Siglato in Regione Piemonte un protocollo di intesa per aumentare le donazioni di prodotti alimentari a persone bisognose

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Life-FOOD.WASTE.STANDUP: il primo progetto di filiera contro lo spreco alimentare in favore delle donazioni.

In Piemonte, secondo elaborazioni di Federdistribuzione, si può stimare che lo spreco alimentare sia pari a circa 450.000 tonnellate annue, per il 47% attribuibile alle famiglie e per la restante parte agli operatori economici, con l’agricoltura responsabile del 32%, la distribuzione del 15%, la trasformazione industriale del 2% e la ristorazione del 4%. Arginare il fenomeno dello spreco alimentare è una necessità sociale, ambientale ed economica. Ed è per questo che oggi è stato illustrato nella sede della Regione Piemonte “LIFE-Food.Waste.StandUp”, il primo progetto di filiera finalizzato alla lotta allo spreco e all’aumento delle donazioni alimentari a enti caritativi e persone bisognose. L’evento si è tenuto alla presenza dell’assessore regionale all’Ambiente, Urbanistica, Programmazione territoriale e paesaggistica, dell’assessore regionale alle Politiche giovanili, Diritto allo studio universitario, Cooperazione decentrata internazionale, Pari opportunità, Diritti civili, Immigrazione  e dell’assessore all’Ambiente del Comune di Torino. Il progetto, coordinato da Federalimentare in partenariato con Federdistribuzione, Fondazione Banco Alimentare Onlus e Unione Nazionale Consumatori, è co-finanziato dalla Commissione Europea nel quadro del programma per l’ambiente e l’azione per il clima (LIFE 2014-2020) e consiste in una campagna di comunicazione e sensibilizzazione, rivolta a tutta la filiera: partendo dall’industria, passando per la distribuzione e arrivando ai consumatori. Tra le imprese presenti Mauro Anfossi e Antonio Guzzon di Auchan, Simone Pescatore di Bennet e Marco Grosso di Dimar che hanno evidenziato le iniziative intraprese dalle loro aziende per ridurre lo spreco ed aumentare le donazioni (i materiali presentati sono disponibili al sito www.federdistribuzione.it).

Secondo l’assessore regionale all’Ambiente la Regione Piemonte, negli ultimi anni, ha promosso un’attività di informazione, formazione e di educazione alla sostenibilità ambientale, arrivando a portare l’educazione ambientale  a essere uno dei cardini delle politiche ambientali della nostra Regione. Promuovere la riflessione sulla produzione dei rifiuti generati dagli sprechi, ancor più se alimentari, e condurre a un atteggiamento responsabile da parte dei cittadini, in special modo in un contesto temporale di grandi differenze sociali, è diventato un dovere delle pubbliche amministrazioni così come delle aziende che operano nella distribuzione degli alimenti. Il protocollo firmato oggi va proprio nella direzione giusta, quella di promuovere uno sviluppo economico che non prescinda da una coscienza ambientale responsabile e da una maggiore equità sociale.

Per l’assessora regionale ai diritti dei consumatori oggi non può più essere tollerato lo spreco di cibo, la crisi ha insegnato a tutti a essere più attenti e a optare per il riutilizzo. Alcuni grandi chef hanno introdotto gli avanzi nelle loro ricette. E anche la Regione da tempo è impegnata nella lotta agli sprechi, tanto che, per il lavoro fatto, ha ricevuto anche diversi premi tra cui quello “Vivere a spreco zero”.

Su iniziativa di Federdistribuzione, è stato sottoscritto un protocollo d’intesa con la Regione, siglato dai partner di LIFE-Food.Waste.Stand.Up, finalizzato a sviluppare una serie di attività volte ad aumentare e rendere più agevoli, per le aziende che operano sul territorio, le donazioni di prodotti alimentari in favore delle persone indigenti. Il protocollo prevede attività concrete di coinvolgimento delle Amministrazioni locali da parte della Regione e di coinvolgimento dei propri associati da parte dei partner del progetto, attivando le relazioni necessarie per produrre risultati positivi. Vuole infatti dare, da parte dei firmatari, una testimonianza concreta del loro impegno verso una riduzione dei quantitativi di rifiuti prodotti e, di conseguenza, della diminuzione dei relativi costi economici, sociali ed ambientali di smaltimento, prevedendo anche l’introduzione di un concetto di premialità per i soggetti economici che, facendo donazioni, attivano questo percorso virtuoso.

“Oggi, insieme alla Regione e agli altri partner del progetto LIFE – afferma Massimo Viviani, direttore generale di Federdistribuzione – abbiamo voluto proporre un momento di riflessione comune, coinvolgendo i Comuni, le aziende della produzione e della distribuzione, onlus ed enti caritativi, per condividere best practices ed esperienze, al fine di avviare iniziative concrete che possano condurre ad un effettivo incremento delle donazioni. La filiera economica ha abbracciato un principio etico con grande impegno e responsabilità e, attraverso la collaborazione con il Governo centrale e gli enti locali, possiamo effettivamente raggiungere risultati importanti in termini di riduzione dello spreco alimentare. Un ruolo fondamentale da questo punto di vista è infatti svolto dai comuni: se aumentano le donazioni, diminuiscono i rifiuti e i relativi costi che la comunità deve sostenere per il loro smaltimento. Sarebbe auspicabile che almeno una parte di questo risparmio venisse convertito in premialità per chi dona, ad esempio diminuendo la TARI per i soggetti che attivano questo percorso virtuoso. Si riuscirebbe in questo modo a dare piena applicazione alla Legge Gadda e si innescherebbe un forte impulso a donare di più”. 

In Italia, secondo i dati del Politecnico di Milano, ogni anno vengono prodotte circa 5,6 milioni di tonnellate di eccedenze alimentari; di queste solo l’8,6% è recuperato attraverso donazioni alle persone bisognose mentre il resto diventa spreco: 12,6 miliardi di euro. Tra il 2012 e il 2015 l’Italia ha intrapreso un percorso virtuoso, complessivamente lo spreco è diminuito del -7,9% e le donazioni sono aumentate del +6,4%, ma molto può essere ancora fatto.

“I numeri dello spreco in Italia sono impressionanti – Continua Viviani – Ogni anno buttiamo via l’equivalente del 15,4% dei consumialimentari degli Italiani, una quantità di cibo che sarebbe sufficiente a nutrire tutte le famiglie ancora in condizione di povertà nel nostro Paese. Al tempo stesso le donazioni a enti caritativi rappresentano meno del 9% delle eccedenze alimentari che l’intera filiera produce. Da anni le imprese distributive sono impegnate nel ridurre le eccedenze e nell’implementare programmi per un loro recupero, ma è evidente che si può fare di più. Per questo siamo orgogliosi di partecipare a un progetto come quello presentato oggi, che si pone l’obiettivo di creare una grande campagna di sensibilizzazione e comunicazione per attivare comportamenti virtuosi da parte delle istituzioni locali, dei soggetti economici privati e dei consumatori, che portino a ridurre gli sprechi e ad aumentare le donazioni”.

Fonte: ecodallecitta.it

Sprechi alimentari: l’Ue propone di togliere la scadenza a pasta, riso e tè

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L’Unione Europea è in procinto di rivedere le norme sulle etichette in merito alla scadenza dei prodotti alimentari. Questo quanto si apprende dai quotidiani italiani, all’indomani della riunione del Consiglio Agricoltura del 19 maggio a Bruxelles. Secondo fonti certe, tra i punti all’ordine del giorno della discussione di ieri, c’era anche quello di eliminare la scadenza di particolari prodotti alimentari, per evitare ulteriori sprechi. Sono 89 milioni le tonnellate di cibo che, ogni anno, i cittadini europei buttano nella spazzatura. In Italia, ogni famiglia spende mediamente 515 euro di prodotti alimentari che non consumerà mai e che andranno a finire in discarica. Sono messi peggio di noi i cittadini di Gran Bretagna e Svezia. A questo problema, la Comunità Europea avrebbe deciso di porre rimedio attraverso una modifica delle norme di etichettatura degli alimenti. Secondo alcune indiscrezioni apparse sui giornali tedeschi, diversi stati membri, tra cui Olanda e Svezia, starebbero spingendo per ampliare l’elenco di alimenti il cui termine minimo di conservazione non deve essere esplicitato in etichetta. Nella pratica, pasta, riso, tè, caffè e formaggio duro potrebbero vedere sparire la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro” presente di norma nelle etichette e già non obbligatoria per aceto, sale e zucchero. Secondo gli esperti, se intrapreso, questo passo potrebbe evitare che i cibi vengano buttati via a causa della paura, da parte del consumatore, che non siano più buoni. Esiste infatti una confusione generalizzata relativa al “Termine Minimo di Conservazione”. Il Termine Minimo di Conservazione, quello che nelle confezioni è indicato con la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro” indica infatti la data fino alla quale il prodotto conserva intatte le sue proprietà specifiche, organolettiche, gustative o nutrizionali. Non significa che oltre quella data sia pericoloso consumare l’alimento, ma che più ci si allontana dal termine, meno il prodotto mantiene intatti i suoi requisiti di qualità. La data di scadenza vera e propria riguarda invece quei prodotti, come i prodotti lattieri o caseari, che possono generare problemi se consumati oltre la scadenza indicata in etichetta. Qui la scritta riporta la dicitura “da consumarsi entro”. Decisamente contraria alla proposta Europea la Coldiretti che lamenta le possibili ripercussioni che una modifica del genere potrebbe comportare sulla qualità degli alimenti. Dichiara infatti: “Si tratta del solito tentativo dei paesi del Nord Europa di livellare il cibo sulle tavole europee a uno standard di qualità inferiore al nostro con la scusa di tagliare gli sprechi alimentari che nell’Unione europea hanno raggiunto il quantitativo record di 89 milioni di tonnellate di cibo”. Aggiungendo che, con la crisi, si è invece registrata una storica inversione di tendenza e quasi tre italiani su quattro (73%) hanno tagliato gli sprechi a tavola nel 2013, portando i consumatori a valutare meglio la qualità degli alimenti, prima di stabilire se buttarli o meno. Alla riunione del Consiglio Agricoltura siedono i ministri di tutti e 28 gli stati membri dell’Unione Europea. Sembra che a favore della proposta siano soprattutto Olanda e Svezia, con l’appoggio di Austria, Germania, Danimarca e Lussemburgo. Altri sarebbero schierati sul fronte opposto, o neutrali. Considerate le procedure e i tempi dell’Ue, oltre alla complessità della materia trattata, difficilmente si riuscirà a prendere una decisione nel breve termine. Tuttavia, è già qualcosa che l’argomento sia affrontato apertamente. Sul nostro blog abbiamo parlato abbondantemente di sprechi alimentari e scadenze degli alimenti. Se volete sapere entro quando gli alimenti possono essere consumati oltre la loro data di scadenza, potete leggere il nostro articolo: http://ambientebio.it/ecco-fino-a-quando-puoi-mangiare-i-cibi-scaduti/

(Foto: CarlMilner)

Fonte: ambientebio.it

5. ZOOM SU…Gli sprechi alimentari

Circa un terzo del cibo prodotto in tutto il mondo finisce perso o buttato. Quando più di un miliardo di persone nel mondo vanno a dormire affamate, è impossibile non chiedersi cosa possiamo fare.12

Tuttavia, lo spreco alimentare non rappresenta soltanto un’occasione mancata per sfamare gli affamati. Rappresenta una perdita sostanziale di altre risorse, fra cui la terra, l’acqua e l’energia, ma anche il lavoro. Ricchi o poveri, giovani o vecchi, abbiamo tutti bisogno di mangiare. Il cibo è molto più che un nutrimento e va ben al di là di una ricca varietà di sapori in bocca. Più di 4 miliardi di persone dipendono da tre colture di base: riso, mais e frumento. Questi tre alimenti forniscono i due terzi del nostro apporto energetico. Poiché i vegetali commestibili sono oltre 50.000, il nostro menù di tutti i giorni appare estremamente monotono dato che alla nostra alimentazione contribuiscono solo poche centinaia di specie. Dato che miliardi di persone dipendono da poche colture di base, l’aumento dei prezzi dei generi alimentari fra il 2006 e il 2008 si è fatto sentire in tutto il mondo. Benché i paesi sviluppati siano generalmente riusciti a dare da mangiare alla popolazione, alcune zone dell’Africa hanno dovuto fare i conti con la fame. La causa non è solo il fallimento del mercato. Il cambiamento climatico va ad aggiungersi alle pressioni sulla sicurezza alimentare e alcune regioni faticano più di altre. Siccità, incendi e alluvioni compromettono direttamente la capacità produttiva. Purtroppo, il cambiamento climatico interessa i paesi più vulnerabili e che più difficilmente dispongono degli strumenti necessari per adeguarsi. In un certo senso, tuttavia, il cibo non è altro che un «bene» come tanti. Per produrlo servono risorse, come la terra e l’acqua. Come avviene per altri prodotti sul mercato, viene consumato o utilizzato, e può essere sprecato. Una quantità notevole di cibo viene buttata via, soprattutto nei paesi sviluppati, e ciò significa buttare anche le risorse utilizzate per produrlo. Il settore alimentare e lo spreco alimentare figurano fra i punti chiave evidenziati nella «Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse» elaborata dalla Commissione europea nel settembre 2011. Benché sia ampiamente riconosciuto che il cibo che produciamo viene in parte sprecato, è piuttosto difficile proporre una stima precisa. La Commissione europea calcola che nella sola UE ogni anno buttiamo 90 milioni di tonnellate di cibo, equivalenti a 180 kg a testa. Molto di questo cibo è ancora idoneo al consumo umano13

Non solo cibo

Gli impatti ambientali derivanti dallo spreco alimentare non si limitano all’utilizzo del territorio e dell’acqua. Secondo la  tabella di marcia della Commissione europea, la catena di valore dei prodotti alimentari e delle bevande nell’UE è all’origine del 17% delle emissioni dirette di gas a effetto serra e del 28% dell’uso di risorse naturali. Tristram Stuart, scrittore e uno dei principali organizzatori dell’iniziativa denominata «Feeding the 5k», un pranzo per 5.000 persone a Trafalgar Square a Londra, ritiene che la maggior parte dei paesi ricchi butti via fra un terzo e la metà di tutto il cibo che ha a disposizione. «Non è soltanto un problema del mondo ricco. I paesi in via di sviluppo sono afflitti da livelli di spreco alimentare talvolta pari a quelli dei paesi ricchi, ma per ragioni molto diverse. L’assenza di infrastrutture agricole adeguate, come le tecnologie post-raccolto, è la prima responsabile. Si può stimare che almeno un terzo di tutti i prodotti alimentari del mondo venga gettato via», afferma Tristram. Lo spreco alimentare si verifica in tutte le fasi della catena di produzione e di approvvigionamento, così come nella fase del consumo. E le ragioni possono essere molteplici. Una parte dello spreco alimentare deriva dalle disposizioni di legge, spesso poste in essere a tutela della salute umana. Un’altra parte può essere collegata alle preferenze e alle abitudini dei consumatori. Occorre analizzare e prendere in considerazione tutte le diverse fasi e le diverse ragioni al fine di ridurre lo spreco alimentare. La tabella di marcia della Commissione europea sollecita «sforzi congiunti di agricoltori, operatori dell’industria alimentare, rivenditori e consumatori e l’impiego di tecniche di produzione che fanno un uso efficiente delle risorse, così come scelte alimentari sostenibili». L’obiettivo europeo è chiaro: dimezzare lo spreco di alimenti commestibili nell’UE entro il 2020. Alcuni deputati del Parlamento europeo hanno chiesto che il 2013 sia proclamato «Anno europeo contro gli sprechi alimentari».

«Non esiste una formula magica. Ogni singolo problema è diverso e richiede una soluzione diversa», afferma Tristram.

E aggiunge: «La bellissima notizia è che abbiamo la possibilità di ridurre il nostro impatto ambientale e che non c’è motivo per cui debba essere un sacrificio. Non si tratta di chiedere alla gente di prendere meno aerei, di mangiare meno carne o di usare meno l’auto, tutte cose che forse dovremo anche fare. In realtà si tratta di un’opportunità. Dobbiamo semplicemente smettere di buttare via il cibo e imparare ad apprezzarlo».

Fonte: EEA (agenzia europea ambiente)

 

Sicurezza alimentare: sequestrate 30 tonnellate di cibi scaduti

Nel forlivese i Nas hanno scoperto alimenti in condizioni igienico-sanitarie precarie per un totale di 250mila euro1626776061-586x390

Trenta tonnellate di prodotti alimentari di origine animale e vegetale, scaduti, avariati e mal confezionati sono stati sequestrati in provincia di Forlì da un nucleo di carabinieri dei Nas. I militari hanno ispezionato un’azienda che si occupa della lavorazione e della commercializzazione all’ingrosso degli alimenti, sequestrando alimenti per un valore complessivo di 250mila euro. Molti prodotti, provenienti dall’estero, erano privi di etichettatura, tracciabilità, scaduti oppure in condizioni igieniche non conformi. Fra gli alimenti sequestrati vi sono funghi porcini e mirtilli congelati dalla Romania, contenuti in imballaggi anonimi e privi di etichettatura), carne di cervo dalla Spagna e cosce di rana dal Vietnam, rinvenute in fase di lavorazione e confezionamento in condizioni igieniche non idonee. Anche nei locali di lavorazione e stoccaggio sono state riscontrate condizioni igienico-sanitarie precarie: la merce era accatastata su vecchi bancali in legno, privi di barriere per evitare la presenza di animali infestanti. Al legale rappresentante dell’azienda forlivese, segnalato all’autorità sanitaria, sono state contestate violazioni amministrative per 6500 euro. Nei mesi estivi sono state parecchi gli interventi dei Nas nell’ambito della sicurezza alimentare. Lo scorso 12 agosto i Nas hanno reso noti i dati delle 3400 ispezioni condotte in bar, gelaterie, ristoranti e stabilimenti balneari: sono state ben 1700 le violazioni delle normative igienico-sanitarie e 540 le tonnellate di alimenti sequestrate.

Fonte:Resto del Carlino

E’ lo spreco di cibo il vero disastro ecologico mondiale avverte la FAO

La FAO avverte che lo spreco alimentare è pari a un disastro ecologico, perché i Paesi ricchi producono più cibo di quel consumano175628202-594x350

Il rapporto FAO Foodwastage footprint Impacts on naturalresources pubblicato oggi rivela che lo spreco alimentare e agricolo costa ogni anno al Pianeta 750 miliardi di dollari ossia 565 miliardi di euro. Si spreca così non solo cibo ma acqua, pari a tre volte quella contenuta nel Lago di Ginevra, ma anche suolo agricolo impegnato per colture che saranno poi gettate via con emissioni sono pari a quelle di Cina o Stati Uniti in 6 mesi. Gettiamo via ogni anno 1,6 miliardi di tonnellate di prodotti alimentari che vanno a costituire così una montagna di spreco appunto definita dalla Fao come disastro ecologico.  Nel rapporto si legge:

A livello globale, l’acqua potabile sprecata rappresenta quasi tre volte il volume del lago di Ginevra o al volume di flusso annuale del Volga.

Ma sopratutto la FAO afferma che la riduzione delle perdite in agricoltura e di cibo potrebbe contribuire in modo significativo al raggiungimento dell’obiettivo di aumento del 60% in cibo disponibile per soddisfare le esigenze della popolazione globale nel 2050. Secondo la FAO, il 54% delle perdite sono registrate nelle fasi di produzione, raccolta e stoccaggio. Il resto è spreco alimentare in senso proprio, in fase di preparazione, distribuzione o consumo. Nei paesi ricchi, è il secondo tipo di spreco a dominare. Gli esperti hanno cercato di determinare quali sono le regioni e prodotti agricoli che causano gli impatti ambientali In Asia si sprecano più cereali e ciò a causa degli alti volumi di produzione nel Sud-Est asiatico e l’Oriente e del peso del riso, che emette grandi quantità di metano. I ricchi paesi dell’America Latina sono responsabili dell’80% dello spreco di carne, che:

hanno un forte impatto in termini di uso del suolo e di emissioni di anidride carbonica.

Mentre lo spreco di frutta in Asia, America Latina ed Europa sono tra le principali cause di spreco di acqua. Per rimediare a questa situazione, la FAO raccomanda di migliorare le pratiche agricole e gli impianti di stoccaggio e di trasporto nei paesi in via di sviluppo e sottolinea che i paesi ricchi hanno: una grande responsabilità per i rifiuti alimentari a causa del loro modo di produzione e di consumo non durevoli.

Fonte:  Le Monde

Europa, prima divoratrice mondiale di foreste

In meno di vent’anni, tra il 1990 e il 2008, i consumi europei hanno causato l’abbattimento di foreste in varie parti del mondo per un’estensione pari ad almeno 9 milioni di ettari. Ad essere riconosciuti come i principali responsabili della deforestazione sono i prodotti alimentari.foresta9_deforestazione

In meno di vent’anni, tra il 1990 e il 2008, i consumi europei hanno causato l’abbattimento di foreste in varie parti del mondo per un’estensione pari ad almeno 9 milioni di ettari, una superficie paragonabile a quella dell’Irlanda. Peggio ancora di Usa e Canada: siamo noi europei i primi consumatori di foreste al mondo. Un triste primato, registrato il 2 luglio dalla stessa Unione Europea nel rapporto “The impact of Ee consumption on deforestation”. Secondo il Wwf, “emergono prove inquietanti su come l’Unione importi prodotti derivanti dalla deforestazione in quantità superiore a quella prevista, nonostante il suo impegno a ridurre la deforestazione tropicale del 50% entro il 2020”. E dire che Bruxelles aveva promosso lo studio nel 2011 per contribuire a contrastare i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità a livello mondiale. Obiettivo: valutare l’impatto del consumo europeo sulla perdita delle foreste nel mondo. A quanto pare, i migliori boschi del pianeta li divoriamo alla velocità della luce: più che il legname, ci interessa il pascolo che si ottiene radendo al suolo gli alberi. L’analisi dell’Ue, spiega Alessandro Graziadei in un report su“Unimondo”, ripreso da “Megachip”, verifica le importazione di beni di consumo legati all’abbattimento delle foreste, soprattutto quelle di Amazzonia, Sud-Est asiatico e Africa. Noi di fatto “non importiamo legname, ma registriamo enormi consumi soprattutto di prodotti alimentari come carne, latte, caffè e tutti quei prodotti alimentari che trasformano definitivamente le foreste in pascoli o in piantagioni”. Prodotti alimentari, si legge nel rapporto, “che sono oggi riconosciuti come i maggiori responsabili della deforestazione”. Se è vero che la maggior parte delle colture e dei prodotti animali connessi con la deforestazione nei paesi di origine sono consumati a livello locale o regionale, precisa Graziadei, risulta però che negli ultimi 18 anni, nel mondo, sono stati esportati principalmente da paesi in via di sviluppo il 33% dei raccolti e l’8% del bestiame prodotti proprio grazie alla deforestazione. Di questi, l’Europa ne ha importato e consumato il 36%. Mentre, nello stesso periodo, i più limitati consumi di Usa e Canada hanno complessivamente causato l’abbattimento “solo” di 1,9 milioni di ettari di foreste. Tutta l’Asia orientale, compresa la Cina e il Giappone, è responsabile dell’abbattimento di 4,5 milioni di ettari.9deforestazione

Per il Wwf, inoltre, le stime sul peso europeo nella deforestazione sono caute, e andrebbero riviste al rialzo, tenendo conto anche delle importazioni legate a prodotti tessili e servizi vari. “L’aumento dei consumi di colture come la soia, l’olio di palma e prodotti connessi, così come il consumo di carne, sono la causa principale della deforestazione nelle aree tropicali”. Alla luce di questi dati – sostiene Dante Caserta, presidente di Wwf Italia – le autorità europee “devono agire subito”. Dello stesso avviso anche Chiara Campione di Greenpeace: “Se la nostra impronta forestale continuerà a crescere e l’Europa non cambia subito rotta rischiamo di compromettere l’intero ecosistema: dovremmo cominciare a dare il buon esempio, eliminando la deforestazione per la quale siamo direttamente responsabili”. Surreale la risposta della Commissione Europea, massima responsabile della catastrofe economica che sta mettendo alla corda tutto il Sud Europa, con la più spietata politica di rigore mai attuata nella storia: greci, spagnoli, portoghesi e italiani possono pure affondare nella disperazione, mentre perle foreste Bruxelles è disponibile a giocare la sua immagine,  impegnandosi per misure concrete in materia di sviluppo sostenibile. “È chiaro che se l’Unione Europa vuole tornare ad atteggiarsi a prima della classe in campo ambientale – rileva Graziadei – deve mettere mano ad alcune delle questioni evidenziate nello studio, come ad esempio l’impatto del settore alimentare, le abitudini di consumo e una migliore informazione e sensibilizzazione presso consumatori e industriali”. E qui si scende sul terreno del ridicolo: la stessa Commissione Europea che impone agli Stati il pareggio di bilancio, senza alcuna trasparenza sulle proprie decisioni centrali, sul futuro delle foreste annuncia addirittura “un’ampia consultazione pubblica via web per raccogliere i pareri aggiuntivi in tutta l’Unione con l’obiettivo di raccogliere ulteriori suggerimenti e di valutare criticamente future iniziative politiche”. Propaganda a parte, ricorda “Unimondo”, tra i problemi reali sul tappeto c’è quello dei biocarburanti, che ora costituiscono circa il 5,7% delle miscele di benzina e gasolio, ma dovranno arrivare al 10% entro il 2020 sfruttando per l’operazione un terreno agricolo più grande del Belgio. “I biocarburanti dovrebbero esser amici del clima, ma solo in teoria”. Coltivare piante per biocombustibili “richiede trattori, macchinari, concimi, pesticidi e soprattutto nuove terre sottratte alle foreste o alle coltivazioni alimentari”. In questo caso, un terreno agricolo “grande più del Belgio” da trovare in qualche parte del mondo sarà “adibito a ‘sfamare’ le vetture europee, e i poveri del mondo tireranno ulteriormente la cinghia”. Inoltre, “i terreni coltivati saranno ulteriormente ampliati a spese delle foreste”. La direttiva Ue ora in vigore raccomanda che non vengano incentivati biocarburanti prodotti distruggendo le foreste, “ma è probabile – sottolinea Graziadei – che i biocarburanti cresciuti su terreni freschi di deforestazione non prenderanno la strada dell’Europa, lasciando inalterato il risultato planetario”. Ma allora, come contrastare questo modello consumistico? Le associazioni ambientaliste preoccupate per questa ingombrante leadership europea non hanno dubbi: “O proseguiamo in una autodistruttiva deforestazione, o mettiamo energie e volontà politica in una lungimirante decrescita felice”. Magari, appunto, meno drammatica di quella – feroce – imposta dalla Troika ai ‘prigionieri’ dell’Eurozona.

Articolo tratto da LIBRE

Fonte: il cambiamento

Agricoltura in Italia, presentato il Rapporto 2013 dell’Inea

Presentato a Roma il Rapporto sullo Stato dell’Agricoltura 2013 dell’INEA. L’export è trainato dai prodotti trasformati, in cinque anni persi 21mila posti di lavoro 1592524672-586x390

È stato presentato a Roma, dall’INEA, il Rapporto sullo Stato dell’Agricoltura giunto alla decima edizione. Nel 2012 l’agricoltura ha iniziato a risentire degli effetti della crisi iniziata nel 2008 facendo registrare il segno meno sia nella produzione (-3,3%), sia nel valore aggiunto agricolo (-4,4%), sia nella domanda di prodotti alimentari (-3,2%). Nonostante una crescita sensibile dell’occupazione giovanile nel 2012, il dato generale ha subito una contrazione passando, in un lustro, dagli 870mila occupati del 2007 agli 849mila occupati del 2012, un dato che va letto alla luce della diminuzione delle imprese passate da 901mila a 809mila unità nello stesso periodo.

I dati positivi vengono dall’andamento dei prodotti italiani sui mercati internazionali: la parte più significativa dell’export è rappresentata dai prodotti trasformati (19 miliardi di euro), seguiti da bevande (6,2 miliardi di euro) e dal settore primario (5,6 miliardi). Anche nell’import sono i prodotti trasformati a farla da padrone (24,2 miliardi di euro) davanti al settore primario (12,3 miliardi di euro). Secondo Tiziano Zigiotto, presidente dell’Istituto Nazionale di Economia Agraria, nel 2013

la produzione agricola mondiale di prodotti di base dei settori delle colture e del bestiame dovrebbe crescere in media con un tasso dell’1,5%. I mercati delle materie prime alimentari dovrebbero essere più equilibrati, con le stime sulle importazioni alimentari a livello mondiale pari circa a 1.090 miliardi di dollari.   

Dopo aver delineato la situazione dello stato dell’agroalimentare in Italia, il Rapporto approfondisce più approfonditamente le performance aziendali, i consumi, l’export e l’andamento del supporto al settore. Nella seconda sezione si parla di competitività delle imprese, ricambio generazionale in agricoltura e competitività della filiera, con cenni alle tematiche ambientali, dall’impiego di fonti rinnovabili a questioni legate alle emissioni dell’anidride carbonica. La terza e ultima sezione è dedicata ai principali contenuti della nuova PAC, operativa fino al 2020, che sarà più attenta alle esigenze dei produttori ma anche all’ambiente, con un occhio alla produttività e quindi alla sicurezza alimentare. 

Il Rapporto sullo Stato dell’Agricoltura è disponibile per il download sul sito di Inea. 

Fonte:  INEA 

Allarme botulino: in Italia oltre 500 casi all’anno

Dopo le intossicazioni legate al consumo di un pesto alla genovese, torna alta l’attenzione sul botulino di cui, in Italia, sono già stati segnalati 268 casi nei primi sei mesi del 20131628990682-586x389

Il caso del pesto alla genovese nel quale sarebbero state trovate tracce di botulino ha nuovamente alzato l’attenzione sul tema della sicurezza alimentare. L’allarme lanciato sabato scorso per una partita di ben 14.872 confezioni di salsa al basilico distribuite in Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Valle d’Aosta , purtroppo, non è riuscito a evitare che alcuni consumatori condissero la loro pasta con il pesto e in tutto il Nord Italia oltre cento persone si sono fatte visitare dopo avere accusato problemi o a scopo puramente cautelativo, dopo aver mangiato il pesto prodotto dalla fabbrica Bruzzone e Ferrari. I problemi connessi al botulino sono fra i più sottovalutati nella variegata casistica delle intossicazioni alimentari. Eppure in Italia, nel primo semestre del 2013, ne sono stati segnalati ben 268, un numero che contraddistingue un trend in aumento visto che durante tutto il 2013 furono ben 517 i casi rilevati nel nostro Paese. In Italia il sistema di allerta alimentare funziona, tanto che il nostro paese è il primo per quanto riguarda il numero delle segnalazioni di rischi alimentari alle autorità comunitarie nel primo semestre 2013. Da notare che circa l’80% delle segnalazioni riguardavano prodotti alimentari di provenienza straniera. L’estate è una stagione critica poiché, con le alte temperature, i rischi di contaminazioni microbiologiche aumentano in maniera sensibile. Alcuni batteri crescono anche nei frigoriferi a temperatura di refrigerazione e d’estate è meglio spostare il termostato su una temperatura più fredda rispetto all’inverno. È inoltre opportuno assicurarsi che la porta del frigo sia ben chiusa e che gli alimenti crudi siano separati da quelli cotti.

Fonte:  Coldiretti