Dal bracciale che aiuta i non vedenti all’app che propone gli itinerari eco friendly: al Transport Hackathon premiati startup e progetti che migliorano il trasporto

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 In occasione del secondo Transport Hackathon promosso dall’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART) che si è svolto presso l’Incubatore I3P del Politecnico di Torino, sono state premiate le startup che hanno implementato i loro progetti per rendere più efficienti i servizi di trasporto odierno.
Ad aggiudicarsi la presenza allo Smart Mobility World sono le startup DEED con il wearable che consente di accedere a comunicazioni direttamente dalla banchina delle fermate, RiparAutOnline con l’app che mette in comunicazione i veicoli tramite alert, Take My Things con il network di consegna a domicilio a tutte le ore.
Tra i progetti digitali, premiati invece: Bike’nb, l’airbnb delle bici; SMARTO, che permette di comprare i biglietti con un’istantanea convalidazione direttamente sul mezzo; Green Premium, che propone un assistente di viaggio virtuale in grado di aiutare il guidatore durante il percorso proponendo l’itinerario più eco-friendly.

 

Un bracciale che permette di vidimare il biglietto e che consente ai non vedenti di ottenere informazioni sul trasporto pubblico; un’applicazione per comunicare ad altri automobilisti informazioni sul veicolo o sulle strade; un servizio di consegne a domicilio per mettere in contatto aziende e privati.
DEED, RiparAutOnline e Take My Things sono le tre startup che si sono aggiudicate la vittoria al Transport Hackathon, la maratona di 56 ore promossa dall’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART) che si è svolta dal 6 all’8 ottobre negli spazi dell’Incubatore I3P del Politecnico di Torino. Nel corso dell’evento, le tre startup hanno presentato delle implementazioni a progetti già esistenti, cogliendo le opportunità offerte dalla tecnologia e dalla digitalizzazione per rinnovare e rendere più efficienti le infrastrutture esistenti ed i servizi di trasporto odierni, in ottica multimodale. Con la loro vittoria alla seconda edizione del Transport Hackathon, le tre startup si sono aggiudicate la possibilità di portare il proprio progetto allo Smart Mobility World (Torino, 10-11 ottobre 2017) con uno stand, un kit di visibilità e la partecipazione ad una Pitch session per presentare la propria idea di business ad una platea di investitori.
GET, il bracciale che aiuta i non vedenti
La startup DEED ha proposto per GET, lo smartbridge che fa accedere a telefonate, notifiche e suoni in maniera esclusiva direttamente dalla propria mano, un’implementazione pensata per migliorare l’accessibilità ai trasporti. Il bracciale permette di acquistare e validare il biglietto, o passare il proprio abbonamento direttamente al tornello con un semplice gesto. ll wearable, inoltre, consente di accedere a comunicazioni direttamente dalla banchina delle fermate, permettendo anche a ipovedenti, non vedenti e persone a mobilità ridotta, di ottenere informazioni sui passaggi e gli orari senza ricercare le scritte in braille.

RiparAutOnline, comunicare con altri veicoli attraverso una app
RiparAutOnline, la piattaforma digitale per richiedere direttamente online preventivi di riparazione per la propria auto, ha realizzato un’applicazione che consente di creare un proprio profilo personale inserendo la targa del veicolo e di comunicare a tutti gli utilizzatori informazioni che riguardano il veicolo stesso. Questi alert possono essere di tipo spot, (ad esempio per comunicare lavori, stradali, incidenti, situazioni di pericolo), continuativi (aree con limitazioni orarie) o di sicurezza. L’app può essere utilizzata dagli automobilisti, ma è rivolta anche alla pubblica amministrazione e alle forze dell’ordine.

Take My Things, consegne a domicilio ad ogni ora
Tra le startup che accedono allo Smart Mobility World c’è anche Take My Things, il network delle consegne a domicilio. Il servizio ha sviluppato la possibilità di mettere in contatto chiunque abbia necessità di spedire con tutte le aziende e i privati che si sono resi disponibili ad effettuare le consegne, facendo così da tramite tra le due parti e diventando un valido partner, ad ogni ora della giornata, ventiquattr’ore su ventiquattro per 365 giorni all’anno.

Premiati i migliori progetti digitali

Ad essere premiati durante il Transport Hackathon sono stati anche tre progetti che sono stati sviluppati durante la maratona stessa: una giuria dedicata ha infatti valutato i progetti digital più innovativi e in linea con le tematiche dell’hackathon, dalla green mobility allo smart payment.

Bike’nb, l’airbnb delle bici
Al primo posto si è classificato Bike’nb, l’airbnb di hub per bici che consente di mettere in contatto i pendolari che arrivano fino alla prima cintura della città, per far sì che possano spostarsi in centro città con la bici. Una volta arrivati a piedi, in bus o in auto nel posto in cui è situata in sicurezza la bici, è possibile recuperarla e muoversi più facilmente in area urbana, risparmiando tempo e soldi. Il progetto intende valorizzare le zone di periferia che in questo modo non rappresentano soltanto un luogo di passaggio, ma diventano aree in cui ci si può fermare. Il servizio pensato da Bike’nb prevede un canone mensile, comprensivo di assicurazione sul mezzo.

Comprare i biglietti dei mezzi pubblici con SMARTO
SMARTO, l’app che integra al biglietto fisico un sistema di pagamento online direttamente sui mezzi di trasporto pubblico, si è aggiudicato il secondo posto. Il progetto permette di comprare i biglietti sul mezzo, con un’istantanea convalidazione: viene creato un profilo personale per identificare le linee preferite, indicare i consumi effettivi sulle tratte e misurare l’efficienza del trasporto pubblico.

Green Premium, la mobilità è un gioco ecologico
Al terzo posto per i progetti digitali c’è Green Premium, l’applicazione che offre un assistente di viaggio virtuale in grado di aiutare il guidatore durante il percorso proponendo l’itinerario più eco-friendly, unendo l’esperienza della chatbot alla gamification, con l’obiettivo di diventare, mediante punti – foglia ottenuti dai percorsi, l’ambassador degli ecofriend. Ogni mese il vincitore con più punti otterrà un premio, quali bonus, sconti e incentivi da partner.3

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Chi è I3P

I3P è l’Incubatore d’imprese del Politecnico di Torino. È uno dei principali incubatori europei e sostiene startup fondate sia da ricercatori universitari che da imprenditori esterni.

Fondato nel 1999, è una società costituita da Politecnico di Torino, Città Metropolitana di Torino, Città di Torino, Camera di Commercio di Torino, Finpiemonte e Fondazione Torino Wireless.

Ad oggi ha favorito la nascita di 217 imprese, che hanno ottenuto capitale di rischio per circa 52 milioni di Euro e generato circa 1600 posti di lavoro e un giro d’affari di oltre 90 milioni di Euro nel 2016.

I3P offre alle startup spazi attrezzati, consulenza strategica e specialistica, e continue opportunità di contatto con investitori e clienti corporate.

In I3P possono accedere studenti, dottorandi, ricercatori, docenti del Politecnico di Torino o degli enti pubblici di ricerca, oltre che imprenditori o esterni interessati a sviluppare una startup innovativa con validata potenzialità di crescita. I settori di attività delle startup variano dall’ICT al Cleantech, dal Medtech all’Industrial, dall’Elettronica e automazione al digitale e in ambito Social Innovation.

Nel 2011, I3P ha lanciato TreataBit, un percorso di incubazione dedicato ai progetti digitali rivolti al mercato consumer, quali portali di e-commerce, siti di social network, applicazioni web e mobile. Ad oggi Treatabit ha supportato oltre 300 idee d’impresa, di cui 190 progetti sono online e 107 sono diventate impresa.

Promotore di importanti iniziative per il trasferimento tecnologico, l’incubazione e la crescita di impresa, l’attività di I3P si inquadra nelle strategie globali del territorio piemontese volte a sostenere la ricerca, l’innovazione tecnologica, l’innovazione sociale e la nuova imprenditoria.

Nel 2014 I3P si è classificato al 5° posto in Europa e al 15° al mondo nel ranking UBI Index (University Business Incubator) la classifica annuale degli incubatori universitari che ha preso in esame 300 incubatori di 67 paesi, valutandone l’attrattività e la creazione di valore per l’ecosistema e per i clienti.

 

Maggiori informazioni sul sito istituzionale: www.i3p.it

Fonte: agenziapressplay.it

Smart energy, dal Siebel Energy Institute 300mila euro per sei progetti del Politecnico

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Anche il Politecnico di Torino alla conferenza “Energy Grid Cybersecurity” organizzata a Washington dal Siebel Energy Institute che con 300 mila dollari finanzierà sei progetti di ricerca. Il problema della sicurezza delle reti energetiche e il supporto che le ICT possono fornire per prevenire e risolvere situazioni critiche, sia di natura accidentale, che criminale, sono stati oggetto della conferenza “Energy Grid Cybersecurity”, che si è svolta a Washington, D.C (USA) dal 3 al 5 marzo scorsi; l’incontro internazionale è stato organizzato dal Siebel Energy Institute, un consorzio che vede il Politecnico di Torino partner di 8 tra i più prestigiosi centri di ricerca sui temi della smart energy: Carnegie Mellon University, École Polytechnique, Massachusetts Institute of Technology, Princeton University, University of California at Berkeley, University of Illinois at Urbana-Champaign, University of Tokyo e Tsinghua University. Scopo del consorzio, promuovere una rete internazionale e di altissimo livello tra soggetti che si occupano di ricerca in questo settore e valorizzare i progetti delle più prestigiose università internazionali; tra queste, il Politecnico, che ha ricevuto sei premi del valore di 50 mila dollari ciascuno, per un totale di 300 mila dollari, per progetti dei quali è capofila:

– Smart Grid Resilience: Automatic Real-time Detection and Prediction of Critical Conditions and Preventive Network Management Through Distributed Sensing, Smart Metering, Environmental/Social Info. Capofila: Ettore Bompard – Politecnico di Torino. Il progetto si pone come strumento per assicurare la continuità dalla fornitura energetica anche in situazioni critiche per le reti di distribuzione come incidenti, catastrofi naturali o attacchi. Utilizzando i dati provenienti da fonti eterogenee (consumatori, prosumer, sensori distribuiti sulla rete, contatori intelligenti, strumenti di monitoraggio ambientale) si genera un algoritmo aggiornato costantemente che permette di prevedere condizioni e situazioni critiche, ottimizzando quindi il funzionamento della rete.

– URBE – Understanding the Relationship Between Urban Form and Energy Consumption Through Behavioral Patterns (Capofila: Patrizia Lombardi – Politecnico di Torino). La ricerca studia i profili di consumo energetico dei cittadini degli spazi urbani negli edifici (calore, gas e elettricità) e la mobilità delle varie zone della città, in relazione sia alla morfologia urbana (ad esempio distanza media tra casa e luogo di lavoro, distanza dai servizi) che ai modelli comportamentali (ad esempio orario di lavoro e attività domestiche, mezzi di trasporto utilizzati). L’obiettivo è quello di definire, in modo efficace e efficiente, politiche di pianificazione urbana per creare condizioni ottimali di vivibilità.

– CCG – Cars, Communications, and the Grid (Capofila: Marco Ajmone Marsan – Politecnico di Torino). Lo studio analizza i vantaggi ottenibili dall’utilizzo congiunto di tre diverse tecnologie: comunicazioni wireless, car sharing e distribuzione di energia elettrica. A tal fine vengono implementati modelli matematici e di simulazione basata su dati reali. L’apporto professionale di esperti del settore di telecomunicazione, energia, trasporti ed economia aiuterà a pianificare una valutazione dei vantaggi tecnologici e economici e l’identificazione delle tecnologie necessarie per ottenerli.

– Power Aware – Lights Off, Brains On (Capofila: Antonio Vetrò – Politecnico di Torino).  Il progetto realizza una piattaforma web che mette a confronto modelli di consumo di energia per i cittadini con caratteristiche simili (in relazione ad esempio alle dimensioni dell’abitazione, al numero dei componenti familiari, al numero e alla tipologia di apparecchi) e predispone strategie di consumo per ridurre gli sprechi. Sono previsti servizi aggiuntivi per il calcolo preventivo dei consumi, così da cercare di modificare in maniera efficiente le abitudini di consumo.

– Big Data Platform for FFCS Design: From Gas to Electric (Capofila: Marco Mellia – Politecnico di Torino). Lo studio parte dalla piattaforma web in supporto a sistemi di car sharing che consente di noleggiare un’auto in un’area geografica definita. La piattaforma può fornire informazioni riguardo l’auto (posizione, condizioni generali, livello di carburante). L’applicazione di tecnologie di analisi di Big Data permette di decidere in che modo affinare il servizio. Tale approccio potrà essere utilizzato in futuro anche nel settore pubblico, per la gestione, ad esempio, del traffico urbano o del trasporto pubblico.

– Multi-modal Crowd Sensing to Monitor Buildings in Smart Cities (Capofila: Alessandro Rizzo – Politecnico di Torino). Utilizzare auto e droni per monitorare le condizioni di salute degli edifici e dei beni culturali. È questo l’obiettivo del progetto, che studia come si potrebbero utilizzare questi mezzi per installarvi sistemi di misurazione a infrarossi avanzati che possano, ad esempio, fornire indicazioni sull’umidità delle pareti, le dispersioni termiche, l’integrità strutturale delle facciate, ecc. Il progetto si propone di garantire l’accuratezza delle misurazioni, coniugandola con la sicurezza dei mezzi utilizzati. Il Siebel Energy Institute si propone inoltre di valorizzare anche la formazione, istituendo una rete tra le Scuole di Dottorato che prevede anche il finanziamento di borse di studio e progetti comuni. Quest’anno è stata premiata tra i dottorandi del Politecnico Maria Ferrara, del Dipartimento Energia.

Per il Politecnico, essere parte del Siebel Energy Institute è una grande opportunità”, commenta il Rettore Marco Gilli, a Washington insieme alla Prorettrice Michela Meo, referente delle attività del Politecnico per il Siebel Energy Institute: “Si tratta di una rete internazionale molto prestigiosa con partner accademici e industriali, all’interno della quale è possibile promuovere e sviluppare qualificati progetti di ricerca collaborativa, confrontarsi costantemente con i migliori ricercatori al mondo in questo settore emergente e insieme valorizzare le nostre strutture di ricerca e trasferimento tecnologico, primo tra tutti l’Energy Center del Politecnico e il futuro Centro Interdipartimentale dedicato all’energia”.

Fonte: ecodallecitta.it

 

 

Una food forest di nome Atlantis

Una Food Forest di nome Atlantis e, al suo interno, un santuario di farfalle Monarca. Li ha creati Helder Valente, esperto di permacutura, alle Canarie. E spiega: “Mentre sviluppavo giorno per giorno la mia visione, ho capito che la mia vera missione non era dimostrare come funziona la permacultura ma aiutare l’uomo nella connessione con se stesso e con gli altri”

img_0845Helder Valente è nato in Portogallo e dopo aver sviluppato progetti permaculturali in diversi paesi del mondo e soprattutto in Sudamerica dove viene a contatto con le culture indigene locali, si ferma alle Canarie, un luogo dove coesistono 20 climi differenti e dove arrivano 10 milioni di visitatori l’anno che creano problemi ecologici non indifferenti. Lì decide di creare una Food Forest di nome Atlantis e, al suo interno, un santuario di farfalle Monarca. “Mentre sviluppavo giorno per giorno la mia visione, ho capito che la mia vera missione non era dimostrare come funziona la permacultura ma aiutare l’uomo nella connessione con se stesso e con gli altri”.
“In manu (eius) est potestas et imperium”. Sullo schermo della sala conferenze in cui ci accoglie Helder Valente, campeggia questa frase che, dice, gli ha cambiato letteralmente la vita. La frase, in realtà, è contenuta nel Libro delle Cronache del profeta Malachia e si riferisce alla potenza del Signore ma mi piace molto l’interpretazione che ne dà questo permacultore espertissimo e appassionato che da anni è impegnato in prima persona e in diversi paesi (dal Sudamerica alle Canarie) a diffondere il pensiero e la pratica permaculturale. Nell’interpretazione che il potere sia nelle nostre mani possiamo pensare che l’uomo possa davvero recuperare una relazione diversa con la terra che abita e con i suoi simili per una nuova civiltà di rispetto e di armonia con l’ambiente che lo circonda. Si tratta di un messaggio preciso e per tutti: per chi pensa che l’uomo non sia ormai più in grado di tornare indietro o che non abbia abbastanza forza o potere per cambiare le cose.
Helder ha presentato un vero e proprio racconto fotografico su Atlantis, il progetto nato su una Food Forest antica preesistente che è stata recuperata e sviluppata nell’area più verde delle Isole. Le immagini hanno documentato un lavoro fatto insieme ai suoi studenti e alle persone che ci hanno creduto e che lo hanno aiutato. Il risultato è una terra ricchissima e produttiva dove crescono alberi, frutti e ortaggi di ogni tipo: dai castagni ai banani, dagli avocado alle innumerevoli varietà di fichi e di mele, dalle piante di cacao, ai cavolfiori e agli ibiscus e poi pesche, patate, lime, funghi e noci di Macadamia. Il problema, semmai, è la sovrapproduzione. Così i prodotti in eccedenza vengono trasformati in liquori, fermentati e marmellate.
Sono arrivate le farfalle Monarca e si è creato un vero e proprio santuario naturale spontaneamente scelto da questi animali.
Tornare alla terra e tornare alla natura, agli animali, all’aria pulita, alla campagna lontana dalle città sempre più contrarie e inospitali per gli esseri umani, significa spesso la ricerca del rifugio, dell’allontanamento volontario non solo da un ambiente fisico innaturale ma anche dalle profonde difficoltà relazionali con le quali tutti, chi più chi meno, dobbiamo fare quotidianamente i conti. Riavvicinarsi alla terra – dice Valente – deve significare un ritorno anche alle persone e imparare a creare pazientemente nuove e sane relazioni che, insieme al contatto diretto con la natura sono l’elemento base del benessere di tutti. Il paradiso, in sostanza, dice Valente, deve essere condiviso per sentirci felici e una delle cose più importanti è proprio mettersi insieme, rendere felici le persone accanto a noi e fare comunità. Dobbiamo trovare l’ispirazione nella natura e negli altri.
Per spiegarci meglio il suo lavoro, Helder ci racconta che un giorno la sua vicina di casa che vive vendendo i prodotti del suo orto e le uova, trova le sue galline uccise dai cani lasciati liberi dai cacciatori. Pensando di difendersi, mette il veleno intorno alla sua proprietà. Qualche giorno dopo il cane di Helder muore per aver mangiato una polpetta avvelenata. Il racconto è emozionante perché, ci spiega: “Sebbene addoloratissimo decisi che il problema non era la mia vicina né i cacciatori. Non lo erano neppure i produttori di veleno. La cosa più giusta che potessi fare era continuare a credere nel mio lavoro e portarlo avanti. Dovevo continuare ad aiutare le persone a riconnettersi con la terra”.
Gli obiettivi e le sfide di Atlantis sono stati molti e importantissimi: fare comunità, progettare in permacultura, rendere il santuario delle farfalle Monarca un luogo speciale, usare solo materiali locali e a basso costo, costruire compost toilets, sviluppare attività come il bird watching, condividere le informazioni con i locali e fare tesoro delle loro conoscenze, prevedere spazi per la cura della spiritualità (nelle Cuevas naturali gli studenti e i volontari presenti ad Atlantis vanno a meditare) perché la città richiede un’attività mentale veloce e non è possibile pensare, meditare, trovare il contatto con se stessi. L’insegnamento, inoltre, è che non siamo più capaci di capire un ecosistema complesso ma solo una monocoltura mentre la natura può darci comunque sostentamento e profitto per stare bene, rispettandola.
Tra le sfide future c’è quella di integrare nella comunità locale tutti i livelli sociali e tutte le età oltre agli animali. La sfida più grande, però, è quella di creare una Food Forest nella parte più arida dell’isola per farla rigenerare. Atlantis è stata un laboratorio e adesso – continua Helder – sappiamo che cosa possiamo fare. E’ così che si può cambiare il mondo.
Fonte: ilcambiamento.it

Il ministro Galletti contro il referendum trivelle del 17 aprile

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Gian Luca Galletti è il ministro dell’Ambiente, ma è un ministro dell’Ambiente del Governo Renzi e, come tale, si adegua alle direttive provenienti dal vertice di Palazzo Chigi: pertanto il prossimo 17 aprile o non andrà a votare o voterà no. In un’intervista rilasciata al Corriere Galletti ha spiegato che “col referendum si affronta il problema delle trivelle con l’ideologia, invece io dico di affrontarlo dal punto di vista scientifico”. La giustificazione di Galletti è che in un’economia basata al 90% sul petrolio occorre comunque acquistare questa risorsa dall’estero, quindi meglio autoprodurlo; il ministro cita Norvegia, Svezia e Gran Bretagna come paesi spesso citati come green che trivellano più dell’Italia e prefigura anche le conseguenze, secondo lui deleterie, che avrebbe la vittoria del sì: un disinvestimento di chi ha le concessioni con maggiori pericoli per l’ambiente. Naturalmente Galletti chiama in causa gli effetti sull’occupazione e stima in 10mila i posti di lavoro che si verrebbero a perdere nel caso di una vittoria del fronte del sì.

Galletti parla poi dei progetti relativi allo sviluppo sostenibile:

“Abbiamo in campo progetti importantissimi, che abbiamo accelerato anche dopo l’emergenza di quest’inverno sulle polveri sottili. Abbiamo un bando di 900 milioni per l‘efficientamento energetico, un altro bando in arrivo di 250 milioni per l’efficientamento energetico per le scuole, altri 35 per la mobilità sostenibile, 250 per le Regioni per acquistare autobus nuovi ecologici. Tutto questo fa 2 miliardi di euro: qua ci vuole una progettazione forte da parte delle Regioni, non è un problema di soldi. I soldi spesso ci sono ma non si riescono a spendere bene”.

Secondo Galletti, inoltre, non ci sono prove scientifiche della nocività delle trivelle e l’unica soluzione per restare nel mercato è uno sviluppo compatibile con l’ambiente. Per Galletti le trivellazioni off shore lo sono. E i rischi per gli ecosistemi marini?“Noi abbiamo adottato la direttiva off shore dell’Ue che prevede una serie di misure preventive e di emergenza: poi l’incidente può sempre capitare”, taglia corto Galletti. Prima si garantiscono i posti di lavoro, l’indotto che generano e, soprattutto, gli interessi dei grandi gruppi economici, secondariamente si pensa all’ambiente incrociando le dita e sperando che tutto vada bene. È il dualismo di sempre: salute contro lavoro, ecologia contro profitti. E la politica, questa politica, non ha mai dubbi sulla parte dalla quale schierarsi.

Fonte:  Corriere 

 

Alla Banca Mondiale piacciono le grandi dighe

Le grandi dighe sono tra i progetti più impattanti e devastanti in diverse parti del mondo. La Banca Mondiale però le finanzia da anni e, stando ai recenti piani di investimenti, continuerà a farlo ancora più in grande stile. Calpestando ambiente e popolazioni.grandi_dighe

La realizzazione di dighe di grandi o grandissime dimensioni  comporta danni ambientali e costi economici ed umani che risultano, stando ai dati, assolutamente controproducenti.  Questo però non sembra preoccupare la Banca Mondiale, anzi essa è  da molto tempo in prima linea nel finanziamento di dighe e sbarramenti fluviali tra i più grandi del mondo. In Italia la storia ha dimostrato la pericolosità e i costi delle grandi dighe, che fortunatamente non hanno avuto una così larga diffusione come in altre nazioni.  La Banca Mondiale da molto tempo è impegnata con tutte le sue forze nel promuovere la costruzione di tali opere e si prepara a finanziare enormi progetti idraulici. In tempi di crisi economica mondiale, la BM imbocca la  via percorsa ormai anche da paesi come il Brasile e la Cina. I progetti riguardano in particolare ilCongo, l’Himalaya e il bacino dello Zambesi. Già dal luglio 2013 la Banca Mondiale ha adottato un nuovo programma energetico che prevede appunto di aumentare i prestiti ai grandi progetti idroelettrici e ai gasdotti. Ha finanziato più di 600 grandi dighe in 60 anni e supporta attualmente 150 progetti in corso nel settore idroelettrico. La metà di essi sono in Africa e nel Sudest Asiatico. Questi progetti sono tuttavia meno colossali rispetto alla prossima generazione di opera che si preannuncia. Un esempio è costituito dalle dighe Inga 1 e 2 costruite sul fiume Congo. Dopo che un gruppo di finanziatori ha speso miliardi in questi progetti, l’85% dell’elettricità della Repubblica Democratica del Congo è destinata a grandi industrie forti consumatrici di energia e… alla popolazione urbana!  Mentre meno del 10% della popolazione delle zone rurali ha accesso all’elettricità. La Banca ha scelto nel luglio 2013 di finanziare il progetto Inga 3 sempre sul fiume Congo per 12 miliardi di dollari, il più costoso mai proposto in Africa, oltre a due progetti di parecchi miliardi sullo Zambesi. Queste tre opere dovrebbero servire a produrre elettricità per le compagnie minerarie e i consumatori delle classi abbienti dell’Africa del Sud. Le ONG che lavorano sulla dipendenza energetica sono allarmate per questa scelta, fatta in uno dei paesi più poveri e più corrotti dell’Africa. I progetti Inga 1 e 2 non hanno portato alcuno sviluppo economico, ma hanno aumentato il peso del debito e in un periodo di fragilità idrogeologica le grandi dighe aumenteranno la vulnerabilità climatica dei paesi poveri. A chi paventa e prevede disastri ecologici e tragedie umane per le popolazioni private di terra e sostentamento e costrette a sfollare, la BM si difende. “Non si tratta più delle dighe dei vostri nonni” ha detto infatti Julia Bucknall, responsabile del settore idrogeologico dell’istituto internazionale. Cosa cambia rispetto alle dighe “dei nostri nonni”? Soltanto il fatto che vengono pubblicati miriadi di rapporti sull’impatto ambientale che, così come le dighe stesse, verranno addebitati ai paesi che ne “beneficiano”, il cui debito aumenterà e con esso la loro dipendenza dalle grandi industrie e istituzioni finanziare  occidentali. La diga Lom Pangar in Cameron è un esempio di medio progetto finanziato dalla Banca. Inonderà 30.000 ettari di foresta tropicale tra cui il parco nazionale Deng Deng, un rifugio per gorilla, scimpanzè e altre specie minacciate. Il progetto è destinato ad alimentare un’industria di alluminio, che consuma già la maggior parte di energia del Cameron.
E tutto quell’alluminio non serve di certo al Cameron. Magari servirà per le lattine delle nostre bibite. Soluzioni migliori esistono già. In questi ultimi dieci anni a livello mondiale i governi e gli investitori privati hanno prodotto più energia dall’eolico che dalle dighe. Anche il solare ha reso più degli investimenti idroelettrici. Queste due fonti di energia sono più efficaci delle dighe per rifornire l’Africa sub sahariana. L’agenzia Internazionale dell’Energia ha dimostrato che l’elettrificazione in rete ottenuta dai grandi progetti idroelettrici non è efficace per le zone rurali, che non sono densamente popolate. Sono efficaci invece le energie rinnovabili e decentrate. Queste presenterebbero il triplo beneficio di aumentare l’accesso all’energia, proteggere l’ambiente e non incentivare il cambiamento climatico. L’Agenzia raccomanda che più del 60% dei fondi siano investiti nelle energie rinnovabili. Ma la Banca Mondiale tra il 2007 e il 2012 ha accordato 5,4 miliardi di dollari per le dighe contro  2 miliardi complessivi per eolico e solare. Il programma si concentra sempre su progetti di grandi opere idrauliche. Ne sorgeranno anche in Nepal, nella fragile regione dell’Himalaya, con l’obiettivo di esportare l’energia in India. E in Italia? Il nostro territorio fortemente antropizzato non consente di realizzare progetti di grande portata ed è ormai finita l’era delle dighe che, complice lo sviluppo industriale ed economico, sono state realizzate in gran parte dagli anni 50’ alla fine degli anni 90’. Ma se nel nostro paese non ci sono più vallate e fiumi da sfruttare in maniera massiccia, le aziende del settore non stanno con le mani in mano. Infatti Enel collabora nella costruzione di grandi dighe nel mondo a discapito di popoli indigeni e di patrimoni naturalistici, come nel caso degli enormi impianti da realizzare in Cile e in Guatemala. Se l’acqua è un diritto per tutti i cittadini del mondo, ne consegue che nessuno dovrebbe avere il diritto  di sciuparla, deviarla, imbrigliarla nel nome del profitto monetario ed energetico; ma si sa, in questi tempi di globalizzazione i diritti degli alberi, dei popoli primitivi e dei fiumi sono sempre meno considerati, soprattutto da istituzioni il cui scopo è salvaguardare e incrementare ad ogni costo i profitti dei potenti, come la Banca Mondiale .

Fonte dei dati   “L’ecologiste”.

Tratto: il cambiamento

Acqua e Comunità
€ 13

Grandi Opere
€ 12.9

65 MILIONI DI EURO PER PROGETTI NEI SETTORI DELL’EFFICIENZA ENERGETICA

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A disposizione delle aziende e degli enti dei Paesi membri ci sono 65 milioni di euro per progetti nei settori dell’efficienza energetica (15,6 milioni), del risparmio energetico nei trasporti (9,6 milioni) e delle energie rinnovabili (12,5 milioni). Altri 27,2 milioni di euro sono invece destinati alle iniziative integrate, relative a più settori. Il Programma europeo EIE crea le condizioni migliori per un’energia più sostenibile in settori diversi come le energie rinnovabili, l’efficienza energetica negli edifici, l’industria, i trasporti e i prodotti di consumo, è aperto a tutti gli Stati membri dell’Unione europea, più Norvegia, Islanda, Liechtenstein, Croazia e l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia. L’importo concesso sarà fino al 75% dei costi totali ammissibili. La durata massima del progetto è di 36 mesi. I progetti dovranno essere presentati da almeno 3 soggetti pubblici o privati, provenienti da 3 diversi Paesi. La scadenza per l’invio delle domande è fissata all’8 maggio 2013.
Energia Intelligente per l’Europa prevede azioni nei seguenti settori:
– Efficienza energetica e uso razionale delle risorse energetiche (SAVE), tra le cui azioni rientra il miglioramento dell’efficienza energetica e l’uso razionale dell’energia nelle costruzioni e nell’industria;
– Fonti di energia nuove e rinnovabili (ALTENER);
– Energia e trasporti (STEER);
– Iniziative integrate composta da due o più dei suddetti settori specifici o relative ad alcune priorità dell’UE.
Azioni specifiche per l’efficienza energetica negli edifici. rientrano anche nell’ambito delle iniziative integrate. Per il 2013 sono proposte le seguenti quattro iniziative integrate:
– efficienza energetica e uso di energie rinnovabili negli edifici;
– BUILD UP Skills, Sustainable Initiative Workforce Building, programma per la formazione e la qualificazione degli operatori nel settore dell’efficienza energetica e delle energie rinnovabili;
– leadership locale dell’energia;
– attivazione di investimenti energetici locali.
Fonte: blog