Non c’è solo il Veneto, non c’è solo in Nord Italia: l’inquinamento da PFAS minaccia tutta l’Europa. Lo dicono i dato del rapporto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) “Rischi chimici emergenti in Europa – PFAS”.
Non ci sono solo il Veneto e le altre regioni del nord e centro Italia a essere minacciate dall’inquinamento da PFAS. Anche l’intera Europa è esposta a questo rischio di contaminazione, situazione che rivela una pervasività veramente preocupante di queste sostanze così dannose per la salute. Il rapporto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) “Rischi chimici emergenti in Europa – PFAS” presenta una panoramica dei rischi noti e potenziali per la salute umana e l’ambiente in Europa causati da sostanze alchiliche perfluorifluorurate (PFAS). Queste sostanze chimiche estremamente persistenti e artificiali sono utilizzate in una varietà di prodotti di consumo e sistemi industriali perché hanno proprietà che risultano particolarmente utili all’industria; vengono usate per esempio per aumentare la repellenza all’olio e all’acqua, ridurre la tensione superficiale o resistere a temperature e prodotti chimici elevati. Attualmente esistono oltre 4.700 diversi PFAS che, a causa della loro estrema persistenza, si accumulano nell’organismo delle persone e nell’ambiente. Sebbene manchino la mappatura e il monitoraggio sistematici di siti potenzialmente inquinati in Europa, le attività di monitoraggio nazionali hanno rilevato PFAS nell’ambiente in tutta Europa e la produzione e l’uso di PFAS hanno anche portato alla contaminazione delle forniture di acqua potabile in diversi paesi europei. Il biomonitoraggio umano ha anche rilevato una serie di PFAS nel sangue dei cittadini europei. Il rapporto dell’EEA avverte che, a causa dell’elevato numero di PFAS, è un compito difficile e dispendioso in termini di tempo valutare e gestire i rischi per queste sostanze individualmente, il che può portare a un inquinamento diffuso e irreversibile.
I costi per la società dovuti a danni alla salute umana e alle bonifiche in Europa sono stati stimati in decine di miliardi di euro all’anno.
Le persone sono principalmente esposte al PFAS attraverso acqua potabile, imballaggi per alimenti e alimenti, polvere, creme e cosmetici, tessuti rivestiti in PFAS o altri prodotti di consumo.
Occorrono dunque serie misure e azioni per sanare questa situazione, limiti chiari di legge e sanzioni, bonifiche e prevenzione.
Di inquinamento da PFAS in Veneto si è iniziato a
parlare nel 2013, quando è scoppiata quell’emergenza che ha ora oltrepassato I
confini della “zona rossa” ed è stata dichiarata nazionale. Eppure sappiamo
oggi che il più grave inquinamento delle acque della storia italiana ha avuto
origine anni prima a causa di una pericolosa gestione del territorio che ha
determinato negli anni contaminazioni e reazioni a catena. Tra queste la
mobilitazione di mamme, cittadini e associazioni che lottano nel tentativo di
limitare le conseguenze ambientali e sanitario di questo “veleno invisibile”.
Eppure, oggi più che mai, la via d’uscita da questo disastro appare lontana. I PFAS sono composti chimici industriali
utilizzati per rendere i prodotti impermeabili all’acqua e ai grassi. Sono
usati nella produzione di molti oggetti di uso quotidiano come padelle di
teflon, carta da forno sbiancata, packaging per fast food, abbigliamento reso
impermeabile o isolante e lubrificanti. Da almeno 60 anni queste sostanze si
diffondono e avvelenano le falde acquifere, acque superficiali e acquedotti del
Veneto occidentale ma ormai sono diffusi nel fiume Po e quindi anche nel mare
Adriatico. L’Ispra ha stimato per il solo danno ambientale 136,8 milioni di
euro. Per il secondo anno il Consiglio dei Ministri ha dichiarato lo stato
di emergenza da contaminazione delle falde idriche di Verona, Vicenza e
Padova. Man mano che la regione Veneto aggiorna i dati, aumentano i comuni
contaminati oltre a quelli già presenti nella zona “rossa” attorno a Trissino
dove ha sede l’incriminata azienda Miteni Spa. A sempre più persone vengono
riscontrati valori elevati nel sangue di PFAS e si allargano gli screening anche alla
popolazione pediatrica. Queste sostanze rappresentano un grave pericolo sia per la salute
umana che per l’ambiente, sono catalogate nelle liste internazionali di
sostanze estremamente preoccupanti (SVHC) perché tossiche, persistenti e
bio-accumulabili cioè il nostro corpo le integra e le accumula; esse sono
particolarmente subdole perché inodori, incolori e insapori.
La gestione del
caso Miteni
La Miteni Spa,
un’azienda chimica specializzata in produzione di intermedi fluorurati per
agrochimica, farmaceutica e chimica fine, dal 1977 ha scaricato sostanze
altamente tossiche nei corsi d’acqua ma l’inquinamento da tali sostanze è stato
constatato solo nel 2013. Questo evento ha portato alla luce un intero sistema
di pericolosa gestione del territorio. Il 20 marzo di quest’anno i
carabinieri del NOA (Nucleo Operativo Ecologico) in 270 pagine certificano, con
13 rinvii a giudizio tra i dirigenti aziendali, che la Provincia di Vicenza ha
nascosto l’inquinamento per 13 anni: “C’è stata la volontà di non far
emergere la situazione, colpevole anche l’Agenzia Ambientale regionale,
l’organo di controllo, Arpav”.
L’attività
industriale
Le attività
industriali che usano questi prodotti sono quelle per la lavorazione delle
pelli, del tessile, le cartiere e le produzioni con inchiostri e tinture. Le industrie
rilasciano questi composti come fanghi, scarichi e contaminanti del suolo. Ma
sono soprattutto le concerie le industrie incriminate. L’ltalia rappresenta il
66% della produzione conciaria europea, il Veneto il 52% della produzione italiana
del settore. Ne consegue che la sola industria della pelle del Veneto consuma
ogni anno, secondo i dati dell’agenzia europea ECHA che disciplina l’uso delle sostanze chimiche,
circa 160 tonnellate di sostanze che rilasciano PFOA e che non sono mai state
oggetto di analisi negli scarichi industriali perché precursori dei PFAS. A
questi vanno ad aggiungersi 30 tonnellate di PFOA e sali di PFOA puri o
utilizzati in miscele vendute in Europa. In Italia la chiusura delle indagini
preliminari della procura di Vicenza sull’azienda Miteni ha sollevato gravi
responsabilità di Istituzioni Pubbliche ed enti di controllo per il più
grave inquinamento delle acque della storia italiana con interessamento,
per ora, di 350 mila persone e più di 90.000 abitanti da sottoporre a controllo
clinico. Già dal 2010 la Provincia di Vicenza era a conoscenza dell’incremento
della contaminazione da PFAS dovuta alla Miteni e così l’Arpav Veneto, l’organo
di controllo.
La diffusione dei
PFAS si sarebbe potuta arginare 10 anni fa.
Eppure la regione
Veneto si è inserita nel fallimento della Miteni per essere risarcita di 4,8
milioni di euro. Inoltre il Ministero delle politiche economiche ha messo a
disposizione fondi al Commissario Delegato, Nicola Dell’Acqua, per una quota
complessiva di 56,8 milioni con il compito di iniziare, e portare avanti, gli
interventi urgenti. Ulteriori 80 milioni saranno stanziati dal Ministero dopo
un un Accordo di programma da sottoscrivere con la Regione Veneto. Quindi l’onere
della bonifica è a carico dello Stato ma gestita dalla Regione.
Contaminazioni a
catena
L’acqua è la base
di ogni forma di vita e si distribuisce in ogni parte dell’ecosistema. Oltre
che nei rubinetti dell’acqua potabile i PFAS sono entrati nella catena
alimentare, nell’agricoltura, negli allevamenti e nella pesca. Infatti l’acqua
è responsabile solo per il 20% della contaminazione, il restante 80% è dovuto
agli inquinanti presenti nella catena alimentare e nell’aria (EFSA, 2017). Nessuna
iniziativa, fino ad ora, è stata adottata nei confronti dell’origine alimentare
della contaminazione. Infatti le Istituzioni hanno diffuso segnali rassicuranti
basandosi su parametri dose/giornaliera vecchi di 10 anni quando ancora gli studi
sull’impatto della contaminazione erano appena cominciati. Mentre in
America già molte persone sono state risarcite per avvelenamento da PFAS, in
Italia si attendono le prove causa-effetto non bastando il “probabile
collegamento” che già emerge dagli studi epidemiologici. Dagli studi del Prof.
Carlo Foresta dell’Università di Padova, endocrinologo e andrologo si prospetta
una crescita esponenziale di infertilità nelle future generazioni,
soprattutto maschile. Infatti i PFAS, interferenti endocrini, per la loro
natura chimica si sostituiscono all’ormone testosterone nei tessuti dove questo
dovrebbe agire. Questo determina grave insufficienza del sistema riproduttivo
ma anche problematiche ormonali a lungo termine.
I valori guida di
riferimento
Leggiamo dal documento/inchiesta pubblicato dal Comitato di Redazione PFAS.land che la
pubblicazione dei nuovi valori guida per la salute umana indicati
dall’EFSA(organo di controllo europeo) è per ora stata sospesa per la pressione
delle lobbies chimiche sulle Istituzioni Europee. Ma sono state pubblicate
dalla rivista del Sindacato veterinari di medicina pubblica del Veneto: per
PFOS e PFOA sono rispettivamente di 13 ng/kg e 6 ng/kg peso corporeo per
settimana. Emergerebbe una enorme discrepanza con i dati di riferimento
della regione attualmente in atto per le valutazioni: in totale un litro
d’acqua, definita potabile, può contenere fino a 390 ng di PFAS. Ad esempio un
bambino di 10kg supererebbe la soglia giornaliera solo bevendo un litro di
acqua. Su tali parametri sono basati anche i pochi monitoraggi dell’istituto
Superiore di Sanità sugli alimenti vegetali e animali. Questo è uno dei punti
chiave che necessita di misure urgenti poiché nessuno è in grado di stimare
l’entità delle contaminazioni e il nesso dose/rischio per la salute sia degli
abitanti della zona sia di quelli delle altre regioni dove i prodotti vengono
distribuiti. Per ora la regione Veneto ha emesso un’ordinanza che vieta fino al
30 giugno il consumo del pesce pescato proveniente dalle aree dove sono
state riscontrate positività analitiche per i PFAS. Ma non c’è nessun
controllo, non emerge la capacità di gestire la situazione neanche di saperla
valutare.
Campi del Veneto
visti dall’aereo
Le economie di zona
Storicamente la
ricchezza della Regione deriva proprio dall’opera di regimentazione delle acque
attraverso le bonifiche delle paludi che permisero ad una delle zone più povere
d’Italia il grandioso sviluppo economico prima agricolo e poi industriale.
Dagli anni ’60 lo sviluppo industriale di questo territorio ha avuto una forte
connotazione chimica. Gli impianti di Marghera della Monsanto e della Sicedison
hanno posto le basi per diventare uno dei più importanti poli per la produzione
di materie plastiche in Europa. Poi si insediò la Rimar, che in seguito
diventa appunto Miteni, costruita sulla seconda falda acquifera più grande
d’Europa, grande come il Lago di Garda. La zona di Arzignano rappresenta il più
grande polo europeo della concia che scarica nella zona migliaia di
tonnellate di rifiuti tossici arrivando ormai alla nona discarica e con
nessun intervento da parte delle autorità di controllo. Reflui conciari e
reflui della Miteni viaggiano vicini, vengono diluiti con acqua pulita,
paradossalmente definita “vivificazione”, ma non filtrati dai PFAS. Infatti gli
impianti di depurazione continuano a non limitare il problema poiché non sono
in grado di filtrarli ed eliminarli. I PFAS continuano a scorrere
abbondantemente lungo la pianura e ad accumularsi, sono fatti proprio per non
degradarsi. Questa stessa zona è toccata anche da una grande opera in
costruzione: la superstrada Pedemontana. Corre proprio lungo la fascia
di ricarica della falda acquifera di buona parte della pianura padana, è
costruita “in trincea” cioè diversi metri al di sotto del livello campagna.
Così in alcuni tratti si vedono i muri, appena costruiti, percolare liquami
tossici. Inoltre subisce continuamente crolli e rattoppi incontrando anche
discariche industriali abusive e zone instabili. Non sembra che la politica di
sviluppo della regione segua una progettazione organica tra le varie
problematiche né che ci sia un’adeguata analisi idrogeologica. Sicuramente si
continua a seguire un modello di sviluppo che non protegge territorio e salute.
Non si riscontra neanche il vantaggio economico poiché la Pedemontana negli
anni ha quadruplicato i costi che nessuna banca ha voluto finanziare e quindi
la Regione ha chiesto l’intervento dell’Anas cioè dello Stato. Per ora il costo
ammonta a 12 miliardi.
L’altra faccia del
Veneto
Già dal 2014
diverse associazioni attive sul territorio si sono riunite nel
coordinamento Acqua libera da PFAS che ha cercato di sensibilizzare cittadini,
enti pubblici e di controllo e ha chiesto per anni di indagare quale fosse il
reale impatto sull’ambiente e sulla salute. Ora che iniziano maggiori controlli
sulle acque e nel sangue degli abitanti i dati sono allarmanti e ancora molto
sottostimati.
Il movimento No
PFAS è stato il motore che ha rotto un sistema di omertà e dolo ma anche di
inadeguatezza e immobilismo tra Istituzioni e forti interessi economici. I
partecipanti hanno subito 5 avvisi di garanzia per aver spinto alle indagini e
dubitato delle rassicurazioni. Chiedono “Zero PFAS” per uscire dalle
contrattazione dei cosiddetti “limiti accettabili” che sono la mediazione
possibile per poter continuare a produrre. Nessuna opera di bonifica, che
comunque non è neanche all’orizzonte, può funzionare se prima non si bloccano
le sorgenti dell’inquinamento. Chiedono analisi e dati, di poter effettuare
esami del sangue per controllare il proprio stato di contaminazione. Non
possono effettuarli né gratuitamente né pagando il ticket e nemmeno
privatamente poiché non sono analisi comuni. I cittadini sono pertanto privati
di una forma di controllo della propria salute che rimane nelle mani di chi fa
i monitoraggi ufficiali. Nella mancanza totale di informazioni si è costituita
la Redazione di PFASLand che rappresenta l’Organo di informazione dei
gruppi-comitati-associazioni NO PFAS della Regione del Veneto che raccoglie le
più importanti realtà maturate in questi anni: Mamme No PFAS, Angry Animals dei
Centri Sociali, Greenpeace, Legambiente, ISDE, Medicina Democratica, CiLLSA,
associazione di Arzignano, Coordinamento Acqua Bene Comune di Vicenza e Verona,
Rete Gas Vicentina, gruppi territoriali NO PFAS indipendenti, in continua
nascita.
Grazie al Comitato
scientifico della Redazione PFASLand il 12 aprile è nata la prima mappa digitale navigabile sulla contaminazione da PFAS, dove ogni cittadino
potrà verificare quanto inquinati siano il pozzo, la risorgiva, il fiume, le
acque in prossimità della propria casa, del proprio orto, le stesse acque con
cui si irrigano i campi e si allevano gli animali, per arrivare poi in forma di
alimenti non solo sul proprio piatto, ma anche su quello degli altri. Uno
strumento popolare, un bene comune ma complesso, basato sui dati aggregati
ArpaV, usando software liberi come QGIS. Dal documento pubblicato dal Comitato
di Redazione PFAS.land precedentemente citato leggiamo: “Per la bonifica di
un territorio così grande, dei bacini fluviali, delle colture, per l’aiuto ai
produttori danneggiati dall’inquinamento e il risanamento totale delle loro
aziende, per la mano d’opera occorrente e gli strumenti, il personale medico e
le strutture sanitarie, c’è bisogno di grandissime risorse economiche di cui la
Regione non dispone. Sarà necessario un piano di solidarietà nazionale,
coordinato dai ministeri competenti, per garantire un budget inimmaginabile ma
necessario.
Confligge con tale bisogno la logica perversa con la quale
tutte le forze politiche del Veneto si sono accodate alla richiesta di Zaia che
esclude ogni tipo di solidarietà nazionale nei confronti di chi produce meno o
amministra male. Però non puoi chiedere aiuto agli altri se neghi il senso
della solidarietà nazionale che è alla base di un paese democratico i cui
governanti sappiano guardare un tantino più in là del proprio naso… Ricordo da
bambino i camion pieni di vestiti e coperte che partivano, salutati dalla
folla, da una Sicilia poverissima in aiuto degli alluvionati del Polesine”.
Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/06/pfas-storia-contaminazione-catena/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni
Il rapporto “La verità
sul caso PFAS” sta destando grande attenzione, visti i dati che emergono.
È frutto del lavoro di sintesi dell’associazione Greenpeace che denuncia: «Si
poteva intervenire anni fa».
Il rapporto è una
sintesi dell’annotazione di polizia giudiziaria redatta dal Comando Carabinieri
per la Tutela Ambientale Nucleo Operativo Ecologico (NOE) di Treviso, acquisito
da Greenpeace a seguito della chiusura delle indagini relative al procedimento
penale n. 1943/16, ovvero relativo a “inquinamento da sostanze
perfluoroalchiliche (PFAS) nelle province di Vicenza, Padova e Verona”.
«L’annotazione del
NOE pone seri interrogativi sull’operato della Provincia di Vicenza che, in
base agli esiti del progetto GIADA, condotto tra il 2003 e 2009, avrebbe dovuto
richiedere verifiche approfondite proprio sullo stabilimento di Miteni – spiega
Greenpeace – Quei dati evidenziavano notevoli incrementi di concentrazione di
BTF (Benzotrifluoruri) nelle falde acquifere tra Trissino e Montecchio Maggiore
ma, secondo il NOE, non sarebbero mai stati nemmeno formalmente inoltrati
all’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente del Veneto (ARPAV).
D’altra parte, la documentazione del NOE rivela che ARPAV avrebbe potuto far
emergere l’inquinamento già nel 2006, quando tecnici dell’agenzia regionale
intervennero presso la barriera idraulica istallata nel sito di Miteni: le
operazioni di bonifica potevano partire in quel momento».
«Quanto emerge
dal documento del NOE è gravissimo ma non ci risultano ulteriori filoni di
indagine aperti dalla Procura di Vicenza a carico degli enti pubblici
coinvolti», dichiara Giuseppe Ungherese, Responsabile Campagna
Inquinamento di Greenpeace Italia «Ci auguriamo che la Procura agisca in fretta
per definire un quadro chiaro ed esaustivo delle responsabilità e dei
responsabili», conclude Ungherese. In particolare, il ruolo dei tecnici ARPAV è
più volte al centro dell’annotazione del NOE tanto che gli investigatori del
Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri di Treviso formalizzano, nero su
bianco la “volontà dei tecnici ARPAV di non voler far emergere tale situazione”
di inquinamento.
«Dai documenti
acquisiti – prosegue l’associazione – appare difficilmente comprensibile anche
la scelta della Procura di Vicenza di fissare al 2013 il termine ultimo di
commissione dei reati: dalla relazione del NOE risulterebbe che i vertici di
Miteni, IGIC e Mitsubishi Corporation potrebbero aver commesso reati fino al
2016 e oltre».
«La scelta della
Procura di limitare gli accertamenti al 2013 implica l’inapplicabilità della
normativa sui cosiddetti Ecoreati, entrata in vigore successivamente», aggiunge
Ungherese. «Applicando la norma sugli Ecoreati, oltre alla possibilità di
comminare pene più severe, si renderebbe minimo, almeno per alcuni degli imputati,
il rischio della prescrizione».
Greenpeace segnala
infatti come ancora una volta la prescrizione sui reati ambientali
contestati rischia di far finire in un nulla di fatto, processualmente
parlando, tutta la vicenda PFAS. La popolazione veneta, che continua a
subire le gravi conseguenze dell’inquinamento da PFAS sulla propria salute, ha
il diritto di sapere tutta la verità e di avere giustizia.
L’acqua potabile di molti comuni del Veneto risulta inquinata da PFAS, composti chimici altamente pericolosi per l’uomo e per l’ambiente. Greenpeace ha lanciato una petizione per chiedere di individuare e bloccare tutte le fonti di inquinamento da PFAS e di abbassare i livelli consentiti per queste sostanze. Da diversi anni l’acqua potabile di molti comuni veneti è inquinata da PFAS, composti PerFluoroAlchilici, un gruppo di sostanze chimiche di sintesi estremamente pericolose per l’uomo e per l’ambiente e presenti in molti prodotti di uso comune (pentole antiaderenti, indumenti e tessuti impermeabili-idrorepellenti, anti-macchia e ignifughi, pelletteria, carte alimentari oleate e carta forno, contenitori in plastica per alimenti e bevande, pesticidi, insetticidi e detersivi, solo per citarne alcuni). Da qualche settimana Greenpeace Italia ha lanciato una petizione per chiedere alla Regione Veneto di individuare e bloccare tutte le fonti di inquinamento da PFAS e di abbassare i livelli consentiti per queste sostanze nell’acqua potabile allineandoli con quelli in vigore in altri paesi europei “perché salute e ambiente vengono prima del profitto”.
Foto Greenpeace Italia
A marzo 2017 Greenpeace Italia ha rilevato la presenza di PFAS negli scarichi di diverse industrie locali, ma il problema è noto sin dal 2013 in seguito alla pubblicazione di uno studio del CNR-Consiglio Nazionale delle Ricerche che ha appurato la contaminazione da PFAS nei corsi d’acqua (in particolare nel torrente Agno) e nelle falde acquifere di una vasta area compresa tra le province di Vicenza, Verona e Padova (in tutto una sessantina di comuni) e abitata da oltre 350.000 persone. Tuttavia la Regione Veneto – denuncia Greenpeace Italia – invece di bloccare le fonti di inquinamento e la distribuzione di acqua potabile alla popolazione, ha deciso di alzare i limiti dei livelli di PFAS nelle acque destinate al consumo umano. I livelli di PFAS consentiti in Veneto sono stati innalzati più volte negli ultimi anni e, oggi, sono tra i più alti al mondo (530 ng/l in Veneto contro 100 ng/l della Germania e 70 ng/l degli USA). Tra il 2013 e il 2016 anche ARPAV-Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto ha rilevato la contaminazione da PFAS ed ha individuato una delle principali fonti di inquinamento nel depuratore di Trissino (provincia di Vicenza), nel quale confluiscono gli scarichi di un’azienda chimica locale. Ma, come evidenzia Greenpeace Italia nel suo report di marzo 2017 intitolato “PFAS in Veneto: inquinamento sotto controllo?”, la contaminazione è correlata anche alla presenza ultradecennale in provincia di Vicenza dei distretti tessile di Valdagno e conciario di Arzignano, entrambi vicini al torrente Agno. Nel 2015 in Veneto, così come in altre aree del mondo interessate dall’utilizzo di PFAS (Greenpeace cita ad esempio di Stati Uniti, Cina e Olanda) queste molecole artificiali non sono state riscontrate solo nell’acqua, ma anche nel sangue degli abitanti e in alcuni alimenti come uova, pesci, fegato bovino e verdura.
Nel maggio del 2015 la Regione Veneto e l’Istituto Superiore di Sanità hanno lanciato un programma di monitoraggio biologico su oltre 600 persone residenti in 14 comuni veneti al fine di valutarne il grado di esposizione tramite l’analisi di campioni di sangue. I risultati preliminari hanno mostrato che, in alcune delle popolazioni venete più esposte, le concentrazioni di PFOA (Acido PerFluoroOttanoico, uno dei molti tipi di PFAS) sono fino a 20 volte più alte rispetto alle popolazioni italiane non esposte a questa contaminazione. I PFAS sono considerati “inquinanti persistenti globali” e l’esposizione ad altre concentrazioni è stata correlata dalla comunità scientifica internazionale a gravi effetti sulla salute umana e sull’ambiente. Sono interferenti endocrini, sostanze che vanno ad interferire nei processi primari di sviluppo dell’organismo umano, cioè vanno a “disturbare” la normale comunicazione tra cellule e ormoni, in particolare con gli ormoni che regolano la riproduzione. Inoltre, sono correlati all’insorgenza di tumori ai testicoli e ai reni, possono causare colesterolo alto, ipertensione, alterazione dei livelli del glucosio, patologie della tiroide e, una volta entrati nel corpo umano attraverso la catena alimentare o l’acqua, hanno ciclo di emivita pari a 25 anni (cioè permangono nel sangue umano per 25 anni prima di essere eliminati dai reni). “Da un punto di vista medico, le popolazioni esposte ai PFAS, in particolare quelle che vivono nelle vicinanze degli impianti produttivi, possono considerarsi a rischio”, ha dichiarato il dottor Vincenzo Cordiano, ematologo e presidente di ISDE Vicenza (Associazione Medici per l’Ambiente-ISDE Italia). I PFAS, ha spiegato il dott. Cordiano, sono molecole artificiali che resistono fino a 400°C e per i quali non esiste ancora alcuna metodica di degradazione, né naturale né chimica. Perciò tendono ad accumularsi nell’ambiente, nell’acqua e nell’aria (attraverso gli insetticidi che si disperdono nel pulviscolo atmosferico) e da qui, attraverso la catena alimentare e la respirazione, nel sangue e nei tessuti di animali e uomini. Inoltre, interferendo con la funzione degli ormoni sessuali sono importanti anche per la conservazione delle specie animali e della biodiversità.
Foto Greenpeace Italia
“La contaminazione minaccia seriamente le popolazioni esposte”, ha sottolineato Giuseppe Ungherese, campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. Secondo quanto dichiarato da Greenpeace Italia e confermato da Acque Veronesi – la società che gestisce l’erogazione dell’acqua potabile nella città di Verona – a marzo 2017 è stato superato il livello consentito di PFOS nell’acqua potabile di un pozzo dell’acquedotto che serve la città veneta. “Il PFOS (Perfluoro Ottan Sulfonato) è una delle sostanze più pericolose del gruppo dei PFAS, tanto da essere l’unico composto regolamentato a livello internazionale. Il PFOS è un noto interferente endocrino che può accumularsi nel fegato, nei reni e nel cervello umano” ha dichiarato Giuseppe Ungherese, Responsabile Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. “Questo superamento conferma quanto la situazione in Veneto sia gravissima e che le misure adottate finora dalle autorità regionali non sono adeguate per fermare l’inquinamento da PFAS. Eventi di questo tipo ci dicono che si è ben lungi dall’avere il controllo delle fonti e dell’entità della contaminazione e, per questo, ribadiamo alla Regione la necessità di un monitoraggio degli scarichi il più ampio possibile. Solo così saranno tutelati in modo adeguato l’ambiente e la salute dei cittadini”. Per tutti questi motivi Greenpeace Italia ha deciso di lanciare la petizione online in cui chiede alla Regione Veneto di fermare gli scarichi di PFAS nelle aree contaminate, adeguare i limiti di sicurezza per la presenza di PFAS nell’acqua potabile ai valori restrittivi adottati da altri Paesi Europei, censire gli scarichi e individuare tutti i responsabili dell’inquinamento da PFAS: “la salute e la sicurezza dei cittadini viene prima del profitto delle industrie”.
Sostanze cancerogene nelle acque del Veneto. Per anni. È questo quanto sta emergendo negli ultimi giorni dopo che la Regione Veneto ha deciso un cambio di passo sull’emergenza sanitaria e ambientale per le sostanze perfluoroalchiliche. Dalle riunioni tecniche, ora si è deciso di uscire allo scoperto, Regione ed esperti dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’Oms hanno reso nota la situazione:
“Più di 60mila persone residenti nelle zone a maggior impatto sono contaminate. Altre 250 mila sono interessate dal problema”.
spiega l’assessore regionale alla Sanità, Lucio Coletto.
Coletto ha presentato i risultati del biomonitoraggio che la Regione Veneto ha effettuato con l’Iss sulla popolazione esposta ai Pfas, “possibili cancerogeni” per lo Iarc. Il risultato è scioccante: nel sangue dei veneti scorrono quantità rilevanti diPfas, composti chimici prodotti per decenni dalla fabbrica Miteni di Trissino, nel vicentino. Si tratta di composti utilizzati per impermeabilizzare pentole e tessuti. I Pfas hanno raggiunto nel falde acquifere delle province di Vicenza, Verona e Padova, la zona maggiormente colpita è quella compresa fra i comuni di Montecchio Maggiore, Lonigo, Brendola, Creazzo, Altavilla, Sovizzo, Sarego, in provincia di Vicenza. Un impatto minore interessa la zona dei comuni di Mozzecane, Dueville, Carmignano, Fontaniva, Loreggia, Resana e Treviso. Nell’agosto 2013 erano stati messi in sicurezza gli acquedotti con i carboni attivi, ma fino a quella data la popolazione è stata intossicata. La Regione Veneto, sotto il coordinamento dell’Iss ha fatto sapere di voler avviare uno studio epidemiologico che durerà 10 anni che comincerà con le 60mila persone maggiormente esposte alle sostanze tossiche. I Pfas si legano alle proteine del plasma e del fegato e vengono eliminate dai reni molto lentamente: fra le conseguenze per la salute vi sono colesterolo alto, ipertensione, alterazione dei livelli del glucosio, effetti sui reni, patologie della tiroide e, nei soggetti maggiormente esposti, tumore del testicolo e del rene.