La petizione: «Salviamo i boschi dal saccheggio»

Sono cittadini ed esperti i promotori del gruppo che ha lanciato una petizione per chiedere che la gestione del patrimonio boschivo passi dal Ministero per le attività produttive al Ministero dell’ambiente e che si fermi «il saccheggio» che sta mettendo a rischio ecosistemi e territori. Li abbiamo intervistati.

La petizione: «Salviamo i boschi dal saccheggio»

Sono cittadini ed esperti i promotori del gruppo che ha lanciato una petizione per chiedere che la gestione del patrimonio boschivo passi dal Ministero per le attività produttive al Ministero dell’ambiente e che si fermi «il saccheggio» che sta mettendo a rischio ecosistemi e territori. Abbiamo intervistato Diego Infante, uno dei promotori dell’iniziativa.

«Troppo spesso e per troppo tempo i boschi sono stati visti per troppo tempo come materia inerte, non come preziosi serbatoi di biodiversità da tramandare alle future generazioni. Ed è questo il “peccato originale” che ha fatto sì che un unico dicastero si occupasse di foreste e di agricoltura insieme. Il denominatore comune, infatti, è lo stesso: il produttivismo» spiega Infante.

«Le minacce che incombono sui boschi italiani sono ampie e molteplici: prima fra tutte l’industria delle centrali a biomasse (lautamente sovvenzionate da contributi pubblici in quanto “fonti rinnovabili” secondo la direttiva UE “RED II”). Come si asserisce dall’Accademia dei Lincei, nate per bruciare scarti di potatura, adesso ingoiano intere foreste – prosegue Infante – E vi è il nuovo Testo Unico in materia di Foreste e Filiere forestali (TUFF) approvato dal governo Gentiloni, in virtù del quale si introduce una «gestione attiva» volta, di fatto, all’incremento dei tagli, senza alcuna distinzione tra boschi da destinare alla produzione e quelli da lasciare all’evoluzione spontanea, con l’ulteriore aggravante che Regioni e Province autonome possono sostituirsi ai legittimi proprietari di «terreni incolti, abbandonati o silenti» per ripristinarne la “gestione produttiva”, addirittura coatta nel caso in cui non si raggiungano accordi coi suddetti possessori. Al fondo di questo interventismo gestionale è la discutibile idea (eufemismo) che i boschi non “puliti” o in alcuni casi non convertiti a ceduo, potrebbero provocare incendi e dissesto idrogeologico».

«Per non parlare poi dei modi in cui sono eseguiti i tagli: ormai sempre più spesso intervengono ditte senza scrupoli che sfruttano manovalanza straniera a basso costo (la pratica della ceduazione, già discutibile di suo, troppo spesso diventa “di rapina”, senza contare l’utilizzo di macchinari sempre più grandi che aprono nuove piste con conseguenti ulteriori rischi idrogeologici) – aggiunge il promotore della petizione – Da segnalare altresì una delle ultime strategie adottate dalle amministrazioni comunali: la vendita di porzioni di bosco al solo scopo di fare cassa (esemplare la vicenda del Comune di Paola, in provincia di Cosenza, dove 22 ettari di faggeta stavano per scomparire, operazione poi bloccata da proteste e petizioni). L’apparato sanzionatorio, poi, risulta risibile: basti pensare, a titolo d’esempio, che l’abbattimento abusivo in una fustaia piemontese di un salice o di un pioppo di dimensioni “eccezionali” (da 82,5 cm di diametro in su, purché non monumentale) viene sanzionato – sempre nel caso in cui si trovi il responsabile – con una multa di soli 60 euro».

«Malgrado il silenzio assordante della politica e della stampa, i ragguardevoli risultati raggiunti da questa petizione si devono all’impegno profuso da un gruppo nato su Facebook: “Liberi pensatori a difesa della natura”, che mi onoro di aver fondato: in questa sede ho potuto portare il mio contributo di studioso di filosofia indiana e antropologia culturale, con l’obiettivo di traslare il pensiero olistico nel regno del riduzionismo – prosegue Infante – In effetti si può ben dire che con il solo ausilio dei social network e di alcune testate che ci hanno sostenuto, come Terra Nuova e Il Cambiamento, nonché del comitato dei promotori che riunisce in una ricca compagine le migliori professionalità del mondo accademico, scientifico e ambientalista, siamo riusciti a scardinare il monopolio culturale di un mondo forestale interventista sempre più autoreferenziale e ripiegato sui dogmi della quantificazione numerica. Riteniamo infatti che ciascuno, con il proprio bagaglio di competenze – siano esse scientifiche o umanistiche – possa offrire il proprio contributo alla soluzione di problemi, che per complessità e interconnessioni reciproche, necessitano di superare l’ormai assurda e datata partizione dei saperi. Se questo obiettivo può dirsi raggiunto, non possiamo dire altrettanto per ciò che ci prefiggiamo con la petizione: finora sia i “decisori” che la politica in generale sono rimasti in completo silenzio. E questo è molto grave, perché è dalla mancanza di risposte che nascono complottismi vari e fake news».   

«In parole molto semplici, chiediamo a gran voce l’abbandono di una anacronistica gestione dei boschi tarata sul produttivismo, a vantaggio di una improntata a criteri prettamente conservativi. Ora, dal momento che il Ministero dell’Ambiente ha come scopo precipuo la tutela del territorio, riteniamo sia questo il dicastero deputato a gestire in maniera conservativa il nostro patrimonio forestale. Ma la petizione si fa portavoce di una proposta di più ampio respiro, che incide sull’architettura costituzionale: riportare la competenza sui boschi pubblici e privati dagli enti locali allo Stato centrale (possibilità sancita dall’art. 138 della Costituzione). Buona parte degli scempi (vedasi Toscana), infatti, viene deliberata proprio in seno alle medesime regioni».

«Di più facile portata, invece, l’obiettivo di acquisire al demanio dello Stato i boschi di maggior pregio e quelli “di protezione” – prosegue Infante – che difendono il territorio da valanghe e dissesto idrogeologico. Altresì riteniamo che occorra implementare la messa a dimora di alberi in aree agricole non utilizzate (come del resto già accade con la pioppicoltura), per ricavarne legna da destinare agli usi umani. Del resto, avendo ormai perso la sacralità della natura, non possiamo che affidarci alla legge positiva per tentare di ricreare il contrappunto laico del bosco sacro che ancora oggi (r)esiste in Oriente. Eppure, le notizie che giungono dai parchi nazionali non lasciano presagire nulla di buono: 20 milioni di euro per nuovi impianti sciistici nel cuore del Parco Nazionale della Majella, 30 per espandere il comprensorio di Campitello Matese (CB), in quello che è il neonato Parco Nazionale del Matese. Sui parchi pende peraltro un’inquietante ipoteca rappresentata da un Protocollo d’intesa siglato in data 12 giugno 2019 tra Federparchi e FederlegnoArredo, che apre a cavalli di Troia quali “valorizzazione” e “sviluppo sostenibile”, ormai assurti a veri e propri specchietti per le allodole».

«Altresì facciamo nostra la proposta del Prof. Bartolomeo Schirone dell’Università degli Studi della Tuscia: il 50% delle foreste italiane va lasciato all’evoluzione spontanea, il restante deve essere destinato a utilizzazioni meno impattanti. In tal senso, un esempio è offerto dalla cosiddetta “silvicoltura sistemica” approntata dal Prof. Orazio Ciancio – prosegue nelle sue dichiarazioni Infante – Purtroppo devo dire che al di là delle decine di migliaia di firmatari della petizione, siamo stati completamente ignorati dalla stampa, dalla politica e dalle associazioni ambientaliste. Con ogni probabilità, gli spin doctor suggeriscono di non impegnarsi su temi che hanno scarsa presa sull’opinione pubblica, perché giudicati troppo complessi: molto più semplice rifarsi una verginità con operazioni del tipo “piantiamo un alberello”, laddove è ovvio che un albero maturo non potrà mai offrire gli stessi benefici ecosistemici di una giovane pianta. Su questo disinteresse generalizzato è possibile produrre innumerevoli considerazioni: al fondo vi è una generale indifferenza degli italiani nei confronti dell’ambiente (soprattutto se raffrontata con la sensibilità vigente nei Paesi germanofoni: a mancare è il mito del primigenio, della wilderness, della foresta primordiale – Urwald – né possiamo dire d’avere alle spalle la caratura “ambientale”del romanticismo tedesco). Alle nostre latitudini prevale invece l’idea di “bosco pulito”, privo di quel caos creativo che ne sancisce la magnificenza. Colgo l’occasione per precisare come il disastro occorso nel Nord-Est a seguito della tempesta “Vaia” è solo in parte da attribuirsi all’eccezionalità dell’evento meteorologico: foreste miste e disetanee resistono meglio delle monocolture artificiali (ma forse i turisti perderebbero le loro rassicuranti cartoline…). Eppure, nonostante lo sconfortante panorama complessivo, una delle poche sponde l’abbiamo infine trovata nel Dipartimento Dafne dell’Università della Tuscia: il 10 dicembre 2019 si è infatti svolto a Viterbo un importante convegno nel segno dell’interdisciplinarità denominato “Perché conservare le foreste”, che ha visto la partecipazione del sottoscritto in qualità di relatore. È grazie al team di quella Università, sotto la guida esperta del Prof. Gianluca Piovesan, che possiamo ammirare gli alberi più antichi d’Italia e d’Europa (tra i più noti: il pino nero abbarbicato su un costone della Majella, accreditato di 900 anni; il pino loricato “Italus”, che con i suoi 1230 anni risulta essere l’albero più antico d’Europa che sia stato sottoposto ad analisi scientifiche; infine due faggi, denominati “Norman” e “Michele” di 620 anni, scoperti sempre sul massiccio del Pollino. Lo stesso team è inoltre responsabile della scoperta di una decine di faggete vetuste, poi inserite nel Patrimonio Mondiale dell’UNESCO».

«In un Paese distratto e assente, ripiegato nel culto autoreferenziale delle proprie mitologie umanistiche e urbanocentriche, aver scoperto lembi di foreste antiche ha dell’eccezionale e connota l’attività del Dafne come un vero e proprio atto d’eroismo – conclude Infante – In fondo, quel che vogliamo dire con la nostra petizione è che noi dipendiamo dalle foreste, ma oggi sono esse che dipendono da noi: impegniamoci a dare loro voce».

QUI per firmare la petizione

Fonte: ilcambiamento.it

Stop ai biocarburanti: Oxfam Italia e ActionAid lanciano una petizione

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Oxfam Italia e ActionAid lanciano una petizione suChange.org per chiedere agli europarlamentari italiani e ai ministri Andrea Orlando (Ambiente) e Flavio Zanonato (Sviluppo economico) di rivedere la normativa oggi in vigore sui biocarburanti. La richiesta è limitare la produzione di biocarburanti provenienti da materie prime alimentari o prodotti sfruttando ingenti quantità di terra e acqua, affinché non entrino in diretta competizione con la produzione di cibo. Proprio per evitare la competizione tra produzione di biocarburanti e produzione di cibo, la Commissione europea ha proposto, a ottobre 2012, di stabilire un tetto massimo di consumo del 5% (in relazione all’obiettivo del 10% di energia da fonti rinnovabili nel settore dei trasporti). Secondo Oxfam Italia e ActionAid, tale misura va sostenuta e ulteriormente rafforzata, prevedendone l’introduzione in entrambe le direttive che regolano la politica europea sui biocarburanti ed estendendone l’applicazione anche alle coltivazioni energetiche dedicate. “Ricavare benzina o diesel a partire da colture alimentari o da colture non alimentari dedicate a fini energetici significa sottrarre terra e acqua alla produzione di cibo. Questo non è sostenibile né eticamente accettabile, perché contribuisce ad alimentare la fame, gli accaparramenti di terra e i cambiamenti climatici”, ha spiegato Elisa Bacciotti, Direttrice Campagne di Oxfam Italia. “Oggi l’Europa, assetata di biocarburanti, crede di fare una politica verde mentre invece alimenta la fame nel mondo: è necessario cambiare rotta, promuovendo alternative realmente sostenibili nel settore dei trasporti, come ad esempio la mobilità elettrica, il trasporto pubblico e l’efficienza energetica. Chiediamo ai cittadini italiani di far sentire la propria voce per una politica davvero amica del pianeta e di chi ci vive”, conclude Bacciotti.

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“L’attuale normativa europea sui biocarburanti ha dei costi sociali ormai non più sostenibili. Basta pensare che i prodotti della terra utilizzati per produrre biocarburanti nel solo 2008 avrebbero potuto sfamare 127 milioni di persone, riducendo la fame nel mondo di quasi il 15%. O che tra il 2009 e il 2013 sei milioni di ettari di terreno, ovvero una superficie grande quanto tutto il centro Italia quasi, sono stati acquisiti da imprese europee in Africa sub sahariana a scapito dei bisogni alimentari delle comunità locali”, riferisce Marco De Ponte, Segretario Generale di ActionAid. “Qualsiasi persona di buon senso sceglierebbe di poter sfamare la propria famiglia, invece che riempire il serbatoio della propria auto – per questo crediamo che i cittadini italiani possano sostenere le nostre richieste”, conclude De Ponte. Nella plenaria di settembre il Parlamento Europeo si esprimerà sulla proposta di una nuova direttiva che propone la riduzione del consumo di biocarburanti prodotti da materie prime alimentari. Anche i Governi stanno negoziando una posizione comune in seno al Consiglio Europeo. La lobby dell’industria di settore sta però ostacolando questa proposta, con l’obiettivo di difendere i propri interessi a discapito di quelli collettivi. Un’influenza che, fino ad oggi, si è fatta sentire: nel solo 2011 i Paesi dell’Unione europea, Italia compresa, hanno sostenuto la produzione di biocarburanti con ben 6 miliardi di euro – soldi dei contribuenti a sostegno di politiche “verdi” che di sostenibile finora non hanno niente. È possibile firmare e monitorare l’andamento della petizione suChange.org a questo indirizzo.

Per approfondimenti

Position paper Oxfam Italia – Action Aid

Documento di approfondimento con storie dal campo

Leggi la scheda di approfondimento sui biocarburanti.

Oxfam Italia è una organizzazione internazionale no profit specializzata in aiuto umanitario, progetti di sviluppo, campagne di opinione. Oxfam Italia è membro di Oxfam, un network globale di 17 organizzazioni che collaborano con 3.000 partner locali in oltre 90 paesi per individuare soluzioni durature alla povertà e all’ingiustizia.

ActionAid è un’organizzazione internazionale indipendente impegnata nella lotta alle cause della povertà e dell’esclusione sociale. Da oltre 40 anni è al fianco delle comunità del Sud del mondo per garantire loro migliori condizioni di vita e il rispetto dei diritti fondamentali, attraverso 800 progetti sviluppati in collaborazione con 2000 organizzazioni locali in quasi 50 paesi dell’Africa, Asia e America Latina.

Fonte: il cambiamento

Petizione on line per salvare l’IPLA: “E’ un Istituto strategico per lo sviluppo dell’economia verde in Piemonte”

E’ stata lanciata on line una petizione per salvare dalla chiusura l’Istituto per le Piante da Legno e l’Ambiente con sede a Torino: “Non si tratta di salvare una sigla o una ragione sociale ma di individuare come valorizzare il lavoro ultratrentennale che l’Istituto ha svolto in ambito ambientale e sulla green economy”375819

“Noi sottoscritti rivolgiamo un pressante appello al Presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota, affinché le competenze di elevato valore scientifico, intellettuale e operativo, residenti oggi in IPLA SpA vengano mantenute al servizio della Regione e dei suoi cittadini”. E’ questo l’appello dei promotori di una petizione lanciata attraverso il sito Change.org per salvare l’Istituto per le Piante da Legno e l’Ambiente con sede a Torino. “Non si tratta di salvare una sigla o una ragione sociale ma di individuare come valorizzare il lavoro ultratrentennale che l’Istituto ha svolto in ambito ambientale e sulla green economy. Il futuro dell’economia regionale, nazionale ed europea da più parti è individuata nella cosiddetta economia verde. L’IPLA in questi anni ha garantito il rilevamento e la gestione di una mole enorme di dati su foreste, biodiversità, rifiuti, suoli, patologie ambientali (lotta alle zanzare) e tartufi e gestisce le banche dati naturalistica e pedologica della Regione. La pianificazione in ambito agrario ed ambientale utilizza giornalmente le elaborazioni e i progetti che IPLA ha nel tempo realizzato”.

“Disperdere questo patrimonio di conoscenze -è il monito dei firmatari al presidente della Regione Piemonte Roberto Cota- riteniamo sia una scelta poco lungimirante. Per questo Le chiediamo un intervento che possa costruire un percorso verso il futuro anche in considerazione del fatto che la recente sentenza della Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la parte della legge sulla Spending Review che imponeva l’alienazione e/o la liquidazione delle società partecipate regionali. L’IPLA del futuro potrà e dovrà supportare concretamente la realizzazione di adeguati investimenti sull’ambiente e sulle produzioni sostenibili e i possibili ritorni in termini di sviluppo economico del territorio rurale”.

Fonte: eco dalle città

Sorgenti irpine minacciate dal raddoppio della galleria

Principale risorsa idrica del meridione, le sorgenti irpine dei monti Picentini sono oggi minacciate anche dal raddoppio della Galleria Pavoncelli. Al fine di fermare la realizzazione di quest’opera che metterebbe ulteriormente a rischio l’ecosistema fluviale irpino è stata lanciata una petizione online.sorgenti_monti_piacentini

Acquedotti con perdite mediamente superiori al 50%, depuratori mal funzionanti, deflusso minimo vitale dei fiumi non rispettato, crisi idriche, sovrasfruttamento delle sorgenti, ecosistema fluviale a rischio, mancato ristoro ambientale, miriadi di microdiscariche e sversamenti abusivi in montagna, bonifiche inesistenti, minaccia di trivellazioni petrolifere e una grande opera dalla storia tormentata, il raddoppio della Galleria Pavoncelli, a complicare ancora di più il quadro generale. Stiamo parlando delle sorgenti irpine dei monti Picentini, la principale, e sconosciuta, risorsa idrica del meridione peninsulare. È un’informazione poco nota, infatti, che il massiccio carbonatico del Terminio Cervialto, grazie alla sua particolare conformazione calcarea, è un vero e proprio gigantesco serbatoio, una naturale “fabbrica dell’acqua” che, con il suo immenso reticolo di gallerie sotterranee, alimenta le sorgenti di queste montagne con benefici straordinari, soprattutto per i territori circostanti. A Caposele l’acqua dei Picentini orientali dà vita alla sorgente Sanità, 4000 litri al secondo mentre a Cassano Irpino un importante gruppo sorgivo produce tra i 2500 e i 4000 litri al secondo. Tranne che per una quota minima e insufficiente destinata all’acquedotto Alto Calore, che rifornisce Sannio e Irpinia, queste sorgenti approvvigionano, tramite la SPA Acquedotto Pugliese, le popolazioni lucane e soprattutto pugliesi, mentre le rinomate acque di Serino vanno a Napoli e le sorgenti di Calabritto e Senerchia nel Cilento. Milioni di cittadini italiani dipendono dalle sorgenti irpine per la loro acqua potabile e la Puglia riesce a sostenere la sua agricoltura grazie agli importanti apporti della diga di Conza – 60 milioni di metri cubi grazie alle sorgenti dell’Ofanto – e, in misura minore, della diga di San Pietro, tra Aquilonia e Monteverde, che raccoglie l’acqua dell’Osento. Eppure la questione della salvaguardia e tutela ambientale di questo territorio, di importanza strategica a livello nazionale, non riesce a varcare i confini dell’Irpinia, né a conquistare e ad appassionare i suoi abitanti.sorgenti_irpine

Lo sa bene il Comitato Tutela fiume Calore che nei giorni scorsi – sull’onda dell’interesse suscitato dall’azione parlamentare dei rappresentanti irpini Carlo Sibilia ma anche Giuseppe De Mita, Valentina Paris e Rocco Palese – ha lanciato on line una petizione per fermare la Galleria Pavoncelli bis e sollevare nuovamente la questione delle acque irpine. “Il problema – afferma il Comitato nella petizione – non è la sottrazione delle acque irpine ma l’insostenibilità delle captazioni. Le curve di deflusso delle sorgenti indicano chiaramente che le riserve di alimentazione stanno diminuendo. Bisogna rivisitare le concessioni di derivazione delle acque e adeguare le aliquote di distribuzione per garantire la vita negli ecosistemi dei fiumi e scongiurare le cicliche crisi idriche”.

La galleria Pavoncelli bis

Le acque di Caposele e di Cassano Irpino arrivano in Puglia attraverso l’Acquedotto Pugliese che tra Caposele e Conza della Campania, agli inizi del ‘900, costruì la Galleria Pavoncelli captando prima le acque di Caposele e poi, dagli anni ’60, anche le sorgenti del Calore. La galleria di valico “Pavoncelli Bis” è un by-pass progettato per venire incontro alle difficoltà degli interventi di manutenzione e ai danni alla vecchia galleria seguiti al sisma del 1980. Ed è su questa galleria che si sollevano i punti critici nella petizione prendendo spunto anche dalle molteplici osservazioni alla realizzazione dell’opera presentate nel corso degli anni in primis da Sabino Aquino, idrogeologo dell’Alto Calore, ex Presidente del Parco regionale dei Picentini, punto di riferimento per chi si è opposto negli anni alla costruzione dell’opera. Dopo che nel 1992 il primo cantiere della galleria fu sospeso per il rinvenimento di una falda acquifera di 700 l/s le vicende giudiziarie tra imprese aggiudicatarie e Aqp contribuirono a rimandare i lavori fino ad arrivare al 2007, quando l’ordinanza del Commissario Straordinario validò il nuovo progetto esecutivo. Ordinanza che fu annullata dal Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, a seguito dei ricorsi presentati dal Parco dei Monti Picentini e dall’Alto Calore Irpino.piana_dragone

La battaglia continuò, anche in sede europea, fino alla sentenza definitiva della Suprema Corte di Cassazione che confermò le ragioni degli enti irpini. Nel 2009 il Consiglio dei Ministri dichiarò lo stato di emergenza per la vulnerabilità sismica della galleria Pavoncelli aggirando le sentenze citate. Nella nuova Conferenza dei Servizi convocata tutti gli enti competenti, tra i quali Parco Regionale dei Monti Picentini, Provincia di Avellino, A.T.O 1 Calore Irpino, hanno espresso parere sfavorevole per la realizzazione dell’opera, dinieghi superati dal parere favorevole di compatibilità ambientale, emesso da una Commissione del Ministero dell’Ambiente la quale si limita ad affermare che “al termine della fase realizzativa dell’intervento, prima dell’entrata in esercizio, […] saranno effettuati gli studi afferenti il rilascio minimo vitale e la redazione del bilancio idrico”. Sarà quindi prima realizzata l’opera, finanziata per 150 milioni di euro, e poi verificata, a lavori compiuti, la compatibilità ambientale effettuando il bilancio idrico a posteriori. Gli enti hanno quindi nuovamente presentato ricorso presso il Tribunale Superiore delle Acque sostenendo che il Commissario Straordinario non può derogare dalla normativa ambientale che interessa un’area protetta all’interno del Parco regionale dei Monti Picentini. Attualmente si è di nuovo in attesa del parere del Tribunale mentre i lavori nel cantiere sono nella fase iniziale. I dubbi sollevati sono molteplici a partire dalla maggiorazione della portata della nuova galleria che metterebbe ulteriormente a rischio l’ecosistema fluviale irpino. L’intervento avviene in un’area fortemente sismica e il Comitato ricorda che potrebbe anche alterare, in modo serio, l’attuale equilibrio idrogeologico dell’acquifero come è già avvenuto negli anni ’90. Perché, si chiede il Comitato, non intervenire riparando la galleria esistente? È una posizione già espressa da Sabino Aquino il quale, al termine delle osservazioni che ha rilasciato per Il Cambiamento ricorda che “come già evidenziato nel corso della conferenza dei servizi del 15 Luglio 2010, si ritiene che invece di procedere alla costruzione di una nuova galleria si potrebbe sicuramente riparare quella esistente”. “Nel periodo occorrente per la riparazione della predetta galleria, – continua Aquino – l’approvvigionamento idropotabile di parte del territorio pugliese potrebbe essere garantito con il ricorso a fondi idriche alternative in primis l’invaso di Conza della Campania (capacità idrica invasata 58.000.000 di mc.) attraverso la costruzione di una condotta ed un potabilizzatore che, tra l’altro, è già stato previsto per la derivazione dal citato bacino idrico artificiale di una portata idrica pari a 1000 l/sec. da destinare sempre per l’approvvigionamento idropotabile di parte della Regione Puglia”.diga_conza

Rischi e minacce: dalle esplorazioni petrolifere alla mancata bonifica montana

Ma la questione dell’acqua in Irpinia si arricchisce continuamente di nuove problematiche. A partire dal Progetto Nusco, la concessione per le esplorazioni petrolifere concessa dallo Stato italiano in un’area che si sovrappone parzialmente agli acquiferi dei Picentini e interessa i territori limitrofi. I comitati No Petrolio in Alta irpinia eNo Trivellazioni petrolifere in Irpinia, che hanno avuto il merito di sollevare la questione e di portarla all’attenzione delle istituzioni, stanno ancora aspettando il parere sulla Valutazione di impatto ambientale dalla Regione Campania sull’inizio delle trivellazioni nel pozzo Gesualdo 1, a pochi chilometri dalle Mefiti della Valle d’Ansanto e dal complesso termale di Villamaina, in un’area notoriamente ad altissimo rischio sismico. Come ha dichiarato Massimo Civita, idrogeologo di fama internazionale, i rischi del Progetto Nusco sono sia di tipo primario, ma anche di tipo secondario visto che un incidente nell’attraversamento dei Picentini per raggiungere i punti di trattamento sul Tirreno potrebbe mettere a rischio gli acquiferi. Le semplici implicazioni di eventi simili – non improbabili come dimostrano le casistiche delle rotture di pipeline e i ribaltamenti di camion in Basilicata – dovrebbero bastare a sconsigliare il coinvolgimento anche solo delle aree limitrofe. Ma la questione è ancora aperta e c’è chi parla di affidare le decisioni ad un referendum sull’oro nero come occasione economica dimenticando le valenze ambientali, enogastronomiche di un territorio rurale e ricco di biodiversità e quello che, dati alla mano, è stato dimostrato in Basilicata da Rita D’Ottavio del WWF Basilicata sull’impatto economico del petrolio . C’è poi la spinosa questione del mancato ristoro ambientale e il ritardo nell’istituzione del Distretto idrografico dell’Appennino meridionale che pesa sulla compensazione ambientale tra Puglia e Irpinia grazie all’assenza di un comune orientamento tra i comuni di montagna nei quali sono presenti le aree di ricarica delle sorgenti e alla storica assenza della Regione Campania. Regione che, affetta da atavico napolicentrismo, si ritrova tra Napoli e Caserta debitrici di acqua da Lazio e Molise e la creditrice Irpinia per la quale non sono previste nemmeno le azioni di bonifica montana necessarie a preservare il territorio.diga_san_pietro

Al danno, poi, si unisce la beffa. Attualmente oltre la metà della portata idrica dell’acquedotto Alto Calore, che rifornisce l’Irpinia e parte del Sannio, proviene dal sollevamento di falde idriche con considerevoli oneri energetici che si ripercuotono sulla tariffa idrica degli Irpini. Quindi le acque delle sorgenti, di qualità migliore, visto che il potere filtrante delle rocce le rende più pure, vanno fuori provincia mentre buona parte dei residenti beve acqua di pozzo ad un costo maggiore di chi si approvvigiona dalle sorgenti in territorio irpino. Inoltre gli innumerevoli pozzi privati, la modifica nelle precipitazioni meteoriche, il continuo prelievo da parte degli acquedotti che hanno preferito aumentare la portata dell’acqua costruendo sempre nuovi pozzi e aumentando la profondità degli scavi invece che intervenire nel rifacimento delle reti idriche, stanno causando, progressivamente, il depauperamento delle risorse idriche e le sorgenti sono a rischio. Senza dimenticare il mancato rispetto del deflusso minimo vitale dei fiumi irpini nei quali la salmonella si presenta ciclicamente e le morie di pesci sono una triste realtà. Infine l’inquinamento ambientale, che meriterebbe un approfondimento a parte, con la complessa situazione dei depuratori, l’inquinamento dei fiumi e la presenza sempre più consistente di sversamenti abusivi in montagna, spesso ignorata. È necessario avviare un dibattito condiviso, al di là delle appartenenze, a livello locale, ma ottenere anche l’attenzione a livello nazionale ed europeo sulle problematiche accennate, senza alcuna pretesa di esaustività. Questo per individuare fondi europei e nazionali per la messa in sicurezza del territorio, avviare la bonifica montana delle aree di ricarica delle sorgenti – la cui salvaguardia è prioritaria secondo lo stesso Codice ambientale – e definire interventi prioritari come il ripristino del delicato equilibrio nel bacino endoreico della Piana del Dragone. Inoltre bisogna rafforzare le iniziative già intraprese dagli enti competenti per il rifacimento delle reti idriche e avviare, finalmente, il Distretto Idrografico dell’Appennino meridionale che porrebbe le basi per la responsabilizzazione delle regioni coinvolte nelle azioni da intraprendere determinando il tipo di ristoro ambientale necessario. Compensazione che non si può risolvere in un semplice indennizzo economico a singoli comuni, ma in azioni di ripristino, bonifica e salvaguardia dell’intero territorio montano coinvolto. Diversamente il diritto di accesso all’acqua di milioni di meridionali, quasi il 10% della popolazione italiana, sarà seriamente compromesso.

Per firmare la petizione clicca qui

Fonte: il cambiamento

Svizzera, petizione dei Verdi: il clima elvetico patrimonio Unesco

La proposta viene dai Verdi svizzeri ed è fortemente provocatoria: inserire tra la lista dei Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco il clima elvetico.

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Ieri a Berna si è tenuta una manifestazione in cui è stata presentata una petizione indirizzata al ministro Doris Leuthard, direttrice del Dipartimento federale dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni della Confederazione Elvetica: con questa la sezione giovanile del Partito dei Verdi richiede al ministro di esercitare pressioni sull’Unesco affinché il clima svizzero venga riconosciuto patrimonio dell’umanità. Camuffati da pinguini e da un orso bianco, alcuni attivisti e membri del partito si sono recati nella piazza federale di Berna per presentare la petizione, cui hanno aderito associazioni come il Wwf, Greenpeace, ProNatura, Associazione Traffico e Ambiente (ATA), Verdi e Verdi liberali elvetici.

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Gli svizzeri sono molto sensibili ai cambiamenti climatici: uno dei primi segnali di quanti e quali danni si possano verificare al territorio i cittadini della Confederazione lo osservano tutti i giorni sui ghiacciai, che si assottigliano sempre più: anche la Conferenza di Doha non ha dato risultati pragmatici sul tema dei cambiamenti climatici ed occorre necessariamente fare qualcosa per tamponare, prima che risolvere, il problema. La proposta di inserire il clima della neutrale Svizzera tra i Patrimoni mondiali dell’Umanità Unesco è, in tal senso, una “utile provocazione”: la Svizzera ha l’opportunità, secondo i Verdi elvetici, di fare da precursore sul tema della lotta ai cambiamenti climatici.

Il nostro clima deve essere tutelato e i nostri figli devono vivere in un ambiente sano

scrivono i giovani Verdi nella petizione. Non essendoci in vista alcuna riduzione delle emissioni di gas serra (almeno non in modo significativo) e visto che i cambiamenti climatici procedono ad un ritmo pericolosissimo per la salute di tutti, la “prima pietra” che la Svizzera potrebbe apporre sarebbe un riconoscimento internazionale della qualità della propria aria (e di conseguenza di quella di tutti), che va tutelata. La petizione, che potete trovare qui (in francese) e qui (in tedesco) può essere sottoscritta da tutti, indipendentemente dalla nazionalità e dalla provenienza etnica.

Fonte:Petitionclimat

 

Aria, l’appello di GenitoriAntiSmog: “Firma la petizione per l’intervento UE contro le infrazioni italiane”

Continua la battaglia di GenitoriAntiSmog (GAS): una petizione per raccogliere le firme affinché la UE avvii una nuova procedura contro l’Italia per le infrazioni della Direttiva Europea 2008/50/CE sulla qualità dell’aria, legate ai limiti di emissioni inquinanti non rispettati ormai da 8 anni e senza sanzioni

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L’Italia continua a violare le norme europee sulla qualità dell’aria a tutela della salute umana e secondo GenitoriAntiSmog la minaccia di sanzioni comunitarie è l’unico strumento che come cittadini gli italiani hanno per risolvere il problema inquinamento atmosferico. “Visto che l’Italia non si dà le regole da sola, facciamocele dare dall’Europa e almeno otteniamo di condurre i nostri politici a fare qualcosa”, sostiene GAS. Se l’Italia e le Regioni rispettassero le norme e i limiti sugli inquinanti dell’aria, continua l’appello di GAS, ogni anno nel nostro paese si risparmierebbero migliaia di morti e decine di migliaia di ricoveri causati dall’esposizione agli inquinanti. Eppure da anni quasi nulla viene fatto per rientrare nei limiti e l’Italia è già stata condannata dalla Corte Europea di Giustizia nel dicembre 2012. L’Italia vìola, costantemente e ormai da 8 anni, le norme della Direttiva Europea sulla qualità dell’aria, senza sanzioni. GenitoriAntiSmog chiede ai cittadini di obbligare l’Italia a rispettare le norme sulla qualità dell’aria, firmando la petizione alla Commissione e Parlamento europei presente sul suo sito.

Fonte: eco dalle città

 

Fiducia a un governo ambientalista. Firma

Una petizione lanciata da un gruppo di ambientalisti ed operatori economici verdi per mettere l’Italia sulla rotta giusta. Si invitano tutti i cittadini a sottoscrivere su Change.org in favore di una “soluzione verde” alla crisi politica italiana

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La crisi economica e la crisi politica dell’Italia richiedono e suggeriscono una soluzione nel segno dell’ecologia e dell’ambientalismo.

Per firmare la petizione clicca qui

Avevano detto le associazioni ambientaliste con l’ECOTELEGRAMMA che in un mese di campagna elettorale la parola ambiente è stata trascurata. (“Eppure la qualità dell’aria che respiriamo, il cibo che mangiamo, l’acqua che beviamo, il diritto a non essere sommersi dai rifiuti, la possibilità di scegliere un’energia pulita prodotta in Italia, la tutela del nostro territorio, del nostro patrimonio naturale e dei nostri beni culturali e colturali sono temi centrali della vita quotidiana. Assieme a quello, sempre più drammatico, del lavoro che in questi ultimi anni è cresciuto soltanto nei settori della green economy e dell’agricoltura di qualità”). Ora i risultati delle elezioni – con tutto il problema della mancanza di una maggioranza al Senato – creano un situazione nuova, difficile da un lato, ma anche carica di opportunità. Non c’ è dubbio che tra le motivazioni degli elettori, ma soprattutto nelle intenzioni programmatiche del Movimento5 stelle, i temi dell’ambiente, delle energia e di una nuova economia verde siano molto importanti. Senza entrare nel dettaglio di questioni come il voto di fiducia e le alleanze sistematiche o episodiche, ci troviamo di fronte a un’occasione da non perdere, a un bivio storico. I soggetti che si occupano di ambiente e risorse naturali, di produzione e consumo di cibo di qualità, di energie rinnovabili e sostenibilità, di beni culturali, identità territoriali e turismo, di legalità e giustizia, di lotta agli sprechi, nonché alcune sigle del mondo imprenditoriale che è riuscito a tradurre queste visioni in fatturato e nuovi posti di lavoro, insieme con i cittadini più attivi nelle battaglie per la difesa della salute e del territorio possono oggi unirsi e farsi sentire perché si avvii una legislatura finalmente attenta all’ambiente e affinché le forze di Italia Bene Comune e del Movimento 5 Stelle trovino il modo di avviarla. Ricordiamo alcuni impegni chiari contro lo spreco di ambiente, territorio, energia e futuro da prendere già nel primo anno di governo:

1) garantire la legalità e la giustizia, la trasparenza e l’equità nelle filiere agricole ed alimentari, ambientali ed energetiche, aumentando efficienza ed efficacia dei controlli con un’adeguata tutela penale dell’ambiente;
2) fissare l’obiettivo del 100% rinnovabili, procedendo alla chiusura progressiva delle centrali alimentate con combustibili fossili, rinunciare al piano di sviluppo delle trivellazioni petrolifere in mare e definire una roadmap per la decarbonizzazione che sostenga la green economy, e per il risparmio energetico

3) spostare i fondi stanziati per strade e autostrade verso il trasporto sostenibile(ferrovia, nave, bici, mezzi elettrici e a basso impatto ambientale, car sharing) e il trasporto pendolare nelle aree urbane, definendo un piano nazionale della mobilità che superi definitivamente il programma delle infrastrutture strategiche;

4) rendere compatibili le scelte economiche e di gestione del territorio con la conservazione della biodiversità naturale attribuendo un ruolo centrale ai parchi, e varare un piano della qualità per il settore turistico per valorizzare i beni culturali e ambientali;

5) approvare un pacchetto di interventi per favorire l’occupazione – soprattutto giovanile – in agricoltura, sostenere le colture biologiche, biodinamiche e a basso impatto ambientale e promuovere modelli di consumo alimentare sostenibili;

6) approvare una legge che fermi il consumo di suolo e aumentare i vantaggi fiscali che derivano dalla scelta a favore del recupero e della ristrutturazione, dell’architettura bioclimatica e dell’urbanistica mirata all’abbattimento dell’inquinamento e alla riqualificazione energetica e ambientale del patrimonio edilizio;

7) incentivare non solo la raccolta differenziata, il riuso, il riciclo e il recupero dei materiali ma anche la lotta agli sprechi in ottica preventiva, cominciando a tagliare il sostegno agli inceneritori e alle discariche.


Andrea Bertaglio, giornalista ambientale

Tullio Berlenghi, esperto diritto ambientale

Paola Bolaffio, giornalista ambientale

Gian Maria Brega Promotore Labelab

Roberto Cavallo, Presidente ERICA e AICA

Alessio Ciacci, Assessore all’Ambiente di Capannori, Personaggio Ambiente 2012

Maurizio Cossa, Decrescita Felice Torino

Michele D’Amico, giornalista ambientale

Alessandro Fabrizi, comunicazione ambientale

Simona Falasca, Direttore Greenme

Alessandro Farulli, Direttore di Greenreport

Sergio Ferraris, Direttore responsabile ed editoriale QualEnergia

Marco Fratoddi, Direttore di La Nuova Ecologia

Marika Frontino, giornalisti ambientali

Giuseppe Gamba, presidente Azzero CO2

Paolo Hutter, Direttore Eco dalle Città

Lidia Ianuario, Direttrice Responsabile NeWage

Giuseppe Iasparra, giornalista ambientale e blogger

Bianca Laplaca, giornalista ambientale

Giuseppe Lanzi, AD Sisifo Italia (Green Economy)

Simonetta Lombardo, giornalista ambientalista

Paolo Piacentini , Presidente Federtrek

Letizia Palmisano, giornalista, vicepresidente di Econnection

Raphael Rossi, manager pubblico esperto rifiuti

Roberto Rizzo, giornalista ambientale e scientifico

Mauro Spagnolo, Direttore Responsabile Rinnovabili.it

Alessandro Tibaldeschi, ufficio stampa green Press Play

NOI ESTENSORI DI QUESTO APPELLO CHIEDIAMO il pronunciamento e l’appoggio DELLE PERSONE RICONOSCIUTE E IMPEGNATE NEL CAMBIAMENTO ECOLOGICO IN ITALIA, e più in generale la firma dei cittadini che condividono questa idea di “soluzione verde” alla crisi politica.

Fonte: eco dalle città