Disuguaglianze: chi rende i ricchi sempre più ricchi?

A livello mondiale l’1% di persone detiene una ricchezza pari a quella del restante 99%: la questione delle disuguaglianze è un tema assai dibattuto, ma ci si dovrebbe chiedere chi contribuisce a fare diventare i ricchi sempre più ricchi.Occupy Wall Street Protestors March Down New York's Fifth Avenue

Se ad esempio mangio da Mc Donald’s, bevo Coca Cola, acquisto prodotti della Nestlè, investo in azioni speculative, metto i miei soldi in banche ben poco etiche, non potrò poi sorprendermi che immense ricchezze siano in pochissime mani che sempre più si arricchiscono e sempre più impoveriscono gli altri; non potrò sorprendermi dell’effetto serra, della desertificazione dei suoli, dell’inquinamento massiccio, dello sfruttamento di schiavi in tutto il mondo, perché io contribuisco indirettamente a tutto questo. Nel mondo vetrina in cui l’unica cosa che conta sono i soldi, chi è già ricco, grazie alla finanza, al controllo dei mass media, attraverso la politica connivente e alla pubblicità, avrà sempre più possibilità di arricchirsi. Nella legge del mercato chi è grande vuole diventare più grande per mangiarsi gli altri. E’ esattamente il nostro sistema di competizione, dove la distruzione della concorrenza è obiettivo prioritario e dove plotoni di coach, counselor, esperti e consiglieri vari, forniti di lauree e lunghi pedigree, attraverso grandi sorrisi e metodologie spesso made in USA, suggeriscono alle ditte e ai manager in ogni modo possibile, comprese le varie trovate mistiche, meditative e new age, su come prevalere sui concorrenti e vendere alla gente qualsiasi prodotto. E alla fine della catena chi c’è? Ci sono il consumatore e l’investitore che con le loro scelte consentono a chi è già ricchissimo di diventarlo ancora di più. Un sistema che non mette nessun freno alla crescita dei patrimoni, che benedice il denaro, che santifica chi è capace di arricchirsi velocemente e lo tratta come un genio o un divo, è chiaro che si sta facendo del male da solo. Poiché ci si dimentica che chi fa tanti soldi, veloce e in fretta, di solito non si comporta in maniera filantropica o con attenzione all’ambiente e se sporadicamente lo fa è solo per ragioni di immagine, non certo perché ha a cuore gli altri o il mondo, altrimenti molto probabilmente si sarebbe posto ben altri obiettivi che non esclusivamente arricchirsi. Da un punto di vista culturale sarebbe poi assai educativo smettere di pensare che chi è ricco e ha successo attraverso i soldi, sia una persona da imitare, da prendere ad esempio. Spesso chi fa tanti soldi non ha altra motivazione e scopo, come fosse una droga, una malattia e ne ha così tanti che non sa più nemmeno come spenderli.

Quindi, chi fa diventare i ricchi sempre più ricchi, almeno nei paesi occidentali e nei cosiddetti paesi emergenti che ci seguono nella strada del consumismo folle, è proprio gran parte della popolazione che si lamenta che i ricchi sono sempre più ricchi. Per farli diventare meno ricchi e diminuire le disuguaglianze, basterebbe comprare il meno possibile i loro prodotti e investire il meno possibile nelle loro azioni. In fondo non è difficile, ormai in rete si trovano notizie di qualsiasi patrimonio, ditta, banca e multinazionale per rendersi conto a chi si stanno dando i propri soldi. Se ciò non bastasse, ormai da anni è disponibile la guida al consumo critico  che facendo un lavoro egregio dà dettagliate informazioni su multinazionali e affini.

In genere si pensa che la soluzione alle diseguaglianze sia redistribuire la ricchezza, il che sarebbe giusto per chi non ha nulla o quasi nulla; ma che senso ha dare più denaro a chi ne ha e li spreca costantemente? Uno dei motivi dei grandi disastri ambientali e sociali è proprio il consumismo. Avere a disposizione maggiori soldi spesso significa maggiori consumi  e di conseguenza ingrassare ancora di più l’1%. Se non si cambia profondamente il sistema di valori, più soldi si distribuiscono, a chi comunque ha già tutto e più si comprano merci superflue arricchendo gli stessi responsabili delle disuguaglianze. Invece che maggiori soldi si dovrebbero avere meno esigenze, soprattutto se indotte da un sistema pubblicitario martellante e costante che ci fa nascere bisogni  assolutamente non necessari ma altamente impattanti. Basta guardare le pubblicità in televisione, internet, giornali e riviste per rendersene conto: su 100 pubblicità ce ne potrà essere forse solo una di un prodotto che serve realmente. Tutto il resto è costituito da prodotti di cui potremmo benissimo fare a meno e, non comprandoli, ci basterebbero meno soldi per vivere e dovremmo lavorare meno. Non si capisce infatti come mai si dica che siamo in crisi e allo stesso tempo siamo sommersi di pubblicità di automobili, profumi e cosmetici, gioielli, orologi di marca, vestiti e moda in genere, accessori per cani e gatti (indispensabili in tempi di carestia) costantemente in crescita, giochi d’azzardo, cellulari sofisticatissimi e via di questo passo. Se avessimo più soldi li getteremmo ulteriormente in tutti questi e altri oggetti simili che servono solo ad arricchire chi è già ricco sfondato. E dando meno soldi a loro si riducono anche gli abusi, gli sfruttamenti degli schiavi che lavorano per i super ricchi e ci permettono di avere moltissimi prodotti a prezzi irrisori che riempiono le nostre case. Per fermare i giganti dell’1% che grazie anche alla nostra complicità, sfruttano, affamano e non hanno nessun rispetto per l’ambiente, bisogna togliere loro il nostro appoggio, comprare il meno possibile i loro prodotti, non investire nelle loro azioni e non supportare le banche che li tengono in vita.

Sembra un passo piccolo e insignificante ma invece è l’inizio di un cammino di liberazione.

Fonte: ilcambiamento.it

 

 

Siamo tutti figli della pubblicità

La pubblicità fa a tutti il lavaggio del cervello, fin da piccoli, nessuno riesce a sfuggire. Siamo bombardati, ci uniformiamo, cresciamo già condizionati. Ma è ora di dire basta e recuperare relazioni sincere; soprattutto bisogna ricostruire la società secondo valori diversi da quelli per cui vali se compri, se appari.

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La pubblicità sembrerebbe essere ormai qualcosa che fa parte di noi e forse non si considera abbastanza quanto la nostra formazione come persone sia influenzata dai suoi parametri, veicolati soprattutto dalla televisione e negli ultimi anni anche attraverso internet. Un bombardamento costante e continuo fin dalla primissima infanzia ha sulle persone un effetto profondo e duraturo. L’imprinting è così forte che poi le nostre scelte saranno per forza condizionate dal lavaggio del cervello a cui siamo sottoposti. Prodotti, musichette, slogan, immagini che entrano nella mente e rimangono imprigionati lì per tutta la vita. Si dicono frasi che si associano a pubblicità, si fanno acquisti in base a parametri emotivi e di ricordo dei prodotti che ci hanno fortemente influenzato nel tempo. Ultimamente poi il bombardamento è ancora più pressante, considerato che internet è strapieno di pubblicità che sbuca da ogni dove, continuamente, ossessivamente, senza tregua e sosta.

Chi siamo noi veramente depurati da tutta questa roba che si accumula nel cervello? Si è mai pensato, se non avessimo avuto alcuna influenza della pubblicità, cosa saremmo? Come saremmo?

L’influenza pervade ogni singola cellula, ogni interstizio celebrale è pieno di merci da comprare, di mode, di atteggiamenti, di “stili”, di elementi esterni a quello che noi siamo o potremmo essere se non subissimo questi condizionamenti. Il risultato principale di tutto ciò è l’omologazione di massa per cui anche i comportamenti più assurdi e le scelte più estreme sono normali e chi non le segue viene considerato anormale, strano, a volte pure integralista. Una persona che non ha la televisione e cerca di salvaguardarsi per non essere influenzato troppo da politici e pubblicità, è considerato uno fuori dal mondo, un radical chic, quando invece è vero esattamente il contrario; casomai ci vuole proprio entrare nel mondo, ma il suo, depurato il più possibile dai condizionamenti determinati dalla vendita di consenso e prodotti, i due elementi per i quali esiste la televisione. La pubblicità propone i modelli a cui dobbiamo adeguarci per essere accettati dalla società, i programmi televisivi non sono altro che contorni per gli spot pubblicitari e ripropongono gli stessi modelli pubblicitari. Attraverso la pubblicità si veicola il pensiero unico del consumo che fa sembrare un idiota chiunque non si adegui a questa legge non scritta. I modelli consumistici che vengono veicolati parlano di famiglie felici che mangiano frollini, di persone perfette, bellissime ragazze sempre più ammiccanti e sexy, uomini raffigurati come modelli e persone di successo, figli impeccabili, in una sorta di mistico mondo ariano dove il diverso, lo strano, è accettato solo se propedeutico al lancio di una nuova tendenza o un prodotto su cui fare soldi. Basti pensare alla moda che punta sullo stile personale, che ovviamente non sarà mai il nostro stile perché quegli stessi capi di abbigliamento, quegli orologi, profumi, borse, accessori, ecc., saranno comprati da migliaia di altre persone convinte di avere il proprio stile unico. Fanno poi decisamente ridere tutte le pubblicità che puntano sulla libertà e che ci spiegano come un profumo o una automobile nuova ci daranno quella libertà da sempre desiderata. Ovviamente la libertà di cui parlano è solo quella di scegliere fra la loro automobile rispetto a quella della ditta concorrente. Il bombardamento nei confronti dei bambini è ancora più grave perchè non hanno nemmeno le armi per difendersi; i genitori troppo spesso non controllano né limitano questo bombardamento, pensando che sia una specie di punizione a cui è necessario sottoporsi pur di acquietarli. Come fa un bambino a discernere esattamente fra la valanga di prodotti e input che gli arrivano addosso? I programmi per bambini o adolescenti, che sono anche loro di contorno e supporto degli spot pubblicitari, esaltano sempre dei non valori per i quali se non ti omologhi, se non ti vesti in un determinato modo sei uno sfigato, uno da emarginare. La distruzione dell’autostima del bambino, che magari ha difficoltà a seguire questi parametri, è sistematica.

Per la pubblicità abbiamo importanza se appariamo, se primeggiamo, se in qualche modo scavalchiamo gli altri in qualcosa e per fare questo dobbiamo appunto comprare. Chissà come saremmo senza questo condizionamento; probabilmente avremmo meno cose e soprattutto cose utili intorno a noi, non avremmo bisogno di lavorare così tanto perché ci basterebbe poco, i nostri figli crescerebbero con meno stress, incubi e pretese di oggetti. E siamo anche noi diventati oggetti che comprano oggetti e i sentimenti non possono che diventare anch’essi oggetti proposti al miglior offerente. Infatti è un proliferare di siti in cui le persone, in base a parametri simil pubblicitari, si incontrano, si usano e poi si gettano; e avanti un altro, esattamente come i prodotti usa e getta. Per sottrarsi da questa situazione bisogna iniziare a cambiare la propria vita. Bisogna ricostruire la società secondo valori diversi da quelli per cui vali se compri, se appari. Scuola, società, lavoro, ovunque devono essere proposti valori di aiuto, solidarietà, cooperazione, attenzione agli altri, all’ambiente, cura della propria crescita spirituale, considerazione di ogni ricchezza personale interiore a prescindere dai jeans nuovi o dal look. Le persone non sono oggetti da addobbare, le persone hanno sentimenti, capacità, sensibilità che non possono essere piallate ed omologate da chi non ha altro interesse che di venderci qualcosa e poi si finisce per stare assieme o considerare qualcuno per quello che non è ma per come appare. Tutto ciò non può che generare nelle relazioni conseguenti delusioni, drammi, litigi e odi. Spesso si fa fatica a capire perché i rapporti in genere sono così conflittuali quando non si è fatto altro che aderire a modelli che con il nostro io profondo non avevano nulla a che vedere. Ma per conoscere il proprio io profondo e quindi capire bene cosa si vuole e cosa si è, bisogna fare pulizia e spazio all’interno di noi. Per quanto il sistema della crescita economica si sforzi di farci diventare tutti automi dediti solo all’acquisto, le persone possono sentire e vivere ancora secondo la propria natura e non secondo moneta. Ricercando quell’io naturale depurato dalle merci inutili si può ritrovare se stessi e gli altri in una nuova concezione dell’esistenza.

 

Fonte: ilcambiamento.it

Auto lussuose che ammiccano nelle pubblicità, mentre lo smog ci uccide

Vetture lussuose, che ci dipingono viaggi e ci trasportano nelle verdi campagne d’Irlanda, motori che sono una musica, comfort come a casa. Ecco cosa ci “raccontano” le pubblicità delle auto…mentre noi soffochiamo per lo smog…

Marìca Spagnesi collabora anche con il progetto llht.org

“Il lusso è l’abitudine a consumi di elevata gamma qualitativa e di costo. È uno stile di vita e di comportamento che privilegia l’acquisto e il consumo di prodotti e oggetti, spesso superflui”. Così dice Wikipedia. Spudoratamente, invece, significa “senza pudore, in modo sfacciato, sfrontato”.trafficosmog

E guarda caso il lusso senza vergogna è quanto affermano come diritto le pubblicità di tantissime automobili. Insomma si tratta di auto i cui produttori non si vergognano di sbandierare il lusso. Perché dovrebbero? E perché dovremmo vergognarcene noi se la guidiamo? Abbiamo il sacrosanto diritto a un po’ di lusso quotidiano. Non importa se ci indebiteremo per i prossimi anni per comprarle, se magari non abbiamo un lavoro o l’abbiamo perso da poco. Oppure se ne abbiamo uno che non ci permetterebbe questi “lussi”. I messaggi (molti messaggi perché adesso molte pubblicità sono proposte a capitoli quasi come si trattasse di una serie tv a puntate) sembrano non tenere conto di questo. Anzi, più hai problemi e difficoltà, più sei triste e infelice, più hai diritto a consolarti e a coccolarti. Se hai bisogno di attenzione, amore e coccole, sei il cliente migliore. Se soffri di bassa autostima e vivi male il confronto con gli altri non ne parliamo. Siamo disposti ad ascoltare senza farci caso un’immensità di bugie. Lo sappiamo già, per carità, e non voglio certo dire che si tratti di una pubblicità ingannevole. Non, almeno, a un certo livello. Sono sicura che le caratteristiche tanto decantate dalle pubblicità ci sono tutte: leggerezza, spazio, aerodinamicità, connettività, comfort e tutto il resto ma il modo in cui vengono presentate fa pensare. Se tante case automobilistiche ci basano intere campagne pubblicitarie significa che puntare sul sentirsi un po’ sopra gli altri e in possesso di un oggetto di “lusso” ci fa sentire bene e saremmo disposti a spendere e a fare sacrifici pur di averlo. Ma vediamo per quali altre ragioni ci dicono che dovremmo acquistare le auto di lusso.

“Per i vostri viaggi lunghi”

Cosa ci viene alla mente quando sentiamo o leggiamo questo? Be’, magari un lungo e romantico viaggio per le semideserte lande islandesi, magari in buona compagnia… O in montagna costeggiando la foresta primigenia… E’ esattamente questo che si vuole evocare nei nostri ricordi o nei nostri desideri. E infatti le immagini che rappresentano le prestazioni delle macchine sono di solito di questo tipo. Peccato, però, che per la maggior parte di noi non si intenda esattamente quello per “lungo viaggio”. Il nostro lungo viaggio con questa macchina si svolgerà molto probabilmente e per la stragrande maggioranza dal punto A al punto B della città insostenibile in cui viviamo immersi nello smog, nel traffico infernale delle ore di punta (cioè 24 ore su 24) per fare ben 8 km in un’ora e mezza. Se è una giornata senza intoppi e senza imprevisti particolari, naturalmente.

“I test hanno confermato che i nuovi motori offrono un’esperienza sonora piacevole e dinamica”

Cosa vi viene in mente quando leggete “un’esperienza sonora piacevole e dinamica”? Forse certe musiche composte da Verdi o da Orff? Forse qualche gruppo underground o punk? Poco importa. A ciascuno verrà in mente qualcosa di bello, rilassante o energizzante. Il rumore del motore spacciato per musica! Impareremo a sognare e ad emozionarci al magico suono del motore che non fa rumore ma produce “un’esperienza sonora”…Siamo talmente abituati al rumore delle auto nelle città, che non riusciamo neppure più a sentirlo, neppure più ad esserne disturbati. Non avevo mai fatto caso al rumore continuo e profondo del continuo passare di macchine che viene dal raccordo non lontano da casa mia. Non fino a quando non me l’ha fatto notare un amico: un sottofondo continuo. La colonna sonora della nostra vita. E visto che c’è, come tutte le cose brutte che ci circondano, impariamo a conviverci, ad accettarle e poi, un bel giorno, ci si convince, o ci convincono, che sono anche belle. E’ perché ci sono. E’ così che il frastuono delle macchine è diventato “musica”. Del resto, adesso che le case automobilistiche riescono a produrre motori sempre più silenziosi i guidatori più “raffinati” hanno protestato chiedendo a gran voce di ripristinare la musica della macchina. Detto e fatto, alcune macchine sono state dotate di impianti per il rumore artificiale in modo tale che il guidatore senta il rumore a cui è abituato anche se il motore non lo fa più. Ci sono addirittura diverse accordature come se il motore fosse un vero e proprio strumento musicale. E così, quando saliamo in macchina possiamo azionare l’accordatura che ci piace di più e partire…

“Un’oasi di benessere”

Sedili con possibilità di regolazione con funzione massaggio, memory, climatizzazione e regolazione in larghezza delle imbottiture. Un vero e proprio oggetto di lusso, arte scultorea, precisione, architettura leggera, motori di ultima generazione. Qui si tratta di tecniche di distrazione: non devo concentrarmi sul fatto che resto ore incollata in macchina in città ma sul fatto che, tanto, ho la funzione massaggio e che la macchina “si prende cura della mia schiena e del mio benessere”. Si sta forse acquistando un’opera d’arte? La tua macchina è la tua casa? Dobbiamo desiderare di non scendere più? Cioè dovremmo essere attratti da quella prospettiva perché in macchina si sta talmente bene, talmente coccolati e a nostro agio che l’unico nostro desiderio sarebbe di viverci dentro. Molti di noi ci vivono già sempre in macchina, non è affatto una novità. E visto che è così, tanto vale organizzarci e farne un’esperienza memorabile: in fondo passare delle ore in macchina, imprecando nel traffico e causando inquinamento, spreco, perdita di tempo ed energie, rumore, caos, incidenti e stress, è bellissimo. Perché la macchina mi fa il massaggio col sedile riscaldato, inonda di esotiche fragranze l’abitacolo ed è un oggetto di vero lusso. Potremmo desiderare di più? Poco importa se è solo un’illusione. Ne abbiamo bisogno e non riusciamo a capire che si tratta di un miraggio. In questi giorni alcune città italiane hanno superato il limite di guardia dei livelli di polveri sottili presenti nell’aria. Il livello di allerta resta altissimo. Dovremmo forse cominciare a pensare a un modo per tapparci le orecchie al canto delle sirene di queste pubblicità e iniziare finalmente a guardarci intorno. Dovremmo forse cominciare a pensare a un modo per starne fuori, dalle macchine, e non a sistemi sofisticati e innovativi per rendere un’esperienza indimenticabile e straordinaria starci dentro e desiderare di non uscirne più. Prima che il vero lusso diventi quello di avere aria pulita da respirare.

Fonte: ilcambiamento.it

Non si sfugge alla pubblicità

Lo sapevate che a Seul tutte le volte che un autobus passa davanti a un Caffè Dunkin’ Donuts parte un aromatizzatore che spruzza profumo di ciambelle tra i passeggeri? E l’uomo che l’ha inventato ha anche preso un premio. È uno degli esempi di indottrinamento e manipolazione pubblicitaria descritti nel libro di Matthew Crawford, The World Beyond Your Head.5

Crawford, nel suo libro The World Beyond Your Head, alla fine arriva a concludere che si tratta di un problema politico. Non c’è in ballo soltanto il dover imparare ad auto-disciplinarsi nell’uso di una tecnologia che ci offre miliardi di stimoli contemporaneamente; il fatto è che dai produttori di smartphone ai creatori di social network, dai media alle multinazionali, tutti approfittano della nostra sempre più limitata capacità di difenderci da tutti questi stimoli e lo fanno per ammaliarci e trarne profitto da questo. Crawford suggerisce di considerare l’attenzione una sorta di “bene comune”, come si fa con l’aria che respiriamo o l’acqua che beviamo; sono un patrimonio collettivo e sono beni “fragili”, che vanno protetti. Perchè dunque non pensare che anche l’attenzione lo sia? Una risorsa collettiva dalla quale dipende tutto il resto. Molto lucida in proposito l’analisi sul libro di Crawford che il giornalista inglese Oliver Burkeman ha fatto sul Guardian. Appuntatevi bene questo ragionamento: quando gli interessi commerciali sfruttano la nostra attenzione su scala industriale, ciò che accade è essenzialmente il trasferimento di un bene dal pubblico al privato, non meno di quando vengono immessi contaminanti ambientali in una riserva naturale che è stata fatta oggetto di trivellazioni o sfruttamento da parte di privati. Ci si può difendere dalle incursioni, certo, ma a che prezzo? Rifugiandosi su una montagna o indossando cuffie a prova di sonoro tutti i giorni? Chiudendosi in casa o evitando i luoghi pubblici? Dobbiamo auto-relegarci e auto-limitarci per sottrarci a un’usurpazione? Dove sono finite le situazioni in cui lo sguardo spaziava senza meta, magari cadeva su un conoscente, ti ci fermavi a fare due chiacchiere, poi proseguivi il giro e magari te ne stavi anche in silenzio a pensare? Oggi, per esempio negli aeroporti, hai il silenzio solo se lo paghi. Vai nella sala d’attesa della business class e non hai la televisione che va costantemente o i display pubblicitari che ti stordiscono. In un mondo in cui l’attenzione è stata monetizzata, bisogna pagare se vuoi essere messo nelle condizioni di ascoltare i tuoi pensieri. E a cosa pensano le persone che attendono in business class? Probabilmente pensano a come monetizzare l’attenzione di altre persone. È lì, nelle alte sfere, che vengono prese le decisioni che determinano ciò che accadrà ai peones. Quindi, dice Crawford, dobbiamo cominciare a vedere tutto ciò sotto una luce “politica”. Proviamo a pensare alle implicazioni che questo ha sulla libertà degli esseri umani. Un assunto centrale del liberismo è che siamo liberi di ignorare i messaggi che non ci piacciono, sottolinea ancora Burkeman con grande acume; ecco perchè la libertà di parola concepisce il diritto a offendere ma non ad essere offesi. Ma l’attenzione non funziona così. Il nostro cervello viene “comandato” da ciò che vede in tv più che limitarsi a recepire un suggerimento. Come spiega bene Natasha Dow Schull nel suo studio sul gioco d’azzardo, Addiction By Design, quell’industria si giustifica e si lava la coscienza dicendo che la gente è libera di giocare o no, mentre invece tutto il sistema è fatto in modo da scippare alla gente l’effettiva opportunità di scelta. Quello che fa Crawford, realisticamente, non è invocare misure draconiane contro la pubblicità. Ma lancia un appello affinché i professionisti non si prestino a fiancheggiare queste manipolazioni. Quindi niente pubblicità vocali ad ogni angolo dei centri commerciali; no ad infarcire di pubblicità ogni singolo secondo di stop negli incontri sportivi; sia concesso ai poveri peones di sottrarsi alla televisione almeno sui bus o nei taxi; eccetera, eccetera. Provate anche voi: analizzate che cosa ingoia la vostra attenzione da quando vi svegliate la mattina a quando vi addormentate la sera. Poi provate ad allenarvi a distoglierla da lì.
Grazie di cuore a Oliver Burkeman (mente lucida, di quelle che portano un po’ di conforto) e a Matthew Crawford per il suo lavoro.
Fonte: ilcambiamento.it

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Siamo persone o consumatori?

Sono centinaia di miliardi gli euro investiti in pubblicità, mentre gran parte del mondo al di fuori delle nostre società si dibatte fra sofferenza, fame e miseria. “Consuma! Consuma finchè puoi!” è il messaggio sarcastico lanciato dal video “The Good Consumer”, di cui Il Cambiamento, in collaborazione con il blog LLHT, mette a disposizione la versione con i sottotitoli in italiano.470

Gli oggetti sono in sella e cavalcano l’umanità (R. W. Emerson)

Consumare, consumare sempre ad ogni ora del giorno e della notte, un continuo e martellante messaggio. Non siamo più persone, siamo solo consumatori nella mani dei pubblicitari, degli industriali, dei politici che ci dicono che se non consumiamo il paese va allo sfascio, la crisi si aggrava, ci saranno disoccupati e disperazione. Quindi dobbiamo consumare e qualsiasi gesto, pensiero e parola deve avere l’acquisto come obiettivo, come se fosse ossigeno indispensabile per vivere. Centinaia di miliardi di euro investiti in pubblicità mentre gran parte del mondo al di fuori delle nostre società vetrina si dibatte fra sofferenza, fame e miseria. Una imponente macchina per fabbricare illusioni ci induce a comprare di tutto e soprattutto quello che non ci serve, che andrà buttato, che dopo un po’ non ricorderemo nemmeno di avere, abbandonato in qualche cassetto o in qualche soffitta di case strapiene di oggetti. Presi da una spirale dove la parola fine non esiste,  tramandiamo questa nefasta tradizione ai nostri figli pensando così di non farli sentire inadeguati rispetto agli altri, senza riflettere che li stiamo facendo semplicemente diventare dei tossicodipendenti da consumo e a loro volta passeranno la vita a comprare, magari indebitandosi e pensando che senza il consumo non sono nulla. Mostreranno la loro auto o l’ultimo modello di  smartphone alle persone che vorranno impressionare e che ovviamente li considereranno per quello che hanno e non per quello che sono.  Si stupiranno se verranno abbandonati per chi ha più di loro. Da anziani verranno lasciati nelle mani di una badante perché se tutto si compra, meglio pagare una persona estranea che regalare affetto e vicinanza gratuita, aspetti questi che tra l’altro non fanno nemmeno crescere il PIL.
Ma che senso ha tutto ciò? C’è un limite, una fine a questa folle corsa verso il consumo della propria esistenza imprigionata da oggetti da comprare? Il consumismo è una droga e come tale va trattata, tossica e nociva che annebbia la mente e indebolisce il corpo. Chi continua a dire che dobbiamo consumere, va considerato come uno spacciatore di illusioni a caro prezzo e di indebitamento.  Della droga del consumo meno se ne fa uso e meglio si sta. Meno consumo, meno bisogno di soldi, meno bisogno di soldi e meno bisogno di lavoro, meno bisogno di lavoro e più tempo per le relazioni, più ricchezza umana e spirituale. In altre parole meno consumo e più vita.

Fonte: ilcambiamento.it

A Grenoble la pubblicità per le strade sarà sostituita da alberi

Grenoble è la prima città europea a rinunciare alla pubblicità in strada e sostituirà i pannelli con alberi. La promessa fatta durante la campagna elettorale dal sindaco ambientalista di Grenoble, Eric Piolle è stata mantenuta: via dallo spazio pubblico i cartelloni pubblicitari che saranno sostituiti da alberi. Dunque, tra gennaio e aprile 2015 i 326 cartelloni della JCDecaux, tra cui 227 “lecca-lecca” (meno di 2 metri di altezza), 20 colonne e 64 grandi pannelli di 8 metri quadrati spariranno definitivamente dallo spazio pubblico Grenoble. E ciò grazie al contratto in scadenza che non sarà rinnovato, mentre l’accordo per la pubblicità sui mezzi pubblici e le pensiline scadrà nel 2019.FRANCE-ENVIRONMENT-ADVERTISING-TREES

Sempre da gennaio 2015 il comune incontrerà le associazioni locali per concordare con tutti la migliore soluzione possibile per organizzare gli spazzi pubblicitari nella cittadina di 160 mila abitanti. Si pensa a nuovi display più piccoli e meno invasivi degli spazi pubblici. Ha detto a AFP Lucille Lheureux, Assistente incaricato per gli spazi pubblici del comune di Grenoble:

A causa del crollo delle entrate pubblicitarie tradizionali, dovute alla concorrenza di Internet, il nuovo contratto ci avrebbe portato solo 150 mila euro all’anno contro i 600 mila euro all’anno percepiti dal 2004 al 20124.

Insomma una perdita decisamente ridotta rispetto ai favolosi introiti percepiti dai comuni nel primo decennio degli anni 2000. Con questa scelta Grenoble segna uno spartiacque sulla possibilità di gestire in maniera diversa la cosa pubblica, tenendo conto anche delle esigenze dei cittadini in fatto di spazio pubblico. E infatti entro la primavera il sindaco Piolle ha promesso la piantumazione di 50 nuovi alberi. Un precedente simile, ovvero una città senza cartelloni pubblicitari, si è avuto a San Paolo del Brasile nel 2007 quando fu deciso di eliminare tutta la pubblicità invasiva tranne poi reintrodurla nel 2012 con la firma di un contratto proprio con JCDecaux per l’installazione di 1.000 orologi che dovrebbe dare ai cittadini il tempo, la temperatura, la qualità l’aria e informazioni comunale.FRANCE-ENVIRONMENT-ADVERTISING-TREES

Fonte:  JDD20 minutes

© Foto Getty Images

Le auto elettriche non sono ecologiche: stop delle Authority francese alle pubblicità

Le auto elettriche non possono essere considerate né ecologiche e né pulite. A porre freno alle pubblicità che manifestavano il messaggio contrario il JDP jury de déontologie publicitaire

Le auto elettriche non sono ecologiche: è questa la conclusione dell’Authority francese per la pubblicità, Jury de déontologie publicitaire (JDP), presentata martedì 26 giugno e che riguarda la pubblicità di due vetture in car sharing Autolib del gruppo Bolloré a Parigi e Bluely a Lione per la Zoe di Renault. Il JDP su istanza de l’Autorité de régulation professionnelle de la publicité (ARPP) e dell’associazione ambientalista Observatoire du nucléaire aveva bloccato lo scorso 15 aprile molte pagine del sito internet di Autolib dove l’auto elettrica era definita ecologica e pulita così come sono state bloccate le pagine Bluely dove le vetture elettriche erano definite “pratiche, ecologiche, economiche”. A pesare sull’intera situazione anche la denuncia de la Fédération nationale des associations d’usagers des transports (Fnaut) presentata lo scorso 18 marzo contro una pubblicità della Zoe che aveva come claim: “Per lottare contro l’inquinamento guidare la vostra auto” e che precisava: “”Renault Zoé: 100 % elettrica, 0 % di emissioni”.

Il Giurì rigetta dunque:

la superiorità dei veicoli elettrici sui motori termici in termini di impatto ambientale è espressa in termini generici e non è accompagnata da alcuna precisazione. La pubblicità in causa incita esplicitamente i consumatori a usare le vetture elettriche per ridurre l’inquinamento sebbene esistano numerosi mezzi di trasporto che se usati possono ridurre l’inquinamento come le biciclette o i mezzi di trasporto collettivi e pubblici.

Queste pubblicità dunque devono essere ponderate, come sottolinea Stéphane Martin, direttore generale di ARPP, l’Autorità per la regolamentazione pubblicitaria che spiega:

Tutti i veicoli hanno un impatto sull’ambiente, dalla costruzione allo smaltimento per l’intero ciclo di vita. Non si può definire una vettura elettrica pulita ma si può evidenziare quale contributo possa fornire allo sviluppo sostenibile; si può dire che un’auto elettrica sia più pulita di un auto con motore termico a patto di portarne le prove.

L‘Observatoire du nucléaire spiega che in Francia l’origine dell’energia elettrica è per il 75% da fonte nucleare e serve a ricaricare le batterie al litio che alimentano i veicoli elettrici e il litio inquina l’ambiente. Spiega Stéphane Lhomme direttore de Observatoire du nucléaire:

Le auto elettriche non inquinano quando sono in movimento ma inquinano prima e dopo, lungo il ciclo di produzione e sopratutto l’inquinamento è delocalizzato e riguarda le miniere da cui si estrae uranio e litio, le centrali nucleari e i siti di stoccaggio delle scorie radioattive.

Fonte:  Le Monde

© Foto Getty Images –

La pubblicità vegan che spacca gli Stati Uniti

vegan

Lo spot “The Scarecrow” della catena di ristoranti messicani Chipotle scatena un dibattito per l’utilizzo del vegetarianismo per veicolare un brand che annovera nei propri menu anche la carne

In poco più di un mese la pubblicità in computer animation The Scarecrow della catena messicana di ristoranti Chipotle ha spaccato in due l’opinione pubblica. La storia è quella di uno spaventapasseri che lavora per la Crowd Food Incorporated, in una città distopica governata da grandi corvi meccanici. Lo spaventapasseri rappresenta il proletariato rurale che arriva nella città per lavorare. Il video di 3’22” è un viaggio nella coscienza dello spaventapasseri che prende atto della crudeltà degli allevamenti intensivi di mucche e di polli. Nella seconda parte lo spaventapasseri torna a casa affranto e inizia a cogliere i frutti della terra, a partire dal peperoncino che è il simbolo della nota catena messicana. E così decide di aprire un piccolo banco di cibi vegetariani campeggiato dalla scritta “Cultivate a better world”. In poco più di un mese la pubblicità è diventata un vero e proprio caso mediatico, totalizzando oltre 7 milioni di visualizzazioni, una cifra davvero altissima per una pubblicità. Sulla stampa americana si è aperto il dibattito. Se la morale vegana ha fatto breccia nel cuore degli spettatori più superficiali, non sono mancate le critiche di chi ha sottolineato come nei ristoranti Chipotle vengano serviti anche piatti di carne. Negli Stati Uniti i consumatori di carne rappresentano il 93% della popolazione. A differenza della dieta mediterranea, in cui la carne rappresenta una parte minoritaria della bilancia alimentare rispetto a cereali lavorati, frutta e verdura, negli Stati Uniti la carne è la base dell’alimentazione. I vegetariani e i vegani – fra cui va annoverata la cantante Fiona Apple che presta la voce a “Pure Immagination”, colonna sonora dello spot – sono appena il 7% della popolazione statunitense. E allora ecco alzarsi una levata di scudi contro lo spaventapasseri. Su Salon David Sirota ha criticato Chipotle che utilizza un’immagine vegetariana per vendere (anche) i suoi famosiburritos. Il sito Funny or Die ha ironizzato sulla logica mercantile perfettamente confezionata dalla catena di ristoranti messicani con una video-parodia. Ancor più ironico è l’attacco di Alexandra Petri su Washington Post: “Questa (pubblicità, ndr) non mi fa venire voglia di magiare da Chipotle. Mi fa venire voglia di rannicchiarmi in un coma vegano e non mangiare mai più”.

La critica a colossi come Mc Donald’s e Burger King è feroce, il prodotto – come dicevamo – è confezionato molto bene, con un’animazione strappalacrime e un fulcro del racconto più che nobile, peccato che per smascherare il trucco e una certa goffaggine del marketing, basti consultare il menu di un qualsiasi punto vendita Chipotle. Anche se dalla casa madre fanno sapere che la carne utilizzata nella catena è allevata secondo criteri di eticità e sostenibilità. Ma il messaggio che passa nel cartoon è che dallo spaventapasseri la carne non si mangia e ci sono solo colorate verdure. È il marketing, bellezza!

Fonte: Youtube

 

No Tav, LTF investe in pubblicità per spegnere il dissenso

Al rapporto Duran che rimandava al 2030 la valutazione della fattibilità della Tav, la Lyon-Turin Ferroviaire ha risposto con una campagna pubblicitaria sui principali quotidiani italiani e francesi 164376437-586x390

Visto che l’opinione pubblica non la si può comprare e visto che anche molti addetti ai lavori non hanno prezzo (come nella nota pubblicità della carta di credito), visto che ci sono politici per i quali il bene comune viene prima degli interessi privati, uno dei tanti mezzi che i gruppi di pressione hanno per contrastare il dissenso, ammorbidire gli addetti ai lavori e opporsi ai politici dissenzienti è sovvenzionare i principali strumenti capaci di creare consenso. La sovvenzione è totalmente legale, non c’è niente di illegale. Diciamo che consolida i rapporti di collaborazione. Diciamo che per il giornalista sarà più difficile parlare male della Tav, argomento che diventa sempre più teatro di uno scontro di pancia fra opposte fazioni che utilizzano slogan e dogmi fideistici invece dei numeri, i soli elementi utili a diradare la nebbia che viene alzata appositamente sul progetto da chi sa benissimo che la Tav, intesa come corridoio 5, non si farà mai. Non si farà perché il Portogallo ha rinunciato, perché la Spagna ha uno scartamento diverso rispetto all’Europa e perché la Francia ha fatto sapere – come riportato da EcoAlfabeta alcune settimane fa – che l’opera non è prioritaria e che se ne potrà riparlare fra 20-30 anni. Questo se si guarda a occidente, perché a oriente la situazione è ancora peggiore: la Slovenia sta cercando di smarcarsi da una crisi per la quale fino a pochi mesi fa si ventilava addirittura l’ipotesi di un salvataggio UE. Fine della storia, con buona pace dei sostenitori. Eppure l’opera continua a essere definita “strategica” anche da chi ha sotto mano i conti in rosso di Stato, regioni e province. Qualche settimana fa, dopo che il rapporto Duron ha rimandato di vent’anni l’opera, la Lyon-Turin Ferroviaire ha lanciato una campagna pubblicitaria intitolata “Siamo sulla buona strada” (“Nous sommes sur la bonne voie”), campagna per la quale si può ben usare l’aggettivo di strategica. Sono state coinvolte nove testate e i loro rispettivi siti: tre quotidiani nazionali francesi (Le Monde, Le Figaro e L’Equipe), un quotidiano locale francese (Le Dauphiné Libéré), tre quotidiani nazionali italiani (La Repubblica, La Stampa, Il Corriere della Sera) e due giornali locali della Valsusa (Luna Nuova, La Valsusa). La LTF non ha nascosto di voler “rispondere alle critiche, reagire in maniera forte” con la sua “campagna di informazione”.

Ma Daniel Ibanez che coordina il comitato francese che si oppone al progetto la vede piuttosto come una “campagna pubblicitaria” e si chiede

con quale diritto e con quale denaro una società incaricata di fare degli studi e di fornire rilievi tecnici per l’apertura di un cantiere fa pubblicità? 

Il diritto di farlo LTF ce l’ha, dal punto di vista giuridico. Il problema è che lo fa per un’opera che dovrebbe costare 26 miliardi di euro e si ritrova con le casse completamente vuote. Una cifra astronomica che fa certo scomparire la campagna da 350mila euro lanciata per rinsaldare la collaborazione con la stampa francese e italiana. È questa, secondo il sito TerraEco la cifra che sarebbe stata spesa per la campagna Sì Tav. Una stima della quale sono note solamente le cifre pagate ai quotidiani francesi (67mila euro a Le Figaro, 65100 euro a L’Equipe e 81000 euro a LeMonde) che qualche giorno dopo sono tornati a seguire con grande passione le vicende della Tav.

Fonte:  TerraEco