Lo sfruttamento degli oceani minaccia l’umanità

Il WWF mette in evidenza il legame tra la pesca insostenibile e la sicurezza alimentare ed economica di milioni persone nel mondo. 800 milioni di persone sono infatti a rischio per lo sfruttamento delle risorse degli oceani, tra gli ambienti più sfruttati del Pianeta. “È solo attraverso un consumo responsabile che si potranno proteggere i mari contro l’uso indiscriminato delle risorse naturali e tutelare le comunità”.

Il 33% degli stock ittici mondiali monitorati è sfruttato in eccesso e più del 60% è  sfruttato al massimo delle loro capacità. Tre miliardi di persone nel mondo consumano pesce, così ché il drammatico impatto della pesca insostenibile mette a rischio non solo gli stock ittici, ma anche il sostentamento delle popolazioni. Una situazione peggiorata anche dagli effetti del cambiamento climatico globale sui mari del mondo che aggiunge problemi quali acidificazione, riscaldamento delle acque, aumento del livello del mare, effetti che si stanno manifestando soprattutto nell’emisfero sud del pianeta. In occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione, che si è celebrata ieri, il WWF punta i riflettori sugli oceani, ambienti tra i più sfruttati del pianeta.fish-984299_960_720

“Lo sfruttamento degli oceani mette a rischio la sopravvivenza di buona parte dell’umanità, non solo la sicurezza di circa un miliardo di persone che dipendono, direttamente o indirettamente dalle risorse ittiche come fonte di cibo e di reddito, comunità che vivono soprattutto in paesi in via di sviluppo. I mari e gli oceani ricoprono gran parte del nostro pianeta, alterarne gli equilibri ecosistemici potrebbe provocare danni irreversibili. Nella Giornata Mondiale dell’Alimentazione la parola d’ordine è consapevolezza ed educazione ai consumi”, ha dichiarato Donatella Bianchi, Presidente del WWF Italia. Il WWF ha lanciato l’allarme attraverso una nuova campagna di comunicazione paneuropea e multimediale con lo slogan “Questa specie presto sparirà (anche il pesce)” che mette in evidenza il legame tra le minacce della pesca insostenibile e la sicurezza alimentare e economica di milioni persone nel mondo – pescatori, trasformatori, inscatolatori, così come tutti colori che dipendono dal pesce come risorsa di nutrimento. La campagna  mira a diffondere semplici consigli per un consumo responsabile di pesce,  tramite la sua guida online prodotta nell’ambito del progetto Fish Forward. I consumatori europei, infatti, possono fare qualcosa per cambiare questa tendenza: l’Europa rappresenta il più grande mercato ittico del mondo: il 60% di pesce e molluschi che circola sui banchi frigo o nelle pescherie è di importazione e più della metà di questo proviene da paesi in via di sviluppo. L’Europa potrebbe quindi diventare l’attore chiave per il cambiamento dell’industria ittica globale. Scegliere di favorire la pesca sostenibile in questo caso, fa la vera differenza, specialmente nei confronti di milioni di persone il cui sostentamento dipende dal pesce. La Campagna chiama in causa consumatori, commercianti e rappresentanti dell’UE e delle istituzioni degli Stati membri, come componenti di una filiera, perché ognuno si assuma le proprie responsabilità nel favorire lo sviluppo di un mercato ittico sostenibile in tutto il mondo.water-2208931_960_720

Le indicazioni fornite dalla guida riguardano gli acquisti sia nella grande distribuzione che nelle pescherie locali. Nel primo caso la scelta di prodotti ittici provenienti dall’estero va indirizzata verso prodotti certificati MSC** o ASC***, che attestano la sostenibilità della pesca. Mentre al banco del fresco non è solo questa la strada per un consumo responsabile, ma è importante scegliere prodotti provenienti da pesca locale, che siano superiori a certe dimensioni e orientarsi sulla scelta delle specie meno conosciute (pesce povero), e tuttavia buone da mangiare. Gli stock di queste specie infatti sono spesso in condizioni migliori. È solo attraverso un consumo responsabile che si potranno proteggere i mari contro l’uso indiscriminato delle risorse naturali e tutelare le comunità locali dalle minacce a cui sono sottoposte, spingendo i governi a mettere in atto politiche di lotta alla pesca illegale e verso pratiche più sostenibili. Anche il Mar Mediterraneo è ormai in uno stato di grave crisi: decenni di cattiva gestione e sfruttamento hanno pesantemente impoverito le sue risorse marine, fino al punto che oggi più dell’80% degli stock monitorati risulta sovrasfruttato. Tutto ciò si traduce in un’enorme minaccia per quei pescatori artigianali che pescano seguendo le regole e per le comunità costiere locali in generale. La flotta di pesca artigianale rappresenta infatti l’84% del totale: si tratta di attività di origine familiare e attorno a questo settore vivono intere comunità e paesi.

“La cultura della pesca è una parte fondamentale della tradizione dei paesi mediterranei. Chi va a fare la spesa devono comprendere l’importanza del prodotto che ha davanti. Non è più possibile che una persona al supermercato o in pescheria, guardi il banco e trovi ‘merluzzo: 3 euro al chilo’ senza farsi domande. Quel merluzzo non è un pesce, è una storia, è un film, che la persona che lo va a comprare e a mangiare deve conoscere!” ha dichiarato Giuseppe, pescatore artigianale durante una delle interviste realizzate nell’ambito del progetto.

Fonte:  http://www.italiachecambia.org/2018/10/sfruttamento-oceani-minaccia-umanita/

Pesca, la maggiore pressione sugli ecosistemi è generata dall’Asia Orientale

I tropici contribuiscono ormai al 42% delle catture. Il consumo in Indonesia, Cina, Filippine e Vietnam è cresciuto di 12 milioni di tonnellate. Non è solo il consumo di pesce del ricco occidente a minacciare il futuro delle specie marine; secondo il rapporto State of the Tropicsla pesca nelle zone tropicali è in crescita, mentre nel resto del mondo è in lieve calo dal 1988. Se i tropici pesavano per il 12% negli anni ’50, la loro fetta è oggi arrivata al 42% del totale delle catture (esclusa quindi l’acquacoltura). La crescita maggiore si è riscontrata nell’Asia Sud Orientale: Indonesia, Cina, Filippine e Vietnam hanno aumentato i propri consumi di 12 milioni di tonnellate. La combinazione di crescita demografica e miglioramento del livello di vita ha contribuito ad aumentare la pressione sugli ecosistemi marini. Oggi in questa regione il consumo pro capite di pesce (32 kg/anno) supera del 70% la media planetaria (dati FAO). Il rischio è che un sovrasfruttamento degli stock possa portare al collasso della pesca in questa regione, colpendo soprattutto le comunità più povere che basano la propria sopravvivenza sulla pesca di piccola scala. Questo è già avvenuto in Perù, dove la pesca delle acciughe è cresciuta da 75000 a 12 milioni di tonnellate tra il 1950 e il 1970, per poi crollare brutalmente negli anni ’70 per la distruzione della popolazione. Solo ora gli stock stanno iniziando a riprendersi. Una situazione simile si è verificata con la catastrofe del merluzzo nel nord Atlantico. Si ritiene che il sofrasfruttamento e gli sprechi nel mondo della pesca causino danni per circa 50 miliardi di dollari all’anno.  Una gestione più sostenibile della pesca è quindi vitale di fronte alla duplice minaccia dei cambiamenti climatici e della crescita della popolazione.

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Fonte: ecoblog.it

Pesca in acque profonde: l’Ue rigetta il divieto della Commissione

Il Parlamento Europeo ha rigettato la proposta di abolizione della pesca a strascico in acque profonde che danneggia gli ecosistemi marini81506473-586x388

Martedì 10 dicembre, il Parlamento Europeo ha rigettato il divieto della pesca a strascico in acque profonde, rispendendo al mittente la proposta di abolizione della Commissione Europea. I deputati europei hanno stroncato sul nascere ogni ipotesi di abolizione di questa tecnica, fortemente sostenuta da Francia e Spagna, due stati che pescano abitualmente in acque profonde, fino a 200 metri di profondità. La battaglia per questa questione controversa non si svolge solamente nell’emiciclo europeo: gli oppositori al divieto parlano di salvaguardia degli impieghi, dei 3000 posti che, secondo loro, andrebbero in fumo, per esempio, nella sola Francia. Le ragioni degli ambientalisti sono nei danni all’ecosistema, allo spopolamento dei mari. La pesca in acque profonde si è sviluppata negli anni Ottanta, dopo un sovra-sfruttamento delle zone costiere europee. Gli industriali si sono rivolti verso l’alto mare investendo in ver e proprie navi-fabbrica capaci di “raschiare” i fondali marini sino a 1500 metri di profondità. Secondo le statistiche dell’Unione Europea, nel 2011 la pesca in acque profonde rappresentava solamente l’1,5% del pescato nell’Atlantico del Nord Est.

A dispetto della piccola percentuale, la pesca in acque profonde deve essere bandita poiché costituisce una vera e propria aggressione per l’ecosistema marino: per pescare 5-6 specie, se ne prendono nelle reti altre decine che vengono successivamente rigettate in mare. La pesca in profondità, inoltre, attacca specie molto vulnerabili: su 30 specie conosciute si è osservata una durata di vita di 36 anni e una maturità sessuale che inizia dai 12 anni. La pesca in profondità mina i processi di ripopolamento dei mari, provocando un rischio estinzione per alcune specie. In Francia, comunque, alcune catene di supermercati come Casino Carrefour hanno deciso di smettere di proporre nei loro espositori specie pescate in acque profonde.

Fonte: Le Monde

Tonno radioattivo da zona di pesca FAO 71: è una bufala

E’ una clamorosa bufala l’alert lanciato in rete sul tonno proveniente dalla zona di pesca FAO 71fao71-620x350

Incuriosita da un messaggio lasciato in risposta a un post di Chicco Testa su Facebook (ebbene sì lo seguo!) scritto da Ferri Roberto e che lanciava il seguente alert:

Attenti al tonno coop, pescato in area FAO71 nell’ area di oceano sotto il giappone e quindi fukushima, fate girare!

ho deciso di approfondire. Ebbene ho subito scoperto che era una clamorosa bufala, ossia notizia ingannevole e falsa, come d’altronde rilevato già dall’ottimo Io leggo l’etichetta. Dunque, non c’è nessun allarme per il tonno proveniente dalla zona di pesca FAO 71, non è radioattivo e non proviene da Fukushima. Quel che invece sta accadendo è che da alcuni giorni impazzano segnalazioni preoccupate che avvertono di non consumare tonno inscatolato pinna gialla di alcuni marchi (tra cui Coop e Asdomar) con provenienza zone di pesca FAO 71 e FAO 61.

Come pure fa notare Io leggo l’etichetta, questo allarme è ingiustificato:

L’allarme è fuorviante e ingannevole perché vengono messe in relazione due zone diverse: la 61 che riguarda Oceano Pacifico del Nord Ovest, zona che comprende l’area del Giappone, dove non viene pescato il tonno qualità pinne gialle commercializzato e venduto in scatola in Italia, con la zona 71 antistante Filippine, Indonesia, Papua Nuova Guinea e Australia del Nord, questa si zona di pesca del tonno pinne gialle, ma distante migliaia di km di distanza dalla zona del disastro nucleare. Inoltre i tonni pinne gialle della zona 71 non sono più economici dei tonni pinne gialle pescati nelle zone ad esempio 51 e 57 dell’Oceano Indiano. La zona di Pesca FAO 71 copre il Pacifico Occidentale Centrale di fronte le Filippine, Papua Nuova Guinea, Indonesia e Australia del nord. Le altre zone di pesca sono appunto la zona FAO 51 e Zona FAO 57 ossia nell’Oceano indiano dunque davvero molto distanti dal mare di Fukushima e più vicine all’Australia. Peraltro questa bufala sta colpendo ingiustamente quelle aziende che in totale rapporto di trasparenza con i clienti hanno deciso di rendere nota la filiera di approvvigionamento delle loro materie prime. In merito al tonno Coop (che vedete in alto nella foto) ho chiesto spiegazioni a Claudio Mazzini responsabile di Sostenibilità, Innovazione e Valori di Coop, che in tempo reale mi ha risposto:

«Come Coop non acquistiamo né abbiamo mai acquistato tonno proveniente dalla zona FAO 61 – Oceano Pacifico del Nord Ovest, zona che comprende l’area del Giappone, l’unica dichiarata eventualmente a rischio, secondo quanto indicato dalla Unione Europea. Inoltre per i nostri prodotti a marchio Coop si utilizza il tonno a pinne gialle che non vive in quelle acque per via delle temperature troppo basse. Tale specie viene infatti pescato nelle calde acque tropicali degli oceani Indiano e Pacifico Occidentale Centrale, quindi in questo ultimo caso, lontano migliaia di kilometri dalle acque antistanti il Giappone. Sulla confezione dei prodotti Coop è indicata sempre sia la specie sia la zona di pesca». zonefao-650x300-620x300

Per capirci meglio la zona di pesca FAO 71 dista 4000 Km da Fukushima e nella zona di pesca FAO 61 si pesca il tonno rosso che è una specie diversa dal tonno a pinna gialla, e viene usato sopratutto dai giapponesi per la preparazione del Sashimi. L’Europa ha chiesto attenzione e controlli per il tonno rosso proveniente dalla zona di pesca FAO 61 per rilevare la presenza di Cesio 134 e Cesio 137. Da tener presente che noi il tonno rosso lo peschiamo nel Mar Mediterraneo. Infine, vorrei ricordare che il tonno di qualunque specie sia rischia l’estinzione per sovra sfruttamento della pesca, il che sta portando a tentativi di ripopolamento in itticoltura, impresa piuttosto complessa data l’enorme mole dei tonni mediterranei.

Fonte: ecoblog

Siamo all’Earth Overshoot Day e abbiamo già consumato le risorse di un anno

Bilancio in rosso per la Terra: la quota si risorse naturali che ci dovrebbe bastare per un anno è stata già consumata08-overshoot-day-620x350

Dal 20 agosto siamo in rosso: l’umanità si è appena fatta fuori le risorse naturali, con due giorni di anticipo rispetto allo scorso anno, che le sarebbero dovute bastare per un anno: acqua, suolo, aria, pesca, oceani, cibo…tutto è già stato consumato. In pratica la nostra impronta ecologica è insostenibile per il Pianeta e abbiamo usato le risorse disponibili una volta e mezza oltre la capacità globale di rigenerarsi, avverte il tank Global Footprint Network. Ma l’Europa va ben oltre consumandone ben due volte e mezza mentre gli Stati Uniti arrivano a consumarne oltre le 4 volte. La corsa al consumo delle risorse è inarrestabile: nel 2011 l’overshooday cadde il 27 settembre. Spiega Tony Long, direttore del WWF Europa:

La natura è la base del nostro benessere e della nostra prosperità ma stiamo consumando troppo le risorse limitate e disponibili su questo pianeta. Se tutti i paesi del mondo dovessero consumare le risorse naturali allo stesso modo allora avremmo bisogno di 2,66 pianeti per sostenere i nostri livelli di consumo attuali. Tra il 1990 e il 2008 un’area della foresta tropicale pari a tre volte le dimensioni del Belgio è stata autorizzata per la coltivazione di prodotti agricoli destinati per l’UE Stiamo effettivamente usando la nostra quota delle nostre risorse e quelle di altri paesi.

Ma non solo risorse naturali, ci stiamo facendo fuori anche i combustibili fossili. Spiega Philippe Carr portavoce del WWF:

Stiamo bruciando combustibili al di sopra di ciò che dovremmo. Più del 50% dell’impronta ecologica è composta l’impronta di carbonio, soprattutto dalla combustione di combustibili fossili.

La Commissione europea ha sollecitato l’uso più efficiente delle risorse nell’economia della Ue con la pubblicazione nel settembre 2011 una tabella di marcia per un Europa meno sprecona Ciò richiede l’introduzione di indicatori e obiettivi per i 28 Stati membri. Ma ancora oggi non esistono leggi che governano l’efficienza delle risorse a livello europeo.

Fonte:  Euractiv

Pesca: Greenpeace lancia le ricette ‘salvatonno’

Il tonno è messo in pericolo dalla pesca intensiva che sta svuotando i nostri mari. Un’alternativa esiste, come dimostrano le ricette salvatonno lanciate da Greenpeace con un video in cui lo chef romano Angelo Troiani mostra come realizzare ricette estive alla portata di tutti impiegando tonno sostenibile, ovvero tonnetto striato pescato a canna.

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La pesca al tonno è dominata da grandi pescherecci che pescano in modo eccessivo e distruttivo svuotando i nostri mari. Un’alternativa però esiste, come dimostrano le ricette salvatonno lanciate ieri da Greenpeace con un gustoso video in cui lo chef romano Angelo Troiani mostra come realizzare ricette estive alla portata di tutti impiegando tonno sostenibile, ovvero tonnetto striato pescato a canna. La pesca a canna è un metodo che ha un minimo impatto ambientale e dà lavoro a migliaia di piccoli pescatori costieri. Grazie alla campagna “Tonni in trappola” di Greenpeace alcune aziende italiane hanno finalmente iniziato a distribuire nei supermercati scatolette con tonnetto striato pescato a canna. Sul sito è possibile consultare la classifica delle aziende in base al tonno che impiegano e consultare le ricette salvatonno. “Adesso sta a noi consumatori chiedere che sul nostro mercato arrivi solo tonno sostenibile” afferma Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace. “Possiamo diminuire la pressione sul tonno pinna gialla, i cui stock sono in serio declino e favorire la pesca a canna:  un metodo di pesca che ha un basso impatto sul mare. Solo con l’aiuto dei consumatori potremo convincere le aziende, che hanno fatto dei passi avanti in seguito alle nostre pressioni, a rendere sostenibile il 100 per cento dei loro prodotti”. Per rispettare il mare bastano cambiamenti a volte minimi delle nostre abitudini alimentari: il tonnetto striato è gustoso e nutriente come il tonno pinna gialla, come conferma anche lo chef Angelo Troiani:”Da sempre sono attento al pesce che impiego in cucina. Per esempio ho deciso di eliminare completamente dal menù del mio ristorante il tonno rosso, risorsa sull’orlo del collasso a causa di anni di pesca eccessiva. Ecco perché ho aderito subito all’invito di Greenpeace di far conoscere prodotti sostenibili, esempi di tonno in scatola che oltre a essere gustoso non contribuisce alla distruzione del mare. Se svuotiamo il mare di pesci, dovremo rinunciare anche a molti piaceri per il palato!”. Vedi il video e impara a cucinare gustose polpette di melanzane e tonnetto striato su pesto al limone.

Fonte: il cambiamento

Pesca sostenibile, Il limite di Rossella Schillaci in concorso Cinemambiente

La crisi della pesca, l’immigrazione dal Nord Africa e un mondo che cambia. Il racconto di Mazara del Vallo vista dal mare 

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Rossella Schillaci è fra le documentariste più attive nella descrizione dei mutamenti sociali in atto nel Vecchio Continente e il suo sguardo acuto che si era concentrato con efficacia sull’Altra Europa dei profughi sudanesi e somali accolti a Torino, si sposta ora verso sud, su di un peschereccio d’altura che prende il mare fra la Sicilia e l’Africa, una barca che diventa la proiezione galleggiante dei cambiamenti che stanno avvenendo a terra. L’immigrazione dei tunisini che costituiscono, ormai, la spina dorsale di un’economia che si sta progressivamente impoverendo viene descritta con grande sensibilità e profondità di sguardo. Ne Il limite documentario in concorso a Cinemambiente, l’esercizio della pesca è depurato di ogni romanticismo e di qualsiasi retorica. Un vecchio pescatore di Mazara del Vallo ripara le reti e racconta di come questo antico mestiere non dia più un guadagno. Uno degli elementi ricorrenti è proprio quello dei numeri: la pesca costa sempre di più e rende sempre di meno. Ottimo il lavoro di Irma Vecchio sulla fotografia e quello di Vincenzo Gangi sulle musiche, due elementi che conferiscono al documentario di Rossella Schillaci un fascino particolare. Il nucleo forte di questo documentario, prodotto da Azul e Clac con il sostegno di Sicilia Film Commission e Piemonte Doc Film Found, è nella descrizione della convivenza a bordo fra i pescatori siciliani e gli immigrati tunisini, nel confronto fra due culture che, per esempio, emerge nel periodo del Ramadan. Il limite, si aggira in un territorio di confine, sfiora la cronaca, portando il proprio sguardo anche verso le motovedette che traggono in salvo chi, dall’Africa, tenta la traversata verso un futuro migliore. A Mazara del Vallo è presente una delle marinerie più grandi del Mediterraneo, tanto che una settimana fa, la cittadina del trapanese ha ospitato la riunione plenaria dell’Osservatorio della Pesca del Mediterraneo, per fare il punto della situazione, si sono incontrati i rappresentanti istituzionali e del mondo scientifico e accademico di Italia, Tunisia, Libia, Libano, Siria, Egitto, Algeria, Turchia e Malta. Fra i punti in agenda c’è il rinnovamento del parco-pescherecci: quelli attivi attualmente a Mazara del Vallo consumano il triplo di quelli utilizzati in altri paesi dell’UE e questo elemento incide pesantemente sui guadagni dei pescatori. Ecco perché il film di Rossella Schillaci è un contributo importante per portare a galla una questione troppo spesso ingiustamente sommersa.

Fonte:  Cinemambiente

Pesca, la strage dei mari: l’Europa non è autosufficiente

I mari del mondo sono sempre più spopolati e gli effetti della pesca non controllata degli ultimi 100 anni sono sempre più devastanti per le popolazioni ittiche.326489165_a1a5ad411a_o-586x439

L’Italia ha intaccato le sue riserve di pesce già a metà aprile, dal 18 maggio è invece la Francia ad “attingere” in eccedenza dai propri mari. Lo spopolamento dei mari sembra ormai essere un trend senza via di ritorno: in Europa solo Irlanda, Estonia ed Olanda possono dichiararsi quasi autosufficienti in fatto di pesca. Un paradosso, per un continente che ha tratto dal mare le forze necessarie, lungo tutta la sua storia, ad espandersi su tutto il mondo: un declino, quello della popolazione ittica, che conta innumerevoli risvolti negativi, primo su tutti la vivibilità delle acque e il mantenimento degli ecosistemi marittimi. Per rendersi conto della velocità con cui i nostri mari si vanno spopolando basta prendere il trend statistico relativo alla Francia: nel 1990 il Fish Depandance Day era stato il 6 settembre, nel 2011 il 13 giugno e nel 2012 il 21 maggio. Un trend che il quotidiano britannico The Guardian ha fotografato in questa info grafica decisamente accattivante: dal 1910 si è perso il 78% dei pesci predatori di grossa taglia, mentre sono aumentati del 133% i pesci di piccola taglia, non predatori, che altra attività non fanno che riprodursi. Di questo passo, è evidente la portata del problema: secondo la New Economics Foundation (Nef), una fondazione indipendente con sede a Londra, se smettessimo adesso di pescare in modo indiscriminato ben 43 specie di pesci si salverebbero nei prossimi 5 anni. Secondo la Fao la media internazionale di consumo di pesce, pro-capite, è stata di 17kg a testa nel 2010, ma spagnoli (47kg), francesi (37,3kg), ma anche italiani (20kg) innalzano la media non di poco. A questo occorre aggiungere che circa il 60% del pesce che arriva sulle nostre tavole prima nuotava in mari non italiani e, parallelamente, il Giappone importa quasi la totalità del tonno rosso mediterraneo, dopo aver depredato gli oceani vicino casa. Un problema enorme, che colpisce l’ambiente, la popolazione ittica e l’occupazione nel settore.

Fonte:  The Guardian