Ucraina, il primo ministro denuncia un incidente nucleare

L’annuncio del governo ucraino: l’incidente sarebbe avvenuto a Zaporozhye, in Ucraina orientale. Un incidente nucleare definito “insignificante” dal ministro dell’Energia ucraino è occorso nella centrale di Zaporozhye, in Ucraina orientale: lo ha rivelato poco fa il primo ministro Arseny Yatseniuk. Incaricato di riportare gli aggiornamenti in una conferenza stampa il ministro dell’energia Volodymyr Demchyshyn ha definito l’incidente “insignificante” cercando di gettare acqua sul fuoco: per quanto ne sappiamo (scrive l’agenzia russa Interfax) il problema si era verificato in blocco numero 3, un reattore da 1.000 megawatt. La centrale di Zaporozhye è la più grande d’Europa, la quinta a livello mondiale. La risultante mancanza di produzione avrebbe peggiorato la crisi energetica nel paese: l’agenzia Interfax aggiunge che il blocco dovrebbe rientrare in funzione il 5 dicembre. Secondo il primo ministro ucraino non ci sarebbero danni al reattore. Il ministro dell’energia ha spiegato che il problema sarebbe già stato risolto. A fine agosto un esperto di Greenpeace aveva messo in guardia l’opinione pubblica, dichiarando che vi era il rischio di un surriscaldamento se i combattimenti nell’est dell’Ucraino si sarebbero prolungati.B37P1N6CcAEL_Im-600x350

Fonte: ecoblog.it

Centrali a carbone in Polonia, pressioni su Bruxelles per fermare i progetti a Opole

Come riferisce l’esclusiva di Euractiv, i parlamentari europei e gruppi ambientalisti stanno sollecitando la Commissione europea a intervenire repentinamente per bloccare la costruzione di due nuove centrali a carbone in Polonia176536357-594x350

La Polonia si appresta a costruire due nuove centrali a carbone da 900mW a Opole e sembra abbia violato anche le leggi europee in materia di cattura e stoccaggio della CO2 (CCS). Questa l’esclusiva che presenta oggi Euractiv riferendo che parlamentari europei e associazioni ambientaliste stanno lavorando per fare pressione sulla Commissione europea affinché siano sospesi i progetti. Il primo ministro polacco Donald Tusk, ha annunciato che a Opole oltre all’ampliamento da 1.8GW sarà costruita anche una unità di stoccaggio per la CO2 (CCS) da 2,7 milioni di euro anche se non sono ancora giunte le autorizzazioni, peraltro richieste ignorate da Varsavia. In effetti un anno la Corte Suprema della Polonia aveva stabilito che la costruzione di Opole era legale,poiché il governo non aveva prodotto alcuna direttiva nazionale sui CCS a recepimento delle direttive europee. Il che de da un lato potrebbe aprire la strada a procedure europee per infrazione con multe salate, dall’altro lascia campo libero al Governo polacco di determinare come costruire le centrali a carbone non tenendo conto dell’impatto sull’inquinamento dell’aria se non in riferimento alle normative nazionali e non europee. Ma le emissioni di questo impianto sono state stimate pari a 1,5 miliardi di tonnellate di anidride carbonica per i prossimi 55 anni. Il che porta molto lontano la Polonia dal raggiungere l’obiettivo del 15% di energia prodotta da fonti rinnovabili entro il 2020.

Come riferiscono i gruppi ambientalisti la Polonia, unico Stato membro europeo a non aver notificato alla Commissione le misure adottate per conformarsi alla direttiva CCS, il che appunto consente che nello Stato si proceda troppo autonomamente anche a costo poi di pagare salatissime multe alla Ue. Per Jo Leinen parlamentare socialista (S&D) nel MEP, come ha riferito a Euractiv:

E’ molto urgente che la Commissione si attivi per fare pressione sulle autorità polacche e invitarle a seguire le norme UE. Opole è un banco di prova per il fatto che le nostre politiche sono valide o esistenti solo sulla carta.

Leinen con altri sei eurodeputati di cinque gruppi politici il mese scorso ha presentato interrogazioni parlamentari sulla questione al Commissario dell’UE sul clima, Connie Hedegaard. Ora le discussioni in Polonia tendono a sminuire l’impatto inquinante del nuovo impianto a carbone sostenendo che con le moderne tecnologie le emissioni sono ridotte di almeno 6 volte. Il primo ministro Tursk però nonostante sia stato già richiamato in passato dall’Europa per la sua visione sulla politica energetica della Polonia prosegue spedito per la sua strada e anzi proprio lo scorso 6 giugno aveva dichiarato:

Il governo troverà i fondi per sostenere questo investimento.

Ora il braccio di ferro tra Varsavia e Bruxelles riguarda l’inizio dei lavori che sarebbero dovuti partire il 15 agosto e che invece sono slittati al 15 dicembre, il che secondo gli ambientalisti fornisce un lasso di tempo sufficiente a Bruxelles per mettere lo sgambetto e mandare a gambe all’aria il progetto di Varsavia. Riguardo invece il mancato recepimenti della Polonia delle direttive Ue in materia di energie rinnovabili è già partita la richiesta di Bruxelles alla Corte di Giustizia europea di multare Varsavia per 133 mila euro al giorno fino al raggiungimento delle conformità. Ma non risulta che la comunicazione sia stata recepita da Varsavia. In effetti la posta in gioco è davvero alta e si quantifica in investimenti milionari a Opole a cui neanche l’Italia è indifferente se UniCredit Group la inserisce tra le possibili opzioni. Infatti proprio il 14 agosto è stato annunciato che il gigante francese dell’energia Alstom è entrato a far parte del gruppo di costruttori assieme ai polacchi Rafako, Polimex-Mostostal e Mostostal Warszawa. Ora la corsa è contro il tempo per evitare che sia iniziata la costruzione dei due nuovi impianti è iniziato, poiché poi sarà difficile invertire o addirittura bloccare i lavori.

Fonte:  Euractiv, Icis

 

Il Bhutan forse non riuscirà a vietare pesticidi e erbicidi al 100% entro il 2020

Il Regno del Bhutan non sarà un paese senza pesticidi e erbicidi al 100%, promessa pre elettorale rilasciata troppo in fretta171397266-594x350

La promessa di rendere il Bhutan il primo Paese senza pesticidi e erbicidi al 100% fu fatta, forse troppo frettolosamente e in pieno stile pre elettorale (le elezioni ci sono state tra aprile e maggio di quest’anno NdR) lo scorso anno dal primo ministro Jigmi Thinley (rieletto) alla Conference on Sustainable Development di Rio20+ dichiarò che i contadini del piccolo regno himalayano:

lavorando in armonia con la natura, possono contribuire a sostenere il flusso di doni della natura.

Tanto è bastato per scatenare media e blog americani (e con effetto rimbalzo anche tutti gli altri) che ancora oggi riportano quella dichiarazione di un anno fa senza tener conto che in Bhutan ci sono state le elezioni questo luglio e che il piccolo regno himalayano non è lo ShangriLa e che probabilmente non riusciranno molto realisticamente a eliminare del tutto pesticidi e erbicidi se la produzione agricola deve bastare a sfamare 700 mila bhutanesi. Infatti a febbraio di quest’anno Pema Gyamtsho ministro per l’Agricoltura nel question time rispondendo alla domanda del leader dell’opposizione Tshering Tobgay che chiedeva chiarimenti in merito alle notizie diffuse dalla stampa in merito alle dichiarazioni di un’agricoltura in Bhutan biologica al 100% entro il 2020 disse:

Non vi è una dichiarazione ufficiale che vieti i pesticidi chimici e gli erbicidi. Si richiedono molte discussioni con gli agricoltori prima di prendere una tale decisione. Tuttavia l’uso di prodotti chimici è stato ridotto del 70%. Un improvviso divieto di erbicidi e pesticidi porterebbe al blocco delle attività essendone l’agricoltura completamente dipendente. C’erano circa 16 pesticidi a base di potassio, fosforo, azoto, calcio e magnesio usati dagli anni ‘60 per coltivare riso, patate e mais. Ne sono stati eliminati 34 tonnellate con l’aiuto della Svizzera tra il 2005 e il 2006. Oggi usiamo erbicidi in piccole quantità.

Ma dopo le elezioni la squadra di governo è cambiata e primo ministro è Tshering Tobgay mentre ministro per l’agricoltura è stato nominato Lyonpo Yeshi Dorji del partito dell’opposizione People’s Democratic Party (PDP)che ha stravinto al voto. E’ biologo con master all’Università del Missouri.

Fonte: ecoblog

 

Stop al commercio di avorio in Thailandia, lo promette il primo ministro Shinawatra

 

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Stop al commercio di avorio in Thailandia: questa la solenne promessa fatta oggi dal primo ministro thailandese Yingluck Shinawatra (nella foto in alto)all’apertura della conferenza del CITES a Bangkok. Ha dichiarato infatti il primo ministro Shinawatra:

Come prossimo passo riformeremo la legislazione nazionale con l’obiettivo di porre fine al commercio dell’avorio e allinearci con le normative internazionali. Questo ci aiuterà a proteggere tutte le specie di elefanti, da quelli africani a quelli tailandesi selvatici o domestici.

La campagna mediatica per sollecitare la Thailandia a sospendere il commercio di avorio ha visto anche un testimonial di eccezione come Leonardo DiCaprio e a condurla anche il WWF.

Ma tra i paesi coinvolti nel commercio di avorio ci sono anche la Cina che vanta il più grande mercato mondiale,il Vietnam, la Nigeria e la Repubblica Democratica del Congo (DRC). Il Primo ministro Shinawatra assumendo l’impegno ha però anche chiesto che il resto del mondo faccia la sua parte.

Si tenga presente, ad esempio che l’Italia è uno dei più importati mercati mondiali per l’acquisto di legno tropicale e pelli di rettile che se non direttamente implicati con l’avorio fanno parte comunque di quel mercato illegale alimentato dal bracconaggio non di meno dei denti degli elefanti.

Resta ancora attiva la petizione da firmare on line e lanciata dal WWF in 156 paesi, per portare entro il 14 marzo altre firme al Primo ministro Shinawatra a cui sono già state consegnate 500 mila.

Fonte: Comunicato stampa