La Milpa: l’orto collettivo “senza regole” dove si apprende coltivando insieme.

Si dice che l’orto del vicino è sempre più verde. Ma se non ci fossero vicini? E se non ci fossero neanche orari da rispettare e regole da seguire… si potrebbe far funzionare un progetto? Oggi vi portiamo a Piasco, nella splendida cornice della Val Varaita, proprio sotto il Monviso. Qui sorge la Milpa, un orto collettivo che ci dimostra che tutto questo è possibile e che il lavoro della terra, se condiviso, può portare splendidi frutti. Potremmo definirlo un progetto agricolo ma anche un laboratorio sociale dove sperimentare il lavoro condiviso e dove le ricchezze che la terra offre vengono divise tra tutti. Si chiama La Milpa ed è un orto collettivo che sorge a Piasco, un piccolo paese nella provincia di Cuneo. La sua peculiarità? È quella di essere senza regole! Qui si lavora assieme senza divisione di spazi, non ci sono orari prefissati e si apprende dall’esperienza collettiva. E ciò che è coltivato viene diviso non secondo il lavoro impiegato ma secondo le necessità di ognuno. Può sembrare incredibile, ma questo è il vero segreto del suo successo. Milpa, in nāhuatl, lingua originaria della popolazione azteca, significa “il posto dove si coltiva”. Ed è proprio dalla tradizione azteca che nasce il suo senso più profondo: «sei un tutt’uno con la natura, con la Madre Terra e prendendoti cura di lei stai pensando non solo a te stesso ma a chi verrà dopo di te». Sono queste le parole di Walter Vassallo, membro del progetto, che incontriamo all’interno dell’orto, tra le piante di mais in attesa di essere raccolte e le voci allegre di chi, accanto a noi, si prende cura degli ortaggi.

«Ci sono due cose che bisogna abbandonare se vieni a far parte del nostro orto collettivo: il possesso di un pezzo di terra e l’idea che se coltivo più di te ho il diritto a raccogliere più di te». Queste non-regole rispondono a un principio di equità e condivisione, per non lasciare indietro nessuno: alla Milpa non c’è chi dà ordini e chi li riceve, non ci sono ruoli da seguire, turni e orari prestabiliti… tutto funziona secondo un equilibrio perfetto e, come ci racconta Walter, non c’è stato un singolo giorno in cui l’orto sia stato abbandonato. È chiaro infatti che tante regole non assicurano necessariamente la buona riuscita di un progetto e che anche dal caos, se c’è rispetto per il prossimo, il risultato è assicurato.

«Qui ognuno è libero di venire e lavorare quando riesce». Proprio come nel caso della raccolta dei pomodori, di cui l’associazione coltiva circa un centinaio di tipologie. «Quando abbiamo un surplus di pomodori, decidiamo di fare la passata, grazie all’aiuto delle persone che quel preciso giorno hanno tempo a disposizione. Accendiamo i fuochi, cuociamo insieme, imbottigliamo». E l’aspetto più bello è che chi non si è potuto unire alla raccolta troverà comunque delle bottiglie di salsa ad aspettarlo. Perché, come ci racconta Walter, «la passata è per tutti» e proprio per questo il risultato di un lavoro si divide, senza esclusioni.

«Per noi non esiste una vera suddivisione dei nostri prodotti, ognuno ne prende il quantitativo di cui pensa di averne bisogno e la cosa più bella è che in tutti questi anni non abbiamo mai trovato qualcuno che ne ha approfittato. C’è tra noi un grande rispetto».

Il valore aggiunto è poi dato da una “inesperienza” iniziale che si trasforma passo dopo passo in una crescita collettiva. «Penso che molti gruppi e associazioni abbiano al loro interno delle persone che si sentono leader ma alla Milpa questo non succede. Quasi nessuno di noi è contadino o agricoltore e non essendoci “esperti”, ci sentiamo tutti allo stesso livello, condividiamo risultati personali per apprendere gli uni dagli altri».

Alla Milpa il tempo scorre all’insegna delle stagioni e del movimento giornaliero del sole. Durante la giornata giungono persone che hanno piacere a condividere un momento in compagnia, c’è chi arriva per rilassarsi e trascorrere del tempo nella solitudine della natura, o ancora, chi sceglie questo posto per staccare da una lunga e stressante giornata di lavoro. «Qui zappiamo insieme e coltiviamo insieme, poi creiamo momenti di socialità, facciamo una gita, produciamo la marmellata, chiacchieriamo, raccogliamo le erbe spontanee o organizziamo una festa insieme». Alla Milpa non ci si annoia mai perché l’entusiasmo è di casa. Agli esordi il gruppo contava sei componenti, sul suo percorso si sono poi uniti diversi compagni di avventura e attualmente raggiunge una trentina di volenterosi tra i quali maestre, psicologi, elettricisti, idraulici, fuochisti. Una varietà di diverse professionalità pronte a scambiare saperi e momenti di convivialità. «In questi anni abbiamo fondato un’associazione che è iscritta al welfare e alla fragilità sociale, che si chiama “Spazio Vitale”. Quando c’è stato il lockdown, il surplus dell’orto lo abbiamo sempre dato alle persone che non arrivavano a fine mese».

Di certo gli ampi spazi aiutano a realizzare questo sogno. «Il terreno che occupiamo è di 2500 mq. In alcuni momenti dell’anno c’è un surplus di produzione molto grande, probabilmente per trenta persone si potrebbe coltivare in molto meno spazio ma per noi più spazio significa che nel tempo possa unirsi molta più gente. E molti dei volontari attualmente presenti hanno scelto la Milpa proprio perché non c’era gusto a coltivare da soli se si può coltivare in compagnia. Insomma, quella della Milpa è una grande famiglia dove le uniche regole sono quelle della solidarietà, del buonsenso, della condivisione. Si tratta di orto collettivo ma al suo interno c’è molto di più. Si possono trovare un bar, un palco, servizi con compost toilet, una doccia solare, un tendone per lo svolgimento di attività collettive, dove condividere momenti di socialità alternandoli al lavoro di coltivazione e raccolta. Tra i momenti più belli dell’anno ci vengono raccontate le feste de “La Milpa Sonora”, dove si organizzano concerti o la “Festa del Mais” durante la quale, dopo la raccolta, segue un momento di ringraziamento e di buoni propositi per l’anno nuovo, per poi trovarsi tutti insieme a cantare e ballare, celebrando la natura e la condivisione. Non c’è occasione migliore per coinvolgere persone che giungono da ovunque per prendere parte a questo momento di felicità condivisa e che, da quattro anni, celebra tutta la bellezza della vita alla Milpa.

Guarda l’intervista integrale

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/10/milpa-orto-collettivo-senza-regole-dove-apprende-coltivando-insieme/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Il mercatino di Let Eat Bi – Il frutteto di Bersej

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Ogni mercoledì al mercatino di Cittadellarte produttori locali mettono in vendita le loro specialità: prodotti naturali, del territorio e di stagione. Iniziamo in collaborazione con il Journal di Cittadellarte un viaggio alla scoperta dei partner di Let Eat Bi. La prima tappa di questo percorso vede protagonista il Frutteto di Bersej, azienda di Portula (BI), che produce confetture, succhi, canestrelli e prodotti trasformati dalla frutta. Colori, gusto, luce, territorio: entrando alla casetta di paglia di Cittadellarte è impossibile non rimanere colpiti dalla varietà di prodotti presenti, tra frutta, verdura e molte specialità locali in risalto. I sensi si attivano attraverso i profumi emanati dagli articoli presenti, le varietà cromatiche della merce attirano gli sguardi e gli assaggi danno un’anticipazione dei sapori. Si assiste così a uno spettacolo che ha come attori protagonisti i produttori locali, presenti per illustrare ai clienti le unicità dei loro prodotti e la storia delle proprie attività. Il copione, seguito da tutti, è quello del “mangiare sano”. Questo è il mercatino dell’associazione Let Eat Bi, che dal 2015 è un punto vendita settimanale con raccolti e ortaggi di stagione, locali e naturali. Al centro di questo speciale mercatino si trovano quindi le aziende agricole partner, che mettono in vendita non solo le materie prime delle rispettive coltivazioni, ma anche i prodotti trasformati, come succhi di frutta o confetture. Un progetto che è uno dei punti cardine del sodalizio stesso: Let Eat Bi, avviato insieme a una fitta rete di partner tra associazioni, cooperative, imprese sociali e comunità territoriali, coniuga coltura, cultura e convivialità, ponendo particolare attenzione all’inclusione sociale e al legame col territorio. Let Eat Bi, inoltre, è sempre aperto a nuove collaborazioni con i produttori del territorio (in particolare chi propone frutta e verdura naturali), per offrire loro uno spazio al mercatino, arricchendolo così con nuove specialità locali.

Inizia ora, con questo articolo, la prima tappa del viaggio alla scoperta dei partner Let Eat Bi che tutti i mercoledì mettono in vendita le proprie specialità. Alziamo il sipario con Il Frutteto di Bersej, azienda agricola di Portula (BI) situata in Frazione Granero. Ai nostri microfoni il titolare Agostino Fecchio ha illustrato la storia della sua attività e svelato le particolarità dei suoi prodotti: “Mia moglie Chiara ed io – esordisce Agostino – abbiamo ereditato da mio suocero il frutteto. Lo abbiamo rilevato anche se non eravamo agricoltori provetti e agli inizi, nel 2008, abbiamo fatto fronte a una produzione esagerata di mele; non sapevamo come smaltirle e la soluzione fu preparare una grande quantità di succhi”. Nel tempo, l’attività nata per caso è diventata un impiego: “Considerando anche la crisi lavorativa – continua il titolare – decidemmo di aprire ufficialmente l’azienda nel 2012. Iniziammo così le prime vendite nei mercatini”.il-mercatino-di-let-eat-bi-il-frutteto-di-bersej-1525340806

Quali prodotti propongono? “Ci occupiamo – spiega Agostino – della trasformazione della frutta e prepariamo confetture e chutney. Per le nostre marmellate, ci ispiriamo alle ricette di Bianca Rosa Zumaglini, scrittrice biellese conosciuta per i suoi libri di cucina. Lavoriamo con tutta la nostra frutta: pere, prugne, ciliegie, mirtilli, ribes, more e lamponi. Dalle mele, in particolare, ricaviamo l’aceto, i succhi e le vendiamo disidratate”. Altro prodotto di punta sono proprio i succhi di frutta: “Sono – continua il titolare – interamente naturali, quello alla mela, pastorizzato, è fatto solamente col frutto spremuto. Quelli agli altri gusti hanno soltanto il 5 per cento di zucchero di canna”. Un altro fiore all’occhiello dell’azienda è il canestrello: “È l’unico prodotto da forno – prosegue Agostino – che produciamo. Sono biscotti realizzati con un’antica ricetta di Crevacuore che risale addirittura al tardo Medioevo. I canestrelli piemontesi sono realizzati diversamente, quelli che vendiamo sono fatti con specifici ingredienti: la nostra farina integrale, il cacao dolce e amaro, il burro, lo zucchero, il vino rosso, il rum e le spezie”.il-mercatino-di-let-eat-bi-il-frutteto-di-bersej-1525340776

Tutti i prodotti de “Il Frutteto di Bersej”, come accennato, sono naturali e realizzati senza l’aggiunta nessun tipo di prodotto chimico sul campo. “Questo lavoro – prosegue – è diventato, nel tempo, una passione. Quando ti trovi in un ambiente sereno, dove la natura ha tanto da offrirti, è facile essere incentivati a dare il meglio. Le collaborazioni, inoltre, ci hanno aiutato a crescere. Collaboriamo, infatti, con Slow Food Biella e Slow Food Valsesia e, da ottobre 2017 con Let Eat Bi. È proprio grazie alla partnership con quest’ultima associazione che i mercoledì proponiamo i nostri prodotti al mercatino. Siamo diventati partner di Let Eat Bi visto che ne condividiamo la filosofia di rispetto della natura, di incremento e sviluppo di piccoli produttori che si occupano del territorio in maniera naturale”. L’intervistato conclude con un pensiero: “Ringrazio mia moglie Chiara che ha creduto fortemente in questo progetto fin dall’inizio. Ci suddividiamo il lavoro: io mi occupo parte manuale, come il torchio delle mele o la produzione delle marmellate; lei, invece, segue la cottura dei prodotti”.

Un grande team che, con passione, trasforma quotidianamente la propria frutta creando delle eccellenze naturali e salutari; sapori che possano ispirare nel territorio un nutrimento responsabile, sano e sostenibile.

Fonte: http://piemonte.checambia.org/articolo/il-mercatino-di-let-eat-bi-il-frutteto-di-bersej/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Forno Cappelletti: il pane, come si faceva una volta

È stato intrapreso nel 1979 il percorso che ha portato Maurizio e Claudio a proporre solo prodotti naturali e biologici, accorciando la filiera e fornendo i negozi alimentari del territorio in linea con gli stessi principi e valori del Forno Cappelletti, che prepara il pane proprio come si faceva una volta. È ancora possibile offrire al territorio un pane genuino, fresco e sano? Osservando il Forno Cappelletti possiamo proprio dire di sì. Abbiamo piacere di ascoltare la storia di questa realtà tramite la voce di Maurizio e Fabio, che si alternano nel racconto in maniera puntuale e precisa.

Maurizio gestisce il laboratorio dal 1979, quando con la moglie decise di comprare un pezzo di terra e iniziare questo percorso insieme. Dopo dieci anni è stato comprato un nuovo laboratorio, segno che il trascorrere del tempo ha dato energie all’intera famiglia nel proseguire il progetto con lo stesso entusiasmo. Come però si è giunti a produrre solo prodotti naturali è lo stesso Maurizio a dircelo. “Circa otto anni fa avevo iniziato a leggere, a informarmi approfonditamente, su più argomenti: a livello spirituale, ecologico, di natura e di sistema. È così che siamo arrivati a fare solo prodotti naturali e biologici”.

A fianco a lui c’è Fabio, al quale Maurizio passa il microfono. “Prima di arrivare a lavorare nel forno di famiglia, ho avuto altre esperienze lavorative importanti e molto formative. Sentivo già dentro di me un richiamo verso qualcosa di più naturale e vicino alle mie attitudini. Ed è così che ho avuto un richiamo definitivo nel venire a lavorare nell’azienda di famiglia”.fornocappelletti1

Un cambiamento che ha coinvolto più aspetti della vita di Fabio. “In questo periodo è iniziato un processo di cambiamento, ho iniziato anche io a informarmi su certi aspetti che non avevo mai preso precedentemente in considerazione”. E questa ricerca è andata di pari passo con le scelte professionali e lavorative. “Questo cambiamento personale l’ho ritrovato anche nel mio ambito lavorativo. Ho iniziato a fare prodotti che si avvicinavano alla mia idea di alimentazione. Ho iniziato a creare biscotti nuovi: senza latte, uova, dolcificanti raffinati e quindi senza zucchero bianco”. Non solo, anche prodotti salati come cracker e prodotti secchi più sfiziosi, ma sempre in linea con i valori promossi dal Forno. Maurizio aggiunge che tra le varie produzioni ci sono anche quella di farro e di grano tenero integrale e bianco romagnolo. Claudio ci spiega le scelte relative ad una economia più di prossimità. “Ho cercato di accorciare la filiera, cercando di sapere da dove veniva il mio grano. Ho trovato, guardandomi attorno, un’altra realtà: un mugnaio che produce grani antichi autoriprodotti”. Egli non lesina complimenti al mugnaio, conscio dell’importanza del suo lavoro per l’intero settore agricolo. “Ha dato, nel suo intorno, un valore, all’agricoltura”. Il circolo funziona così:“il mugnaio fornisce questi grani antichi agli agricoltori, che li coltivano. Lui li ritira, li macina e crea per noi la farina, sempre integrale o semi integrale”. Stiamo parlano di una piccola realtà che ha avuto ottimi risultati negli ultimi tempi. “Negli ultimi anni siamo cresciuti molto – continua così Fabio – la nostra è un’attività a conduzione familiare. Lavoriamo ad oggi in 8”.fornocappelletti2

E prosegue Maurizio, insistendo sulla genuinità dei prodotti del Forno. “Il nostro pane è fatto tutto a mano, con la pasta madre fatta e curata da noi”. È un duetto piacevole da ascoltare, Fabio infatti aggiunge che “al giorno d’oggi il pane è prodotto quasi tutto industrialmente. E’ fatto, quasi tutto, con dei sacchi di miscele chiamati preparati con molto glutine, farine raffinate, miglioratori per conservare il pane. Facciamo così dei prodotti che non sono adeguati al nostro organismo, alla nostra digestione. Sono adatti alla produzione”.

L’importanza della digeribilità del prodotto offerto dal Forno Cappelletti è fondamentale per Maurizio. “Facciamo un tipo di pane che oggi mettiamo nel frigo, e sta lì ventiquattro ore. Quello è il pane più digeribile in assoluto, perché te l’hanno mezzo digerito gli enzimi. Il nostro pane dura una settimana, non hai bisogno di andare comprarlo tutti i giorni e hai sempre un pane che è genuino”.

Ci sorprende che sia Fabio a parlarci della storicità del Forno, segno che le tradizioni si sono ben depositate anche tra i più giovani in famiglia. “Abbiamo una rivendita a Dovadola, lì c’è il nostro punto vendita dal 1979. Abbiamo iniziato a servire i primi punti macrobiotici e i primi negozi di alimenti naturali negli anni ottanta che sono nati nel nostro territorio. E oggi, da quando abbiamo fatto la certificazione biologica, abbiamo potuto accedere ad altri mercati. Serviamo tutti i negozi di alimenti biologici e naturali che sono in Romagna”.fornocappelletti4

Un cambiamento fatto di tante realtà nella Romagna Che Cambia. “Vedere che ci sono in zona altre realtà che vanno in questa direzione – continua Fabio – è una grande soddisfazione. Romagna Che Cambia è una regione da un grandissimo potenziale: la vedo in un futuro molto green, che si auto sostiene e autoproduce quel che necessita. Molta più gente che cerca di capire cosa mangia, da dove viene il cibo studiando tutto quello che ci sta dietro, dall’impatto ambientale alla valorizzazione degli artigiani e dei prodotti locali. Perché in Romagna c’è tutto: il mare, la montagna, la campagna”.

Non possiamo non chiudere l’articolo con le parole di Fabio, che negli ultimi dieci anni dice di aver notato un buon miglioramento. “Sempre molta più gente si avvicina a questa filosofia di vita, legata ad un’alimentazione più sana e genuina”.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/12/io-faccio-cosi-147-forno-cappelletti-pane-come-si-faceva/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

 

Boom di prodotti naturali : guida per aprire un attività nel settore del’ erboristeria

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Negli ultimi anni, la clientela delle erboristerie è cresciuta notevolmente: molte persone, infatti, hanno cominciato a preferire i rimedi naturali alla medicina tradizionale, tanto che sempre più spesso le farmacie vengono ignorate in favore delle para-farmacie e, appunto, delle erboristerie, dove peraltro è possibile trovare anche tisane, integratori ed alimenti biologici. Ecco perché un investimento in un’attività di questo tipo, in questo particolare momento, può rivelarsi fruttuoso. Per capire come diventare un erborista e cosa bisogna fare per aprire un’attività nel settore dell’erboristeria, è necessario innanzitutto capire di cosa si sta parlando; un erborista è quella figura professionale che propone rimedi naturali che fungono da alternativa alla medicina tradizionale. Per poter diventare erborista è indispensabile conseguire una laurea in “Tecniche erboristiche” o in alternativa una laurea specialistica nelle facoltà di Agraria o Farmacia. Una volta ottenuta la laurea, l’erborista può dedicarsi alla preparazione di prodotti a base di piante che possono avere scopo curativo oppure cosmetico. Ma l’attività dell’erborista non si limita solo alla preparazione di tali prodotti, bensì può essere estesa anche alla vendita di questi ultimi (insieme ai prodotti – sciroppi, creme e pasticche – degli istituti erboristici più importanti). L’erborista ha la possibilità di lavorare autonomamente avviando un’erboristeria propria; questo tipo di negozio comporta degli investimenti abbastanza contenuti, anche perché è possibile fare a meno di personale. Per poter aprire un’erboristeria è necessario rivolgersi all’Ufficio commercio nel Comune in cui si desidera aprire la propria attività. Sono necessari alcuni requisiti per poter avviare questo tipo di attività: innanzitutto la partita Iva, poi l‘iscrizione alla “Camera di Commercio” e infine bisogna essere iscritti al registro delle imprese. Una volta aperto il proprio negozio di erboristeria, esiste la possibilità di aprire anche un negozio online appoggiandosi a piattaforme specializzate già esistenti come questa in modo da poter proporre i prodotti che vengono venduti nel negozio fisico. Si tratta di una soluzione efficace per incrementare le vendite e di facile realizzazione. Inoltre, è possibile avviare un’erboristeria anche se non si dispone di un titolo di studio; in questo caso, però, sarà possibile commercializzare solamente prodotti già confezionati da terzi, dunque non si avrà la possibilità di creare prodotti propri. Allo stesso modo non sarà possibile vendere delle preparazioni richieste dai clienti né prodotti vegetali sfusi; in sostanza, il negozio sarà solamente una rivendita. Un’ulteriore alternativa per aprire un’erboristeria prevede la formula del franchising.

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L’investimento iniziale, in questo caso, risulta più elevato ma in compenso si può fare affidamento su una costante assistenza sia nel momento in cui l’attività viene avviata sia durante la gestione. Si potrà contare su un brand già noto e soprattutto sulla pubblicità gratuita, indispensabile per far conoscere alla clientela il proprio negozio. L’apertura di un’attività rappresenta sempre un rischio, ma la soluzione dell’erboristeria può rivelarsi un investimento valido, soprattutto se si lavora con serietà e se si riuscirà ad essere attenti a quelle che sono le esigenze dei propri clienti.

L.P

Leggere le etichette: come riconoscere i veri prodotti biologici

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L’acquisto di alimenti biologici è una scelta fatta un numero sempre maggiore di famiglie italiane. Le ragioni di questa decisione possono essere varie, tra cui l’esigenza di poter accedere a prodotti sani e sicuri e la voglia di poter fare qualcosa in più per l’ambiente, nel rispetto dei suoi naturali processi di produzione e senza l’utilizzo di sostanze nocive per il terreno e per l’uomo. Una diffusione così ampia di cibi biologici, però, può avere anche un risvolto negativo: la contraffazione. Per questo, è necessario che i consumatori siano adeguatamente informati sugli strumenti messi a loro disposizione per il riconoscimento dei veri prodotti naturali. Lo strumento più potente in tal senso è l’etichettatura. L’Aiab, l’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologicaha stilato una sorta di vademecum utile per guidare i consumatori nel riconoscimento dei veri prodotti biologici. Vediamo insieme allora quali sono alcuni dei punti principali a cui prestare attenzione, per riconoscere un alimento bio dall’etichetta. Innanzitutto, i Regolamenti e Documenti a cui ci si riferisce quando si parla di etichettatura biologica sono due: Regolamento CE 834/07 e CE 889/08, attualmente in vigore per l’Agricoltura biologica, e Regolamento CE 271/10, che definisce l’uso del nuovo logo europeo e modifica alcune norme di etichettatura. Il termine “biologico” può essere utilizzato solo per i prodotti che rispettino tali regolamenti. Le fascette, le etichette, gli imballaggi primari e secondari che accompagnano il prodotto fino al consumatore costituiscono “etichetta”, pertanto le indicazioni relative al metodo di produzione biologico devono sempre rispettare quanto previsto dai regolamenti CE 834/07 e CE 889/08 ed essere autorizzate da un organismo di controllo a sua volta autorizzato dal Ministero delle politiche agricole e forestali (Mi.P.A.A.F). Sui prodotti biologici certificati deve essere riportata in etichetta: la scritta “da Agricoltura Biologica” seguita da Nome (e facoltativamente il logo) dell’Organismo che esegue il controllo e suo numero di autorizzazione ministeriale. Codice dell’Organismo di Controllo. Codice dell’azienda produttrice e Numero di autorizzazione alla stampa dell’etichetta.

Possono contenere il riferimento di “biologico” in etichetta:

  1. il prodotto che è stato ottenuto secondo le norme dell’agricoltura biologica o è stato importato da paesi terzi nell’ambito del regime di cui ai Reg. CE 834/07 e CE 889/08;
  2. il prodotto i cui ingredienti non derivanti da attività agricola (additivi, aromi, preparazioni microrganiche, sale, ecc.) e i coadiuvanti tecnologici utilizzati nella preparazione dei prodotti rientrano fra quelli indicati nel Reg. CE 889/08
  3. il prodotto i cui ingredienti il cui ciclo produttivo sia totalmente libero da ogm
  4. la materia prima (ingrediente) «biologica» che non è stata miscelata con la medesima sostanza di tipo convenzionale
  5. il prodotto o i suoi ingredienti non sono stati sottoposti a trattamenti con ausiliari di fabbricazione e coadiuvanti tecnologici diversi da quelli consentiti nel regolamento del biologico, e che non abbiano subito trattamenti con radiazioni ionizzanti.

Come riportato da La Stampa, nel caso di prodotti con più ingredienti (ad esempio i biscotti), per poter utilizzare la dicitura “da Agricoltura Biologica” occorre che almeno il 95% degli ingredienti siano biologici certificati. Il restante 5% è rappresentato da una lista di ingredienti normalmente non certificabili (es. sale). Non è ammessa la miscela biologica e non biologica di un singolo ingrediente (es. farina). Esiste inoltre un marchio unico europeo per l’agricoltura biologica che contraddistingue gli alimenti prodotti nei paesi dell’Unione Europea. Il logo europeo si DEVE apporre ai prodotti chiusi confezionati ed etichettati, con una percentuale prodotto di origine agricola bio di almeno il 95%. È invece FACOLTATIVO nei prodotti con le stesse caratteristiche ma provenienti da paesi terzi. PROIBITO nei prodotti con un % bio inferiore al 95%. In questo caso l’etichettatura del prodotto riporterà queste informazioni: indicazioni necessarie per identificare la nazione, il tipo di metodo di produzione, il codice dell’operatore, il codice dell’organismo di controllo preceduto dalla dicitura “Organismo di controllo autorizzato dal Mi.P.A.A.F”. Meglio diffidare dei prodotti che riportano diciture “biologico” o “bio” che siano generiche e non dotate di una etichettatura chiara, che risponda ai criteri appena descritti.

(Foto: images.bidorbuy)

Fonte: ambientebio.it

Pulire il frigo con prodotti naturali: come farlo al meglio

I detersivi artificiali sono costosi e spesso possono essere nocivi per la nostra salute per questo io preferisco sempre pulire il frigo con prodotti naturali che aiutino il portafoglio ma soprattutto che non rovinino i cibi. Il frigo è uno dei luoghi cardine della cucina, è il luogo dove conserviamo i nostri cibi, i piatti pronti, la frutta e la verdura, dev’essere un luogo sempre pulito, sempre sterilizzato e per le casalinghe non sempre è facile effettuare delle pulizie approfondite.

Pulire il frigo con prodotti naturali, tanti metodi tutti economicipulire-il-frigo-con-prodotti-naturali-detersivi

Oggi voglio condividere con te diversi metodi per pulire il frigo con prodotti naturali, tutti ugualmente economici e naturali. La cosa importante da ricordare è che si possono trovare in frigo residui di cibi, muffe e cattivi odori, cose che non possono essere mandate via solo con una spugna e un po’ d’acqua. Pulire il frigo di divide in due diversi momenti, il lavaggio esterno e quello interno. Per il primo potete utilizzare semplicemente un panno antistatico che raccoglie tutta la polvere. Anche sul retro, seguite la serpentina refrigerante rimuovendo tutta la polvere in eccesso. Per l’interno potete scegliere uno di questi tre metodi

Bicarbonato

Il bicarbonato come abbiamo visto nell’ultimo articolo è ottimo per le pulizie di casa. Il primo detersivo per il frigorifero che voglio suggerirti è proprio quello a base di bicarbonato, mescola mezzo litro d’acqua e un cucchiaio di bicarbonato, imbevici un panno e utilizzalo per rimuovere le macchie che si trovano all’interno e all’esterno del frigorifero.

Utilizza la stessa composizione per pulire le parti fisse interne del frigorifero.

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Se non hai macchie di cibo da contrastare, puoi usare una soluzione a base di limone. Mescola il succo di un limone in una tazza d’acqua e passa un panno in microfibra imbevuto di acqua e limone su tutte le superfici interne del frigorifero. Per facilitare puoi mettere il composto in una vecchia confezione di detersivo spray e spruzzarla direttamente dove occorre. Il limone è ottimo perché elimina gli odori e igienizza.

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Un altro metodo ottimo per pulire il frigo con prodotti naturali è l’aceto, imbevete un panno con un po’ di aceto bianco per eliminare le macchie di alimenti più resistenti e poi passatelo diluito nel acqua all’interno dell’intero frigo. Questo metodo è ottimo anche per pulire i comparti di vetro o grigliati che si possono estrarre, metteteli in ammollo in una bacinella con due litri d’acqua e un bicchiere di aceto bianco e lasciate agire per mezzora.

fonte:  curaletuefinanze.it