Coldiretti: “Inquinamento dell’aria a Torino, basta usare l’agricoltura come capro espiatorio”

Sergio Barone: “È assolutamente ridicolo, per un’area urbana tra le più trafficate d’Italia, cercare nell’agricoltura il capro espiatorio dell’inquinamento dell’aria di Torino”

L’agricoltura non può essere responsabile del peggioramento della qualità dell’aria che, da settimane, sta nuovamente ammorbando Torino. Lo afferma Coldiretti Torino.

“Per una ragione molto semplice – precisa il presidente Sergio Barone – In questo periodo dell’anno l’agricoltura è praticamente ferma. Se si esclude la normale vita delle mucche e dei maiali nelle stalle, non ci sono concimazioni, a parte qualche agricoltore che si porta avanti col lavoro spargendo naturalissimo letame, concime principe dell’agricoltura sostenibile che accompagna la produzione di cibo fin dagli albori dell’agricoltura neolitica, cioè da 5.000 anni. È assolutamente ridicolo, per un’area urbana tra le più trafficate d’Italia, cercare nell’agricoltura il capro espiatorio dell’inquinamento dell’aria di Torino”.

Nel suo ultimo rapporto, l’Ispra, braccio tecnico del Ministero della transizione ecologica, ha indicato nel traffico e nelle emissioni industriali le prime cause di emissioni di gas serra. Ne è un esempio il peggioramento della qualità dell’aria dopo i miglioramenti registrati durante i lockdown del 2020: con le chiusure la qualità dell’aria è migliorata perché è crollato il traffico per il divieto degli spostamenti e per la didattica a distanza; questo mentre l’agricoltura e l’allevamento hanno continuato a funzionare a pieno regime per garantire i rifornimenti alimentari. Quando è tornato a crescere il traffico è tornato a crescere anche l’inquinamento da gas serra. Le emissioni dell’agricoltura sono limitate a queste fonti: per il PM10, gli scarichi dei mezzi agricoli, che sono in numero limitato in confronto al parco veicoli circolanti; l’abbruciamento delle stoppie e dei residui colturali, pratica sempre più limitata che oggi non attua quasi più nessuno; le emissioni di gas azotati, come l’ammoniaca, derivati dallo spandimento dei concimi, dall’urina dei bovini e dei suini; Per le emissioni di gas serra, il metano rilasciato dalle deiezioni e la flatulenze degli stessi bovini e suini che vivono nelle stalle. E, per quanto si consigli di migliorare l’alimentazione animale per ridurre le emissioni di gas intestinale, le stalle non sono certo l’attività economica prevalente per l’area urbana torinese. Se si guarda al particolato fine (Pm 10 e PM 2,5) da sempre si sa che è prodotto soprattutto dai fumi di combustione. I maggiori imputati sono i motori diesel e benzina più vecchi, i processi industriali che generano fumi e le centrali termiche non ancora metanizzate. Queste sono fonti dirette di produzione di polveri sottili.

La responsabilità della formazione di particolato da parte del comparto agricolo è, invece, soprattutto, di tipo indiretto: gli effluvi di ammoniaca provocati dalle deiezioni animali e dei concimi reagiscono negli strati alti dell’atmosfera formando anche loro, come avviene per i fumi, solfati e nitrati di ammonio, che costituiscono gran parte della componente, secondaria, inorganica, del particolato. Si tratta del cosiddetto “smog fotochimico” che si forma in alto, molto in alto, negli strati superiori dell’atmosfera, dove viene quasi sempre disperso dalle grandi correnti d’aria intercontinentali che, per l’area torinese, scorrono prevalentemente da ovest-sud ovest verso est. Visto che a ovest di Torino ci sono le Alpi che, in inverno, praticamente non ospitano attività agricole, questo particolato di origine agricola non investe l’area torinese ma vola verso altre zone della Pianura Padana. Inoltre, sempre a proposito di emissioni agricole di ammoniaca leggiamo sul sito di ARPA Piemonte che “dal punto di vista temporale, le emissioni di ammoniaca a seguito dello spandimento di reflui zootecnici si collocano nel periodo compreso fra febbraio e novembre, principalmente in primavera e autunno”, quindi, non può essere la concimazione dei campi la prima causa dell’inquinamento dell’aria di Torino nei mesi invernali.

Altro punto: gli studi sul contributo degli ossidi di azoto nella formazione del particolato e gli studi sul contributo dell’agricoltura nel diffondere ossidi di azoto sono ancora tutti troppo recenti per trarre conclusioni affrettate. Mentre i contributi delle emissioni al suolo di PM10 e di ossidi azoto sono ben conosciuti. Si sa da sempre che sono prodotte direttamente dai motori e dalle caldaie in loco, cioè nella stessa area urbana di Torino e ristagnano con le alte pressioni e con le inversioni termiche invernali.

Senza l’agricoltura l’area urbana torinese non avrebbe il grande contributo verde di sequestro della CO2 e delle stesse polveri sottili determinato dalle colture: le coltivazioni e il verde urbano forniscono, infatti, un efficiente contributo per disinquinare l’aria nelle città e nelle periferie.

Fonte: ecodallecitta.it

Regioni del Bacino padano insieme per la qualità dell’aria lanciano “un messaggio forte e convinto al Governo per chiedere un maggiore coinvolgimento”

A valle della condanna dello Stato Italiano per inquinamento da PM10 da parte della Corte di Giustizia Europea, il 6 ottobre gli assessori all’Ambiente di Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto si sono riuniti nell’ambito della conferenza di Mid Term del progetto europeo Life PrePair, dedicato a sviluppare e monitorare misure di mitigazione dell’inquinamento atmosferico. Le Regioni richiamano lo Stato ad attivare le misure di competenza al fine di garantire una forte azione complementare che si aggiunga a quelle poste in atto dalle regioni nell’ultimo ventennio

A valle della condanna dello Stato Italiano per il superamento dei valori limite per il PM10 da parte della Corte di Giustizia Europea, nella giornata di mercoledì 6 ottobre gli assessori all’Ambiente delle 4 regioni del bacino padano: Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto si sono riuniti nell’ambito della conferenza di Mid Term del progetto europeo Life PrePair, dedicato a sviluppare e monitorare misure di mitigazione dell’inquinamento atmosferico nel bacino padano. Nella cornice dall’arsenale di Venezia, gli assessori hanno lanciato un messaggio forte e convinto alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Ministro della Transizione ecologica.

Come dimostrato dalle evidenze scientifiche del progetto PrePair, le Regioni hanno messo in campo sforzi significativi fin dal 2005, anche in coordinamento tra loro nell’ambito dell’Accordo del Bacino Padano, raggiungendo importanti risultati, anche se non esaustivi, nei vari ambiti di azione del complesso programma per il miglioramento della qualità dell’aria (trasporti, energia, biomasse e agricoltura).

Le misure attuate hanno già contribuito al pieno conseguimento dei limiti annuali di PM10 in tutto il bacino padano e ad ottenere il dimezzamento del numero di giorni di superamento del valore limite giornaliero. Gli assessori evidenziano l’enorme sforzo, anche economico, attivato dalle quattro Regioni negli ultimi 15 anni che avrebbe richiesto un necessario ulteriore incremento nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. A tal proposito, segnalano l’estrema contrarietà al mancato inserimento nell’ambito degli interventi di finanziamento del PNRR del progetto interregionale per il miglioramento della qualità dell’aria con interventi quantificabili in 2 miliardi di euro. Ciò evidenzia la scarsa attenzione a livello nazionale sul tema, già più volte sollecitata, rispetto al tema della qualità dell’aria che deve diventare una priorità nazionale. Rilevata anche l’assenza di rappresentanti politici del Governo al convegno, gli assessori hanno ribadito – confortati anche dalle evidenze scientifiche dei dati raccolti durante il lockdown – che le azioni che le Regioni possono mettere in campo non sono sufficienti a rispettare i limiti sempre più stringenti che potrebbero essere adottati a livello europeo nell’ambito della revisione della Direttiva europea sulla qualità dell’aria. L’assenza di traffico veicolare nel periodo marzo-aprile 2020, non ha diminuito in modo sostanziale il livello delle polveri: è necessaria quindi un’azione integrata e contemporanea su tutti i settori verticali che contribuiscono alle emissioni inquinanti, ovvero traffico, biomasse, agricoltura e energia, ma anche tra i diversi attori istituzionali. Proprio per questo i quattro assessori hanno richiamato lo Stato ad attivare le misure di competenza, anche ai sensi di quanto previsto dall’art. 9 comma 9 del d.lgs. 155/2010, al fine di garantire una forte azione complementare che si aggiunga a quelle poste in atto dalle regioni nell’ultimo ventennio. Gli assessori regionali, alla luce delle nuove linee guida sulla qualità dell’aria dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e, pur condividendo la necessità di una progressiva riduzione dei limiti, hanno inoltre sottolineato l’importanza di una valutazione preventiva della possibilità di conseguimento per evitare di definire limiti che non siano tecnicamente raggiungibili. Anche su questo aspetto gli assessori regionali chiedono al MiTE e al Governo un presidio ed una partecipazione ai lavori della Commissione Europea al fine di rappresentare le specificità del territorio del bacino padano. Quanto emergerà dalla due giorni della conferenza di Mid Term del progetto Life PrePair che è in corso, farà parte di un documento di sintesi, completo di analisi e proposte, che gli assessori consegneranno personalmente a Roma al Ministro, recandosi in delegazione per esporre con fermezza la necessità che si costruisca una strategia sul bacino padano che trovi spazio nella programmazione del Governo. A margine del convegno, gli assessori hanno incontrato il direttore generale e i rappresentanti regionali di Legambiente per un confronto, con l’obiettivo di riportare il tema della qualità dell’aria tra le priorità nazionali, sollecitando il Governo ad assumere le azioni necessarie per affiancare le Regioni e conseguire i limiti europei nel più breve tempo possibile. È stato concordato di istituire un tavolo di confronto semestrale con Legambiente che si riunirà già nel prossimo novembre.

Fonte: ecodallecitta.it

Inquinamento: non esistono livelli “sicuri”. Ci si ammala e si muore, questa è la certezza

Mah…dovevamo aspettare di sentircelo dire dal New York Times che ha spiegato ai lettori uno studio del New England Journal of Medicine. Fatto sta che è ormai stra-certo che non esistono livelli “sicuri” o “non sicuri” di inquinamento. Anche a livelli definiti “sicuri” dalla legge si muore; lo dimostrano i dati riferiti a 60 milioni di persone esaminate.9675-10450

Proprio nei giorni in cui l’apposita commissione della rivista scientifica Lancet rilancia i dati OMS del 2015, affermando che l’inquinamento ha ucciso in quell’anno 9 milioni di persone prematuramente (più di Aids, tubercolosi e malaria messi insieme), ecco che il New York Times ci informa di un altro dato che avremmo dovuto già sapere, se non almeno immaginare: non esistono livelli “sicuri” di inquinamento. Si muore comunque! Il New York Times ha riassunto i risultati di un grosso studio che, come ha spiegato anche Nadia Simonini per Isde, ha potuto esaminare più di 60 milioni di persone assistite tramite “Medicare” registrando nel periodo sotto studio 22.567.924 morti. Nello studio pubblicato sul New England Journal of Medicine sono stati utilizzati dati satellitari, metereologici ecc. e anche dati raccolti da 3805 stazioni di monitoraggio dell’EPA che hanno permesso ai ricercatori di stimare in modo accurato i livelli di inquinamento dell’aria giornalieri in tutti gli Stati Uniti. Per ogni aumento di 10 microgrammi per metro cubo di PM 2,5 hanno trovato un aumento di 7,3% nella mortalità. Nel periodo studiato il PM 2,5 medio è variato tra 6,21 fino a 15,65. Viene considerato tollerabile un livello di 12. Per ogni aumento di 10 parti per miliardo di ozono hanno trovato un aumento dell’ 1,1% nella mortalità, le concentrazioni di ozono sono variate tra 36,27 e 55,86, il livello considerato sicuro è di 70.

Ecco l’articolo del New York Timesevensafe_nyt

Fonte: ilcambiamento.it

Inquinamento atmosferico, Cittadini per l’Aria: ‘Il Governo e i sindaci fermino la strage’

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Secondo il Rapporto 2017 sulla Qualità dell’Aria in Europa pubblicato dall’IEA anche nel 2015 l’Italia ha violato i limiti di quasi tutti gli inquinanti atmosferici previsti dalla normativa Europea. Complessivamente l’Italia è seconda solo alla Germania in fatto di morti premature dovute all’aria insalubre. Il Rapporto 2017 sulla Qualità dell’Aria in Europa pubblicato mercoledì 11 ottobre dall’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) indica che, come ogni anno, anche nel 2015 l’Italia ha violato i limiti di quasi tutti gli inquinanti atmosferici previsti dalla normativa Europea. “In molte aree nel nostro paese, e in modo massiccio nella pianura padana, i limiti di legge di PM10, PM 2.5, NO2, O3, b(A)p sono superati, anche di più di una misura. Ciò espone la popolazione ad un danno grave di cui si parla troppo senza che seguano politiche coerenti alla gravità del problema”. A sottolineare i dati terribili dell’inquinamento atmosferico italiano è Cittadini per l’Aria, la onlus milanese che si batte per una migliore qualità dell’aria nel nostro paese.
L’associazione ricorda lo stretto legame tra inquinamento e morte: “L’Italia è prima in classifica a livello Europeo per le concentrazioni di ozono (O3), i cui precursori (NOx e VOC) hanno origine dall’attività umana, primo fra tutti, spiega il rapporto, il traffico, con un record Europeo di 2900 morti premature all’anno derivante dall’esposizione a questo inquinante”.
“L’Italia è poi seconda solo a Polonia e Macedonia per livelli di PM 2.5 il particolato più fino e dannoso sulla salute umana con un record per l’area metropolitana di Milano dove milioni di persone sono esposte ad un livello di PM 2.5 (32 µg/m3) superiore di quasi un terzo il limite di legge entrato in vigore nel 2015 (25 µg/m3)”.388322_2

“Italia seconda in classifica per impatto sanitario da biossido di azoto con una stima di oltre 42.000 morti anno per effetto della esposizione della popolazione a questo inquinante. Ancora nelle top ten – ovvero 4° in Europa – anche per livelli di biossido di azoto (NO2) con Milano sempre in testa alla classifica nazionale con un livello di questo inquinante di 75 µg/m3, quasi doppio rispetto al limite di legge (40 µg/m3)”.

“E ancora superamenti da record – e sempre nella top ten Europea, dietro solo a Bulgaria, Polonia, Montegro – per il PM10 con punte massime, più che doppie rispetto al limite di legge (40 µg/m3), a Cassino, in numerosissime centraline nelle aree torinese, veneziana e di Milano, e poi a Rezzato, a Treviso, Padova e Pavia”.

“Italia ancora nella top ten, e in particolare sesta in classifica in Europa, per livelli di benzo(A)pirene, con la massima esposizione a Laces, in Alto Adige, con 3.18 ng/m3, oltre tre volte il limite di legge, seguita da Frosinone, l’area Feltrina e Sondrio, e Meda, dati che confermano il grave impatto della combustione della legna e delle biomasse sui livelli di questo inquinante altamente cancerogeno per la salute umana”.

Complessivamente, valutata l’esposizione della popolazione, l’Italia è seconda solo alla Germania in fatto di morti premature, dato non confortante se si considera che la Germania ha una popolazione di oltre 80 milioni di abitanti contro i 60 milioni dell’Italia. “Una fetta rilevantissima della popolazione italiana è esposta, nei centri urbani ma non solo, a un letale areosol che produce danni al feto, riduce lo sviluppo dei polmoni e cognitivo dei bambini, causa l’insorgenza di tumori al polmone, e aumenta l’incidenza di morte cardiovascolare e respiratoria, è riconducibile all’incremento dell’incidenza di Alzheimer”, afferma Anna Gerometta Presidente di Cittadini per l’Aria, “sarebbe ora che il nostro Governo si accorgesse di questo danno immane alla popolazione e mettesse in campo misure e fondi adeguati facendone una priorità assoluta. Una simile strage ogni anno è riconducibile in grandissima parte alla mancanza di politiche adeguate che, fra l’altro, coincidono in gran parte con quelle che è necessario adottare al più presto per combattere i cambiamenti climatici”. 388322_3

“Siamo ancora lontani dal poter dire che questo tema viene trattato adeguatamente. Basti pensare alle politiche sul traffico e in particolare la circolazione dei diesel nei centri urbani o a quello delle tema della combustione delle biomasse per il riscaldamento domestico”.

Cittadini per l’aria invita i sindaci ad adottare al più presto, per proteggere i propri cittadini, sistemi di limitazione del traffico nelle aree urbane, ed in particolare dei diesel con l’obiettivo di arrivare a città libere dai diesel entro non oltre il 2025, e le Regioni ad istituire divieti di utilizzo della legna o biomasse come sistema energetico per il riscaldamento nelle case ovunque vi sia una alternativa ambientalmente più sostenibile. Solo con politiche coerenti sarà possibile ridurre entro tempi accettabili l’impatto terribile dell’inquinamento atmosferico in Italia.

Fonte: ecodallecitta.it

Qualità dell’aria, l’UE bacchetta l’Italia sul PM10

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Ancora una volta l’inquinamento atmosferico e ancora una volta il PM10: la Commissione Europea ha (nuovamente) bacchettato l’Italia affinché adotti misure efficaci ed appropriate contro l’emissione di polveri sottili al fine di garantire una buona qualità dell’aria e salvaguardare la salute pubblica. Secondo l’Agenzia europea per l’ambiente ogni anno l’inquinamento da polveri sottili provoca in Italia più di 66.000 morti premature, rendendo il nostro lo Stato membro dell’UE più colpito in termini di mortalità connessa al particolato: il PM10 in Italia è immesso in atmosfera sopratutto nelle attività connesse al consumo di energia elettrica e al riscaldamento, ai trasporti, all’industria e all’agricoltura. Le polveri sottili, note anche come “PM10”, sono presenti nelle emissioni connesse al consumo di energia e al riscaldamento, ai trasporti, all’industria e all’agricoltura. Il PM10 può provocare asma, problemi cardiovascolari e cancro ai polmoni, causando un numero di morti premature superiore al numero annuale di decessi per incidenti stradali. Già nel dicembre 2012 la Corte di Giustizia UE aveva ritenuto l’Italia responsabile della violazione della legislazione UE pertinente per gli anni 2006 e 2007: in caso di superamento dei valori limite gli Stati membri sono tenuti ad adottare e attuare piani per la qualità dell’aria che stabiliscano misure atte a porvi rimedio nel più breve tempo possibile ma le misure legislative e amministrative finora adottate dall’Italia non sono bastate a risolvere il problema. Un problema che non è solo italiano ma che attiene anche a paesi come la Francia e la Gran Bretagna, dove il problema inquinamento è tanto grave quanto in Italia. La Commissione ha attivato la procedura d’infrazione per 16 Stati membri: Belgio, Bulgaria, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Repubblica ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia e Ungheria. Nonostante l’obbligo per gli Stati membri di garantire una qualità dell’aria soddisfacente per i loro cittadini, sono ancora molte le zone in cui le concentrazioni di PM10 continuano a rappresentare un problema. L’attuale normativa europea sulle emissioni in atmosfera stabilisce valori limite per l’esposizione riguardanti sia la concentrazione annua (40 μg/m3), che quella giornaliera (50 μg/m3), da non superare più di 35 volte per anno civile. Oggi più che le normative anti-inquinamento però sono i nuovi mercati a rappresentare una salvezza per la qualità dell’aria nel vecchio continente: elettrico, ibrido, carburanti alternativi sono sempre più gettonati dai consumatori europei, che vedono nelle nuove tecnologie una possibilità sopratutto di risparmio di spesa sui carburanti.

Sarà il mercato o sarà il legislatore (o forse noi stessi) a salvare i nostri polmoni?

Fonte: ecoblog.it

Emilia Romagna, nuovo Piano Aria Integrato per dimezzare il Pm10. Dal 2018 stop ai diesel Euro4

La Giunta Bonaccini approva il nuovo Piano Aria Integrato Regionale (Pair) 2020: fra gli obiettivi Pm10 dimezzato, traffico ridotto del 20% in città e raggiungimento di almeno il 20% degli spostamenti in bici. Da ottobre 2018 stop ai diesel Euro4.386841_1

Polveri sottili dimezzate e nelle città meno traffico, più aree verdi, pedonali e spostamenti in bicicletta. Poi trasporto pubblico, con autobus nuovi al posto di mezzi vecchi, e sostenibilità, con ecoincentivi da 2.500 euro per rottamare i veicoli commerciali leggeri più inquinanti, e promozione della mobilità elettrica. Sono questi gli elementi principali del nuovo Piano aria integrato regionale (Pair), sostenuto con circa 300 milioni di euro di investimenti da qui al 2020, per migliorare la qualità dell’aria in Emilia-Romagna. Approvato dalla Giunta Bonaccini, il Piano arriverà in Assemblea Legislativa entro gennaio, per l’avvio dell’iter consiliare finalizzato all’approvazione definitiva. Il testo, nei mesi scorsi, è stato discusso con i Comuni, i territori e le associazioni di categoria, economiche e ambientaliste. L’obiettivo del Piano è far scendere dal 64% all’1% la popolazione esposta a più di 35 superamenti l’anno per il Pm10 e assicurare il rispetto dei valori limite degli inquinanti atmosferici sull’intero territorio emiliano-romagnolo. Si prevede inoltre una riduzione delle emissioni, rispetto al 2010, pari al 47% per le polveri sottili (Pm10), del 36% per gli ossidi di azoto, del 27% per ammoniaca e composti organici volatili, del 7% per l’anidride solforosa. Nei 30 comuni dell’Emilia-Romagna con più di 30.000 abitanti e nell’agglomerato di Bologna si punta alla riduzione del 20% del traffico, all’estensione delle Zone a traffico limitato fino al 100% dei centri storici e delle aree pedonali fino al 20%.

E ancora: al 20% degli spostamenti in bicicletta, con 1,5 chilometri di piste ciclabili per abitante, e ad accrescere, sempre del 20%, le aree verdi, oltre alla piantumazione di un albero per ogni nuovo nato. Entro il 2018, poi, si vuole raggiungere il 50% di “acquisti verdi” di beni e servizi da parte delle Amministrazioni pubbliche del territorio, come previsto dal Piano del Green public procurement.  Le misure: eco-incentivi per la rottamazione dei veicoli commerciali più inquinanti Il Piano interviene in diversi ambiti per contrastare l’inquinamento, attraverso la realizzazione di 90 misure trasversali, fra cui lo stanziamento di 2 milioni di euro di ecoincentivi per la rottamazione, nel 2017, dei veicoli commerciali leggeri più inquinanti, sia diesel che benzina, sostituiti da nuovi mezzi Euro 6, alimentati a Gpl, metano o elettrici e ibridi. Il contributo sarà di 2.500 euro e potranno beneficiarne in via prioritaria imprese, anche artigiane, fino a 50 dipendenti. Sono poi previsti incentivi anche per la diffusione della mobilità elettrica (bici, parcheggi gratuiti, colonnini di ricarica, ecc…) e più stazioni per il rifornimento di mezzi a metano.

Per l’efficienza energetica degli edifici delle attività produttive sono previsti fondi per 67 milioni di euro, 53 milioni per la riduzione delle emissioni in agricoltura e 14 milioni per interventi di mobilità sostenibile. Verranno inoltre sostituiti almeno 600 autobus di categoria inferiore a Euro 3 in ambito urbano, pari al 20% dei mezzi circolanti, per un investimento di 160 milioni. Di questi 80 milioni sono cofinanziati dalle aziende di trasporto pubblico locale. Tra le novità, anche il divieto di utilizzo di camini e stufe a bassa efficienza, alimentati a legna, nelle zone di pianura sotto i 300 metri per le abitazioni dotate di un sistema alternativo di riscaldamento più sostenibile.

Le limitazioni al traffico nei centri abitati dei 30 Comuni con più di 30 mila abitanti e nei Comuni della cintura di Bologna aderenti alle misure del Pair 2020, nel periodo autunno/inverno varranno per i veicoli a benzina fino all’Euro 1, diesel fino all’Euro 3, ciclomotori e motocicli fino all’Euro 0. Dal 1° ottobre 2018 la limitazione sarà estesa a tutti i veicoli diesel Euro 4; dal 1° ottobre 2020 anche ai mezzi a benzina Euro 2 e ai restanti veicoli (benzina, gpl e metano e per le due ruote) fino all’Euro 1 incluso.

Fonte: ecodallecitta.it

Emilia Romagna: “30% della popolazione esposta a condizioni di inquinamento superiore ai limiti”

La Regione Emilia Romagna ha pubblicato il report sulla qualità dell’aria nel 2015. Polveri sottili entro la media annuale. PM10: 23 delle 43 stazioni hanno raggiunto il numero massimo consentito di 35 superamenti annuiemilia

Polveri fini (PM10 e PM2,5) entro i limiti per quanto riguarda la media annuale, ma in aumento il PM10a proposito del numero di superamenti del limiti giornalieri, con 23 delle 43 stazioni della rete regionale ancora fuori dalla norma.emilia 2

Per il biossido di azoto (NO2) persistono situazioni oltre alla norma, sono infatti 5 su 47 le stazioni che hanno registrato medie annuali al di sopra dei limiti consentiti. La situazione più critica è quella dell’ozono (O3), benché dal 2011 le concentrazioni siano in netta diminuzione, questo inquinante continua a registrare in tutta la regione valori superiori ai limiti. Continuano a non presentare criticità gli inquinanti primari, quali monossido di carbonio, benzene e biossido di zolfo, che risultano ampiamente al di sotto dei limiti. La popolazione esposta a condizioni di inquinamento superiore ai limiti, è stata pari al 30% del totale della popolazione residente per le polveri fini e al 100% per l’ozono. È questa in sintesi la situazione registrata in Emilia-Romagna nel 2015, anno nel quale le condizioni atmosferiche avverse sono state quelle che nell’ultimo decennio hanno favorito più di ogni altro le concentrazioni degli inquinanti.

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POLVERI FINI (PM10, PM2,5)

Per le polveri il 2015 è stato un anno in controtendenza, dato che i valori della media annuale, pur rimanendo nei limiti di legge, sono aumentati rispetto al 2013 e 2014 a causa delle sfavorevoli condizioni atmosferiche. La persistenza dell’alta pressione, con stabilità e temperature molto al di sopra della media, assenza di precipitazioni, scarso rimescolamento atmosferico e ricambio di massa d’aria, ha incrementato considerevolmente il numero dei giorni meteorologicamente “favorevoli” all’accumulo di inquinanti: ben 123 su 365, record del decennio. E’ comunque positivo il rapporto tra il numero di giorni favorevoli all’accumulo degli inquinanti e i giorni effettivi del superamento dei limiti consentiti. Relativamente alle PM10, negli ultimi tre anni, anche in annate “critiche” per questo aspetto come il 2015, la percentuale di superamenti del limite di legge è risultata tra le più basse: appena del 26%, con 32 giorni su 123. Bene anche il 2014 con il 23,5% (l’anno migliore) pari a 23 giorni di superamento su 98 favorevoli e il 2013 (28,6%, pari a 26 giorni di superamento su 91 favorevoli), percentuali di molto inferiori rispetto al triennio 2010/2012, che aveva fatto registrate percentuali sempre superiori al 40%, o il 2006 (oltre il 50%). Nonostante la situazione avversa, per il terzo anno consecutivo nessuna stazione urbana ha superato il limite della concentrazione per la media annua, né per le PM10 né per le PM2.5. Diversa la situazione per il superamento del limite giornaliero delle concentrazioni per le PM10. Ben 23 delle 43 stazioni hanno raggiunto il numero massimo consentito di 35 superamenti annui. Partendo da ovest, in provincia di Piacenza sono state due le stazioni che nel 2015 hanno superato i limiti per più di 35 giorni: Piacenza-Parco Montecucco (40 giorni) e Piacenza-Giordani-Farnese (61). In quella di Parma tre: Colorno (47), Parma-Cittadella (52); Parma-Montebello (67). Due a Reggio Emilia: Reggio nell’Emilia-Timavo (67) e Guastalla (43); cinque a Modena: Carpi (55), Mirandola (49), Modena-Giardini (55), Modena-Parco Ferrari (44), Fiorano Modenese (45); una a Bologna: Bologna-Porta San Felice (38); quattro a Ferrara: Cento (41), Ferrara-Villa Fulvia (52), Jolanda di Savoia (37), Ferrara-Isonzo (55); due a Ravenna: Ravenna-Caorle (42) e Ravenna-Zalamella (40); due a Forlì-Cesena: Savignano sul Rubicone (44) e Forlì-Roma (36). I valori in assoluto più alti sono arrivati tra il 12 e il 14 febbraio (155 microgrammi/m3 a Carpi, 142 a Parma, 138 a Reggio Emilia).

Le PM2.5 hanno fatto registrare concentrazioni mediamente basse e senza particolari differenze tra città e aree agricole, e neppure tra parchi e strada con traffico. Nel 2015 l’unico superamento del limite per la media annua si è registrato a Besenzone, nella pianura piacentina. Non si tratta dunque di una criticità specifica delle aree urbane, ma di un problema causato dalle condizioni di inquinamento diffuso della Pianura padana, causato da un complesso di fattori collegati alla intensa concentrazione di attività umane, come il trasporto merci su gomma, le attività agricole e zootecniche, il trasporto di persone su strada, il riscaldamento domestico e le industrie. Popolazione esposta alle polveri. La frazione di popolazione esposta a un inquinante viene stimata calcolando il numero dei residenti nelle aree nelle quali la concentrazione degli inquinanti nell’aria risulta superiore al limite di legge. Nel 2015, la popolazione esposta a più di 35 superamenti annui del valore limite giornaliero di 50 microgrammi/m3 di PM10, è stata pari al 30% del totale, superiore al 2014 (3,5%) e al 2013 (4,8%). Pur lontani dalla criticità del triennio 2010-2012, quando oltre la metà della popolazione era esposta (il 56% nel 2010 e 2012, il 53% nel 2011), occorrerà un impegno notevole per raggiungere l’obiettivo dichiarato del Piano aria integrato regionale (Pair): ridurre a zero la frazione di popolazione esposta a più di 35 superamenti annui del limite giornaliero. Prossima allo zero la percentuale della popolazione esposta alle polveri PM2,5, sia nel 2015 (0,26%), sia negli anni precedenti: zero nel 2009, 2010, 2013, 2014; 0,33 % nel 2011 e 0,29 nel 2012. Un dato interessante è la lettura per provincia, che il PM10 vede le criticità maggiori a Ferrara, Modena, Piacenza e Parma: tutte con oltre il 50% di popolazione esposta sul totale. La situazione migliore si registra a Bologna, in cui la percentuale di popolazione esposta è 1,5%, pari 13.874 persone esposte su 917.264 residenti. A seguire, Forlì-Cesena con il 6,3%, pari a 22.265 persone esposte su 355.184 residenti e Ravenna con l’8,8%, pari a 30.601 persone esposte su 345.790 residenti.

BIOSSIDO D’AZOTO (NO2)

Per il biossido di azoto si conferma la situazione degli ultimi anni: concentrazioni decisamente basse nelle aree rurali e limiti rispettati anche nelle stazioni di fondo urbane. Solo in 5 delle 47 stazioni della rete regionale di monitoraggio non è stato rispettato il limite normativo relativo alla concentrazione media annua (40 microgrammi/m3), tutte stazioni urbane di traffico, situate a bordo strada: Piacenza, Modena, Fiorano (Mo), Bologna e Rimini. Inoltre, due di queste stazioni hanno registrato superamenti del limite orario: a Piacenza (l’11 e il 19 febbraio) e a Modena (l’11 e il 12 febbraio, e il 27 novembre).

OZONO (O3)

L’ozono, inquinante secondario di origine fotochimica connesso all’andamento meteo dei mesi estivi, resta ancora molto lontano dall’obiettivo di rimanere al di sotto dei 25 superamenti (come media su 3 anni) del massimo giornaliero della media mobile su 8 ore. La calda estate 2015 ha favorito alcuni episodi acuti, con superamenti orari della soglia di informazione (180 microgrammi/m3 ), pericolosa per anziani, bambini e soggetti sensibili. Il picco più lungo (9 ore consecutive, il 18 luglio a partire dalle 14) è stato registrato a San Leo (Rn), nelle colline della Valmarecchia. Le concentrazioni più alte (235 microgrammi/m3 il 3 luglio alle 16) a Langhirano sulle colline parmensi. I primi eventi sono stati quelli del 4 giugno a San Clemente (Rn) e del 4-6 giugno in alcune località dell’Emilia, mentre l’ultimo colpo di coda è stato a Parma il 29 agosto. Luglio il mese più critico: dall’1 al 24 del mese, ogni giorno (con le sole eccezioni del 9, del 10 e del 20) è stata superata la soglia di informazione. Popolazione esposta all’ozono. Per la prima volta dal 2009, nel 2015 il 100% della popolazione residente è risultata esposta a valori elevati di ozono, ossia è stata esposta per più di 25 giorni all’anno a superamenti giornalieri di 120 microgrammi/m3 per almeno 8 ore consecutive. Un dato che non sorprende, visto le condizioni meteorologiche favorevoli alla formazione di questo inquinante, ma che, anche guardando annate come il 2013 (94% della popolazione esposta), il 2012 (95%) e il 2011 (92%), indica che l’ozono è l’inquinante più diffuso sul territorio.

ALTRI INQUINANTI (CO, SO2, BENZENE)

Monossido di carbonio, benzene e biossido di zolfo, inquinanti primari che in passato costituivano il principale problema di inquinamento delle aree urbane e industriali, non risultano presentare criticità e risultano ampiamente sotto i limiti.

Fonte: Regione Emilia Romagna

 

Smog da polveri sottili, AMAT “certifica” i 35 giorni di superamento limite PM10 a Milano

Smog e polveri sottili (PM10). I dati AMAT certificano che lunedì 9 marzo è stato il 35° giorno di superamento dei 50 ug/m3 di PM10 che rendono la città “fuorilegge” sullo smog. Decisivi quindi i 57 ug/m3 della stazione di rilevamento “Città Studi/Pascal”, sita in via Ponzio 34/36382201

Smog a Milano. Dopo le incertezze degli scorsi giorni, oggi si sa che anche a Milano si sono “ufficialmente” già raggiunti i 35 giorni di superamento del limite dei 50 ug/m3 di PM10, quel “bonus” previsto dalla normativa in materia di inquinamento che, una volta superato, rende la città “fuorilegge” sullo smog. La rilevazione che ha fatto registrare il 35° giorno sono i 57 ug/m3 di PM10 della stazione di rilevamento “Città Studi/Pascal”, in realtà sita invia Ponzio 34/36.  Come abbiamo scritto negli scorsi giorni, infatti, secondo AMAT Milano non aveva ancora raggiunto il 35° giorno di superamento dei PM10, anche se altri organi d’informazione avevano dato la notizia. Il motivo, ci avevano spiegato, è che il conto si fa sui superamenti della centralina “coi valori più alti”, ossia quella che era più vicina ai 35 giorni in questo inizio di 2015, ossia quella di via Ponzio (Pascal/Città Studi).  Una notizia non proprio positiva per Milano, considerando che nel 2014 il 35°giorno lo si era raggiunto solo il 9 ottobre. Tuttavia il 2014 era stato un anno eccezionale in positivo, per lo smog, soprattutto a causa delle particolarissime condizioni climatiche e dei livelli record di pioggia. Il raggiungimento dei 35 giorni di superamento ad inizio marzo porta Milano indietro, al periodo 2006-2013, anni in cui il bonus si è sempre esaurito appunto nei primi 60, massimo 90 giorni dell’anno.  Dov’è sita la stazione che ha fatto scattare i 35 giorni di superamento limite PM10 a Milano? E’ la stazione di rilevamento definita “Città Studi/Pascal”, in realtà sita in via Ponzio 34/36, come si legge nella sezione ARPA dedicata all’ubicazione delle stazioni (o centraline di rilevamento). Ossia una delle zone più verdi e meno trafficate dalla città (vedi foto allegata): in via Ponzio c’è una delle sedi del Politecnico di Milano, la via è a traffico limitato, la zona è ricca di verde, grazie anche alla presenza del centro sportivo Giuriati.

 

AMAT Milano, il “bollettino aria” del 10 marzo relativo al 9 marzo [0,54 MB]

 

Fonte:  ecodallecitta.it

Lo smog nel 2030 tra Milano, Torino e altre città europee: lo studio, oltre le polemiche

Un nuovo studio pubblicato dai ricercatori dell’International Institute for Applied Systems Analysis (IIASA) di Laxenburg (Austria) presenta diversi possibili scenari della qualità dell’aria in Europa nel 2030, attraverso modelli matematici basati sulle concentrazioni del Pm10 registrati dalle centraline del 2009

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Non è possibile prevedere con esattezza l’andamento delle polveri sottili di qui a 15 anni, ma con l’aiuto dei modelli matematici possiamo avere un’idea dei possibili scenari che ci aspettano, a seconda delle azioni che verranno intraprese di qui al 2030. Ed è proprio questo il risultato del lavoro dei ricercatori dell’International Institute for Applied Systems Analysis (IIASA) di Laxenburg (Austria), uno studio che non ha mancato di creare polemiche e battibecchi politici a Milano. Secondo lo studio infatti, con le attuali misure antismog in vigore, le possibilità che la qualità dell’aria nell’area di Milano rientri nei limiti entro il 2030 sono scarsissime. (Milano ma non solo: a farle compagnia ci sono immancabilmente Torino, Stoccarda, Parigi, le città dell’Est più industrializzato (prevalentemente in Polonia e Repubblica Ceca) e della Bulgaria. Fa capolino, un po’ a sorpresa, anche Stoccolma). Sul banco degli imputati è finita nuovamente l’Area C del capoluogo lombardo, accusata dai suoi detrattori di essere un inutile dazio completamente inadeguato a risolvere i problemi di smog della città. Senza addentrarci inutilmente nella polemica, è stato però ribadito più volte che nessuna misura da sola può eliminare il problema dello smog, ma tutti i provvedimenti sono utili a migliorare una situazione che, in mancanza di queste pur inadeguate misure di controllo, potrebbe peggiorare ancora notevolmente. Inoltre, va ricordato che i dati presi in esame dallo studio riguardano il 2009: anno in cui Area C nemmeno esisteva. Sarebbe stato interessante vedere le proiezioni con una base dati più recente. Più interessante della contesa politica è però il contenuto della ricerca. Sulla base dei dati registrati dalle centraline europee nel 2009, i ricercatori hanno potuto modellare due diversi scenari possibili: il primo è una mappa fotografica di ciò che accadrebbe se non ci fosse alcun miglioramento delle strategie antismog attualmente in vigore nelle varie città europee; il secondo ci mostra invece – attraverso il confronto di curve di riduzione del Pm10 – i risultati che, con un buon livello di approssimazione, si potrebbero ottenere adottando le politiche di controllo degli inquinanti più avanzate attualmente esistenti ( Per esempio l’uso di biocombustibili o la limitazione dei diesel).  Purtroppo lo studio non disegnaa una vera e propria mappa per il secondo scenario, essendo i parametri del caso estremamente variabili (dalle stime sull’aumento del traffico, alla difficoltà nel definire il concetto di “misura applicabile più avanzata”). Ciò che invece si rivela estremamente utile è la prima fotografia, quella che mostra cosa accadrà mantenendo gli attuali provvedimenti antismog tali e quali. Ebbene, Londra sembrerebbe riuscire a limitare significativamente le proprie concentrazioni di polveri, grazie alle politiche approvate dal Sindaco Boris Johnson (che pure vengono attaccate dagli ecologisti inglesi): la media annuale del Pm10 resterebbe al di sotto dei 25 mcg/m3.  Convincono meno invece i piani dell’amministrazione di Parigi, guidata da Anne Hidalgo: secondo il modello messo a punto dai ricercatori, la metropoli francese nel 2030 sarà alle prese con medie ancora al di sopra dei limiti previsti dalla riforma delle direttive sulla qualità dell’aria in programma alla Commissione Europea (NdR: il limite per la media annuale del Pm10 dovrebbe scendere da 40 a 25 mcg/m3). Stesso discorso per la Pianura Padana, che vedrà l’intera area ancora fuori legge – medie comprese tra i 25 e i 35 mcg/m3, in ogni caso in netto miglioramento rispetto al presente – con le zone di Milano e Torino ancora sopra i 35 mcg/m3. Le altre città europee fuori dai limiti saranno, secondo il modello, Stoccarda, Gijon, Stoccolma, Sofia e Cracovia: ossia le aree più industrializzate e densamente abitate del continente.
Mantenendo le misure attualmente in vigore, riassumono i ricercatori, sarà possibile ottenere significative riduzioni di Pm2.5, SO2 ed Nox, ma non possiamo aspettarci ulteriori passi avanti per il Pm10 e per l’NH3. Per il futuro, assumendo che le misure attualmente approvate dalle amministrazioni vengano attuate in modo efficace, i livelli di Pm10 in tutta Europa potranno sì essere ridotti, ma non riportare entro i limiti in tutte le città. Le aree più critiche restano quelle dell’Est Europa – prevalentemente a causa dell’uso massiccio del carbone e del legname come principale fonte di riscaldamento domestico, e le zone urbane più densamente popolate e industrializzate, i cui problemi principali restano il riscaldamento domestico e il traffico stradale, che si prevede aumenterà ancora. “Una soluzione semplice a questi problemi dev’essere ancora trovata – concludono gli studiosi – misure mirate, come le limitazioni del traffico e l’istituzione di più zone a basse emissioni, possono tuttavia rivelarsi utili per garantire che le riduzioni delle emissioni ottenute finora non vengano compensate da un aumento delle emissioni di gas di scarico e polveri dovute all’aumento del traffico”.

Fonte:  ecodallecitta.it

Inquinamento, a Milano 34 sforamenti dei Pm10 in due mesi

Nonostante le piogge di gennaio e febbraio, gli sforamenti dei Pm10 hanno già raggiunto i limiti annuali concessi dall’Europa. Il bonus dei 35 giorni concessi dall’Europa per sforare la soglia dei Pm10 sta per essere già superato a Milano. È una questione di ore e dopo poco più di due mesi dall’inizio dell’anno, il capoluogo lombardo supererà i giorni consentiti per sforare i limiti delle polveri sottili. Sabato 28 febbraio le centraline dell’Arpa hanno registrato 50 microgrammi per metro cubo d’aria. Dopo un anno segnato dalle piogge eccezionali e, quindi, da valori più ridotti, la metropoli che si appresta ad ospitare l’Expo lo farà con un’aria “fuorilegge”. Anche al di fuori di Milano la situazione resta critica con i limiti medi oltre il valore di 65 microgrammi. Pierfrancesco Maran, assessore comunale Ambiente ha ricordato come il 2014 sia stato – proprio grazie alle piogge – il secondo anno migliore di sempre. L’amministrazione milanese sa di non dover abbassare la guardia:

bisogna andare avanti nelle strategie strutturali impostate nella riduzione del traffico e nel miglioramento delle caldaie. L’aria che respiriamo oggi è migliore di cinque anni fa ma la partita non è affatto vinta,

spiega l’assessore. Il dato più preoccupante è che ci siano stati così tanti sforamenti in due mesi come gennaio e febbraio in cui le precipitazioni sono state oltre la media stagionale. Nonostante la disincentivazione del traffico automobilistico verso il centro cittadino, la Lombardia resta la Regione più motorizzata d’Europa con il 20% dei veicoli più della media. Secondo gli ambientalisti in Lombardia c’è un milione di auto di troppo e poche alternative all’auto privata. La questione non riguarda solamente il numero di giorni degli sforamenti, ma anche la media delle concentrazioni: 56 microgrammi per metro cubo d’aria contro i 40 stabiliti dall’Europa come limite massimo. Nelle scorse settimane il sindaco Anne Hidalgo ha dato una decisa accelerazione nelle politiche green di Parigi, in Italia, invece, certe decisioni sembrano andare a rilento: uno dei prossimi passi sarà il divieto di circolazione per i diesel Euro 3, un obiettivo che non ha ancora una data.milano_smog_euro4

Fonte:  Repubblica

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