Il petrolio low cost non sarà letale per solare ed eolico

Secondo Adam Sieminski, direttore dell’Energy Information Administration, l’abbassamento del costo del greggio non sta danneggiando la filiera delle rinnovabili, come molti sostengono. Il petrolio low cost, frutto del mercato nero creato dallo Stato Islamico, sarebbe sul punto di fare piazza pulita delle energie rinnovabili, questo è ciò che sostengono numerosi analisti, ma Adam Sieminski, direttore dell’Energy Information Administration, ha dichiarato durante un incontro svoltosi al Christian Science Monitor che il petrolio non è in diretta concorrenza con le fonti rinnovabili per quanto riguarda la produzione di energia elettrica. Ieri, a Londra, il greggio ha raggiunto il prezzo di 49,04 dollari al barile e una cifra del genere non può non seminare il panico e danneggiare, almeno temporaneamente, un mercato che, per forza di cose, è complementare a quello di risorse fossili e finite. Secondo il capo analista dell’energia del Governo statunitense insomma non c’è da temere perché il Governo Usa sta continuando a sostenere attraverso incentivi fiscali e programmi di energia statali che prevedono una determinata quota di percentuale di energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili. Nel 2014 l’energia solare è raddoppiata grazie al calo del prezzo dei pannelli solari e agli incentivi, ma complessivamente (ed escludendo l’energia idroelettrica) la produzione da fonti rinnovabili rappresenta il 6% del totale. La produzione dell’energia elettrica negli usa viene prevalentemente da carbone e gas naturale e secondo Sieminski anche con il greggio al minimo storico non ci saranno conseguenze su solare ed eolico. A essere danneggiate potrebbero essere soprattutto le autovetture elettriche e ibride. Le grandi autovetture stanno tornando a essere popolari fra i consumatori statunitensi, anche se fra le giovani generazioni c’è una certa resistenza a questo tipo di autovetture di grande cilindrata. A sostegno di un minore consumo di benzina ci sono anche le politiche di sostegno alle vetture elettriche e al car pooling, iniziative che in Italia – dove si aumenta l’Iva sul pellet e si tolgono gli incentivi al fotovoltaico – sono fantapolitica.158201369-586x380

Fonte:  The Guardian

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Ispra e Federambiente, on line il Rapporto sul Recupero Energetico da rifiuti urbani in Italia

A livello nazionale gli impianti di trattamento termico di rifiuti di origine urbana sono 45, con una capacità nominale complessiva pari a 21.969,8 t/g. La produzione di energia elettrica ha raggiunto, nel 2013, 4.193 GWh mentre la produzione di energia termica è stata di 1.508 GWh. I punti salienti del rapporto (fonte Arpat News) e il documento completo381520

Federambiente ed ISPRA hanno realizzato congiuntamente il “Rapporto sul recupero energetico da rifiuti urbani in Italia”. I dati sono stati raccolti attraverso l’invio agli operatori presenti sul territorio nazionale di un apposito questionario, integrato,ove necessario, da interviste telefoniche e richieste di ulteriori informazione e/o chiarimenti.
A livello nazionale gli impianti di trattamento termico di rifiuti di origine urbana sono 45 (vedi elenco impianti) con una capacità nominale complessiva pari a 21.969,8 t/g, la capacità termica risulta pari a 3.044,6 MW mentre la potenza elettrica installata è pari a 847,8 MW. Di seguito, in sintesi, quanto emerge, dal rapporto.
Una parte consistente degli impianti censiti (21 su 45) presenta una capacità di trattamento piuttosto ridotta, non superiore alle 300 t/g. La capacità nominale media di trattamento dell’ intero parco su base annua risulta di circa 161.000 tonnellate, corrispondenti a quasi 490 t/g

Distribuzione impianti per capacità di trattamento

L’ apparecchiatura di trattamento termico di più larga diffusione è costituita dai combustori a griglia che rappresentano l’84% per numero di linee installate (74 su 88) e l’ 87% in termini di capacità nominale di trattamento. Il resto è suddiviso tra il letto fluido (10 linee, pari al 10,8% in termini di capacità nominale di trattamento) e 4 linee a tamburo rotante.
Tipi di trattamento termico

Il recupero energetico viene effettuato nella totalità degli impianti e prevede in tutti i casi la produzione di energia elettrica. La produzione di energia termica è effettuata nell’ ambito di uno schema di funzionamento cogenerativo (produzione combinata di energia elettrica e termica), su base principalmente stagionale, e riguarda solo 13 impianti, tutti situati nel Nord Italia. La potenza elettrica installata è pari a circa 848 MW
Per quanto riguarda il trattamento dei fumi, finalizzato alla rimozione delle polveri e dei gas acidi, si rileva che i sistemi maggiormente diffusi sono quelli di tipo “a secco” e quelli di tipo “multistadio”, adottati rispettivamente in 43 e 37 delle 88 linee di trattamento complessive; il sistema a secco rimane prioritario, con il 58,4%, anche in termini di capacità di trattamento. Le rimanenti 8 linee sono interessate dal sistema a semisecco.
In tema di controllo degli ossidi di azoto la riduzione selettiva non catalitica (SCNR) all’ interno del generatore di vapore rappresenta il sistema più utilizzato (42 linee su 88). Tuttavia i sistemi di riduzione catalitica (SCR), attualmente installati in 19 impianti per un totale di 31 linee di trattamento, prevalgono in termini di capacità di trattamento con il 44%. Si rileva anche l’adozione in 14 linee di sistemi combinati SNCR + SCR per una capacità di trattamento pari al 24%.
L’ammoniaca viene rilevata al camino nella maggior parte degli impianti e in almeno 39 impianti tale inquinante è oggetto di monitoraggio in continuo. La rimozione dei microinquinanti organici ed inorganici viene per lo più effettuata tramite adsorbimento su carboni attivi, di norma iniettati assieme al reagente alcalino. In accordo con quanto previsto dalla legislazione, la rilevazione di tali inquinanti viene fatta tramite campionamento periodico. In base alle informazioni raccolte, almeno 16 impianti effettuano il monitoraggio in continuo del mercurio, 25 impianti effettuano il campionamento in continuo delle diossine, la cui determinazione analitica viene sovente effettuata con frequenze molto superiori a quelle minime previste dalla normativa, infine almeno 30 sono gli impianti che effettuano rilevazioni periodiche dei PCB.
In termini di emissioni in atmosfera tutti gli impianti rispettano i valori limite fissati dalla legislazione per gli impianti di incenerimento, talvolta anche più restrittivi, sebbene 17 impianti risultino autorizzati come impianti di coincenerimento.
Per quanto riguarda il quantitativo totale di rifiuti trattati, esso è stato nel 2013 pari a circa 5,81 milioni di tonnellate (+67% rispetto ai livelli del 2003). I rifiuti trattati sono costituiti da RU indifferenziati (44%) e da flussi da essi derivati (frazione secca e CSS) (49%) e, in misura minore, da rifiuti speciali (7%), che comprendono anche i rifiuti sanitari e le biomasse.
Tipologia e quantitativi di rifiuti trattati

La produzione di energia elettrica ha raggiunto, nel 2013, 4.193 GWh, con un incremento del 32% rispetto ai 3.172 GWh registrati nel 2009, mentre la produzione di energia termica è stata di 1.508 GWh, con un aumento del 56% circa rispetto ai 965 GWh del 2009.

Per leggere il rapporto completo clicca qui.

Fonte: ecodallecitta.it

 

Nucleare sempre più caro in Francia nonostante gli sforzi di Ségolène

La Corte dei Conti francese prevede che il costo del nucleare, che rappresenta i tre quarti dell’energia elettrica nazionale, aumenterà fortemente a causa degli investimenti per la manutenzione del vecchio parco dei reattori.

Non si tratta certo di una buona notizia per la Francia che ha messo quasi tutte le sue uova (75%) nel paniere nucleare. Secondo la Corte dei Conti francese (lo riporta Le Figaro, non certo sospettabile di simpatie ambientaliste) il costo dell’energia prodotta dall’Uranio dovrà aumentare fortemente a causa degli importanti investimenti ormai necessari sul vecchio parco reattori: 33 su 58 hanno più di trent’anni (fonte database PRIS).
Il costo medio è già cresciuto del 20% tra il 2010 e il 2013, da 50 a 60 euro al MWh. Nonostante le promesse del nuovo ministro dell’ambiente Ségolène Royal di voler stabilizzare il prezzo dell’energia nei prossimi tre anni, la Corte ritiene che l’aumento sarà dovuto soprattutto (+118%) ai massicci investimenti necessari per prolungare la vita dei reattori attuali oltre lo standard di 40 anni; si parla di qualcosa come 90 miliardi di € da qui al 2030, quindi assai più dei 55 stimati da Electricité de France. E’ da notare che con questa cifra si potrebbero installare  circa 90 GW di eolico che potrebbe sopperire a circa un terzo dell’attuale produzione di energia elettrica (1). Un peso minore, ma non trascurabile è dato dall’aumento dei costi dell’Uranio, del personale, della logistica ecc. La nuova centrale EPR in costruzione a Flamanville sta viaggiando con 4 anni di ritardo e finirà con il costare 8,5 miliardi di €, cioè il triplo del budget iniziale.FRANCE-NUCLEAR-ENVIRONMENT-ENERGY-EDF-GREENPEACE

(1)  Il costo indicativo dell’eolico è di circa 1€ al watt.Con 90 GW si potrebbero produrre indicativamente 180 TWh ogni anno; si tratta di uno scenario realistico, dal momento che il potenziale eolico francese è pari a circa 560 TWh/anno

 

Fonte: ecoblog.it

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Effetto rinnovabili in Germania: miniera non scavata e centrale nucleare chiusa in anticipo

La Renania Westphalia rinuncia ad estrarre un quarto delle risorse della miniera di Garzweiler II ed E.ON chiuderà in anticipo la centrale nucleare di Grafenrheinfeld. In entrambi i casi il basso costo dell’energia indotto dalle fonti rinnovabili non rende più competitivo né il carbone, nè l’Uranio.

Perla prima volta dall’inizio della rivoluzione industriale, in Germania è stato deciso di lasciare del carbone sottoterra: il governo della Renania Settentrionale Westphalia ha infatti deciso di non estrarre 300 Mt di lignite dalla miniera di Garzweiler, 20 km a sud ovest di Düsseldorf.  La lignite è un carbone di minore qualità e di elevate emissioni di CO2, usato solo per la produzione di energia elettrica. Come si vede dall’immagine qui sotto,m si tratta di una miniera a cielo aperto. Il lotto già sfruttato di Garzweiler I occupa 66 km², mentre la realizzazione di Garzweiler II avrebbe richiesto la devastazione di altri 48 km² di suolo agricolo, lo spostamento di due autostrade e la “rimozione” di cinque centri abitati in cui vivono oltre 1400 persone. Ora i progetti di sviluppo della miniera sono stati ridotti del 25% circa. La causa? La diminuzione del costo dell’elettricità, che a causa dell’incremento delle fonti rinnovabili è ormai sempre più spesso sotto i 4 centesimi al kWh, non rende più economicamente vantaggiosa l’operazione di estrazione e potrebbe ridurre il numero di centrali a carbone in progetto. Per lo stesso motivo, la chiusura della centrale nucleare di Grafenrheinfeld, inizialmente prevista per la fine del 2015, verrà anticipata di sette mesi, al maggio 2015. In  un secco comunicato, l’azienda E.ON che gestisce l’impianto fa sapere che non avrà vantaggi economici a condurre l’impianto fino al suo termine naturale a causa dei bassi profitti e della sovrattassa prevista per le operazioni di ricarico del combustibile. Questa rivoluzione inizia ad avvenire in Germania con una produzione rinnovabile che per ora è solo un quinto del totale; la grande produzione fotovoltaica nelle ore di picco di consumo ha già portato il prezzo delle ore di picco ad essere più basso di quello del carico di base. Ogni pala eolica e ogni pannello fotovoltaico sono un chiodo in più sulla bara del carbone e del nucleare. I sostenitori dell’energia fossile e centralizzata dovranno farsene una ragione.

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Fonte: ecoblog.it

 

Kenya, metà dell’energia dal fotovoltaico entro il 2016!

Il governo intende investire un miliardo di € nel fotovoltaico. Ci sono inoltre ottime prospettive per l’eolico e la geotermia. Il Kenya potrebbe così diventare il leader delle rinnovabili in Africa.Kenya-renewables

La produzione di energia elettrica del Kenya è talmente ridotta (meno di 10 TWh con 1,5 GW di potenza), un trentesimo dell’Italia, pur avendo due terzi della popolazione) che la BP non lo considera nemmeno nelle sue statistiche. Eppure le cose potrebbero cambiare rapidamente. Il governo kenyota è fortemente determinato a costruire nove grandi impianti fotovoltaici, in modo da portare al 50% la quota di energia elettrica prodotta con il solare entro il 2016 con un finanziamento di circa un miliardo di €, che verranno raddoppiati nella partnership con il privato. Come in Etiopia, esistono anche ottime prospettive per l’energia geotermica (vedi video in fondo al post): dopotutto qui l’attività vulcanica è tutt’altro che trascurabile. La speranza è fare crescere gli attuali 200 MW fino a 5 GW nei prossimi vent’anni. Inoltre il Kenya ospita il più grande parco eolico africano, 300 MW nei pressi del lago Turkana, proprio quello dove sono stati ritrovati alcuni dei nostri antenati, tra cui il cosiddetto “ragazzo del Turkana” di 1,5 milioni di anni fa. La vendita di lampade a LED off grid alimentare  ad energia solare è cresciuta del 120% lo scorso anno. Insomma, il Kenya rinnovabile sta letteralmente esplodendo; inoltre ha la grande fortuna di non avere risorse di petrolio degne di nota e quindi nessuna lobby fossile che possa disturbare il suo sereno sviluppo.eolico-turkana

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fonte: ecoblog

Consumi elettrici: nel 2013 sono calati del 3,4%. In crescita eolico e fotovoltaico

Terna pubblica i dati provvisori sul consumo elettrico nazionale del 2013. La flessione su base annua è stata del 3,4%, la più significativa di inizio secolo dopo il crollo del 2009. Cresce la produzione di energia elettrica da fotovoltaico ed eolico377704

Per il secondo anno consecutivo il consumo di elettricità in Italia fa registrare un segno meno. I primi dati provvisori elaborati da Terna sul fabbisogno di energia elettrica nell’anno appena concluso fanno segnare una flessione del 3,4% rispetto al 2012, che a sua volta aveva chiuso con un calo dell’1,9% sul 2011. In termini generali si tratta del calo più consistente da inizio secolo dopo quello del 2009, quando il decremento sull’anno precedente fu pari al 5,7%. Il totale dell’energia richiesta in Italia nel 2013 ammonta a 317,1 miliardi di kilowattora. In minima parte ha influito il calo delle giornate lavorative (il 2012 è stato un anno bisestile), ma anche tenendo conto di questo elemento resta una flessione “netta” del 3,1%. A livello territoriale le flessioni più consistenti si registrano in Sardegna(-16,4%) e nella macroarea del Nord-Ovest (-7,8%) che include Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta. Secondo le prime stime, nel 2013 la domanda di energia elettrica è stata soddisfatta per l’86,7% con produzione nazionale (di cui 56,8% termoelettrica, 16,5% idroelettrica, 1,7% geotermica, 4,7% eolica e 7,0% fotovoltaica) e per la quota restante (13,3%) dal saldo dell’energia scambiata con l’estero. In dettaglio, la produzione nazionale netta (277,4 miliardi di kWh) è in diminuzione del 3,6% rispetto al 2012. In aumento le fonti di produzione idroelettrica (+21,4%), fotovoltaica(+18,9%), eolica (+11,6%) e geotermica (+1,0%); in calo invece la fonte termoelettrica (-12,0%). Per quanto riguarda invece il mese di dicembre 2013, la quantità di energia elettrica richiesta in Italia, pari a 26,1 miliardi di kWh, ha fatto registrare una flessione del 2,2% rispetto a dicembre dello scorso anno. Gli effetti di temperatura e calendario in qualche modo si bilanciano, dal momento che c’è stata una giornata lavorativa in più, ma la temperatura media mensile è stata di circa un grado e mezzo superiore. I 26,1 miliardi di kWh richiesti nel mese di dicembre 2013 sono distribuiti per il 45,5% al Nord, per il 29,0% al Centro e per il 25,5% al Sud. A livello territoriale, la variazione della domanda di energia elettrica di dicembre 2013 è risultata ovunque negativa: -2,5% al Nord, -1,8% al Centro e -2,1% al Sud. Nel mese di dicembre 2013 la domanda di energia elettrica è stata soddisfatta per l’86,3% con produzione nazionale (-1,8% della produzione netta rispetto a dicembre 2012) e per la quota restante (13,7%) dal saldo dell’energia scambiata con l’estero (-5% rispetto a dicembre 2012). In dettaglio, la produzione nazionale netta (22,7 miliardi di kWh) è calata dell’1,8% rispetto a dicembre 2012. In particolare, è ancora in crescita la fonte di produzione fotovoltaica (+27,1%) mentre risulta in flessione la fonte eolica (-36,9%). Sostanzialmente invariate le fonti idrica e termica.

 

Scarica il rapporto mensile di Terna [0,96 MB]

Rapporto mensile sul sistema elettrico. Consuntivo dicembre 2013 – Terna

 

Fonte: ecodallecittà

Global warming, le emissioni USA di metano tra il 50 e il 70% in più di quelle dichiarate

Secondo un recente studio pubblicato su PNAS, le emissioni di gas serra negli USA non si sono ridotte, perchè il metano immesso in atmosfera è dal 50 al 70% in più di quanto dichiarato ufficialmente. I responsabili sono il settore zootecnico e le estrazioni di shale gas da fracking.Emissioni-metano-USA

Viene spesso ripetuto come un mantra: grazie allo shale gas da fracking, le emissioni di gas serra si sono ridotte negli USA, perchè ora si utilizza più gas e meno carbone nella produzione di energia elettrica (1). Questa affermazione è assolutamente falsa per due motivi: in primo luogo, gli USA hanno più che raddoppiato le loro esportazioni di carbone tra il 2005 e il 2011 da 50 a 108 Mt. Ora sono semplicemente altri a “sporcarsi le mani” bruciando il carbone. In secondo luogo, e questo è il dato più preoccupante, secondo uno studio appena pubblicato su PNASle emissioni di Metano sono molto più alte di quanto dichiarato ufficialmente(2) La differenza non è da poco: si tratta di 33,4 milioni di tonnellate di carbonio equivalente all’anno (3), cioè il 50% in più delle 22 Mt dichiarate dall’EPA (Environment Protection Agency) e il 70% in più rispetto alle valutazioni di EDGAR (Emissions Database for Global Atmospheric Research). Lo studio, sviluppato da quindici ricercatori di una decina di università americane, ha individuato due importanti settori in cui le emissioni sono sottostimate: la zootecnia e proprio lo shale gas. Le emissioni gastroenteriche bovine e da letame sono circa il doppio di quanto dichiarato, mentre le perdite di metano nell’industria estrattiva dello shale gas sono significativamente più alte, soprattutto nel sud degli States, dove raggiungono valori quasi tripli rispetto agli inventari ufficiali. Non si tatta solo di perdite accidentali lungo la linea, ma anche di sfiati intenzionali(venting), necessari per ridurre la pressione negli impianti, poco adeguati alla crescita tumultuosa avvenuta negli ultimi anni. Questo studio è di grande importanza, perchè mostra che gli sforzi degli USA per le mitigazioni climatiche sono ancora del tutto insufficienti e che l’amministrazione Obama dovrebbe percorrere con maggiore coraggio la strada delle energie rinnovabili.

(1) Tra il 2005 e il 2012 la quota del carbone nel mix elettrico è calata dal 50% al 40% e il gas è cresciuto dal 19% al 30%. Questa tendenza potrebbe però invertirsi nel 2013 e 2014.

(2) Il Metano ha un global warming potential di circa 21 su un arco di 100 anni, cioè ogni grammo di metano in un secolo ha un impatto sul clima pari a quello di 21 grammi di CO2.

(3) Una t di carbonio in atmosfera equivale a 44/12=3,67 t di CO2

Fonte: ecoblog.it

Fonti rinnovabili, il sud deve contare di più nella geopolitica dell’energia

In 10 anni il sud Italia ha enormemente aumentato la propria produzione di energia rinnovabile ed ora rifornisce il resto dello stivale con oltre 13 TWh all’anno. Per questo il sud dovrebbe essere “ricompensato” con opportuni (e ben controllati!) investimenti per migliorare la qualità della vita.Fabbisogni-e-flussi-di-EE-in-Italia-586x320

In 10 anni molto è cambiato nella produzione di energia elettrica n Italia, anche a livello regionale. Il Sud con le isole, che nel 2003 produceva 88 Twh (31% del totale nazionale), oggi è a 116 TWh (38%). Come si vede dalle due mappe qui sopra, tratte dai rapporti mensili di Terna, poiché in questi anni i consumi meridionali sono cambiati di poco, ora c’è un abbondante flusso di energia dal sud al centro Italia: 9,1 TWh nei primi 8 mesi del 2013, circa 13 TWh su base annua. Poichè i consumi nell’Italia centrale sono anch’essi cambiati di poco, questa “importazione” di energia è andata a compensare un calo nella produzione termoelettrica pari a circa 17 TWh, mentre al sud la produzione da fonti fossili è rimasta invariata. In base a questi dati, vengono spontanee due domande, che Bertolt Brecht avrebbe definito da “lettore operaio”:

Primo: in che modo il Sud viene “ricompensato” dal fatto di contribuire in misura maggiore di prima al “funzionamento” dell’Italia? Non dovrebbe contare un po’ di più nella geopolitica dell’energia? C’è qualcuno che lo sta dicendo pubblicamente? (1)

Secondo: chi ha deciso che la minore produzione termoelettrica (con relativo inquinamento) dovesse avvenire solo in centro Italia e non anche al sud? Perchè il sud (Taranto in testa) non dovrebbe beneficiare anch’essa della miglioramento della qualità dell’aria?

(1) Chi scrive è nato, vive e lavora al nord, per cui non può essere sospettato di campanilismo.

Fonte: ecoblog