Per alcuni climatologi l’IPCC è troppo prudente sulle catastrofi climatiche

Secondo alcuni climatologi l’innalzamento dei mari sarà al minimo di un metro, mentre per l’IPCC questo è il massimo; inoltre viene trascurato il feedback del disgelo del permafrostPrevisioni-ipcc-432x342

Il sito Climate Progress ospita le opinioni di diversi climatologi che ritengono le previsioni dell’ IPPC troppo prudenti. Dal momento che è necessario raggiungere il consenso tra una grande moltitudine di esperti, in più di un caso si è cercato un minimo denominatore comune, con  la reale possibilità di minimizzare i rischi.

Questo riguarda in particolare due fenomeni: (i) l’innalzamento dei mari e (ii) il disgelo del permafrost.

(i) L’ IPCC prevede un aumento del livello oceanico al 2100 compreso tra 29 e 97 cm. Si tratta di un aumento di oltre il 50% rispetto al 4° rapporto (18-59 cm). Tuttavia, molti glaciologi ritengono che un metro di innalzamento sia una previsione minima e non massima.

(ii) A pagina 18 del sommario IPCC si afferma che lo strato superficiale di permafrost (i primi 3,5 m) si ridurrà tra il 37% e l’82% andando dallo scenario di emissioni minime a quelle massime.

Il permafrost artico contiene il doppio del carbonio presente in atmosfera e la sua fusione potrebbe innescare un meccanismo di feedback catastrofico, ma l’IPCC non ne tiene conto nelle sue previsioni. Eppure, secondo uno studio del NSIDC questo anello di feedback potrebbe fare crescere la temperatura di 0,3-0,9 °C in più  rispetto a quanto previsto. Quando si tratta di temperatura media globale, anche una frazione di grado non è trascurabile.

Fonte:ecoblog

La fusione del permafrost sarà un disastro per l’economia (e magari anche per le nostre vite…)

Il danno economico relativo ai cambiamenti climatici indotti dalla fusione del permafrost è stato stimato in 60 000 miliardi di $, pari all’attuale prodotto dell’economia mondiale. Concentrarsi sull’impatto monetario è tuttavia piuttosto riduttivo quando è in gioco la sopravvivenza della civiltà per come la conosciamo.

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In un articolo di prossima pubblicazione su Nature, due economisti si sono uniti a un climatologo per valutare l’impatto sull’economia dell’accelerazione del global warming a causa del rilascio in atmosfera del metano intrappolato nel permafrost, sia terrestre che sottomarino. Solo il permafrost siberiano contiene qualcosa come 50 Gt di metano (pari a quasi un terzo del metano contenuto nei giacimenti sfruttabili) intrappolato nel terreno gelato. A mano a mano che il disgelo procede a causa del global warming, questo metano viene liberato in aria causando altro riscaldamento, con un effetto potenzialmente catastrofico. Secondo i ricercatori, lo scenario business as usual produrrebbe danni pari a 60 000 miliardi di dollari, pari cioè all’ attuale prodotto lordo dell’economia mondiale. Nello scenario migliore i danni sono stimati in 37 000 miliardi. Chissà se questi numeri faranno smuovere un sopracciglio a qualche banchiere o a qualche caimano di Wall Street. Personalmente ritengo che parlare di danni all’economia sia piuttosto ridicolo, quando siamo di fronte ad una vera e propria minaccia per la civiltà con il rischio di perdite di habitat ed estinzioni di massa, crollo della produzione agricola, perdita delle regioni costiere ed eventi meteorologici estremi ogni anno.  Quando si sta per avere un incidente, si pensa a sopravvivere, non a fare il calcolo dei danni… ma questo ahimé è il rovesciamento concettuale operato dalla casta degli economisti. Secondo un’analisi delle stalattiti nelle grotte siberiane (che naturalmente crescono solo quando è abbastanza caldo per avere acqua liquida), il disgelo del permafrost è avvenuto 500 000 anni fa, quando le temperature erano 1,5 °C sopra al valore preidustriale. Ora siamo già a 0,8 °C e arriveremo a 1 °C in una ventina d’anni anche se oggi riducessimo a zero le emissioni. Cosa accadrà?

«E’ la fine del mondo per come lo conosciamo», cantavano i REM «ed io mi sento bene.» Sarà perchè siamo assicurati?

 

Fonte: ecoblog