WWF, un piano per far ripartire le rinnovabili in Italia

Occorre snellire in modo chirurgico le procedure (non i controlli) per le fonti rinnovabili e le infrastrutture connesse (accumuli, reti); no netto, invece, a semplificazioni che riguardino infrastrutture e centrali alimentate con i combustibili fossili che vanno superati, e non incoraggiati, per arrivare al carbonio zero entro il 2050. Questa in sintesi la posizione del WWF Italia in vista dell’annunciato provvedimento sulle semplificazioni.

Occorre snellire in modo chirurgico le procedure (non i controlli) per le fonti rinnovabili e le infrastrutture connesse (accumuli, reti); no netto, invece, a semplificazioni che riguardino infrastrutture e centrali alimentate con i combustibili fossili che vanno superati, e non incoraggiati, per arrivare al carbonio zero entro il 2050.  Questa in sintesi la posizione del WWF Italia in vista dell’annunciato provvedimento sulle semplificazioni.

Posizione che è contenuta in un documento nel quale l’associazione individua i principali ostacoli che limitano lo sviluppo delle rinnovabili nel nostro paese e le possibili soluzioni pratiche per superarli.

«La trasformazione energetica, ossia il passaggio dalle fonti fossili a quelle rinnovabili, è forse l’aspetto più strategico che oggi siamo chiamati ad affrontare perché fondamentale per contrastare il cambiamento climatico – dice il WWF – e perché potrebbe divenire uno dei capisaldi di una giusta transizione, capace di creare nuova e sostenibile occupazione».

«Purtroppo gli strumenti in campo in Italia sono assolutamente inadeguati per fronteggiare questa sfida epocale, le rinnovabili da anni crescono a ritmi paurosamente lenti: per soddisfare gli obiettivi del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) solo il fotovoltaico dovrebbe crescere di oltre 3000 MW all’anno da qui al 2030 (occorre infatti passare dagli attuali 20.900 MW ai 52.000MW), invece negli ultimi anni la crescita è stata solo di qualche centinaio di MW/anno, un livello anche dieci volte inferiore a quello della poco soleggiata Germania. Anche per l’eolico, chiamato quasi a raddoppiare la sua capacità entro il 2030, le cose non vanno affatto meglio».

Il WWF ha quindi predisposto il documento  “Come far ripartire le rinnovabili: le proposte WWF” in cui si analizza la situazione fonte per fonte, «si individuano i principali problemi connessi con le pratiche autorizzative che hanno iter abnormemente lunghi e complessi che per gli impianti fotovoltaici di grandi dimensioni possono tranquillamente superare i 18 mesi (con punte anche di 2 anni) e per quelli eolici addirittura arrivare a 5 anni, con il rischio che le tecnologie scelte siano divenute obsolete o addirittura neanche più in produzione» spiega l’associazione.

Per il WWF «occorre intervenire snellendo le procedure autorizzative a iniziare dal rewamping per gli impianti fotovoltaici e, soprattutto, eolici esistenti: un ambito strategico che consenta di ridurre gli impatti ambientali aumentando la produttività degli impianti stessi. In questo ambito occorre rivedere il concetto di modifica sostanziale che costringe gli impianti a un iter insostenibile per il proponente e incompatibile con gli obiettivi del PNIEC. Nel documento sono quindi indicati i casi in cui si dovrebbe restare in procedure abilitativa semplificata (PAS) e quando non sottoporre a nuova VIA gli impianti».

«Altro tema importante riguarda le semplificazioni per le varianti su progetti autorizzati ma non ancora costruiti, molto comune in tutti i casi in cui le tempistiche autorizzative risultano eccessivamente lunghe  prosegue l’associazione – Per gli impianti fotovoltaici a terra, andrebbe facilitata l’installazione in quelle aree degradate quali ex cave, ex discariche, ecc. superando l’attuale divieto di agevolazioni previsto dalla normativa vigente».

Il WWF poi chiede «da un lato che il Governo attivi urgentemente l’Osservatorio PNIEC cui sia, tra le altre cose, magari affidato il compito di predisporre linee guida con ripartizione degli impegni regionali di sviluppo delle rinnovabili (soprattutto fotovoltaico), dall’altro chiede alle Regioni di predisporre urgentemente una mappatura aggiornata con indicate le aree idonee alla realizzazione degli impianti rinnovabili in cui la procedura autorizzativa deve essere ulteriormente semplificata».

Secondo il WWF, «senza questa serie di misure non sarà possibile conseguire gli obiettivi PNIEC e quelli ancora più ambiziosi che presto saranno approvati a livello comunitario, impedendo allo stesso tempo al nostro paese di agganciare una vera ripresa economica green».

Fonte: ilcambiamento.it

Compostaggio di comunità: semplificate le procedure autorizzative. Il decreto in Gazzetta Ufficiale

Entra in vigore il 10 marzo il regolamento che semplifica la procedura per avviare un’attività di compostaggio collettivo in cui solo le utenze registrate potranno conferire i propri rifiuti organici.387099_1

Con il compostaggio collettivo o di comunità due o più utenze domestiche o non domestiche possono dare vita ad un organismo collettivo – condominio, associazione, consorzio, società o altre forme associative di diritto privato – per conferire nella medesima struttura i propri rifiuti organici e usare il compost prodotto. In base al decreto ministeriale n. 266/2016, appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale, dal 10 marzo le procedure per avviare un’attività di compostaggio collettiva saranno più semplici. Basterà inviare al Comune di competenza un modulo (Allegato 1 al D.M.) con la segnalazione certificata di inizio attività, contenente il regolamento sull’organizzazione dell’attività di compostaggio che sarà vincolante per le utenze dell’organismo collettivo, le uniche tenute a conferire i loro rifiuti organici nella struttura creata appositamente. Provvederà poi il Comune a darne comunicazione all’azienda che gestisce i rifiuti e sarà sempre il Comune a trasmettere agli organi competenti i dati ricevuti dal legale rappresentante dell’organismo collettivo sulle quantità dei rifiuti conferiti, sul compost prodotto, sugli scarti e sul compost che non rispetta le caratteristiche dettate dalla norma. Questi dati saranno utili non solo per calcolare la riduzione della tassa rifiuti ma anche per calcolare le percentuali di riciclaggio dei rifiuti urbani pubblicate ogni anno dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione dell’Ambiente). Il compostaggio di comunità era stato introdotto con la Legge n. 221/2015 (conosciuta come legge “Green economy”) sia per ridurre la produzione di rifiuti organici, e gli impatti sull’ambiente dovuti alla gestione dei rifiuti stessi, sia per contribuire al raggiungimento dell’obiettivo comunitario di riciclaggio del 50% dei rifiuti urbani. La stessa norma del 2015 ha modificato il D.Lgs. n. 152/2006 aggiungendo all’art. 180 il comma 1 octies che affida “al Ministero dell’ambiente, alle regioni e ai comuni, il compito di incentivare le pratiche di compostaggio di rifiuti organici effettuate sul luogo stesso di produzione, come l’autocompostaggio e il compostaggio di comunità”.

Ma è con il Decreto Ministeriale n. 266/2016, pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 23 febbraio, che finalmente si stabiliscono gli attesi criteri operativi e le procedure autorizzative semplificate per l’attività di compostaggio di comunità di quantità non superiori a 130  tonnellate  annue. Per le attività di capacità complessiva inferiore a una tonnellata, il decreto prevede una procedura ulteriormente semplificata (art. 10 e Allegato 1B). Sono invece esclusi dall’applicazione del decreto le attività di compostaggio di comunità con capacità di trattamento complessiva superiore a 130 tonnellate annue e gli impianti di compostaggio aerobico di rifiuti biodegradabili derivanti da attività vivaistiche o da cucine, mense, mercati, giardini o parchi, con capacità di trattamento non eccedente 80 tonnellate annue, che sono destinati esclusivamente al trattamento di rifiuti raccolti nel comune dove questi rifiuti sono prodotti e nei comuni confinanti che hanno stipulato una convenzione per la gestione congiunta del servizio. Il regolamento sull’organizzazione dell’attività di compostaggio (l’Allegato 2 individua il contenuto minimo del regolamento) dovrà indicare anche i rifiuti biodegradabili e i materiali ammessi (elencati nel’’Allegato 3) e tra questi ci sono quelli provenienti dalle cucine e dalle mense, da giardini e parchi, segatura, trucioli e legno se non trattati carta e cartone se non contengono inchiostro. Se a seguito delle ispezioni previste emergessero violazioni delle disposizioni del decreto, per esempio quantità e qualità del compost, il Comune può impartire opportune prescrizioni mentre il responsabile può diffidare l’utente che non si attiene al regolamento e chiedere lo stralcio dell’utenza se non si adegua. Segnalare eventuali difformità e inadempienze rientra nei compiti del conduttore dell’apparecchiatura. Figura fondamentale e competente che si occupa del funzionamento dell’apparecchiatura, vigila sulla provenienza dei rifiuti (esclusivamente dagli utenti dell’organismo collettivo) sulla tipologia degli stessi e provvede al corretto bilanciamento tra rifiuti organici e strutturante e ovviamente al rilascio del compost prodotto alle utenze secondo il piano di utilizzo. Tra i vantaggi derivanti dal compostaggio di comunità c’è certamente la riduzione dei rifiuti urbani, la possibilità di auto produrre il compost e l’opportunità di ridurre la tassa sui rifiuti come premialità per l’impegno e le buone pratiche messe in atto. Ma non è tutto. Il Consiglio di Stato nell’esprimere parere favorevole allo schema di decreto sul compostaggio di comunità, con alcune osservazioni, sottolineava tra i vantaggi della corretta gestione della frazione organica dei rifiuti urbani anche la diminuzione delle emissioni di gas serra, l’incremento della fertilità dei suoli, il contrasto all’erosione e alla desertificazioni, la tutela dei corpi idrici e l’incremento della sensibilità ambientale collettiva.

Fonte: ecodallecitta.it