Gli studenti colorano il reparto di oncologia dell’ospedale

Due classi del liceo artistico di Biella hanno dipinto le pareti delle sale d’aspetto del reparto oncologia dell’ospedale cittadino, per trasmettere colore, sostegno e speranza alle persone che il reparto lo vivono quotidianamente.

Oncologia. Solo a leggere questa parola nel titolo molti avranno chiuso l’articolo. Un richiamo che può aver infatti innescato ricordi che spesso non si vogliono far riaffiorare. Meglio metterli da parte. O forse no. L’incertezza testimonia la delicatezza dell’argomento, che può non essere nuovo per chi sta leggendo queste righe. Non sono pochi ad aver sofferto per un conoscente: la fatidica parola ‘tumore’, quando sentita per la prima volta, risuona dentro di noi come un boato e lo specchio che riflette i nostri sentimenti incomincia a presentare alcune crepe. Può capitare che si rompa, in mille pezzi. Sono tutti drammi che non si possono spiegare a parole, solo vivendoli si può comprendere quello che per pazienti e familiari è spesso vissuto come una battaglia.

http://www.italiachecambia.org/wp-content/uploads/2019/11/Progetto-studenti.jpg

Quanto scritto finora può risultare triste, negativo. Come trasformare l’oscurità in colore? A volte, per dare un sostegno, basta un piccolo gesto. Uno sguardo, un abbraccio, un messaggio, che possono dare nuova forma a un dolore, rivelandosi un alleato in una guerra psicologica, oltre che fisica. La cura, spesso, passa proprio da un colore che si fa spazio nel buio. Ma come si può essere artefici di un sorriso o fabbricante di sogni, dando una scintilla positiva in situazioni tanto delicate? A Biella, il colore ha avuto un ruolo determinante – non solo a livello metaforico – in un nuovo progetto che ha visto protagoniste due classi di una scuola del territorio. Gli studenti delle classi IVF e IVH del Liceo artistico G. e Q. Sella, infatti, hanno ri-dipinto due sale d’aspetto del reparto oncologia del nosocomio cittadino, dando nuova vita alle pareti precedentemente monocromatiche. L’iniziativa – organizzata nell’ambito del PCTO, l’ex alternanza scuola-lavoro – ha preso il via con un incontro tra gli studenti e dottori, infermieri ed esperti, che hanno illustrato ai ragazzi il contesto in cui avrebbero dovuto operare. I giovani, dopo il confronto col personale ospedaliero, hanno elaborato ognuno una bozza di progetto differente e, alla fine, sono state selezionate due proposte. Sulla base dei due schizzi opzionati (che meglio hanno rappresentato il concetto di cura), entrambe le classi – non solo gli autori – hanno lavorato per tre giorni consecutivi alla realizzazione del progetto direttamente nelle sale d’attesa.

“Il direttore della Struttura Formazione e Sviluppo Risorse Umane dell’ASL di Biella Vincenzo Alastra con l’infermiera progettista di formazione presso la Struttura di Formazione e Sviluppo Risorse Umane dell’ASL di Biella Rosa Introcaso ci avevano chiesto di intervenire – spiega ai nostri microfoni Denise De Rocco, nelle doppie vesti di docente e ambasciatrice Rebirth/Terzo Paradiso – sulle due sale d’attesa del reparto di oncologia.

http://www.italiachecambia.org/wp-content/uploads/2019/11/Parete-3.jpg

Dopo aver lavorato su una serie di parole chiave come malattia, cancro, aiuto, vita, disperazione, guarigione e speranza, gli studenti hanno ideato il progetto decorativo, finalizzando tutti i contenuti al concetto di cura, intesa verso se stessi, verso gli altri e a livello sociale. È stato molto significativo vedere gli alunni collaborare tra loro e applicare il concetto a loro indicato. Mentre dipingevano, inoltre, sono entrati a contatto con infermieri e con alcuni pazienti. L’esperienza è stata sicuramente molto forte e l’argomento, anche se delicato, è stato accolto bene. Il nostro obiettivo era portare colore, gioia, serenità”. I nuovi soggetti scelti per le pareti sono un albero e dei gomitoli di colore diverso che s’intrecciano in un punto centrale dove è rappresentato il Terzo Paradiso. Il segno-simbolo di Michelangelo Pistoletto, inoltre, è presente anche nel pavimento che collega (anche simbolicamente) le due sale d’attesa. Venerdì 8 novembre è stato inaugurato il lavoro degli studenti nell’ambito di una presentazione pubblica. “Siamo riusciti – raccontano gli alunni – a comprendere meglio, col supporto delle professoresse Landrino e De Rocco, le diverse tecniche da utilizzare nella pittura murale utilizzando colori acrilici. Abbiamo sviluppato, inoltre, una nuova capacità nel lavorare in gruppo, creando una sorta di ‘connessione’ tra noi compagni. Grazie a questo progetto abbiamo appreso che la cura è l’amore che si dà alle persone, così come quello che si riceve”.

http://www.italiachecambia.org/wp-content/uploads/2019/11/Studente.jpg

Ecco, è questo il colore (che, in questo caso, possiamo piacevolmente confondere con l’assonante calore) a cui ci riferivamo all’inizio dell’articolo. Un colore che può dare speranza, vestendo con abiti di positività le pareti di un ospedale. Pazienti e familiari, d’ora in poi, non troveranno solo un anonimo muro ad accoglierli, ma una parete in grado di infondere un’energia differente, una carica nuova. Un semplice disegno può essere la cura: l’albero e un gomitolo non saranno in grado di cambiare il quadro clinico dei pazienti, ma potranno trasmettere qualcosa che sappia aiutare – oltre il confine del visivo – le persone che il reparto lo vivono quotidianamente. Un abbraccio degli studenti che viene trasmesso attraverso la loro arte. Ecco le piccole-grandi ‘cose’ che possono fare la differenza. “La malattia – queste le parole di una studentessa – ha diviso. Ma la cura ci ha uniti tutti”.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2019/11/studenti-colorano-reparto-oncologia-ospedale/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

E se in ogni ospedale ci fosse una stanza delle risate?

Se ridere è la miglior medicina, ogni ospedale dovrebbe essere dotato di una stanza delle risate a disposizione dei pazienti e del personale ospedaliero. Lucia Berdini, docente di yoga della risata, elenca alcuni dei vantaggi che si avrebbero se in ogni ospedale fosse presente una “laughter room”. Perché non dare il via ad una gioiosa rivoluzione dal basso?

“La salute dovrebbe essere costituita da un’interazione d’amore con l’essere umano, non una transazione d’affari”
Patch Adams.

Patch Adams non è bastato, non vi sono bastati i lacrimoni che vi sono scesi a  guardare il suo film, non vi basta sto popò di studi che dimostrano che ridere fa bene? A forza di leggere, di sperimentare sulla mia pelle e vedere il cambiamento radicale nelle vite di tantissime persone accanto a me, a forza di studiare tomi sul potere delle emozioni, sugli effetti benefici che ha il senso dell’umorismo sulla nostra vita, mi sono chiesta: ma perché in ogni ospedale non c’è una stanza dedicata alle risate?Health-and-Wellness-2

Sì insomma, il nome poi lo scegliete voi, ma sarete sicuramente d’accordo con me sul fatto che:

– potrebbe essere un aiuto incredibile alle terapie allopatiche. Quando rilasciamo le tensioni e ci abbandoniamo alle risate, ossigeniamo le cellule e diamo un grande aiuto al nostro sistema immunitario, produciamo endorfine – un antidolorifico naturale – più immunoglobuline A e G, più cellule Natural Killer, più serotonina e ossitocina.

– i tempi di degenza dei pazienti diminuirebbero sicuramente

– permetterebbe al paziente di trascorrere una degenza più piacevole e allegra e gli permetterebbe addirittura di collegare i momenti in ospedale con dei ricordi positivi

– la stanza dovrebbe essere aperta anche al personale ospedaliero che, di sicuro, sarebbe più rilassato, disponibile, empatico con i pazienti (e chissà quanti aggettivi belli sto tralasciando)

– il costo per la costruzione della Laughter Room sarebbe molto basso. Per ridere – specialmente se lo si fa senza un motivo e si fa affidamento all’interazione tra le persone per provocare le risate (vedi Yoga della Risata) – non c’è bisogno di alcuna attrezzatura! (al massimo un maxi schermo e dvd comici, che sicuramente verrebbero donati a quintali!)El-poder-de-la-risa-para-poder-sanar-el-alma_1

– si potrebbe formare del personale interno che dedica un’ora al dì, tra le sue ore lavorative, a dedicare del tempo alla Stanza delle risate

– si ridurrebbero i costi dovuti ad assenteismo, turn-over e burnout del personale

– probabilmente il burn-out scomparirebbe del tutto (visto che ridere azzera i livelli di cortisolo e adrenalina, gli ormoni dello stress)

– gli infermieri, Oss, dottori, primari e quant’altro lavorerebbero con maggiore sinergia, positività e sicuramente efficacia (quando ridiamo e siamo rilassati la quantità di ossigeno al cervello aumenta mostruosamente – vi ricordo che il cervello, per avere delle performance d’eccellenza, ha bisogno di un buon 25% in più di ossigeno rispetto a tutte le altre cellule)

– potrebbe essere una possibilità per gli adulti di ridere e divertirsi tanto quanto un bambino, che si lascia andare ai giochi poetici ed emozionanti dei clown-dottori (gli adulti, spesso, fanno più difficoltà a farsi coccolare e lasciarsi andare di fronte a un clown)

– nella Laughter Room i momenti potrebbero essere diversificati: si potrebbe passare dalla visione di film umoristici (in qualche ospedale italiano la Cinema Terapia, grazie a Medicinema, è diventata già realtà!), a sessioni di Yoga della Risata per varie fasce d’età (abbiamo già pronti migliaia di Leader e Teacher in tutta Italia pronti per regalare qualche ora del loro tempo per questa nobile causa!), incontri di ludicità consapevole, a spettacoli clown, a interventi mirati di clown-dottori e chi più ne ha più ne metta, in modo che ad ogni ora sia possibile partecipare ad attività ludiche e divertenti

– si creerebbero dei momenti di buona socialità tra i pazienti, che potrebbero trovare un supporto naturale e nuove amicizie (vi ricordo che il fattore numero 1 per una vita felice è decretato dalla rete sociale sulla quale possiamo fare affidamento!)

– la persona che si prenderebbe cura dell’organizzazione delle attività nella “stanza della risata” avrebbe lo stipendio già pagato grazie a tutti i soldi che vengono risparmiati grazie ai benefici creati dalle attività della stanza stessa (minori tempi di degenza, meno assenteismo, ecc…)

– tantissime associazioni su tutto il territorio italiano sarebbero già pronte e vogliose di poter aiutare, dare una mano, raccogliere fondi per la messa in opera di tale rivoluzione gioiosa in tutti gli ospedali

il presidente delle Repubblica e il ministro della Sanità in persona dovrebbero auspicare e promuovere questo tipo di iniziativa

– il prossimo scrivilo tu nei commenti, e io lo aggiungerò!

Ora vi chiedo un aiuto: scrivete (tramite una mail a redazione@italiachecambia.org) quali sono gli altri punti che potremmo aggiungere a questa lista in modo che nel tempo crescerà sempre più e diventerà un vero e proprio manifesto. A quel punto sarà talmente ovvio che le “stanze della risata” debbano essere istituite che i dirigenti ospedalieri faranno a cazzotti per avere la stanza delle risate più bella del mondo.Old-people-laughing-newark-notts

A quel punto:
– istituiremo un premio nazionale per la “Stanza della Risata più bella d’Italia”,
– un premio per “il paziente, l’infermiere e il primario più scemo dell’istituto”,
– faremo dei grafici per dimostrare quanto ci si guadagna – in ogni senso – a ridere di più in ospedale,
– i pazienti non vorranno più andarsene
– i dottori, gli infermieri, gli Oss saranno felici di andare a lavorare,
– la gente comincerà a portare più risate anche a casa,
e la vera rivoluzione dal basso avrà inizio!

Grazie al mio amico Marco per aver detto, quella sera della sua prima sessione di risate, “questa è la vera rivoluzione dal basso”!

È un sogno grande, lo so. Ma è possibile. E sono sicura che fra qualche anno ci sarà davvero una Laughter Room in ogni ospedale! Condividete a più non posso (soprattutto con chi lavora in ospedale, visto mai che si illumina e decide di farsi promotore!).

#risateinogniospedale #laughterroom #rivoluzionegioiosa #ospedalicheridono

La pagina Facebook di Lucia Berdini

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/04/ospedale-stanza-risate/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Lombardia: animali negli ospedali per visitare i pazienti

La scelta della regione Lombardia di far entrare gli animali negli ospedali e nelle case di cura è vincente. I pazienti ne trarranno enormi benefici psicofisici, mentre cani, gatti e conigli non si sentiranno più traditi dall’amico umano. Dal 29 dicembre, in Lombardia, porte aperte a cani, gatti e conigli nelle case di riposo e negli ospedali, a condizione che vengano rispettate le norme di sicurezza stabilite dalle strutture sanitarie o sociosanitarie. La Giunta regionale, approvando il nuovo Regolamento di attuazione delle disposizioni di cui al Titolo VIII, Capo II, della L.R. 33/2009, recante norme relativa alla tutela degli animali di affezione e prevenzione del randagismo, dà la possibilità a pazienti di cliniche o ospiti delle case di riposo di ricongiungersi con il compagno animale.

moe_therapy_dog_-8-15

Per accedere ai reparti si dovranno rispettare i requisiti minimi riportati nel regolamento: gli animali dovranno essere accompagnati da maggiorenni, i cani, muniti di museruola, condotti al guinzaglio, mentre, gatti e conigli dovranno essere tenuti nell’apposito trasportino, almeno fino al momento della visita. Inoltre, il conduttore, prima di entrare nella struttura, dovrà spazzolare accuratamente l’animale per rimuovere il pelo caduto e pulire le eventuali deiezioni. Ermanno Giudici, Presidente dell’Ente Nazionale Protezione Animali (ENPA), sezione di Milano, giudica positivamente la norma, credendo che possa essere di sollievo ai malati. L’animale è considerato oramai dalla maggior parte delle persone un membro della famiglia; separarsi dal compagno fedele è un’esperienza molto dolorosa. La malattia o la scelta di ritirarsi in una casa di cura infrange quel legame emotivo che si crea tra l’uomo e l’animale. Pensiamo a una persona sola che ha diviso per diversi anni, luoghi, tempo e pasti con l’amico cane, gatto o coniglio; la separazione forzata gli toglie la sua unica fonte di conforto e compagnia. L’amico ritrovato sarò in grado di donarci ancora amore incondizionato, affetto, amicizia, divertimento, gioia, tenerezza, di strapparci un sorriso, regalandoci uno stato di benessere psicofisico. Persino la percezione del dolore può essere ridotta se ritroviamo i loro teneri occhi, le code scodinzolanti a ogni nostra parola, le allegre fusa rumorose che vanno a riempire il vuoto di quegli spazi angusti e poco familiari.foto3

La scelta della regione Lombardia di far entrare gli animali domestici negli ospedali e nelle case di cura è una mossa vincente, che denota attenzione e sensibilità verso le persone che amano gli animali quanto i propri simili. E, forse, inconsapevolmente e indirettamente, questa scelta aiuta anche gli animali, a non sentirsi traditi proprio da quel compagno che hanno profondamente amato.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/01/lombardia-animali-ospedali-per-visitare-pazienti/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Vaccini e malattie autoimmuni: come l’organismo aggredisce se stesso

La letteratura scientifica, sempre citata per difendere i progressi della medicina, attesta però anche alcune altre verità, una delle quali, per esempio, è il legame che corre tra vaccini e malattie autoimmuni. Ci sono infatti studi che attestano come le vaccinazioni possano far sì che l’organismo aggredisca se stesso.vaccino_alluminio

Nessuno potrebbe mai accusare Yehuda Shoenfeld di essere un ciarlatano. Il clinico israeliano ha dedicato oltre trent’anni allo studio del sistema immunitario umano ed è all’apice della sua carriera. È autore di innumerevoli studi – The Mosaic of AutoimmunityAutoantibodiesDiagnostic Criteria in Autoimmune Diseases, Infection and Autoimmunity, Cancer and Autoimmunity – alcuni dei quali sono pietre miliari per la pratica clinica. Ed è proprio Shoenfeld a puntare il dito contro i vaccini, come ha ricostruito la giornalista canadese Celeste McGovern. Prendiamo ad esempio un recentissimo articolo pubblicato su Pharmacological Research  in cui Shoenfeld e colleghi individuano quattro categorie di individui che sono più a rischio di sviluppare malattie autoimmuni a seguito di vaccinazione. «Da una parte, i vaccini prevengono le infezioni che possono scatenare autoimmunità – spiegano Alessandra Soriano, del Dipartimento di Medicina clinica e reumatologia del Campus Bio-Medico dell’università di Roma, Gideon Nesher dell’università di Gerusalemme e lo stesso Shoenfeld – Dall’altra parte, molti studi che riportano autoimmunità post-vaccinale suggeriscono fortemente che i vaccini possano, essi stessi, causare autoimmunità». «Le malattie autoimmuni che possono insorgere dopo vaccinazione includono artrite, lupus, diabete mellito, trombocitopenia, vasculite, dermatomiosite, sindrome di Guillain-Barre syndrome e demielinizzazione. Quasi tutti i tipi di vaccini sono stati associati ad ASIA (Autoimmune/inflammatory Syndrome Induced by Adjuvants, Sindrome autoimmune/infiammatoria indotta da adiuvanti, anche note come sindrome di Shoenfeld, nda)».   Il termine ASIA raccoglie sintomi simili e si è iniziato ad indagare come le tossine ambientali, tra cui l’alluminio utilizzato nei vaccini, possano scatenare una reazione a catena nel sistema immunitario negli individui suscettibili portando a malattia autoimmune. La malattia autoimmune si ha quando il corpo crede di attaccare invasori esterni mentre invece sta attaccando parti di sé. Il sistema immunitario è un sistema di difesa e gli anticorpi sono come droni programmati per riconoscere certi tipi di invasori e distruggerli. Se sbagliano bersaglio possono causare danni enormi. Se ad esempio danneggiano la guaina mielinica, gli impulsi nervosi non si trasmettono adeguatamente, i muscoli vanno in spasmo e si perde la coordinazione: questa si chiama sclerosi multipla. Se gli anticorpi per errore aggrediscono i tessuti delle articolazioni si può avere l’artrite reumatoide. Se invece il bersaglio diventano le isole di Langerhans nel pancreas, si ha il diabete di tipo 1 e così via.

«Un sistema immunitario sano tollera gli auto-antigeni – spiegano gli esperti – quando questa tolleranza viene disturbata, il sistema immunitario si sregola e si ha l’emergenza dell’autoimmunità. La vaccinazione è una delle condizioni che possono disturbare l’omeostasi negli individui suscettibili dando luogo a fenomeni autoimmuni e ASIA».

Chi sia suscettibile è materia trattata dal documento dal titolo “Predicting post-vaccination autoimmunity: Who might be at risk?”,  che elenca quattro categorie di persone: chi ha avuto una precedente reazione autoimmune a un vaccino; chi ha una storia clinica di autoimmunità; pazienti con storia di reazioni allergiche; chiunque sia ad alto rischio di sviluppare malattie autoimmuni, inclusi coloro che hanno storia familiare di autoimmunità, presenza di autoanticorpi individuabili con esami del sangue e altri fattori, inclusi bassa vitamina D e fumo.

Reazioni precedenti

Riguardo a chi ha avuto precedenti reazioni ai vaccini, il rapporto cita cinque studi rilevanti incluso il caso di una adolescente morta dopo sei mesi dalla terza dose di Gardasil, il vaccino contro il papillomavirus.  Aveva avuto alcuni sintomi dopo la prima dose, come tremori e perdita di memoria. Dopo la seconda dose aveva sviluppato debolezza intermittente al braccio, erano peggiorati altri sintomi, aveva dolore al petto e palpitazioni. Gli esami del sangue e della milza hanno rivelato la presenza di frammenti di Dna del gene HPV-16 L1 sovrapponibile a quello presente nel Gardasil e trattato con alluminio. Malgrado «la limitatezza dei dati», Shoenfeld e colleghi hanno concluso che «pare preferibile che gli individui con precedenti reazioni autoimmuni alle vaccinazioni non siano vaccinati, almeno non con lo stesso tipo di vaccino».

Chi ha già una malattia autoimmune

«I vaccini non funzionano tanto bene su di loro – dice Shoenfeld – e sono a rischio di aggravamento dopo la vaccinazione». I vaccini contenenti virus vivi (varicella, febbre gialla, morbillo, parotite e rosolia) sono «in genere controindicati» per il rischio di «replicazione virale incontrollata». Ma nemmeno i vaccini a virus uccisi sono una buona idea perché solitamente contengono alluminio. Gli immunologi hanno descritto casi in cui pazienti con malattie reumatiche autoimmuni hanno manifestato maggiore dolore articolare e febbre dopo vaccino antinfluenzale, con innalzamento dei livelli di autoanticorpi (il corpo che attacca se stesso). In certi casi hanno sviluppato nuovi tipi di autoanticorpi.

Pazienti con storia di allergia

Gli studi sui vaccini solitamente escludono i soggetti vulnerabili e reclutano solo individui sani senza allergie. È una «distorsione» dicono Shoenfeld e Soriano ed è una delle cause per cui le reazioni avverse sono «considerevolmente sottostimate»; nella «vita reale i vaccini sono obbligatori per tutti gli individui a prescindere dalla loro suscettibilità». L’incidenza di reazioni allergiche ai vaccini è normalmente stimata in 1 caso su 50.000 dosi fino a 1 caso su 1 milione, ma probabilmente la vera incidenza è molto più alta soprattutto quando tra gli ingredienti dei vaccini ci sono gelatina e proteine dell’uovo. Tra gli ingredienti dei vaccini si individuano potenziali allergenici: proteine dell’uovo, siero di cavallo, lievito, antibiotici, formaldeide e lattosio. Secondo gli immunologi, in caso di manifestazioni di sensibilità all’alluminio, come noduli nel sito dell’iniezione che possono anche persistere per mesi e anni, meglio fare un patch test e, in caso, evitare la rivaccinazione.

L’alluminio

L’alluminio si aggiunge nei vaccini fin dal 1926, quando Alexander Glenny e colleghi notarono che faceva produrre meglio gli anticorpi. Per 60 anni la sua teoria non è mai stata messa in discussione malgrado sia documentata la neurotossicità di questo metallo che può danneggiare la memoria, il controllo psicomotorio, la barriera ematoencefalica, può indurre infiammazione cerebrale, danneggiare la funzione mitocondriale e addirittura avere un ruolo nella formazione delle placche amiloidi che si individuano nei malati di Alzheimer. È coinvolto nella sclerosi laterale amiotrofica e nell’autismo e induce allergie. Una decina di anni fa i ricercatori hanno iniziato a studiare meglio gli effetti dell’alluminio come adiuvante  e sono emersi molti problemi connessi con il suo utilizzo.

La miofascite macrofagica

L’alluminio ha dimostrato di avere grande mobilità nell’organismo. Nel 1998 il ricercatore francese Romain Gherardi, insieme ai suoi colleghi, osservò una condizione di origine sconosciuta in un paziente con sintomi di fatica cronica dopo vaccinazione, inclusi linfonodi gonfi, dolori articolari e muscolari e spossatezza. La biopsia ai tessuti del deltoide rivelò una lesione di 1 centimetro di diametro e in laboratorio emerse che si trattava di macrofagi, cioè gli anticorpi dell’organismo stesso. Nel fluido cellulare di questi macrofagi c’erano nanocristalli di alluminio. Altre ricerche hanno rivelato che questi granulomi possono diffondersi ovunque, dai linfonodi alla milza, dal fegato al cervello. Gherardi ha quindi concluso che c’è neurotossicità anche a lungo termine per l’alluminio

Persone a rischio

Le persone a rischio di sviluppare una malattia autoimmune sono coloro che hanno una storia familiare di autoimmunità e chi è positivo agli autoanticorpi. Anche il fumo è un fattore di rischio, come bassi livelli di vitamina D. A questo punto, cosa saggia è chiedere sempre il foglietto illustrativo del vaccino o dei vaccini che si dovrebbero ricevere e informarsi bene sui possibili effetti a breve e lungo termine, consultando magari la Banca Dati Med-Line dei Natinal Institutes of Health americani.

Si ringrazia Celeste McGovern

Fonte: ilcambiamento.it

7. Calma e benessere

17:00 – VISITA OSPEDALIERA7

Circa il 20% della popolazione è soggetto a cure ospedaliere almeno una volta l’anno. Un’illuminazione adeguata aiuta i pazienti a sentirsi curati adeguatamente, oltre a ridurre i costi legati ai consumi energetici ed alla manutenzione. Gli effetti benefici dell’illuminazione dinamica e colorata sugli esseri umani sono confermati dalla scienza moderna. Mentre, in passato, l’attenzione si concentrava sull’illuminazione ottimale per la diagnosi e la terapia, oggigiorno è posta sempre più enfasi sullo sfruttamento dell’impatto psicologico ed estetico della luce.

Gli effetti più significativi dell’illuminazione sono:

> Illuminamento adeguato per ogni terapia

> Atmosfera rilassata per calmare i pazienti

> Livelli di illuminazione bilanciati di giorno e di notte

Fonte: CELMA-ELC

India: Novartis perde battaglia per brevetto su farmaco anticancro

Non si tratta di una nuova cura per il cancro, ma della rielaborazione di un prodotto già esistente. Con questa motivazione, la Corte suprema indiana ha respinto, dopo sette anni di battaglia legale, la domanda di brevetto presentata dalla casa farmaceutica Novartis per il prodotto noto come Glivec. A vantaggio dei produttori indiani di farmaci equivalenti, ma anche di chi, in India e non solo, potrà accedere alla terapia a un prezzo molto più basso di quello previsto dal colosso svizzero.

Non è la prima sentenza della Corte suprema indiana in questa direzione e probabilmente non sarà l’ultima: a meno di un mese dalla sconfitta della tedesca Bayer – che si è vista rifiutare il brevetto per un farmaco anticancro a inizio marzo – anche la casa farmaceutica svizzera Novartis vede respinta la richiesta – presentata nel 2006 – di brevettare in India una cura per la leucemia, il Glivec. Alla base della decisione, la non originalità del farmaco, che rappresenterebbe un’evoluzione di un trattamento precedente. La legge indiana, infatti, prevede che le case farmaceutiche possano ottenere brevetti solo per nuove invenzioni, non per modifiche a farmaci già esistenti. In questo modo, New Delhi tenta di limitare la tendenza delle grandi aziende del settore a monopolizzare il mercato, ma anche di fare spazio alle aziende indiane che producono farmaci generici equivalenti a quelli delle controparti europee e li commercializzano a prezzi più contenuti. Se, infatti, la dose mensile del Glivec viene venduta a circa 2.500 dollari, il costo del farmaco generico non supera i 200; allo stesso modo, il farmaco anticancro della Bayer, oggetto di una sentenza analoga all’inizio di marzo, arriva sul mercato a 5.600 dollari (per 120 compresse), contro i 175 dollari della versione low cost. Pronta la reazione dell’azienda svizzera, che, alla notizia della sentenza, ha respinto l’accusa di precludere l’accesso alle cure da parte delle fasce più povere della popolazione: Novartis rivendica di aver garantito, attraverso i suoi programmi di donazione, la fornitura gratuita al 95% dei pazienti indiani e un rimborso, almeno parziale, al restante 5% dei pazienti, per un valore complessivo di oltre 1,7 miliardi di dollari.

farmaci_7

Piuttosto, secondo la casa farmaceutica, sarà lo stop della Corte a danneggiare i pazienti, perché “la carenza, da parte dell’India, di tutele dei diritti di proprietà intellettuale” scoraggerà la ricerca e l’innovazione e quindi “i progressi medici nelle patologie per le quali non sono ancora disponibili opzioni terapeutiche efficaci”. Di diverso avviso Medici senza frontiere, che parla di sentenza storica in difesa dell’accesso a farmaci a basso costo: secondo l’organizzazione umanitaria, nonostante i ripetuti attacchi, la legge dei brevetti indiana continua a proteggere la salute pubblica respingendo “le domande di brevetto prive di un reale fondamento” e ostacolando la tendenza delle aziende farmaceutiche a “far perdurare all’infinito i propri monopoli”. Ma la sentenza non ha valore solo per l’India: il problema dei prezzi troppi elevati non si supera semplicemente assicurando l’accesso alle cure alla maggior parte degli indiani. Basti pensare – ricorda MSF – che una serie di organizzazioni, come l’Unicef, si affidano proprio ai farmaci generici provenienti dall’India, ma anche dal Brasile, per somministrare cure a pazienti nei paesi più poveri. E rispetto all’eventualità, ventilata dalla Novartis, che la decisione del tribunale indiano freni l’innovazione, Medici senza frontiere spinge l’impostazione del problema: è vero che l’innovazione va finanziata, ma a non a spese dei pazienti “attraverso i prezzi elevati dei farmaci coperti da brevetti monopolistici”: “l’industria farmaceutica dovrebbe concentrarsi sulla vera innovazione, e i governi dovrebbero sviluppare delle regole che consentano lo sviluppo di farmaci resi subito disponibili a prezzi accessibili”.

Fonte: il cambiamento

Malati di Farmaci

Voto medio su 1 recensioni: Buono

€ 18

Farmaci che Ammalano

Voto medio su 2 recensioni: Buono

€ 14