Pesca, la maggiore pressione sugli ecosistemi è generata dall’Asia Orientale

I tropici contribuiscono ormai al 42% delle catture. Il consumo in Indonesia, Cina, Filippine e Vietnam è cresciuto di 12 milioni di tonnellate. Non è solo il consumo di pesce del ricco occidente a minacciare il futuro delle specie marine; secondo il rapporto State of the Tropicsla pesca nelle zone tropicali è in crescita, mentre nel resto del mondo è in lieve calo dal 1988. Se i tropici pesavano per il 12% negli anni ’50, la loro fetta è oggi arrivata al 42% del totale delle catture (esclusa quindi l’acquacoltura). La crescita maggiore si è riscontrata nell’Asia Sud Orientale: Indonesia, Cina, Filippine e Vietnam hanno aumentato i propri consumi di 12 milioni di tonnellate. La combinazione di crescita demografica e miglioramento del livello di vita ha contribuito ad aumentare la pressione sugli ecosistemi marini. Oggi in questa regione il consumo pro capite di pesce (32 kg/anno) supera del 70% la media planetaria (dati FAO). Il rischio è che un sovrasfruttamento degli stock possa portare al collasso della pesca in questa regione, colpendo soprattutto le comunità più povere che basano la propria sopravvivenza sulla pesca di piccola scala. Questo è già avvenuto in Perù, dove la pesca delle acciughe è cresciuta da 75000 a 12 milioni di tonnellate tra il 1950 e il 1970, per poi crollare brutalmente negli anni ’70 per la distruzione della popolazione. Solo ora gli stock stanno iniziando a riprendersi. Una situazione simile si è verificata con la catastrofe del merluzzo nel nord Atlantico. Si ritiene che il sofrasfruttamento e gli sprechi nel mondo della pesca causino danni per circa 50 miliardi di dollari all’anno.  Una gestione più sostenibile della pesca è quindi vitale di fronte alla duplice minaccia dei cambiamenti climatici e della crescita della popolazione.

Pesca-tropici

Fonte: ecoblog.it

Fracking, la protesta sale in alta quota

In cima al monte Gorbea per protestare contro il fracking: la battaglia dei baschi contro la  Sociedad de Hidrocarburos de Euskadi Fracking-futures-586x379

Centinaia di persone in marcia sulle pendici del monte Gorbea per protestare contro il fracking. È questa la protesta che gli abitanti dei Paesi Baschi hanno inscenato ieri per opporsi alla pratica altamente impattante dell’estrazione di gas scisto con la fratturazione idraulica. La marcia, iniziata dai versanti di Álava y Bizkaia, ha raggiunto i 1.482 metri della vetta della montagna dove è stato dispiegato uno striscione con lo slogan Fracking, non qui, non in nessun altro sito.

Con questa azione i movimenti baschi contrari a questa tecnica estrattiva hanno voluto ricordare la “minaccia” che questa pratica comporterebbe per l’ambiente nei Paesi Baschi.

Mentre sperano che i permessi di perforazione gli siano concessi, i lavori di quest’anno si sono concentrati sugli aspetti sismici, dai quali si otterranno informazioni sul sottosuolo finalizzati alla pratica della frattura idraulica,

hanno spiegato gli organizzatori della marcia, secondo i quali la pressione popolare ha permesso di disporre di un tempo ulteriore per tentare di bloccare definitivamente il progetto. L’ambizione degli ambientalisti è fare sì che il fracking venga proibito e i diciassette permessi già concessi alla Sociedad de Hidrocarburos de Euskadi vengano ritirati. In aprile la consigliera del Ministero dello Sviluppo Economico, Arantza Tapia, aveva difeso i sondaggi volti a comprendere se vi fosse gas nel sottosuolo dei Paesi Baschi, opponendosi, però, all’utilizzo del fracking. La consigliera Tapia ha ribadito, a più riprese, la propria contrarietà a qualsiasi forma di sondaggio ed esplorazione che utilizzi tecniche simili a quelle del fracking.

Fonte:  El Pais