Addiopizzo: contro il pizzo cambiamo i consumi

“Un intero popolo che accetta di pagare il pizzo è un popolo senza dignità”. La mattina del 29 Giugno 2004, i palermitani che camminano in giro per la città trovano i muri tappezzati di adesivi anonimi che riportano questo slogan. Tutti cominciano a parlarne, cittadinanza e istituzioni si interrogano sull’identità degli autori di questo gesto, parte il tran tran mediatico e in brevissimo tempo la notizia è sulla bocca di tutti. Ma facciamo un passo indietro.

“Questo movimento nasce improvvisamente, dal basso” spiega Pico, uno degli associati di “Addiopizzo”, parlando del movimento anti-racket siciliano. Nel 2004 un gruppo di giovani studenti e neolaureati si riunisce intorno a un tavolo per decidere cosa fare della propria vita. Sono sette ragazzi in gamba e con forte spirito di iniziativa che non vogliono lasciare Palermo. L’idea iniziale che nasce intorno a quel tavolino è molto semplice: aprire un pub equo e solidale. Uno di loro si occupa di scrivere il business plan e tra i rischi economici da calcolare inserisce la voce “pagare il pizzo”. “Eravamo tutti ragazzi informati e consapevoli”, spiega Pico, “ma quando vediamo scritta nero su bianco quella parola – “pizzo” – è come se ci fossimo scontrati all’improvviso con la realtà dei fatti. Fu come una doccia fredda”.8748073071_4c82e4698f_b-e1417596772110

Iniziando studi e ricerche sul tema, scoprono che il commerciante paga il pizzo di tasca propria una sola volta, all’inizio, successivamente è il prezzo delle merci che viene aumentato per coprire la “tassa” dell’estorsione. Questo significa che tutti i cittadini vengono coinvolti e anche attraverso il semplice acquisto di un prodotto si alimenta indirettamente il sistema mafioso del pizzo. Da questa presa di coscienza nasce lo slogan degli adesivi attaccati nella notte tra il 28 e il 29 Giugno 2004 dal gruppo di attivisti. Quando decidono di venire allo scoperto, dopo qualche giorno dalla “notte degli adesivi”, i sette giovani universitari scelgono di rimanere anonimi, di non personificare la lotta. “Il problema di tanti movimenti anti-mafia è stato proprio la personificazione in un singolo individuo, che purtroppo – sappiamo bene – troppo spesso è diventato martire. Anche oggi che l’associazione ha un riconoscimento a livello regionale e nazionale”, aggiunge, “c’è una turnazione continua delle cariche e dei ruoli interni”.addiopizzo

In pochissimo tempo il gruppo passa da sette persone a quaranta e già nell’estate del 2004 viene preparato un manifesto del consumo critico da sottoporre ai cittadini. Nell’estate del 2005, solo un anno dopo, il manifesto è stato sottoscritto da oltre mille persone e a maggio del 2006 esce la lista dei primi cento commercianti che hanno rifiutato di pagare il pizzo. Da quel momento in poi, con cadenza annuale sono resi noti circa cento nuovi commercianti che aderiscono alla rete e a maggio di ogni anno viene organizzata una tre giorni di eventi e incontri sul consumo critico in una delle piazze di Palermo. La storia di Libero Grassi è un modello ma anche un monito: nessun commerciante deve rimanere solo. Per questo sono tutti invitati a partecipare per sostenere la rete ma soprattutto per conoscere e sensibilizzare. “La nostra forza”, argomenta Pico, “è la responsabilizzazione del cittadino. È il singolo individuo che decide di fare la differenza”. Non si colpevolizza il commerciante che paga il pizzo, ma piuttosto si premia e si dà voce a chi decide di non farlo. Gli esercizi commerciali che aderiscono alla rete di Addiopizzo accettano il “pacchetto legalità” a 360 gradi: dall’assunzione dei dipendenti al pagamento delle tasse è tutto perfettamente a norma. In cambio i commercianti sanno di poter contare da un lato su una rete di cittadini consapevoli che prediligono le loro attività piuttosto che altre, dall’altro sulla protezione dell’associazione in caso di necessità.pizzo

“Gli esercizi che aderiscono ad Addiopizzo non hanno quasi mai avuto ritorsioni, ma quando è successo hanno avuto la dimostrazione che si può contare sulla nostra rete”, racconta Pico, “e il caso di Rodolfo Guajana lo testimonia”. Dopo aver aderito alla rete, questa ditta palermitana è stata vittima di un attentato incendiario nella notte tra il 30 e il 31 Luglio 2007 e “il fumo delle fiamme si vedeva fin dall’altro capo della città”, ricorda Pico. Il capannone della ditta venne completamente distrutto ma il 17 settembre, dopo solo due mesi, Guajana è di nuovo in piedi, pronto per riaprire la sua attività. Grazie alle pressioni di Addiopizzo e alla mobilitazione innescata sul territorio, il proprietario ha ottenuto il sostegno delle istituzioni e in pochissimo tempo gli è stato garantito dalla regione lo spazio per i nuovi capannoni. “Se la società civile è consapevole e richiede il cambiamento”, spiega Pico, “le istituzioni non possono fuggire e sono obbligate ad ascoltare e agire di conseguenza”. L’associazione Addiopizzo oggi è una solida realtà regionale, dalla sua costola si è formata un’associazione collaterale, “Addiopizzo Travel” (vedi box a destra), e oltre al nucleo originario di Palermo sono nate nuove cellule a Catania (2006) e Messina (2010). Le stime ufficiose delle forze dell’ordine registrano un forte calo del fenomeno del pizzo anche a Palermo, dove nel 2004 i dati ufficiali riportavano una stima pari all’80%.

“La mafia ti uccide nei sogni, con Addiopizzo abbiamo riacceso in minima parte le speranze della gente, lo vedo negli occhi delle persone con cui parlo” confida Pico. Poi conclude: “sono soddisfatto di quello che abbiamo ottenuto fino ad oggi, ma sono ingordo e voglio migliorare sempre di più”.

Fonte : italiachecambia.org

 

Bellezza e legalità: il coraggio di difendere la propria terra

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Emanuele Feltri è un giovane siciliano innamorato della sua terra e della legalità, che ha deciso di restare per far rinascere una delle valli più belle dell’isola. Emanuele Feltri ha 34 anni, è nato a Catania ed è perito agrario. Dopo aver preso il diploma, ha deciso di non emigrare al nord, ma di restare nella sua Sicilia per avviare una coltivazione di prodotti biologici e un allevamento di ovini nella Valle del fiume Simeto.  I primi due anni di attività, però, non sono stati facili. Emanuele crede fermamente nell’imprenditoria agricola sana, svincolata da ricatti e prepotenze, che non convive con le ecomafie, ma che punta su biologico, vendita diretta, qualità dei prodotti e consorzi tra piccole aziende. Ma la criminalità organizzata ha cercato di piegarlo alle sue “regole” in tutti i modi, con richieste di pagamento del pizzo, minacce e danneggiamenti. Hanno bruciato l’agrumeto, danneggiato l’impianto d’irrigazione, rubato attrezzature, ma Emanuele ha deciso di non cedere. Si è rivolto alle forze dell’ordine e ha denunciato tutti i tentativi di soffocare la sua piccola azienda biologica attraverso l’imposizione di pizzo, prezzi di vendita e passaggi commerciali.“La scelta di rimanere”, spiega, “è avvenuta nel momento in cui una proposta di lavoro mi stava portando per l’ennesima volta lontano dalla Sicilia. Adesso è giunto il momento di mettere a frutto il mio vissuto per dare il mio apporto ad una terra che amo profondamente, ma che è piena di problemi e contraddizioni”.

La Valle del Simeto incarna tutte le problematiche della Sicilia”, continua, “ma la sua bellezza, la storia del suo vissuto rurale mi hanno chiamato a proporre un modello di lavoro e di vita che esprimono la volontà di non scendere a compromessi con un sistema basato sullo sfruttamento del territorio e dell’uomo”.

L’azienda agricola di Emanuele si trova su una collina vicino a Paternò, dalla quale si vede l’Oasi avi-faunistica di Ponte Barca, nata nel 2009. Ma Emanuele si rende conto che l’area protetta esiste solo sulla carta: la zona non solo è incustodita, ma è anche una discarica a cielo aperto. Mancano recinzioni e controlli e chiunque può entrarvi per appiccare incendi, cacciare la selvaggina e scaricare rifiuti. Si rivolge, ancora una volta, alle forze dell’ordine per segnalare lo stato di degrado dell’Oasi e anche le numerose discariche abusive presenti nella Valle, dove i camion scaricano rifiuti di ogni tipo, anche pericolosi e tossici. Inoltre, denuncia la continua moria di pesci e lo sversamento di sostanze nocive nel fiume Simeto, che, con i suoi 113 km di lunghezza, è il secondo fiume dell’isola e il primo per portata d’acqua ed estensione del bacino idrografico. Denuncia l’assenza di vigilanza nei boschi, che favorisce la presenza dei bracconieri, e la mancanza di controllo e manutenzione delle aree archeologiche, per la gioia di ladri e tombaroli. E consegna ai Carabinieri di Paternò un lungo memoriale dove racconta tutto ciò che ha visto e ha subito in prima persona.

Avere espresso in maniera forte la mia distanza dalle dinamiche criminali presenti nella valle”, racconta Emanuele, “proponendo uno sviluppo eco-sostenibile, è bastato per scatenare due anni di furti, danneggiamenti alla proprietà, minacce, tentativi di tirarmi dentro ad una rete di “protezione” e, infine, due episodi intimidatori di stampo mafioso, con l’uccisione delle mie pecore, sparate a pallettoni, e il ritrovamento della testa di un agnello di fronte alla porta di casa”.

Dopo questo episodio, avvenuto il 29 giugno scorso, la notizia fa il giro della Valle e il 7 luglio viene organizzata una manifestazione spontanea di solidarietà nei suoi confronti, alla quale partecipano 500 persone. Due giorni dopo, la criminalità risponde facendogli trovare un agnello sventrato, ma accade piccolo miracolo: nasce un coordinamento spontaneo di cittadini, trasversale e privo di connotazioni politiche (il “Coordinamento in Difesa della Valle del Simeto”), che sostiene Emanuele nella sua battaglia in difesa del territorio, della legalità e dell’imprenditoria sana.

Sono i ragazzi di Paternò e dei paesi limitrofi”, spiega,“che, come me, hanno scelto di non partire e di costruire un futuro migliore nella loro terra; sono le famiglie con i loro figli che hanno espresso la voglia di una vita più a misura d’uomo; sono agricoltori consapevoli che vogliono difendere il mio e il loro diritto di esistere, vivendo e lavorando in pace e serenità”.

Grazie al nuovo comitato, la storia di Emanuele raggiunge l’opinione pubblica, i social network, i media nazionali e le autorità. Anche il sindaco di Paternò, Mauro Mangano, e il Governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, sposano la sua causa, mentre il Prefetto di Catania si impegna personalmente, insieme all’associazione Libera, ad offrirgli protezione contro nuove intimidazioni.

“Non bisogna essere super eroi”, sottolinea Emanuele, “per portare avanti i propri ideali, per testimoniare che, a volte, il coraggio sta proprio nel condurre la propria vita quotidiana con coerenza e senza compromessi. Quando ci renderemo conto che ci stanno togliendo tutto, anche la possibilità di vivere nella propria terra, forse inizieremo a voler essere i reali protagonisti del nostro futuro. Io resto qui, non andrò via”.

E conclude: “La Valle del Simeto è già rinata, perché ha reagito ad un forte attacco con coraggio ed unione. Adesso la sfida è riuscire a trasmettere tutto questo, andando avanti e fronteggiando i possibili ulteriori contrattacchi di chi vuole che nulla cambi. Io la mia terra non la lascio: è come chiedermi di smettere di respirare”.

Fonte:buonenotizie.it