunque possibile notare la diminuzione di luce solare, ma i nostri occhi sono particolarmente bravi a compensare i cambiamenti di luminosità, e quindi per percepire l’inizio dell’eclissi senza guardare direttamente il Sole servono degli accorgimenti: prendete un punto di riferimento, come un edificio, e guardatelo a intervalli regolari dall’inizio dell’eclissi, per fare caso al cambiamento di illuminazione.

Streaming
Se il meteo (che per ora si prevede favorevole) dovesse tradirci, o se ci trovassimo impossibilitati a seguire l’eclissi da una postazione favorevole, niente paura. Il Virtual Telescope seguirà infatti l’evento in diretta streaming, con il commento dell’astrofisico Gianluca Masi.

Fonte:  Wired.it

Credits immagine: via Pixabay

“Come una città, da centro, diventa periferia e poi campagna è uno spettacolo”. Lettera di un viandante occasionale

In occasione della Giornata Nazionale del Camminare del 12 ottobre, pubblichiamo la lettera di Matteo Volpengo che racconta una camminata di sei ore per arrivare da Torino a Grange di Brione “Attraversare una città piano piano, vederla sfilare, diradarsi e poi sparire. Il primo prato, il primo campo. I primi alberi selvatici, preludio di bosco”380546

Caro Paolo,

questo pomeriggio sono tornato a casa a piedi. Tu abiti praticamente nel centro di Torino, io abito a Grange di Brione, una piccola frazione a ridosso delle montagne. Di mezzo ci sono 20 Km. Ho camminato per sei ore.
Ieri sono venuto giù in bici e ci ho messo 1 ora e 10. Perché non ho fatto anche il ritorno in bici? Perché ho scoperto che il sellino mi dà fastidio: è troppo piccolo e duro. Perché non sono mai andato da Torino a casa mia a piedi.
Perché avevo tempo. E’ stato bellissimo. Anche se all’inizio mi sembrava un po’ un’impresa. Non per la lunghezza del tragitto, sono abituato fin da piccolo a fare lunghe camminate in montagna. E’ che sembra impossibile uscire da una città a piedi, soprattutto quando ti trovi nel suo centro. La maggior parte delle persone che vedi camminare in città fa perlopiù tragitti brevi; per i lunghi spostamenti si usano le automobili o la bici. Nessuno qui esce dalla città a piedi per andare in un posto a 20 Km di distanza, casa. In Africa sì, lo fanno.  Avevo tempo, avevo bisogno di riflettere e di vedere le cose da un altro punto di vista. Già, perché fare a piedi un percorso che sei abituato a fare in macchina o in bici è completamente diverso. Prima di tutto è molto pericoloso, non puoi camminare a piedi su una strada statale, con le macchine che ti sfrecciano di fianco a 80-90 Km orari. Cioè puoi farlo, ma è degradante. Ho provato: ti senti piccolo piccolo, vulnerabile, sfigato, continuamente in balia di questi mostri di metallo velocissimi e pesanti.
E’ un modo per rendersi conto della violenza delle automobili: non perdonano nulla che non vada alla loro stessa velocità e che non sia della loro stessa stazza. Fortunatamente da qualche anno sulla statale che conduce al mio paese hanno costruito una pista ciclabile. Non lungo tutto il percorso però. Insomma, se in bicicletta puoi permetterti di stare in strada insieme alle automobili, a piedi no, cioè puoi, ma proprio se non puoi farne a meno.
Pensa che effetto fa agli automobilisti vedere uno che cammina a bordo strada, lungo una provinciale di campagna, appena fuori dalla città. Poverino. Povero Cristo. Non avrà un posto dove andare. Chissà perché è lì. Che cavolo fa che ancora un po’ lo investo!? Il nostro è un mondo è costruito per le macchine, non per i piedi degli esseri umani. Se vuoi camminare vai in montagna, vai nei parchi, vai in vacanza. Prenditi un week-end, una mezza giornata. Prendi l’automobile (appunto) e recati in un bel posto, lontano dalla tua quotidianità. Sono riflessioni che ti vengono mentre cammini.

Attraversare una città piano piano, vederla sfilare, diradarsi e poi sparire. Il primo prato, il primo campo. I primi alberi selvatici, preludio di bosco.Non è bello come un parco nazionale, ma molto reale, vicino, interessante. Come una città, da centro, diventa periferia e poi campagna è proprio uno spettacolo, a cui i nostri occhi non sono più abituati. Quasi quasi rinuncio alla bici. Ti rendi conto delle distanze, misuri umanamente le distanze. Siamo abituati ad essere costantemente al di sopra dei ritmi del nostro corpo: 20 minuti in macchina, 1 ora in bici, 6 ore a piedi. Tempo, passi, paesaggio, sudore, corpo, il proprio corpo che cammina, osserva, comprende.

E’ strano camminare dove tutti gli altri procedono in auto o al massimo in bici (questo succede appena uscito dalla città).
I piedi non amano l’asfalto, nemmeno quello della pista ciclabile; vorrebbero il sentiero, la terra, i sassolini, l’erba.

Appena posso procedo nei campi adiacenti la strada, pieni d’erba. Cammino dove pochissimi altri hanno camminato. Trovo nel prato un cd musicale rotto, lanciato in corsa da qualche autovettura. Recupero il cd e lo tengo in mano fino al primo cestino dell’immondizia, nei pressi di una fabbrica di cuscinetti a sfera.

E dopo il primo paese finalmente la campagna, che mi consente di lasciare la molto trafficata strada provinciale per darmi alle stradine costellate di villette, che poi diventano strade sterrate, e le villette diventano cascine, più rade e circondate da campi e natura.

Compaiono gli orti strapieni di cibo, dove generazioni e generazioni hanno imparato a trarre il massimo da piccoli spazi. I primi alberi da frutto. E’ incredibile la differenza fra le villette e le cascine. Le villette sono rigorosamente separate dal circostante, con ringhiere e cancelli, un cartello ad indicare la sorveglianza di telecamere collegate a centrali di polizia. Non ti senti il benvenuto. I prati dei giardini tutti rasatissimi e perfetti, alberi ornamentali a completare la composizione.
Le case bellissime, troppo belle, troppo finte. E’ tutto al di sopra della realtà, della natura selvatica, del contatto manuale con la terra. Le cascine invece emanano polvere, sono dello stesso colore del circostante, si integrano perfettamente con il paesaggio. Sono aperte, con grandi aie protette da cancelli che una volta non c’erano.
Vedi una vecchia signora nell’orto, che fa piccoli lavori, vestita in modo semplice.
Le villette sembrano piovute dall’alto, a schiacciare il paesaggio ed imporre la loro forma.
Le cascine rispecchiano l’integrazione con l’ambiente delle persone che vi abitano dentro. Il bosco ed i prati continuano nei muri e oltre le pareti. Trovo un melo solitario in mezzo a un campo, a ridosso di un piccolo laghetto da cui sporgono canne. Ecco del cibo perfettamente umano, non ho bisogno di cuocere, cucinare o preparare. Stacco e mangio, buonissime mele rosse. E non sto facendo del torto a nessuno perché la maggior parte della frutta giace a terra semi-marcia. Anzi, faccio un favore all’albero gettando il torsolo lontano, offrendogli la possibilità di propagarsi.
Incontro un cucciolo di gatto grigio-chiaro-tigrato, lungamente ci facciamo le coccole finchè io mi siedo sulla strada e lui si adagia tranquillo sulle mie gambe. Assaporo il tramonto e il vibrare delle fusa.
E la strada sterrata s’inoltra nei campi, mi trovo sulla cresta di una collina che avevo mille volte costeggiato in auto o in bici. Ora intorno a me ci sono solo alberi, campi, uccellini. Il cielo sopra la testa si fa più vasto. Vedo chiaramente le prime montagne avvicinarsi. Ecco il secondo paese e di nuovo, a ritroso, la solita sequenza: cascine, strada asfaltata, villette. Domando la strada più conveniente ad un signore in bici ed una signora a piedi che stanno chiacchierando tranquillamente ai bordi della strada poco frequentata. A me rispondono in italiano mentre fra loro, per mettersi d’accordo sul tragitto, comunicano in piemontese. E io mi rendo conto di come sia più immediato il dialetto, più semplice, più vicino alla realtà delle cose, più vivo, organico, mobile. Meno ingessato dell’italiano. Scopro che il dialetto sta alla lingua italiana come le cascine alle villette. Penso ai grandi poeti italiani, che mi hanno ispirato così tanto. E penso ai grandi poeti dialettali, pure novecenteschi, che non ho letto. E a cosa mi sono perso.  Ritorno in piena campagna, ogni tanto mi devo fermare per ammirare un albero particolarmente grande. Mi si rimescola il sangue nella pancia, il mio cuore si riempie di gratitudine. Dev’essere perché sono poco abituato alla bellezza dei grandi alberi.
La chioma e i rami ti danno un’impressione di ordine, armonia, eleganza, e allo stesso tempo di ricchezza, varietà e complessità. Caos e ordine convivono perfettamente. Gli alberi e i paesaggi della natura sono inesauribili come i più grandi dipinti della tradizione pittorica. Bisognerebbe fermarsi a guardare gli alberi come ci si ferma davanti a un Picasso (o Giotto, Leonardo, Caravaggio, metteteci chi volete). E lo stesso vale per prati, farfalle, ruscelli, cieli, uccelli, montagne. I contorni delle montagne all’orizzonte! Le venature delle rocce, lo zampillare dell’acqua. Per non parlare dei suoni, odori, sensazioni tattili, gusto… E tutto questo mentre sto tornando semplicemente a casa, a due passi da asfalto e tralicci.

Vorrei anche scrivere dei boschi visti da lontano, dove ogni albero s’integra perfettamente con gli altri e tutti insieme sembrano una famiglia affiatata, con tanti membri di altezza, forma e colori differenti.
Come ci farebbe bene a noi umani imparare dai boschi… Ecco. In questo crescendo di sensazioni sono arrivato a casa, non prima di avere incontrato un gregge di mucche dirette al macello e due uomini a cavallo.
Sono arrivato piacevolmente stanco ed appagato. Certo, fare questo tragitto a piedi ogni volta che mi devo recare o tornare da Torino sarebbe molto complicato. Soprattutto quando dispongo dell’alternativa di automobile e bicicletta.
Ora però si tratta di una nuova possibilità fra le mie corde, che sicuramente continuerò a sperimentare, perché mi rende felice. E sicuramente cercherò di trasformare e organizzare la mia vita in modo che gli spostamenti a piedi, anche lunghi, siano sempre più comuni ed agevoli. Mi sono dilungato, ma lo sentivo necessario.
Un abbraccio,

Matteo

Fonte: ecodallecitta.it

Dimezzare i consumi di carne e latte per salvare il pianeta

Poichè mangiamo molte più proteine del necessario, sarebbe anche una buona scelta per la salute. Le sole emissioni di N2O della carne bovina sono pari a 25 volte quelle del grano, per cui si tratta di un impatto davvero pesante.

Il clima del pianeta sa cambiando non solo per le emissioni industriali, ma anche per le nostre abitudini alimentari. Secondo uno studio sostenuto dalla Commissione Europea, diventare demitariani, cioè dimezzare il consumo di carne e latticini (1)ridurrebbe del 40% le emissioni di N2O, un gas serra 300 volte più dannoso della CO2, oltre a giovare notevolmente alla nostra salute. I motivi? Sono semplici.

1. L’assunzione di proteine nell’Unione Europea è del 70% più alta rispetto ai valori raccomandati dall’OMS, quindi una buona parte delle proteine che mangiamo è superflua e dannosa.

2. L’inquinamento da azoto per kg di cibo consumato è 25 volte più alto per la carne di manzo che per il grano; per maiale, pollame, uova e latticini è da 3,5 a 8 volte più alto.

3. La terra non più usata per coltivare mangime potrebbe essere riforestata o riallocata per produzione locale di grano, mais, riso e legumi.

4. Le corrispondenti emissioni di N2O calerebbero tra il 25% (riallocazione) e il 40%(riforestazione). Le emissioni legate all’importazione della soia calerebbero del 75%.

Diventare demitariani è soprattutto una sfida culturale per chi consuma; dal punto di vista dei produttori, significherebbe puntare sulla qualità piuttosto che sulla quantità, ovvero, detto in forte sintesi, dimezzare la produzione raddoppiando i prezzi. Se volete conoscere la vostra impronta di azoto, potete provare a calcolarla qui.N-footprint

(1) La media italiana di consumo apparente (che include quindi anche lo spreco) è pari a 1,7 kg di carne  e 4,8 kg di latticini a settimana, ovvero rispettivamente circa 250 e 700 grammi al giorno.  Dimezzare i consumi non è probabilmente sufficiente per vivere in modo sostenibile, ma è comunque un buon modo per incominciare.

Fonte: ecoblog.it

Presente e futuro, l’ambiente è la chiave: 15 anni di esperienze con Paea

L’associazione Paea, Progetti Alternativi per l’Energia e l’Ambiente, compie 15 anni, spesi a costruire e condividere un patrimonio di “sapere diffuso” sulle energie rinnovabili, la bioedilizia, la didattica ambientale. «Il nostro obiettivo, ambizioso ma realistico, è quello di arrivare a cambiare la società anche attraverso un approccio diverso al lavoro e, secondo noi, vi si arriva attraverso un’adeguata e sostenibile politica ambientale» spiega il presidente di Paea, Paolo Ermani. Che, insieme ad Alessandro Ronca del Parco dell’Energia Rinnovabile, ci racconta quest’avventura.energia_rinnovabile_fonti

Quali servizi e progetti propone Paea? Quale la proposta di cambiamento ed evoluzione che sostiene negli ambiti in cui si impegna?

«L’associazione Paea ha come obiettivo il cambiamento complessivo della società e cerca di raggiungerlo anche attraverso un approccio diverso al lavoro. Le sue aree di intervento sono soprattutto quelle del settore ambientale perché sappiamo bene che sarà uno dei settori in cui ci si dovrà rivolgere maggiormente in futuro se non vogliamo che l’umanità si autodistrugga continuando in questa folle corsa supportata dalla impossibile crescita infinita in un mondo dalle risorse finite. Ci occupiamo quindi di energie rinnovabili,consulenze energeticheprogettazione in bioedilizia,didattica ambientale, mostre itineranti, corsi di formazione. Tutto ciò per noi però non è un hobby ma l’attività principale della nostra vita. In questo modo si può dare dignità al lavoro e trasformarlo in qualcosa di utile e bello per se stessi e il mondo circostante. Limitarsi a fare volontariato ambientale, per quanto lodevole, non produce cambiamenti particolarmente incisivi e duraturi, a maggior ragione se poi si fa un lavoro che è in contrasto con quello che è il  proprio volontariato così come purtroppo accade spesso».

Quanto è cresciuta Paea in questi anni?

«Dall’inizio della nostra storia dal 1999 ad oggi di strada ne abbiamo percorsa tanta, piena di innumerevoli attività perché forse in controtendenza con quello che normalmente accade; noi sposiamo in pieno il motto di Simone Perotti del “Fare e testimoniare”. Abbiamo fatto tanto e continuiamo a fare, cercando di testimoniare attraverso le cose che facciamo che un cambiamento è possibile. Limitarsi a parlare o aspettare, non si sa bene cosa e chi, non sposta di molto la situazione, anzi aumenta la frustrazione e l’arrabbiatura contro chi si vuole responsabile di ogni nefandezza. Basterebbe rimboccarsi le maniche, costruire alternative assieme agli altri per dare molto più senso alla nostra vita e permetterci di vedere con più speranza alla situazione, oltre che a sentirsi meno soli e impotenti. Troppe volte ci piace lamentarci, additare vari capri espiatori ma tutto ciò non serve granchè, si può utilizzare questa energia assai meglio. Paea ha costruito nel tempo una fitta rete di contatti e collaborazioni che le permette di agire a livello nazionale. Abbiamo però capito e imparato con il tempo che creare strutture complicate, sovrastrutture, capi, leader, direzioni nazionali e simili, è il modo migliore per fare fallire qualsiasi progetto e entrare sistematicamente in guerra al proprio interno e con il mondo, come accade normalmente nei partiti dove è presente una continua lotta per il potere. Questo accade soprattutto in un paese litigioso come l’Italia, pieno di capetti dove ognuno è più che altro interessato ad aumentare il suo manipolo di accoliti e cerca solo ed esclusivamente visibilità perchè primeggi la sua verità assoluta. Noi riteniamo che si debba fare esattamente il contrario, facendo rete su progetti concreti, non sulle chiacchiere, i documenti o i dogmi di questo e quello. E’ sintomatico vedere come troppo facilmente si assumono gli stessi comportamenti del sistema che si dice di voler cambiare replicando il leaderismo la prevaricazione e la competizione laddove tutto ciò non ha alcun senso ed è controproducente. Riteniamo invece che collaborare e costruire sia un modo ottimale per migliorare la situazione sia da un punto di vista personale che complessivo. Non è un caso che stiamo collaborando fortemente anche con altre strutture come ad esempio il Parco Energie Rinnovabili che pur essendo progetto indipendente dal nostro ne condividiamo valori e obiettivi. Nascono molte più sinergie e crescita personale da una progettualità condivisa piuttosto che non da conflittualità o beghe, specialmente fra maschi alfa rimasti ancora alla adolescenza e che devono continuamente marcare il territorio».

Vi siete dunque per così dire “scollocati” e con soddisfazione?

«Sì, tanto che oltre alle nostre attività tradizionali per le quali stiamo seguendo alcuni progetti in bioedilizia anche di grandi dimensioni, attualmente stiamo proponendo anche l’ufficio di Scollocamento. Forti della nostra esperienza di “scollocati” e avendo visto e vissuto molti progetti di cambiamento e conosciuto innumerevoli persone che si sono scollocate, abbiamo pensato di proporre il servizio dell’ufficio di Scollocamento come alternativa reale per chi vuole uscire dalla ruota del criceto e prendere in mano il proprio destino non solo dal punto di vista lavorativo ma anche da quello esistenziale. La risposta delle persone ci ha sorpreso positivamente perché gli incontri che stiamo facendo sullo scollocamento stanno avendo un successo che va oltre le nostre aspettative. Questa è una conferma del fatto che le persone vogliono costruirsi nel concreto una alternativa e cercano luoghi dove ciò avviene».

Da qualche tempo state portando avanti una proficua collaborazione con il Per, il Parco dell’Energia Rinnovabile in Umbria. Un “matrimonio” riuscito, dunque?

«La collaborazione con il PER ha come obiettivo di realizzare il progetto della rinascita della comunità nelle sue varie componenti, dalla scuola all’autosufficienza alimentare ed energetica, dal lavoro ai rapporti sociali, il tutto declinato in un luogo fisico come quello in cui è inserito il PER e che si presta in maniera ottimale a realizzare queste progettualità.  Non  è un caso che gli incontri sullo Scollocamento si svolgano al PER dove le persone possono toccare con mano e rendersi conto che il cambiamento non è né irraggiungibile, né appannaggio esclusivo di pochi eletti bensì alla portata di tutti, basta volerlo e impegnarcisi veramente».

Responsabile del PER è Alessanro Ronca. Alessandro, anche tu definisci quello con Paea un “matrimonio perfetto”?

«Paea è diventata per noi del PER un pò come il partner di coppia ideale, con il quale avere complicità, arricchimento costante, rispetto reciproco ma anche ironia e gioia di lavorare insieme. Condividere gli stessi obbiettivi  e raggiungerli  con percorsi differenti ma complementari. Confrontarsi senza scontrarsi e difendersi senza aggredire. La nostra è una  diversità attraente non respingente , come abbiamo capito in tutti quegli anni nei quali lottavamo nella burrasca  per mantenere la rotta da soli, senza vedere che c’erano persone pronte a lanciarci una cima, bastava chiederglielo. Raramente ci si accorge di  vivere in una società di massa e ancor meno che questa abbia generato  sostanzialmente una solitudine di massa, per parafrasare  Franco Del Moro. Il vero piacere è trovare negli altri arricchimento e ispirazione e a facilitare questo pensiero, la collaborazione con Paea ha avuto un ruolo determinante. I nostri progetti oggi viaggiano paralleli e la nostra speriamo diventi , per citare un altro visionario, una vera moltitudine inarrestabile.  La grande affluenza ai  nostri incontri sul cambiare vita ci ha dato la conferma di quale impellente necessità esista di un cambio di paradigma e quale contributo si riesca a dare alle persone che pur percependo questa necessità,  richiedono suggerimenti e strumenti concreti per scendere dalla ruota del criceto della società consumistica».

Quello che proponete è un sostanziale cambio di paradigma?

«Ci piace essere sognatori concreti ma ritengo che sia sempre più evidente  che gran parte della società consumistica esiste e prospera soltanto grazie all’insoddisfazione esistenziale delle persone che, seppur profondamente radicata, può concretamente essere combattuta.  Strumenti complementari a questo cambiamento  contemplano nuovi sistemi di apprendimento scolastico che possano generare individui che sappiano meglio sfruttare il potenziale umano che è in loro.  Questa è una  tematica a noi molto cara, che riteniamo possa essere sviluppata  nel prossimo futuro sinergicamente con Paea, prendendo spunto da esperienze concrete come Steiner, Montessori, Krishnamurti, Tolstoj, Doman, Khan Accademy, ma  anche da esperienze antiche come  l’Accademia  di Platone ed inconsuete (oggigiorno! ) come lo sfruttamento del sapere degli anziani. L’ibridazione di cose vicine e lontane , pratiche e teoriche che sollecitino un ritorno alla “polimatia” ( dal greco sapere molte cose) sono in netta contrapposizione alla cultura attuale, iperspecialistica e monotematica che ci sta portando, oltre che alla frammentazione lavorativa, ad una cultura triste  e senza visione “orizzontale”, dove l’esperto del pollice sinistro non colloquia con l’esperto del pollice destro e questo è poco tollerabile. Sembrerà retorica, ma se l’Italia ha  tutte le potenzialità per essere veramente la culla della rinascita culturale e sociale della nostra epoca, di che cosa c’è ancora bisogno perché i suoi abitanti se ne facciano una ragione?  E’ possibile che questa crisi sociale ci faccia accorgere, come è accaduto tra noi e Paea,  che la diversità geografica e delle genti  può essere il vero motore di un nuovo Rinascimento della ragionevolezza e del benessere e noi non ci faremo trovare impreparati».

Fonte: il cambiamento.it

 

Sheerwind, ecco cosa è in grado di fare l’eolico se gli si aggiunge un imbuto

L’idea è incanalare il vento, aumentandone la velocità, in modo da poter usare turbine più piccole. Un sistema di minore costo e impatto visivo, che può sfruttare siti meno ventosi e non rappresenta un rischio per gli uccelli migratori

Non è detto che le pale eoliche debbano essere sempre più alte e più grandi; potrebbero anche essere un po’ più piccole se l’aria si potesse muovere abbastanza in fretta (1). Come è possibile accelerare il vento? Lo si può fare se lo si incanala in un imbuto, sfruttando il classico effetto Venturi: minore la sezione di una condotta, più rapido il flusso dell’aria per cercare di conservare la portata (2). Potemmo quindi definirlo un “eolico a concentrazione“. Come si può vedere dal prototipo di Invelox nella foto qui sotto, vento a bassa  velocità (anche meno di 1 m/s) viene incanalato negli imbuti dove acquista velocità, in modo da fare girare la turbina collocata nel punto indicato con “4″. La turbina collocata al chiuso necessita di minori manutenzioni e non rappresenta un rischio per gli uccelli migratori. Prima di raggiungere la pala, è possibile dare all’aria un profilo di velocità “a ciambella”, in modo da concentrare il flusso sulle pale senza colpire inutilmente il perno. Sheerwind, l’azienda che vorrebbe applicare questo sistema su vasta scala, sostiene che i maggiori vantaggi sono dati dalla possibilità di installare un parco eolico anche dove la velocità del vento è bassa con costi più bassi (43% in meno di capitale e 50% in meno di spese correnti) e minore occupazione del suolo (fino al 90%). Qui si possono trovare altri dettagli, anche relativi ai generatori omnidirezionali, in grado di raccogliere il vento da qualunque direzione. E’ interessante il confronto tra Invelox e una pala eolica tradizionale: a parità di potenza (1,8 MW), Invelox utilizza una struttura alta 28 m e non 80, una pala di 8 m di diametro invece che 85 menter il vento di cut-in è di soli 0,9 m/s in luogo di 3,8. E’ difficile prevedere se una simile tecnologia potrà avere fortuna, ma intanto ha dimostrato quanto sia vitale il mondo delle energie rinnovabili dal punto di vista della ricerca e sviluppo. Basta crederci e investire risorse, invece di sprecarle altrove.Invelox-620x489

(1) Dopotutto, la potenza della turbina è proporzionale al quadrato del diametro dell’eolica, ma al cubo della velocità del vento.
(2) Per un fluido incomprimibile, A1v1=A2v2, cioè la velocità del fluido è inversamente proporzionale all’area della sezione del condotto. Ciò vale approssimativamente anche per l’aria se le velocità non sono troppo elevate.

Fonte: ecoblog.it

Smog, arriva la prima causa di un cittadino contro il Governo Cinese

In Cina la protesta contro lo smog comincia a uscire dalla rete: dopo le statue imbavagliate e la maratona in mutande e maschera antigas, nello stesso mese arriva il primo caso di azione legale intrapresa da un privato cittadino contro il Governo, accusato di non aver fatto abbastanza contro l’incredibile smog378300

Pechino lo smog sfora pesantemente, e ormai incessantemente, da anni, con conseguenze catastrofiche per la salute dei cittadini. Se dal punto di vista delle polveri di miglioramenti purtroppo non ce ne sono affatto, perlomeno dal punto di vista comunicativo, l’aria sta cambiando. Se fino a pochi anni fa le autorità governative cercavano ancora di occultare la gravità della situazione, lo scandalo del gap tra i dati diffusi dal Ministero dell’Ambiente Cinese e quelli dell’ambasciata statunitense a Pechino ha costretto il Governo a invertire la rotta. Qualche mese fa l’Associazione medica cinese ha ammesso che l’inquinamento dell’aria causa ogni anno almeno mezzo milione di morti premature nel Paese; si discutono soluzioni per le principali fonti dello smog, l’incredibile traffico e le centrali a carbone; si vieta l’accensione di fuochi e si studiano nuove tecnologie per disperdere le concentrazioni in atmosfera, come le piogge artificiali. Ma soprattutto, l’opinione pubblica ha cominciato a farsi sentire: la denuncia sembra finalmente essere uscita dai blog per trasformasi in flash mob e azioni di protesta concrete. Prima le statue degli intellettuali di Pechino sono state imbavagliate con mascherine antismog giganti e poi è stata organizzata una Undie Run, una maratona in mutande e maschere antigas. Ma soprattutto, per la prima volta un cittadino cinese, Li Guixin, che vive nella città di Shijiazhuang, ha deciso di fare causa al Governo Cinese a causa dell’inquinamento dell’aria: secondo l’agenzia Reuters non è ancora chiaro quante possibilità abbia la sua azione legale di essere accolta, soprattutto vista la delicatezza del caso. Anche perché, accolta una, accolte tutte: e attualmente la Cina conta 1.350.695.000 persone…

Fonte: ecodallecittà

Clima bene comune

Abbiamo intervistato Luca Mercalli, presidente della Società Meteorologica Italiana, che ha scritto recentemente, insieme all’economista Alessandra Goria, un libro sul problema dei cambiamenti climatici in atto e sulle possibili soluzioni che è possibile adottare a livello individuale e sociale per arginare il problema, e stabilizzarlo a un livello accettabile per la sopravvivenza prima di tutto dell’Umanità e poi del maggior numero di specie animali e vegetali del pianetaluca_mercalli_foto

Luca Mercalli insieme ad Alessandra Goria ha scritto recentemente un nuovo libro sul cambiamento climatico e le sue problematiche (Clima bene comune, Bruno Mondadori, 2013). Mercalli è un climatologo e affronta la questione sollevando il velo delle errate informazioni sul tema e proponendo soluzioni individuali, sociali e istituzionali per fermare la pericolosa mutazione dei climi. Gli scenari e gli impatti attuali e futuri descritti nel suo testo, tutti documentati secondo le più recenti acquisizioni della ricerca scientifica internazionale, sono impressionanti e lo sono tanto più alla luce dei costi che imporranno alle nostre società opulente e all’umanità intera, sia dal punto di vista economico che sociale e umano. Tuttavia è ancora possibile agire per tentare di arginare il problema se ci si orienta verso un altro modo di vivere, sia a livello individuale che sociale. Abbiamo chiesto a Luca Mercalli il suo punto di vista, chiedendogli anche di aprirci spiragli sulle soluzioni possibili per un cambiamento di rotta.

V.P. – La questione del cambiamento climatico è sempre più impellente e lo vediamo (parlo delle persone ecologicamente sensibili) ormai con i nostri occhi (non sono più teorie) “grazie” agli eventi climatici drammatici cui ogni tanto anche le nostre regioni sono sottoposte. La domanda iniziale però è questa: qual è secondo te la percezione reale della gente comune? A tuo parere il cosiddetto uomo della strada crede nella possibilità di fare qualcosa per arginare questo pericoloso disordine del clima?

L.M. – Innanzitutto va detto che il problema del cambiamento climatico è di una complessità enorme. Non si possono ad esempio trarre conclusioni generali da fenomeni locali e siamo costretti a fare i conti con molte incertezze. Tanto più che spesso ci sono concause dovute ad altri fattori. Nell’ultimo grave episodio alluvionale in Sardegna, il 18 novembre 2013, una parte consistente del problema è stato generato da un cattivo uso del territorio, da abuso edilizio e da una scarsa conoscenza delle norme di protezione civile più sicuramente una certa percentuale dovuta a una nuova strutturazione climatica, che tuttavia non siamo in grado di quantificare. In ogni caso, molti altri sintomi generali di cambiamento in atto li abbiamo già. L’aumento della temperatura del globo è infatti un fatto ormai inequivocabile, così come è accertato che ciò sia di origine umana. Il recente quinto Rapporto dell’ONU-IPCC sul clima effettua una diagnosi della tendenza termica all’aumento che non lascia dubbi in questo senso. E ci sono accadimenti importantissimi come la fusione dei ghiacciai e della banchisa polare che sono drammatici.

V.P. – Come mai, nonostante appunto concreti esempi di stravolgimenti stagionali ed eccessi di manifestazioni atmosferiche in molti luoghi del pianeta, i capi di stato e le istituzioni internazionali che dovrebbero essere i soggetti maggiormente coinvolti e artefici di piani difesa e di riconversione delle abitudini umane che concorrono al riscaldamento terrestre, si ostinano a negare, ignorare o a ridimensionare tali cambiamenti in atto? Alcuni sostengono che questi cambiamenti ci sono sempre stati, altri che non è colpa dell’uomo se ora si stanno verificando e altri ancora, seppure li ammettono e capiscono, di fatto non danno luogo ad azioni collettive concrete.

L.M. – Ci sono due grandi ostacoli che congelano qualsiasi percorso di cambio di direzione societario rispetto al problema del clima. Il primo è quello economico. C’è una lobby molto forte che preme a tutti i livelli per impedire che non ci siano penalizzazioni sul fronte del consumo energetico e della crescita economica. Il mercato del carbone e del petrolio è uno dei mercati più grandi al mondo con una potenza di fuoco e capacità di corruzione politica impareggiabile. Lo stesso Obama, un capo di stato di un paese di importanza fondamentale a livello mondiale, e che ha consapevolezza del problema, ha dimostrato di non avere possibilità di manovra perché la lobby dei petrolieri staunitensi è potentissima. Ma anche altri grandi paesi in via di sviluppo come l’India o la Cina non hanno alcun interesse a fermare la loro corsa, rimpallando semmai la questione agli stati occidentali che sono partiti prima e che hanno maggiori responsabilità nella faccenda. Il secondo ostacolo è invece di tipo culturale: l’uomo non è attento alle problematiche che si manifestano nel lungo termine. Se lo fosse, dovrebbe scommettere sulla credibilità della scienza e sul futuro, e in generale a nessuno interessa farlo. La metafora del fumo di tabacco e dei suoi effetti nocivi risaputi è assolutamente calzante. Anche in quel caso, nessuno o quasi si preoccupa del fatto che dopo vent’anni di fumo potrebbe sviluppare con grandissime probabilità un tumore al polmone e quindi tutti continuano a fumare, rischiando per un piccolo piacere sicuro oggi una grave ma incerta conseguenza domani. Allo stesso tempo, le lobby produttrici di tabacco fanno il loro lavoro per continuare a produrre e vendere in santa pace il loro prodotto. La stessa cosa avviene nel caso dei cambiamenti climatici e dell’uso irresponsabile delle energie fossili e quant’altro.

V.P. – Se non ci saranno azioni individuali e collettive per modificare questo andamento, cosa ci potremo aspettare e in che tempi?

L.M. – Sicuramente si tratta di un cambiamento epocale per la storia umana. Dalla metà di questo secolo in poi l’evoluzione climatica e ambientale entrerà in un territorio inesplorato dove tutto potrà capitare e si vedranno cose mai viste. Un adattamento di tutte le specie a quello che avverrà è impossibile. Batteri e insetti certamente si adatteranno meglio, ma per le altre specie ci saranno difficoltà notevoli. Ci vorrebbe un formidabile salto culturale di visione del futuro per arrivare a comprendere che stiamo scherzando col fuoco.

V.P. – Su questo giornale parliamo spesso del ruolo delle scelte individuali per un mondo migliore, ovviamente anche sul piano del riscaldamento del pianeta. Ma dal punto di vista istituzionale e sociale collettivo cosa pensi sia possibile fare? In generale hai delle proposte?

L.M. – Prima di tutto occorre prendere coscienza che una parte di cambiamento climatico ormai è in atto e non si può più invertire. Un aumento di un paio di gradi della temperatura media dell’atmosfera terrestre entro questo secolo è quindi irreversibile, con i suoi scompensi e mutamenti che stiamo vedendo e che vedremo ancor più nei prossimi anni. Tuttavia non fare più nulla per mitigare la situazione e continuare a spingere le emissioni climalteranti senza limite significa anche che potremmo andare verso un cambiamento equivalente a 5 gradi di aumento che sono moltissimi. Cinque gradi a livello globale significa che in certe aree si può arrivare a punte di 10 gradi di differenza rispetto al presente. Con conseguenze sull’agricoltura, sull’innalzamento del livello dei mari e quindi sulle migrazioni dei popoli di portata eccezionale. Un fronte su cui agire è sicuramente un’evoluzione tecnologica che ci porti a sganciarci dalle energie fossili e a puntare verso quelle rinnovabili per contenerci entro i 2-3 gradi, i quali, ripeto, sono purtroppo ormai assodati come futura situazione che dovremo vivere. Al momento, quindi, abbiamo questo spazio di manovra per non oltrepassare questo limite, che ha già i suoi notevoli problemi per l’equilibrio del pianeta, ma più si aspetta e più questo spazio si riduce. Proprio per questo ho pensato di scrivere questo libro a quattro mani insieme a una economista come Alessandra Goria. Occorre dare un messaggio forte che esistono linee di coesistenza con l’ambiente e socialità umane diverse anche dal punto di vista economico e che l’economia predatoria che oggi regge il pianeta, può cambiare. Anzi, sebbene non emerga, esiste già un’economia diversa, che potrebbe far fronte a queste problematiche e svelarci un percorso verso rapporti societari ed ecologici più equilibrati, più rispettosi del necessario e meno inclini al superfluo, più sobri nei consumi e più attenti verso il riciclo degli scarti. Queste sono le prospettive che illustriamo nel libro e che speriamo stimolino l’azione concreta di quante più persone e istituzioni possibili.

Fonte: il cambiamento

Clima Bene Comune - Libro
€ 16

L’uomo e l’ambiente: 500mila anni di follia in 3 minuti e mezzo

Il genio di Steve Cutts per raccontare la (d)istruttiva storia di quello che l’uomo ha chiesto e continua a chiedere alla natura. Un corto d’animazione che diventa operetta morale

Steve Cutts è un eclettico blogger ed artista londinese che spazia dalla pittura alla scultura, dall’illustrazione all’animazione. Quello che Ecoblog vi propone quest’oggi è un video dalla forte tematica ecologista, intitolato Man. Pubblicato il 21 dicembre 2012 su Youtube, questo video è diventato un vero e proprio caso ottenendo oltre 5.211.000 visualizzazioni sulla principale piattaforma video al mondo e più di un milione di play su Vimeo. Il tema centrale di questo splendido corto è l’ambiente. L’uomo arriva sulla Terra e la prima cosa che impara è la violenza verso gli altri esseri viventi. Dall’atto gratuito si passa all’utilitarismo. L’uomo utilizza la pelle dei serpenti per fare degli stivali e le pellicce per coprirsi dai rigori del freddo, poi inizia a uccidere gli animali per i motivi più futili: per divertimento, per oggetti di lusso. Lo stupro nei confronti della natura continua con foreste di alberi che vengono trasformate in altissime colonne di fogli di carta. In un progresso autodistruttivo scandito dal Peer Gynt di Edvard Grieg, l’uomo, inconsapevole dei danni che procura alla Terra, continua incessante la sua marcia cementificando tutto il cementificabile. Lasciamo agli utenti di Ecoblog la sorpresa del beffardo epilogo, consapevoli del fatto di come un video di questo genere sia più potente, dal punto di vista della comunicazione, di qualsiasi campagna o pubblicità progresso di stampo tradizionale. L’animazione è un’arte giovane e vitale che trova nella forma del corto la sua espressione più efficace. In poco più di tre minuti e mezzo, Cutts ci mette di fronte all’assurdità dei nostri comportamenti. E il male più grande non sembra tanto essere l’errore quanto la perseveranza nello sbagliare. Una perseveranza che rischia di fare dell’uomo, il folle re di un regno inutile.

Fonte:  Youtube

Ilva e salute, a Taranto 9mila malati di cancro

Sono 8.916 i tarantini che hanno l’esenzione dal ticket per malattie tumorali. È quanto riferisce l’associazione ambientalista PeaceLink. Nel distretto sanitario 3, che comprende i quartieri più vicini all’Ilva, secondo l’associazione l’incidenza dei malati di tumore si attesta su un cittadino ogni 18.2taranto__ilva

Sono 8.916 i tarantini che hanno l’esenzione dal ticket per malattie tumorali

Torniamo a parlare di Ilva. L’associazione ambientalista PeaceLink ha infatti diramato un dato molto importante (diffuso già dalla Asl) sui cittadini di Taranto: sono 8.916 i tarantini che hanno l’esenzione dal ticket per malattie tumorali. Nel distretto sanitario 3, che comprende i quartieri più vicini all’Ilva (Tamburi, Paolo VI, Città vecchia e parte del Borgo), secondo PeaceLink l’incidenza dei malati di tumore si attesta su un cittadino ogni 18. Alessandro Marescotti, presidente dell’associazione, precisa in una nota: “sono 4.328 malati su 78mila abitanti. Questo significa che se venti persone si riuniscono in una stanza nel quartiere Tamburi almeno una ha un tumore”. Nel resto della città, c’è “un malato di cancro ogni 26. Infatti nel distretto sanitario 4 che comprende il resto della città, vi sono 4.588 malati di tumore su 120mila abitanti. Questa è la situazione attuale”.  “In questo dato”, aggiunge Marescotti, “non si possono calcolare tutti coloro che potrebbero avere un tumore latente o non diagnosticato. Il sindaco di Taranto, che è un medico avrebbe potuto compiere questa ricerca. Perché non lo ha fatto?”. Peacelink si rivolge infine, con un appello, all’Ordine dei medici: “perché venga compiuto un opportuno approfondimento su questi dati in modo da individuare le categorie di persone più esposte. È venuto il momento di avere dati istantanei su tutte le malattie gravi, le diagnosi e i ricoveri. Disporre di un dato istantaneo e conoscerne la sua evoluzione temporale è un primo passo per compiere ulteriori indagini più affinate da un punto di vista epidemiologico”. Intervistato su questo dal Corriere.it, Carlo La Vecchia responsabile del dipartimento di epidemiologia dell’Istituto Mario Negri e docente dell’Università degli Studi di Milano, ha affermato: “Dipende tutto da come viene effettuato il calcolo. Che in Italia una persona su 20 abbia, o abbia avuto un tumore, mi sembra un dato abbastanza ragionevole. I tumori nuovi in Italia sono nell’ordine di 350-400 mila ogni anno, e la sopravvivenza ormai è superiore al 50%. La prima variabile di cui tener conto è quella dell’età, dove la popolazione è più anziana, come per esempio in Liguria, si ha un tasso di prevalenza maggiore”. “Quella di Taranto”, continua La Vecchia, “è una prevalenza (dato relativo a chi ha o ha avuto un tumore, ndr.) intorno al 25%, e probabilmente è analoga anche altrove: in Italia sarebbe intorno ai 3 milioni di persone. Il problema dell’Ilva resta comunque quello che i tumori attuali non possono essere attribuiti alle esposizioni attuali. Sia che siano associati alle esposizioni ambientali sia che non lo siano, quei valori vanno riferiti al passato. Sempre con due cautele da far presente: l’età e l’eventuale indice di deprivazione”.

Fonte: il cambiamento