Mujica se ne va, il saluto del presidente che ha stupito il mondo

Da oggi il nuovo presidente dell’Uruguay è Tabaré Vazquez, che succede a Pepe Mujica dopo il ballottaggio di domenica. L’ex tupamaro che ha fatto voto di sobrietà lascia dietro di sé una importante eredità ma anche problemi ancora da risolvere.elezioni_uruguay

«Dieci anni di vittorie», così Pepe Mujica ha definito i suoi due turni da presidente dell’Uruguay, prima di lasciare definitivamente il governo del paese al successore uscito dalle urne domenica. Tabaré Vazquez ha stravinto, era già stato presidente prima di Mujica. ll voto in Uruguay è obbligatorio per i 2,6 milioni di elettori (su 3,3 milioni di abitanti) che dopo aver confermato nel primo turno la maggioranza parlamentare alla coalizione di sinistra, sono tornati al voto nel ballottaggio presidenziale scegliendo Vazquez. Lascia la scena, dunque, un personaggio che ha veramente stupito il mondo e che moltissimi ricorderanno per il discorso fatto davanti all’Onu con cui ha condannato lo scempio che si sta facendo del pianeta. In questi dieci anni si è guadagnato una formidabile popolarità personale e ha ascoltato le esigenze del paese e le differenti anime del Parlamento, compiendo passi in avanti notevoli. «Le leggi di questo periodo che si commentano nel mondo, quella sull’aborto, sul matrimonio omosessuale e sulla marijuana, sono state approvate con i soli voti del suo partito, altrimenti non sarebbero mai passate» spiega Rosario Touriño del settimanale uruguyano La Brecha. Ex guerrigliero Tupamaro, Mujica era espressione di una sua lista personale, il Movimiento di Participacion Popular, che ha radici marxiste-leniniste e rivoluzionarie, anche se nel momento di entrare in politica ha incorporato personalità dei partiti tradizionali, soprattutto piccoli imprenditori rurali del Partido Nacional, dal quale lo stesso Mujica proviene e che già avevano partecipato al movimento Tupamaro. Il partito Frente Amplio appare infatti come un’alleanza di centrosinistra, malgrado le destre per anni abbiano tentato di farlo passare comespauracchio “socialista”. Negli anni di governo la redistribuzione della ricchezza è migliorata, anche se, dice Rosario, «si può fare di più». E se a Mujica soprattutto la sinistra ha rimproverato di essere caotico e di non avere realizzato cose annunciate, è però vero che è risultato aperto alle proposte del parlamento. Ora ci si attende che Vazquez estenda il fondo per le cooperative e le imprese di economia sociale e che mantenga l’università tecnologica che Mujica ha fondato. «La differenza più grande fra i due è che Mujica crede molto di più nel Mercosur, avendo una formazione Tupamaro, credendo nel concetto di “patria grande” latinoamericana che era alla base della loro lotta, quando le guerriglie del continente si coordinavano – spiega Rosario – Molta gente è convinta che con Vazquez l’attenzione verso il Mercosur invece decrescerà, poiché sembra preferire il modello cileno, cioè fare affari con il Mercosur senza integrarlo politicamente, con un’ottica più globale e meno concentrata sulla regione». Intanto in Uruguay la disoccupazione è al minimo storico, il 5.8%; c’è stato un aumento dei salari, permane l’obbligo della contrattazione collettiva e il numero di iscritti ai sindacati rimane stabile mentre in tutto il resto del mondo crolla. Esiste il cosiddetto ingreso ciudadano, un reddito di base per i cittadini in condizione di povertà estrema; molti di coloro che lo percepivano hanno volontariamente rifiutato di continuare a riceverlo dopo avere trovato lavoro. Resta molto da fare, sempre secondo Rosario, «sul versante educativo, dato che nella fascia degli adolescenti c’è molto abbandono scolastico e un tasso del 60% di bocciature, mentre la scuola elementare continua a funzionare molto bene». Secondo Rosario, quello dell’Uruguay è stato ed è un governo ideologicamente di centrosinistra, «non socialista o comunista», che «sta perdendo l’appoggio della sinistra delusa», cioè di chi si oppone all’estrattivismo, delle organizzazioni sociali femministe e ambientaliste. «Invece il Partido Comunista e il sindacato hanno scommesso fortemente su Vazquez. Sono favorevoli al modello economico, alle miniere a cielo aperto, perché dovrebbero creare lavoro nel paese. La sinistra intellettuale in generale è delusa». Soprattutto di fronte al fatto che i capitali stranieri stanno diventando i proprietari dell’Uruguay. «I brasiliani sono i padroni di gran parte della terra uruguaiana e, insieme agli argentini, delle aziende di macellazione della carne e delle fabbriche di birra – prosegue Rosario – Siamo di fronte ad un processo di concentrazione della proprietà della terra a favore di capitali stranieri che preoccupa la stessa sinistra Frenteamplista».

Il resto del Sud America?

Da non dimenticare che in Brasile, alle elezioni di fine ottobre, ha vinto ancora Dilma Roussef, del PT (Partito dei lavoratori), con il 51% contro il 49% del rivale Aecio Neves. In Bolivia, Evo Morales del Mas (Movimento al Socialismo), che era da mesi il candidato alla presidenza favorito in tutti i sondaggi contro il democristiano Jorge Quiroga e Samuel Jorge Doria Medina della Unidad Democrática, governerà per i prossimi 5 anni, avendo ottenuto al primo turno il 61% dei voti e un’ampia maggioranza in parlamento lo scorso 12 ottobre. Tesissima la situazione in Argentina, dove a ottobre la presidente Cristina Kirchner, aveva detto parole durissime contro gli Stati Uniti: «Se mi succede qualcosa che nessuno guardi al Medio Oriente. Guardate al Nord, per favore”. Gli Usa e svariati circoli finanziari argentini sono stati tacciati di organizzare un complotto per rovesciare il suo governo e per eliminarla fisicamente. Dalla Casa Rosada aveva ribadito: “Spero di sbagliarmi, ma ho l’impressione che si voglia rovesciare il governo e che vogliano farlo con aiuti dall’estero“. Nel suo intervento, la Kirchner si è soffermata a lungo sulla situazione finanziaria del suo Paese e sui cosiddetti “fondi avvoltoio”., fondi finanziari speculativi che hanno innescato una feroce battaglia giuridica negli Usa contro il governo argentino, con la pretesa del rimborso del 100% sul debito contratto, circa 1,3miliardi di dollari. «Il reale problema – ha detto la Kirchner – è che loro (gli Stati Uniti, ndr) vogliono sgretolare la ristrutturazione del nostro debito, vogliono un ritorno al passato, quando l’Argentina era in ginocchio e supplicava prestiti a tassi esorbitanti. E se per fare ciò devono passare sopra la sovranità e le norme di diritto internazionale, non hanno alcun problema: distruggono tutto come fanno ovunque nel mondo». Il riferimento è alla sentenza emessa dal 2012 dal giudice di New York Thomas Griesa, diventata pochi mesi fa esecutiva, che ha dato ragione ai fondi avvoltoi. L’Argentina rischia così un nuovo default a distanza di appena 14 anni dall’ultimo blackout finanziario. Ma la partita è ancora aperta, perché il Congresso ha recentemente approvato la “Ley de Pago Soberano de Deuda” (legge per il pagamento del debito sovrano) che ha permesso alla Kirchner di far partire i pagamenti in scadenza e bypassare il blocco decretato dal giudice Griesa. In Venezuela il governo socialista di Nicolas Maduro affronta una situazione economica border line e una tensione politica e sociale altissima. Di recente è stato ucciso un deputato socialista con la compagna.  L’economista Attilio Folliero ha commentato così l’accaduto: « In Venezuela assistiamo ad una nuova strategia dell’oligarchia. Dopo aver cercato inutilmente di riprendersi il potere e la gestione delle immense risorse del paese attraverso elezioni, colpi di stato, serrate padronali, tentativi di omicidio del presidente, guerra economica, restrizione di ogni tipo di bene sul mercato e qualsiasi tipo di destabilizzazione possibile, è passata ad una nuova fase: l’omicidio selettivo dei principali membri della rivoluzione bolivariana. Ha comiciato col più giovane deputato e probabilmente il più indifeso Robert Serra. Si preparano tempi difficilissimi per il Venezuela». Convivono in America Latina molte anime, da Alba, che raggruppa paesi con un’impronta progressista, come Ecuador, Bolivia, Venezuela, Cuba e altri, fino al tentativo di mettere in piedi l’Alleanza del Pacifico, che punta a riunire economie neoliberiste come Perù, Messico, Colombia e Cile, in sintonia con gli Stati Uniti e altre potenze finanziarie mondiali.

Fonte: ilcambiamento.it

“Io non sono povero, sono sobrio. Quindi felice”

La sobrietà è merce rara, soprattutto nei politici e negli uomini di governo. L’ex tupamaro Josè Alberto Mujica Cordano, per tutti oggi Pepe Mujica, ci tiene a sottolinearlo: “Io non sono povero, sono sobrio”. E lui, oggi, è il presidente dell’Uruguay.Immagine

Mujica è un lucidissimo ottantenne che è stato eletto Presidente dell’Uruguay e che ha rinunciato agli appannaggi del suo status vivendo con cinquecento dollari o giù di lì in una casetta di due stanze; si sposta con un vecchio Maggiolino Volkswagen. Quando parla all’ONU o nei congressi internazionali, senza nessuna enfasi ma con un vigore che ammutolisce l’uditorio, ripete instancabile cose già note ma dando alla sua voce una vibrazione profetica: anno dopo anno stiamo intaccando, divorando il futuro delle giovani generazioni, le pubblicità di tutto il mondo reclamizzano stili di vita che ci porteranno al disastro inevitabile. Stili di vita che già ora, ove potessero imporsi globalmente, presupporrebbero non un solo pianeta ma tre! E dunque il modello propagandato, agognato è di una colossale falsità, un imbroglio planetario. Gli altri capi di Stato non fiatano quando don Pepe si rivolge a loro. Soffrono e non vedono l’ora di ritornare alle loro alchimie, alle convergenze parallele….Ma puntualmente, cioè al convegno successivo, Mujica scompagina quei loro discorsi, ridicolizza cifre utopiche spacciate come verità sacrosante, ma il tutto con toni dimessi, senza astio. Ha detto nei suoi discorsi più famosi, primo fra tutti quello davanti alla platea dell’Onu: “Si parla di sviluppo sostenibile, ma che cosa ci frulla in testa? Il modello di sviluppo e di consumo è quello attuale delle società ricche? Di nuovo mi sono chiesto cosa succederebbe a questo pianeta se gli indiani avessero lo stesso numero di auto per famiglia che hanno i tedeschi. Quanto ossigeno ci resterebbe da respirare? Il mondo ha forse oggi risorse sufficienti per far sì che 7-8 miliardi di persone possano avere lo stesso livello di consumo e spreco che hanno le più opulente società occidentali? O dovremo forse fare un altro tipo di ragionamento? Abbiamo creato una civiltà figlia del mercato, della concorrenza che ha portato a un progresso materiale esplosivo. Siamo in una società di mercato e questo ci ha portato alla globalizzazione cui assistiamo. Ma noi stiamo governando la globalizzazione o è la globalizzazione a governarci? E’ possibile parlare di solidarietà in una società basata sulla concorrenza spietata? Fin dove arriva la nostra fratellanza? La sfida che abbiamo davanti è grandissima, colossale, e la grande crisi non è ecologica, è politica. L’essere umano non governa oggi; sono le forze che l’uomo ha scatenato a governarlo. Non veniamo al mondo per svilupparci in termini generali; veniamo al mondo per cercare di essere felici, perché la vita è breve e ci sfugge. E nessun bene vale quanto la vita, è elementare. Ma se consumo la mia vita lavorando senza sosta per consumare sempre di più, aggredisco il pianeta e per mantenere quel consumo dovrò produrre sempre di più cose che durano sempre meno”. “Siamo in un circolo vizioso, ci sentiamo costretti a mantenere una civiltà usa e getta. Questi sono problemi di carattere politico e ci stanno dicendo che bisogna iniziare a lottare per un’altra cultura”. Mujica profeta, dunque, ma anche leader, più di moltissimi altri. Ultima sua mossa, ai primi di dicembre, quella di spiazzare i cartelli della droga legalizzando e nazionalizzando in Uruguay la coltivazione e la vendita della marjuana. Qualcosa di eclatante che forse può rinvigorire altre e decisive azioni volte a erodere il mito perverso del consumo senza freni e l’utilizzo senza limiti delle sempre più scarse riserve del pianeta. L’Uruguay non è certo l’America, ha tre milioni di abitanti, è uno dei paesi sud americani con storie di dittature, di persecuzioni. E prima ancora una storia ancor più tragica, quella della colonizzazione ispanica, di vessazioni, di massacri. Una piccola nazione, dunque, ma ciò che sta facendo Mujica è grande, così grande e potente che i media convenzionali ne parlano pochissimo, perché questo agire fa tremare certuni nelle altissime sfere. Pepe Mujica era, da giovane, un convinto oppositore della dittatura; si era convertito ai tupamaros, il movimento armato che si rifaceva al leggendario Tupac Amaru, un cacique che aveva capeggiato una lunga e sanguinosa contro i conquistadores spagnoli. Mujica ha pagato, assieme a molti compagni, la sua ribellione con quattordici anni di carcere e torture. Oggi Il suo vivere spartanamente da presidente della sua nazione gli appare cosa scontata: “Yo no soy pobre, Yo soy sobrio” usa dire d’abitudine. Una formidabile coerenza con lo stato del mondo costituito più di poveri che di ricchi. I fasti della sua carica altrove dispiegati (basti pensare all’enormità delle spese per la presidenza della Repubblica che Napolitano si ostina a voler mantenere) Mujica li ritiene un semplice e incongruo retaggio del Medio Evo. Filosofo di formazione, cita volentieri Seneca, Diogene…Diogene già, colui che ricevette Alessandro Magno e i suoi dignitari sulla soglia del suo poverissimo ricovero, pare fosse una botte. Alessandro che gli veniva promettendo tutto e di più, una personalità così grande. Al gentile rifiuto di Diogene sul presupposto che nessuno fa niente per niente, per cui lui non si sarebbe più sentito libero, Alessandro deluso rispose:

– Ma allora non possiamo proprio fare niente per te…..

– Certamente Alessandro, ero qui seduto al sole per scaldarmi un poco dal freddo della notte, basta che vi facciate un poco più in là…

Fonte: il cambiamento