Riscaldamento e allevamenti intensivi: in pianura padana causa del 54% delle polveri fini

Un rapporto di Greenpeace e ISPRA evidenzia le ingenti responsabilità degli allevamenti intensivi nel generare emissioni di polveri sottili in Nord Italia, secondi solo al riscaldamento per quanto riguarda la produzione di PM 2,5. Mentre diverse analisi mostrano come chi vive in aree con alti livelli di inquinamento dell’aria sia più incline a sviluppare problemi respiratori cronici, che sono terreno fertile per agenti infettivi come il Covid19, uno studio dell’Unità investigativa di Greenpeace Italia, in collaborazione con ISPRA, indaga i settori maggiormente responsabili del particolato in Italia.

A formare lo smog della Pianura Padana, oltre a ossidi di azoto e di zolfo, concorre in maniera importante l’ammoniaca che, liberata in atmosfera, si combina con questi componenti generando le polveri fini. Cruciale il ruolo degli allevamenti, responsabili di circa l’85% delle emissioni di ammoniaca in Lombardia. Secondo l’Arpa regionale, l’ammoniaca che fuoriesce dagli allevamenti “concorre mediamente a un terzo del PM della Lombardia, ma durante gli episodi acuti tale contributo aumenta superando il 50 per cento del totale”.

“I Comuni dovrebbero stabilire qual è il numero massimo di allevamenti e capi allevati che è possibile avere sul loro territorio, perché altrimenti i danni si ripercuotono sui cittadini” afferma Riccardo De Lauretis, responsabile dell’area emissioni e prevenzione dell’inquinamento atmosferico di ISPRA. Lombardia ed Emilia-Romagna risultano, infatti le aree più inquinate d’Italia – sicuramente dal punto di vista del particolato – e tra le più inquinate d’Europa. Arpa Lombardia conferma poi il rapporto di causa-effetto tra le attività zootecniche e l’aumento di PM, con picchi registrati durante lo spandimento di liquami sui campi. Mentre in Lombardia è chiaro il peso del settore allevamenti per l’inquinamento da PM, a livello nazionale la ricerca dell’Unità investigativa di Greenpeace Italia in collaborazione con ISPRA mostra per la prima volta, dal 1990 al 2018, una media di quali settori abbiano maggiormente contribuito alla formazione del particolato PM2,5. Nell’analisi viene scattata anche una fotografia del 2018, anno in cui i settori più inquinanti si confermano essere il riscaldamento residenziale e commerciale (37 per cento) e gli allevamenti (17 per cento). Questi due settori insieme sono la causa del 54 per cento del PM2,5 nazionale. La percentuale del contributo degli allevamenti non è mai diminuita, anzi è passata dal 7 per cento nel 1990 al 17 per cento nel 2018.

“Gli allevamenti intensivi non solo si confermano la seconda causa di polveri sottili, ma si può osservare come dal 1990 al 2018, il loro contributo sia andato crescendo. Paradossalmente, però, una gran quantità di soldi pubblici continua a foraggiare questo sistema, a cominciare dai sussidi della PAC” commenta Federica Ferrario, responsabile Campagna Agricoltura di Greenpeace Italia. “Per ridurre le emissioni di ammoniaca e quindi le concentrazioni di particolato il settore allevamenti potrebbe fare molto. Puntare sulla qualità invece che sulla quantità è una priorità: attraverso produzioni che rispettino alti standard anche dal punto di vista ambientale, possiamo rilanciare il nostro Made in Italy dopo questa difficile fase emergenziale, per questo le strategie future, come il Green Deal europeo e Farm to Fork, e strumenti come la PAC devono prevedere risorse adeguate per aiutare le aziende agricole a ridurre il numero degli animali allevati e nel passaggio a metodi di produzione ecologici”.

Il rischio, altrimenti, avverte ISPRA, è che “mentre abbiamo centrato i limiti emissivi per tutte le sostanze per il 2020, se la situazione attuale non cambierà per l’Italia sarà molto sfidante, per non dire difficile, stare entro i limiti fissati per il 2030”.

Leggi la ricerca “Covid, esposizione al particolato e allevamenti intensivi”. Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/05/riscaldamento-allevamenti-intensivi-pianura-padana-polveri-fini/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Pianura Padana e Black Carbon, conclusa la campagna internazionale Actris-2

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Per quattro settimane l’Isac Cnr ha monitorato i comportamenti del Black Carbon in condizioni meteo-climatiche sono soggette ad elevate temperature che danno luogo a ondate di calore con condizioni critiche per la qualità dell’aria Si conclude oggi, venerdì 28 luglio, nell’ambito del progetto europeo Actris-2, la campagna internazionale per reperire informazioni su un’importante componente dell’inquinamento atmosferico: il Black Carbon (BC). Il BC è considerato un composto altamente inquinante e climalterante, infatti è nocivo per la salute e ad esso è associato un aumento delle morti premature nelle città ed inoltre ha un potere riscaldante che regionalmente può essere uguale a quello dell’anidride carbonica. Numerose sono ancora le incertezze sulla sua misura e questa compagna sta contribuendo alla definizione e dei parametri che ne influenzano la misura e degli artefatti caratteristici di alcune tecniche. Infatti sono state applicate negli stessi siti diverse tecniche strumentali per la definizione del coefficiente d’assorbimento del particolato atmosferico (PM), la caratteristica ottica più direttamente legata alla concentrazione di BC in atmosfera. Sono tre i siti di misura in cui diversi istituti opereranno: l’Osservatorio climatico Isac-Cnr ‘O. Vittori’ a Mt. Cimone (rappresentativo delle condizioni di fondo dell’atmosfera), la stazione di qualità dell’aria Arpae-Cnr a Bologna (area urbana) e la stazione per lo studio della composizione dell’atmosfera di S. Pietro Capofiume del Arpae-Cnr (area rurale). Questi siti offrono caratteristiche di inquinamento molto diverse, e permetteranno di studiare anche il trasporto e la trasformazione dell’aerosol assorbente (BC) dalla sua emissione alle forma invecchiata.387938_2

In questi siti l’Isac-Cnr di Bologna ha collaborato per quattro settimane con il National center for scientific research ‘demokritos’ (GR), il Paul Sherer Institute – PSI (CH), il Joint research center JRC (Ispra-IT), Aerosol d.o.o. (SI), Institut de Géosciences de l’Environnement – Ige (FR), Finnish meteorological institute – Fmi (F), Michigan Technological University (USA), Center for Physical Sciences and Technology Vilnius (LT), Aerodyne Research (USA), Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Fisica e Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità (IT), Università degli Sudi di Milano Bicocca, Dipartimento di Scienze dell’ambiente e della Terra (IT), il CeSMA Università degli Studi di Napoli Federico II, Ala Advanced Lidar Applications S.r.l. (IT), il Icmate-Cnr, Consorzio proambiente e Arpa Emilia-Romagna (IT), mettendo in campo circa 30 diversi strumenti che utilizzano tecniche profondamente differenti per la misura del BC.

Un van strumentato ha permesso di seguire l’evoluzione del particolato assorbente dall’emissione al trasporto percorrendo transetti in tutta la pianura padana, fino alla Lombardia e dalla pianura verso le colline fino ai piedi di Monte Cimone.387938_3

È stato inoltre impiegato un aereo ultraleggero sloveno (GreenLight, Aviation for Science) che ha eseguito le misure di BC e le proprietà ottiche del particolato fino ad oltre 3000 m di quota, sia sopra che all’interno dello strato di rimescolamento sulle aree interessate dalle misure a terra. Una modellistica ad hoc per l’esperimento (meteorologica, di trasporto e di qualità dell’aria) è stata sviluppata da Isac-Cnr in collaborazione con Arpae Emilia Romagna e sarà di supporto nella scelta delle strategie osservative da intraprendere e nell’interpretazione dei dati Questo esperimento è stato programmato in un periodo tipico estivo quando nella Pianura Padana le condizioni meteo-climatiche sono soggette ad elevate temperature e condizioni meteorologiche che danno luogo a ondate di calore con condizioni spesso critiche anche per la qualità dell’aria. Osservazioni e simulazioni in sinergia aiuteranno a meglio comprendere le aree sorgenti e le dinamiche di trasporto e trasformazione del black carbon sull’area della Pianura Padana fino alle aree montane circostanti ed il suo export in libera troposfera.

Fonte: ecodallecitta.it

Pianura Padana super inquinata: come salvare i 23 milioni di abitanti?

Si chiama Life Integrato PrepAir e dovrebbe provare a salvare dall’inquinamento peggiore d’Europa i 23 milioni di cittadini della Pianura Padana, promuovendo diversi stili di vita, di produzione e di consumo più sostenibili. Ci crediamo?9590-10356

Il 40% della popolazione italiana – oltre 23 milioni di persone – risiede nelle regioni che compongono la pianura Padana e in quest’area viene prodotto oltre il 50% del Pil nazionale. Questo comporta elevatissime emissioni in atmosfera nel bacino padano dove, peraltro, la conformazione orografica e le particolari condizioni meteoclimatiche rendono molto difficile la dispersione degli inquinanti, provocando superamenti dei valori limite per polveri, ossidi di azoto e ozono. Finora tanto si è detto ma pochissimo o nulla si è fatto. Anzi, sono stati anche raddoppiati e potenziati gli inceneritori, tra le altre cose. Ora 18 realtà, istituzionali e non, di quest’area si sono unite per tentare di mettere in campo una strategia che affronti dal basso e in maniera coordinata il problema dell’inquinamento atmosferico, educando, informando e formando. Almeno è questa, sulla carta, la finalità del progetto europeo Prepair (Po Regions Engaged to Policies of Air) per promuovere stili di vita, di produzione e di consumo più sostenibili, cioè capaci di incidere sulla riduzione delle emissioni. Per farlo, saranno realizzate specifiche azioni di sensibilizzazione e divulgazione rivolte ad operatori pubblici, privati e alle comunità locali. La dimensione territoriale è estesa a tutta l’area del bacino del Po e al territorio sloveno, il progetto si svilupperà fino al gennaio 2024. A disposizione ci sono tanti soldi: 17 milioni di euro da investire nell’arco di 7 anni, 10 quelli in arrivo dall’Europa grazie ai fondi del Programma Life. Cinque i temi sui quali agirà il progetto – agricoltura, trasporti, biomasse, efficienza energetica e monitoraggio & valutazione – mentre i diversi  portatori di interesse si sono espressi sulle azioni che verranno realizzate nel corso dei 7 anni di progetto.

I partner del progetto

Sono 18 i partner che partecipano al progetto Life Prepair: oltre alla Regione Emilia-Romagna, che svolge il ruolo di capofila, ci sono Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Provincia di Trento, le Agenzie ambientali di Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Agenzia per l’ambiente della Slovenia; i Comuni di Bologna, Torino e Milano; Ervet e Fondazione Lombardia per l’Ambiente.

Fonte: ilcambiamento.it

Lo smog nel 2030 tra Milano, Torino e altre città europee: lo studio, oltre le polemiche

Un nuovo studio pubblicato dai ricercatori dell’International Institute for Applied Systems Analysis (IIASA) di Laxenburg (Austria) presenta diversi possibili scenari della qualità dell’aria in Europa nel 2030, attraverso modelli matematici basati sulle concentrazioni del Pm10 registrati dalle centraline del 2009

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Non è possibile prevedere con esattezza l’andamento delle polveri sottili di qui a 15 anni, ma con l’aiuto dei modelli matematici possiamo avere un’idea dei possibili scenari che ci aspettano, a seconda delle azioni che verranno intraprese di qui al 2030. Ed è proprio questo il risultato del lavoro dei ricercatori dell’International Institute for Applied Systems Analysis (IIASA) di Laxenburg (Austria), uno studio che non ha mancato di creare polemiche e battibecchi politici a Milano. Secondo lo studio infatti, con le attuali misure antismog in vigore, le possibilità che la qualità dell’aria nell’area di Milano rientri nei limiti entro il 2030 sono scarsissime. (Milano ma non solo: a farle compagnia ci sono immancabilmente Torino, Stoccarda, Parigi, le città dell’Est più industrializzato (prevalentemente in Polonia e Repubblica Ceca) e della Bulgaria. Fa capolino, un po’ a sorpresa, anche Stoccolma). Sul banco degli imputati è finita nuovamente l’Area C del capoluogo lombardo, accusata dai suoi detrattori di essere un inutile dazio completamente inadeguato a risolvere i problemi di smog della città. Senza addentrarci inutilmente nella polemica, è stato però ribadito più volte che nessuna misura da sola può eliminare il problema dello smog, ma tutti i provvedimenti sono utili a migliorare una situazione che, in mancanza di queste pur inadeguate misure di controllo, potrebbe peggiorare ancora notevolmente. Inoltre, va ricordato che i dati presi in esame dallo studio riguardano il 2009: anno in cui Area C nemmeno esisteva. Sarebbe stato interessante vedere le proiezioni con una base dati più recente. Più interessante della contesa politica è però il contenuto della ricerca. Sulla base dei dati registrati dalle centraline europee nel 2009, i ricercatori hanno potuto modellare due diversi scenari possibili: il primo è una mappa fotografica di ciò che accadrebbe se non ci fosse alcun miglioramento delle strategie antismog attualmente in vigore nelle varie città europee; il secondo ci mostra invece – attraverso il confronto di curve di riduzione del Pm10 – i risultati che, con un buon livello di approssimazione, si potrebbero ottenere adottando le politiche di controllo degli inquinanti più avanzate attualmente esistenti ( Per esempio l’uso di biocombustibili o la limitazione dei diesel).  Purtroppo lo studio non disegnaa una vera e propria mappa per il secondo scenario, essendo i parametri del caso estremamente variabili (dalle stime sull’aumento del traffico, alla difficoltà nel definire il concetto di “misura applicabile più avanzata”). Ciò che invece si rivela estremamente utile è la prima fotografia, quella che mostra cosa accadrà mantenendo gli attuali provvedimenti antismog tali e quali. Ebbene, Londra sembrerebbe riuscire a limitare significativamente le proprie concentrazioni di polveri, grazie alle politiche approvate dal Sindaco Boris Johnson (che pure vengono attaccate dagli ecologisti inglesi): la media annuale del Pm10 resterebbe al di sotto dei 25 mcg/m3.  Convincono meno invece i piani dell’amministrazione di Parigi, guidata da Anne Hidalgo: secondo il modello messo a punto dai ricercatori, la metropoli francese nel 2030 sarà alle prese con medie ancora al di sopra dei limiti previsti dalla riforma delle direttive sulla qualità dell’aria in programma alla Commissione Europea (NdR: il limite per la media annuale del Pm10 dovrebbe scendere da 40 a 25 mcg/m3). Stesso discorso per la Pianura Padana, che vedrà l’intera area ancora fuori legge – medie comprese tra i 25 e i 35 mcg/m3, in ogni caso in netto miglioramento rispetto al presente – con le zone di Milano e Torino ancora sopra i 35 mcg/m3. Le altre città europee fuori dai limiti saranno, secondo il modello, Stoccarda, Gijon, Stoccolma, Sofia e Cracovia: ossia le aree più industrializzate e densamente abitate del continente.
Mantenendo le misure attualmente in vigore, riassumono i ricercatori, sarà possibile ottenere significative riduzioni di Pm2.5, SO2 ed Nox, ma non possiamo aspettarci ulteriori passi avanti per il Pm10 e per l’NH3. Per il futuro, assumendo che le misure attualmente approvate dalle amministrazioni vengano attuate in modo efficace, i livelli di Pm10 in tutta Europa potranno sì essere ridotti, ma non riportare entro i limiti in tutte le città. Le aree più critiche restano quelle dell’Est Europa – prevalentemente a causa dell’uso massiccio del carbone e del legname come principale fonte di riscaldamento domestico, e le zone urbane più densamente popolate e industrializzate, i cui problemi principali restano il riscaldamento domestico e il traffico stradale, che si prevede aumenterà ancora. “Una soluzione semplice a questi problemi dev’essere ancora trovata – concludono gli studiosi – misure mirate, come le limitazioni del traffico e l’istituzione di più zone a basse emissioni, possono tuttavia rivelarsi utili per garantire che le riduzioni delle emissioni ottenute finora non vengano compensate da un aumento delle emissioni di gas di scarico e polveri dovute all’aumento del traffico”.

Fonte:  ecodallecitta.it

Smog, in meno di due mesi sono già svaniti i progressi del 2014?

Non sono passati nemmeno due mesi dalla fine del 2014, salutato come l’anno più pulito del secolo, che già lo smog torna a marcare il territorio nella pianura padana: Torino, Milano,Brescia, Novara, Vercelli, nelle città del Nord il Pm10 si è impennato di nuovo, con medie superiori di un buon terzo rispetto agli stessi giorni dell’anno passato381951

Nel 2014 lo smog nella pianura padana sembrava aver finalmente sventolato una bandiera – se non bianca – molto meno sozza del solito: per quanto i giorni di sforamenti superassero ancora nella maggior parte delle città i 35 attualmente consentiti dall’Unione Europea, le medie annuali del Pm10 avevano segnato un innegabile passo avanti, riuscendo finalmente a rientrare nei 40 mcg/m3previsti dalla legge. (Milano e Torino comprese).
E’ vero, il meteo era stato particolarmente favorevole, e le piogge abbondanti avevano aiutato a spazzare via le concentrazioni, ma confrontando i dati degli ultimi dieci anni il miglioramento appariva evidente, progressivo, e tutto sommato abbastanza costante. Possibile, allora, che siano bastati meno di due mesi per tornare indietro e cancellare il primato? La situazione in questo primo mese e mezzo del 2015 è effettivamente poco promettente: in provincia di Parma il Pm10 ha raggiunto picchi di 115 mcg/m3, e molte centraline hanno segnato i 70-80 mcg, valori purtroppo piuttosto comuni più a nord, ma abbastanza insoliti per i comuni dell’Emilia Romagna. Legambiente – fresca di presentazione del dossier Mal’aria 2015, denuncia giorni neri anche in Piemonte, con un gennaio in cui lo smog “ha sforato un giorno su due”. Vediamo nel dettaglio, dati Arpa alla mano, cos’è successo nelle città più inquinate del Nord nel periodo compreso tra il 1° gennaio e il 14 febbraio 2015. A Milano la media delle concentrazioni del Pm10 in questo primo mese e mezzo dell’anno è aumentata considerevolmente: dai 33 mcg/m3 del 2014 registrati alla centralina Verziere si è passati a 54,4. Ancora più alti a Pascal Città Studi, che è salita da 42,8 a 61 mcg/m3. Il picco più alto, 152 mcg/m3, registrato a febbraio, il mese uniformemente più problematico in questo primo bollettino di inizio 2015. Restiamo in Lombardia e vediamo cos’è successo a Brescia, altra roccaforte dello smog: medie aumentate di oltre un terzo, dai 39 mcg/m3 del 2014 ai 60 del 2014. Valore più alto, 108 mcg, anche questo in febbraio.
Analoga la situazione in Piemonte: a Vercelli la media del periodo 1°gennaio-14 febbraio è passata dai 40,9 mcg/m3 del 2014 ai 52,5 del 2015. Picco, sempre in febbraio, 121 mcg/m3. L’aumento è consistente anche a Novara, dove la media del 2014, 28,12 mcg/m3, è stata sorpassata con 31,9 mcg. (Nessun picco di nota: ci si ferma “solo” a 75 mcg). Veniamo a Torino, il cui dettaglio dei dati rilevati aiuta a chiarire la situazione generale. Se prendiamo in considerazione il solo gennaio, a ben guardare i valori sono assolutamente in linea con l’anno precedente (come avevamo anticipato qua). Anzi: addirittura la media cala un po’, da 56 a 54,6 mcg/m3, facendo la media di tutte le centraline. (La peggiore sempre Grassi, entrambi gli anni). Ma sono proprio i giorni di febbraio a ribaltare il dato, con una media che passa da 34 a 55 mcg/m3. Complessivamente, nel periodo preso in esame – 1°gennaio/14febbraio – la media del Pm10 è cresciuta dai 48,4 mcg/m3 del 2014 ai 54,4 del 2015. (Il valore più alto, 144 mcg/m3).
L’unica città piemontese che sembra invertire la tendenza è Alessandria, che festeggia in questi giorni il suo argento come seconda città più inquinata d’Italia. Qui il Pm10 è sceso – unico caso – ma da valori che erano fra i più alti registrati nella pianura padana: 50 mcg/m3 nel 2014, 48,10 nel 2015. In conclusione, l’allarme lanciato negli ultimi giorni dagli ambientalisti trova riscontro reale nei dati, e aiuta a non dare per scontati i risultati positivi degli ultimi anni. Va ricordato però che lo stesso 2014, l’anno più pulito di sempre, ebbe un inizio – ci scuseranno i lettori – piuttosto diesel. Niente è già scritto, insomma, e i margini sono ampi, sia per migliorare che per peggiorare.

Fonte: ecodallecitta.it

Smog a Torino, 2014 miglior anno del secolo: la pioggia aiuta ma il miglioramento è costante

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Osservando la progressione dello smog dai primi anni Duemila ad oggi, la tendenza positiva è stata graduale e costante, sia per quanto riguarda la media delle concentrazioni sia per il numero di sforamenti. Il meteo particolarmente favorevole ha poi contribuito ad aumentare lo scarto tra 2013 e 2014, ma i superamenti restano comunque fuori legge.

Nel 2014 lo smog sembra aver allentato la morsa nelle città italiane, o almeno nel suo tallone d’Achille, la pianura padana: complice un meteo decisamente favorevole – le abbondanti piogge hanno contribuito notevolmente a spazzar via le concentrazioni di polveri – il Pm10 ha registrato medie e superamenti decisamente inferiori rispetto a quelle segnate dall’inizio del secolo. Attenzione: che sia stato l’anno migliore non significa che i risultati siano sufficienti; gli sforamenti sono comunque ampiamente al di sopra delle soglie consentite dall’Unione Europea, quelle stesse soglie che – non ci stanchiamo di ripeterlo – la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità ritiene ormai obsolete.
Tuttavia, osservando la progressione dai primi anni Duemila ad oggi, il miglioramento è graduale e costante, meteo o no.  Il quadro lombardo è stato tracciato accuratamente da Legambiente, che conferma sia i risultati positivi sia le considerazioni su meteo e superamenti. Milano in particolare è stata la città ad aver ridotto maggiormente le giornate irrespirabili nel 2014. E Torino? Vediamo cos’è successo nell’anno appena chiuso, centralina per centralina.
La Consolata ha registrato una media annua di 33,4 mcg/mc, dunque al di sotto dei limiti di legge, ma ha quasi doppiato il numero di giorni di sforamento a disposizione, con 63superamenti. Il picco più alto l’ha registrato il 31 ottobre, con 123 mcg/m3, contro i 50 previsti dalle normative. Nel 2013 la media aveva raggiunto i 40,5 mcg/m3 e si erano registrati 100 superamenti. Peggio ancora l’anno prima: 48 mcg/m3 di media e 118 sforamenti. Tornando indietro fino agli inizi del secolo, si osserva un progressivo miglioramento: si pensi che nell’anno 2000 le centraline registrarono una media annuale di71 mcg/m3 e un totale di 214 sforamenti. Risultati analoghi al Lingotto: media ferma a 30,3 mcg/m3 e superamenti fuori legge, con55 giorni oltre i limiti. Il picco di Pm10 è stato registrato nella stessa giornata, 31 ottobre, con 109 microgrammi. Anche qui il miglioramento dell’ultimo decennio è costante e progressivo.
Passiamo alle altre stazioni: Rebaudengo35,7 di media e 73 sforamenti. Picco più alto, il 7 gennaio scorso, con 105 microgrammi. (Curiosamente il 31 ottobre le concentrazioni sono rimaste ferme a 49 mcg). Rubino31,1 di media e 48 superamenti. Grassi40,6mcg/m3 di media e 63 sforamenti, ma va detto che la centralina è rimasta fuori uso per tantissimi giorni, con appena 230 valori validi su tutto l’anno. In ogni caso, il progressivo e netto miglioramento è ben visibile nell’arco temporale dei 14 anni, che all’inizio del secolo facevano segnare una media addirittura doppia rispetto alle direttive UE (81 mcg(m3) e ben264 sforamenti.

Fonte: ecodallecitta.it

Smog, l’Europa ancora in crisi: migliora meno delle aspettative | Air Quality Report 2014

L’Agenzia Europea per l’Ambiente ha pubblicato l’ultimo rapporto sulla qualità dell’aria negli Stati membri: Italia tra i peggiori, con record di decessi attribuibili allo smog, assieme a Bulgaria, Romania, Turchia, Polonia e Slovacchia. Gli inquinanti più problematici, il Pm10 e il biossido d’azoto “principalmente a causa del traffico veicolare”381082

Gli inquinanti diminuiscono costantemente da un decennio, ma i risultati raggiunti sul fronte Pm10 biossido d’azoto sono tutt’altro che esaltanti. La Pianura Padana continua a detenere il record delle concentrazioni, e il calo registrato è troppo sottile per ritenere gli abitanti dell’area al sicuro dal punto di vista sanitario. Se da un lato oltre il 90% dei cittadini delle aree metropolitane è esposto a livelli di PM2,5 e Ozono superiori a quelli indicati all’Organizzazione Mondiale della Sanità, dall’altro va ricordato che è proprio il Nord Italia a segnare i picchi più alti, ben oltre la zona limite per la sicurezza. “L’inquinamento atmosferico è ancora troppo alto in Europa – ha commentato il Direttore dell’EEA Hans Bruyninckx – una situazione che genera costi altissimi, su tutti i fronti: per il nostro ecosistema, per l’economia, per la produttività della nostra forza lavoro e, il più grave di tutti, per la salute dei cittadini Europei”.
Tra i Paesi più inquinati troviamo l’area balcanica al completo, gli Stati dell’Europa dell’Est e, unica nel blocco centrale, l’Italia. Per il Pm2.5 in particolare, la classifica vede al primo posto la Bulgaria seguita da PoloniaSlovacchiaCiproRepubblica CecaUngheria,SloveniaTurchia Italia. Ma in campo particolato è ancora il Pm10 a far registrare i dati più allarmanti. Le concentrazioni giornaliere medie si attestano su livelli altissimi nell’area Padana e in buona parte della zona Est-Balcanica già menzionata. In Italia, Polonia e Turchia le medie superano i 75 mcg/m3, contro i 35 previsti da una legge troppo blanda che andrebbe revisionata.
Situazione analoga, se non peggiore, per il biossido d’azoto, prodotto principalmente dai veicoli diesel in costante aumento nel parco mezzi Europeo. E una parziale conferma di questa relazione tra auto ed NO2 è data dalla triade che guida la classifica degli Stati con le concentrazioni più alte d’Europa: la Germania, il Regno Unito e l’Italia, con picchi giornalieri vicini ai 100 mcg/m3.

Morti premature per smog

Con circa 3.370 morti premature all’anno attribuibili allo smog (dati 2011), l’Italia si è guadagnata il triste primato europeo. E’ bene ricordare che sul dato pesa ovviamente l’elevata popolazione italiana. Le altre peggiori in classifica sono infatti Francia, Germania e Spagna, nessuna delle quali tuttavia raggiunge neanche lontanamente il record italiano. (La Germania si ferma a 2300, le altre tutte sotto). “Alla luce di questi dati -ha dichiarato Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente – risulta inconcepibile il fatto che la nuova Commissione Europea stia ipotizzando un possibile ritiro del ‘pacchetto sulla qualità dell’aria’, in discussione già da diverso tempo e su cui si era arrivati alla fase finale di approvazione”.

Scarica l’Air Quality Report 2014

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Fonte: ecodallecitta.it

Fracking, arriva il divieto della Commissione Ambiente alla Camera

Approvato quest’oggi il testo di un emendamento Ambientale che istituisce il divieto di fracking in Italia

Niente fracking in territorio italiano. È questa la decisione presa dalla commissione Ambiente alla Camera che quest’oggi ha dato l’ok a un emendamento al collegato Ambientale che istituisce il divieto di fracking in Italia, la tecnica di fratturazione delle rocce per la ricerca di idrocarburi, in particolare gas. La fratturazione idraulica del sottosuolo è una pratica ormai ampiamente diffusa, ma in prossimità di numerosi centri di estrazione si sono verificate scosse telluriche di notevole entità. Negli Stati Uniti sono nati dal basso numerosi movimenti di opposizione a questa tecnica, nella quale il presidente Barack Obama vede una delle principali exit strategy dalla dipendenza dalle fonti fossili. In Italia una norma specifica sul fracking non c’era e la discussione del testo chiuso quest’oggi andrà in Aula a metà settembre. L’idea di base è quella di tutelare falde acquiferesottosuolo dalle conseguenze della fratturazione idraulica e la norma in questione è“un’integrazione al codice ambientale”. Nel nostro paese si è iniziato a parlare del fracking dopo il sisma avvenuto in Emilia Romagna. Dopo il terremoto del maggio 2012, alcuni ambientalisti ipotizzarono che vi fosse un rapporto di causa-effetto fra le scosse e l’utilizzo della fratturazione idraulica nella Pianura Padana. Il Ministero dello Sviluppo economico ha tenuto a precisare come nel decreto “Sblocca Italia” approvato venerdì scorso dal Consiglio dei Ministri non sia inserita alcuna norma “che autorizzi l’estrazione di shale gas”.Fracking In California Under Spotlight As Some Local Municipalities Issue Bans

Fonte:  Repubblica

© Foto Getty Images

Smog: “La Pianura Padana non rientrerà nei limiti di legge prima di 10 anni” | Intervista a Ennio Cadum

L’AEA pubblica l’ennesimo rapporto sullo smog in cui la Pianura Padana è la macchia più nera d’Europa. L’epidemiologo di Arpa Piemonte Ennio Cadum: “Non rientreremo nei limiti – di legge e non di tutela della salute! – prima di 10 anni. L’Italia non ha mai avuto un piano anti smog nazionale, la lotta allo smog la fanno i Comuni”.

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Quanto ci vorrà perché l’Italia rientri nei limiti di legge per lo smog?

Dipende dalla zona, ma senza dubbio la Pianura Padana è la più lontana in assoluto dal traguardo, in Italia senz’altro, ma forse anche in Europa. Se andiamo a vedere nelle serie storiche, analizzando come sono calati i livelli di concentrazione degli inquinanti nella Pianura Padana negli ultimi venti o trent’anni, si può ipotizzare che non arriveremo a rispettare i valori richiesti dall’Unione Europea prima di una decina d’anni. Come minimo. Questo per quanto riguarda il Pm10. Per il Pm2.5 i tempi saranno anche un po’ più lunghi.

Dieci anni, facendo cosa, però?

Mantenendo gli investimenti di tipo strutturale fatti fino ad ora, e anzi accrescerli. Andrebbe sicuramente aumentata la percentuale di edifici teleriscaldati – ed è giusto ricordare che Torino in questo detiene il record nazionale; andrebbe introdotta una normativa più restrittiva sull’uso delle stufe a legna, che sono molto diffuse al di fuori dell’ambito cittadino, e in assenza di regolamenti severi cominciano a creare un vero problema…

Sono più urgenti questi interventi di quelli volti a limitare il traffico?

Tutto è importante. Ma per quanto concerne il traffico, direi che ad oggi siamo arrivati praticamente al limite delle azioni che possono essere intraprese, per come sono state concepite finora. In tutte le città sono state riservate delle aree pedonali, sono state imposte limitazioni ai veicoli più inquinanti, viene favorito il ricambio generazionale dei motori… E sono queste sono le azioni più incisive. Per questo si cerca di concentrare l’azione anche su altri fronti, diverse dal traffico, e cioè le combustioni e i processi industriali.

Sperimentare davvero le città ai 30 all’ora non potrebbe essere un provvedimento efficace?

Le zone 30 determinano una circolazione rallentata con un basso numero di giri del motore, e di conseguenza anche minori emissioni. Questo va bene a patto che non si determini un intasamento del traffico, perché il motore acceso a macchina praticamente ferma ci porta proprio nella direzione opposta a quella auspicata. Il minor livello di emissioni complessivo si ha ad andatura costante e velocità medio-bassa: un flusso di traffico scorrevole che si muova ad una velocità compresa tra i 40 e i 60 km/h è quello che presenta il minor impatto emissivo. All’interno delle città andrebbe favorita una regolamentazione del traffico basata su un sistema semaforico intelligente, che eviti gli stop frequenti. Ma il problema è questo: che le auto sono troppe, e dunque qualunque sistema si applichi, la circolazione si ingolfa sempre molto in fretta.

L’Italia è fuori legge praticamente da quando i limiti degli inquinanti sono entrati in vigore. Come è possibile che non siano mai arrivate sanzioni?

Perché fino ad oggi l’Italia è sempre riuscita a dimostrare che le azioni che potevano essere messe in campo erano state intraprese a livello locale. E da un certo punto di vista è vero: aree pedonali, zone a traffico limitato, bus ecologici in centro, teleriscaldamento… in tutte le città più inquinate d’Italia è comunque visibile lo sforzo per limitare i danni. E questa è una delle discriminanti su cui si basa la Commissione per decidere sul sanzionamento. Gli sforamenti italiani sono sempre stati attribuiti a ragioni climatiche, che per altro è vero: la Pianura Padana è un catino dove non c’è aria, la circolazione dei venti è troppo debole perché possa spazzar via gli inquinanti. Così tutto quel che viene immesso in atmosfera, vi rimane. Un conglomerato come Parigi, da 10 milioni di abitanti, ha un livello di emissioni pari a quello di tutte le città della Pianura Padana messe insieme, ma le concentrazioni degli inquinanti sono un terzo delle nostre, grazie al vento che soffia dall’Oceano. Insomma, un po’ per le azioni intraprese dai Comuni, un po’ perché l’Italia non può buttare giù le Alpi, la nostra condizione ci ha sempre evitato il sanzionamento.

Genitori Antismog assieme a diverse associazioni ambientaliste hanno chiesto al governo Renzi di approfittare del semestre europeo per proporre una politica per la qualità dell’aria più rigorosa e soprattutto per rendere più severi gli attuali limiti di concentrazione per gli inquinanti, come richiesto dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità. L’abbassamento delle soglie di tolleranza potrebbe portare qualche cambiamento concreto, o continueremmo ad essere fuori legge domani come oggi, senza differenze tangibili?

No, no, ci sono ampi margini di miglioramento, senza dubbio: intanto bisogna ricordare che i limiti in vigore per l’Unione Europea sono stati stabiliti sulla base di ciò che ragionevolmente potevano raggiungere gli Stati, e non sono limiti di tutela della salute, come invece quelli dell’OMS, che infatti sono circa la metà. (La media annuale per il Pm10 è 40 mcg/m3 per l’UE, ma perché non vi siano rischi per la salute la soglia fissata dall’OMS è 20). Il problema è che noi non abbiamo – e non abbiamo mai avuto – un piano nazionale ben strutturato. Chi ha fatto di più sono stati i Comuni, ma a livello nazionale l’Italia non ha mai programmato con largo anticipo gli interventi da mettere in campo contro lo smog, non si è mai data degli obiettivi su cui fondare le azioni. Si è sempre improvvisato con situazioni più o meno temporanee. Concordo con Genitori Antismog: la Pianura Padana è l’area più inquinata d’Europa ed è giusto che sia l’Italia a lanciare una politica seria a lungo termine su questo fronte, vista la gravità delle conseguenze sulla salute.

Fonte: ecodallecittà.it

Smog ,“mobilità sostenibile per pulire l’aria della pianura Padana”

“Per ripulire l’aria della Pianura Padana la ricetta c’è già, si chiama mobilità sostenibile”. È quanto afferma Legambiente che chiede al ministro dell’Ambiente Andrea Orlando di “rivedere il piano delle nuove infrastrutture nella legge Obiettivo, cancellare quelle inutili e insostenibili economicamente, per finanziare un nuovo e più efficiente piano di trasporto pubblico interregionale”.smog7

concordare con le regioni del Nord Italia una comune strategia antismog per il bacino padano.

“Da anni Legambiente sottolinea come per contrastare efficacemente lo smog servano interventi su area vasta, mirati prioritariamente a ridurre le emissioni da traffico, causa prima dell’emergenza sanitaria e ambientale che interessa le nostre regioni”, hanno dichiarato Damiano Di Simine presidente di Legambiente Lombardia, Fabio Dovana, presidente Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta, Lorenzo Frattini, presidente del regionale Emilia Romagna e Gigi Lazzaro, presidente del comitato Veneto, che si sono riuniti per concordare le loro strategie sulla mobilità.

“Fa bene il ministro Orlando a convocare i governatori delle regioni coinvolte per tradurre in atti concreti la volontà espressa a più riprese di mettere in campo interventi coordinati nella Pianura Padana. Ma non si può prescindere dai controlli. Gli enti locali continuano infatti a fare poco o a procedere in ordine sparso perché manca una pianificazione a livello centrale, c’è scarsa disponibilità di risorse ma anche poca lungimiranza e scarso senso di responsabilità”.

L’appello che rivolgiamo al ministro e ai presidenti di regione è di non ripartire ancora una volta da zero nella discussione. Le cause, così come la terapia per uscire dall’emergenza sanitaria e ambientale che affligge la Pianura Padana, sono ben chiare. Quello che serve è una capacità politica nuova, che punti su un altro tipo di mobilità a basso tasso di motorizzazione e con alti livelli di efficienza e soddisfazione”.

“Per la prima volta, col tavolo convocato dal ministro Orlando, abbiamo la possibilità di affrontare con maggiore tempestività la questione dei provvedimenti antismog da adottare per la stagione invernale – hanno dichiarato i presidenti regionali di Legambiente -. Speriamo che questo appuntamento sia poi realmente seguito da atti concreti e non più, come avvenuto sinora, da dibattiti sterili incapaci di mettere in campo provvedimenti efficaci”.

Secondo gli ambientalisti c’è bisogno di una profonda revisione della programmazione delle infrastrutture e dei servizi che attengono alla mobilità di un’area ad alta densità demografica e ad altissimo livello di motorizzazione individuale, qual è la Pianura Padana. Continuare, infatti, a realizzare le grandi infrastrutture stradali che sono in progetto o in via di esecuzione (si pensi all’inutile ramo di TI_BRE a Parma o al raddoppio del tunnel autostradale del Frejus o l’autostrada Orte-Mestre) non va certo nella direzione di una mobilità più efficiente e meno inquinante.binari9

Lavoratori e cittadini del Nord Italia hanno bisogno di servizi di TPL urbano e regionale adeguati, più frequenti e affidabili; del rilancio del trasporto ferroviario passeggeri, di scala regionale e interregionale; di una logistica integrata, sostenibile ed efficiente per le merci che oggi viaggiano quasi solo su strada, e non di una mobilità fondata su faraoniche e impattanti infrastrutture come la Torino-Lione ma di una diversa politica degli incentivi che sappia premiare il trasporto ferroviario a scapito di quello su gomma, utilizzando ed ammodernando le linee ferroviarie già esistenti. La risposta delle Regioni fino ad oggi è consistita in un aumento di progetti di opere autostradali faraoniche e ridondanti, su cui la via del finanziamento privato è miseramente (e non a caso) fallita. Ma invece di prendere atto di questo fallimento e di interrogarsi sulle ragioni per le quali nessun grande gruppo privato si sente di mettere risorse proprie sulla seconda autostrada tra Milano e Brescia o sulla seconda tangenziale di Milano, sulle costosissime Pedemontane Veneta e Lombarda o ancora sulla tangenziale est di Torino, i governatori regionali sembrano voler continuare a pregare il Governo per ottenere garanzie e avanzamenti progettuali coperti da finanziamenti pubblici, sconti fiscali o anticipazioni da CDP, come avvenuto per il balletto di richieste sul passante nord di Bologna, per la E55 e per il tris Pedemontana – Brebemi – TEM in Lombardia, tre opere che costano 10 miliardi pur non risolvendo nessun reale nodo di congestione strade.

“Se davvero il Ministro Orlando vuole cambiare registro – hanno concluso i presidenti regionali di Legambiente -, chieda di concertare col ministro delle Infrastrutture e dei trasporti il piano delle autostrade previste dalla legge Obiettivo nel Nord Italia, sottoponendo ogni grande progetto ad una revisione indipendente che ne valuti sostenibilità e rapporto costi-benefici, cancellando ogni finanziamento per i progetti che non superano il vaglio. Con le risorse risparmiate potremmo finanziare uno dei sistemi di TPL interregionale più avanzati d’Europa, e ottenere una durevole riduzione delle percorrenze automobilistiche e commerciali a beneficio della mobilità collettiva”.

Fonte: il cambiamento