Particolato fine: ecco quanta gente muore ogni anno in Italia a causa del Pm2.5

Il particolato fine o Pm2.5 è la sostanza inquinante emessa dalle attività di matrice antropica che ogni anno causa il maggior numero di decessi. In Italia è soprattutto il nord a esserne colpito, con punte di letalità che arrivano a 468 morti all’anno ogni 100mila abitanti. Una delle sfide più importanti nella lotta al cambiamento climatico è la riduzione dell’inquinamento atmosferico, particolarmente dannoso sia per l’ambiente che per la salute dell’essere umano. Delle diverse sostanze inquinanti che l’attività di matrice antropica emette nell’atmosfera, una particolare attenzione va rivolta al cosiddetto particolato fine o Pm2.5 (acronimo inglese di particulate matter), che secondo la European environmental agency e l’OMS è tra le più nocive. In particolare, ha un impatto molto forte sulla salute umana, e ogni anno causa migliaia di decessi prematuri.

Gli effetti del particolato fine sulla salute umana

Il Pm2.5 è una particella di diametro inferiore ai 2,5 millesimi di millimetro (o micron, μ). Data la sua dimensione estremamente ridotta, è capace di penetrare in profondità nel sistema respiratorio umano, raggiungendo non solo la trachea e le vie respiratorie superiori, quale è il caso del Pm10, ma anche gli alveoli polmonari. Il particolato fine ha effetti nocivi sia sul sistema respiratorio che su quello circolatorio. Secondo le analisi dell’Oms, una esposizione prolungata ha comprovati legami con l’emergere di tumori e di altre patologie come l’obesità, il diabete, ma anche il morbo di Alzheimer e la demenza. Può inoltre causare arteriosclerosi e, secondo ricerche recenti, potrebbe incidere sullo sviluppo neurologico nei bambini e sulle funzioni cognitive negli adulti. Oltre a esacerbare problemi di salute preesistenti.

Come riporta l’Eea, si tratta della sostanza inquinante più dannosa per la nostra salute, insieme al biossido di azoto (No2) e all’ozono (O3), nonché quella che ogni anno causa il numero più elevato di morti premature. Negli ultimi anni, grazie all’innovazione tecnologica e al crescente utilizzo di carburanti meno inquinanti, nell’UE questa cifra ha registrato un graduale calo. Si tratta comunque di cifre molto elevate. Soprattutto se consideriamo che sono distribuite in maniera fortemente diseguale non solo tra i vari paesi dell’Unione, ma anche all’interno dei singoli Stati, in particolare tra le diverse classi sociali di appartenenza.

Bambini, anziani e persone con condizioni di salute fragili o malattie pregresse sono infatti particolarmente esposte ai rischi del particolato fine. Ma in generale anche le persone che si trovano in condizioni di disagio socio-economico, che spesso vivono nelle aree più periferiche delle grandi città. Cioè zone fortemente industrializzate, con poco verde pubblico e abitazioni costruite a ridosso di strade trafficate – luoghi particolarmente esposti all’inquinamento atmosferico.

L’esposizione al Pm2.5 incide fortemente sull’aspettativa di vita

In questo senso è anche importante sottolineare che i dati riguardano solo i 27 paesi che fanno parte dell’Unione Europea, ma che a essere maggiormente colpiti dal problema dell’inquinamento da Pm2.5 sono paesi europei che non ne fanno parte, in maniera particolare l’area balcanica (Serbia, Macedonia del nord, Albania). Come evidenzia l’Eea, si tratta infatti di stati ancora largamente dipendenti da combustibili di qualità inferiore come il legno e il carbone, fortemente inquinanti.

La regione della capitale macedone Skopje, in particolare, è quella che riporta il numero più elevato di morti premature da Pm2.5 di tutto il continente (225 ogni 100mila abitanti nel 2019), seguita dalla provincia serba Podunavska oblast (205). Tra i paesi Ue invece è la Bulgaria a registrare le cifre più elevate, soprattutto, anche in questo caso, nella regione della capitale.

Le morti premature da Pm2.5 nella penisola italiana

A causa dell’alto tasso di industrializzazione, l’Italia è uno dei paesi UE che risultano maggiormente colpiti dal problema del particolato fine. Da questo punto di vista esistono però forti differenze a livello locale. Cremona è la provincia italiana che nel 2019 ha registrato il numero più elevato di decessi causati dall’esposizione al particolato fine. È la quarantesima provincia in UE da questo punto di vista. Si stima che in quell’anno 468 persone abbiano perso la vita per questo motivo. La seguono Brescia, Mantova e Padova con 123 decessi ogni 100mila abitanti.

Il numero di decessi causati dal particolato sottile ogni 100mila abitanti nelle province italiane (2019)

In generale, a risultare maggiormente colpito è il nord della penisola e in particolare la Lombardia, il Veneto e l’Emilia-Romagna, in corrispondenza della zona fortemente industrializzata della pianura padana. Mentre a riportare le cifre più contenute sono la provincia sarda di Sassari (con 49 decessi ogni 100mila abitanti), seguita da Olbia-Tempio nella stessa regione e dalla Valle d’Aosta, entrambe con 50 morti. Va però sottolineato che, come è avvenuto a livello europeo, anche in Italia la situazione sta gradualmente migliorando. Come abbiamo raccontato in un altro recente approfondimento sul problema del particolato fine, negli ultimi 13 anni la concentrazione di questa sostanza nell’aria delle città italiane si è infatti dimezzata. Ma resta ancora molta strada da fare, considerando che l’Ocse raccomanda una concentrazione inferiore ai 10 µg/m3, mentre nel 2019 nelle città italiane questa si attestava, mediamente, intorno ai 15,5 µg/m3.

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Fonte: https://www.italiachecambia.org/2022/01/particolato-fine-italia/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Inquinamento atmosferico, danni alla salute anche entro i limiti consentiti

Lo dice uno studio pubblicato dal progetto europeo ELAPSE che si è concentrato sull’associazione tra inquinamento dell’aria e incidenza della mortalità e di una serie di patologie, analizzando i dati di cittadini residenti in sei paesi europei dal 1990 al 2010. I ricercatori hanno trovato prove di tassi di mortalità più elevati tra le persone che erano state esposte a un maggiore inquinamento atmosferico anche se i livelli erano consentiti dagli attuali standard ufficiali

I limiti massimi di inquinamento atmosferico stabiliti dall’Unione Europea, dall’agenzia di protezione ambientale statunitense EPA e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità non sarebbero sufficienti a salvaguardare la salute delle persone. Lo dice uno studio pubblicato dal progetto europeo ELAPSE (già anticipati dal British Medical Journal), che si è concentrato sull’associazione tra inquinamento dell’aria e incidenza della mortalità e di una serie di patologie, analizzando i dati di cittadini residenti in sei paesi europei dal 1990 al 2010. I ricercatori hanno trovato prove di tassi di mortalità più elevati tra le persone che erano state esposte a un maggiore inquinamento atmosferico anche se i livelli erano consentiti dagli attuali standard ufficiali.

I ricercatori hanno analizzato i dati di otto gruppi di persone in sei paesi europei – Svezia, Danimarca, Francia, Italia, Paesi Bassi, Germania e Austria – per un totale di 325.367 adulti. L’analisi dei risultati ha mostrato che le persone che avevano una maggiore esposizione al particolato fine (PM 2.5), al biossido di azoto e al black carbon (componente del PM 2.5 emessa da motori diesel e combustione di biomasse), avevano maggiori probabilità di morire.

Con concentrazioni di PM 2.5 inferiori a 25 microgrammi al metro cubo, un aumento della concentrazione di 5 microgrammi al metro cubo comporta un aumento del rischio di morte del 13%. Considerando concentrazioni inferiori allo standard dell’EPA, cioè 12 microgrammi al metro cubo, l’aumento del rischio di morte crescerebbe del 30%. Lo stesso vale per il biossido di azoto: a concentrazioni inferiori ai 40 microgrammi al metro cubo, un aumento della concentrazione di 10 microgrammi al metro cubo comporta un aumento del rischio di morte del 10%. A concentrazioni inferiori a 30 microgrammi al metro cubo, un aumento di 10 microgrammi al metro cubo comporta un aumento del 12% del rischio di morte.

Si tratta di uno studio osservazionale e, come tale, non può stabilire la causa. Tuttavia gli autori spiegano che la ricerca “contribuisce all’evidenza che l’inquinamento dell’aria esterna è associato alla mortalità anche a livelli inferiori agli attuali standard europei e nordamericani e ai valori delle linee guida dell’OMS. Questi risultati sono quindi un importante contributo al dibattito sulla revisione dei limiti di qualità dell’aria, delle linee guida e degli standard.

Fonte: ecodallecitta.it

La mappa Nasa delle morti per inquinamento atmosferico

Un planisfero dei decessi dovuti all’inquinamento da polveri sottili. Con qualche sorpresapollution_excess_deaths_lrg-1-586x293

Milioni di persone, ogni anno, muoiono a causa di patologie scatenate dall’inquinamento atmosferico. Sulla base dei dati di uno studio sulle morti da inquinamento atmosferico, la Nasa ha compilato una mappa globale che evidenzia le nazioni nelle quali i tassi di mortalità prematura. Un planisfero che ricalca, come idea, ma non come sostanza, le mappe globali della luminosità che descrivono con grande immediatezza i processi di antropizzazione e di urbanizzazione in corso. La mappa abbraccia i dati sul numero medio di morti per 1000  chilometri quadrati nel periodo fra il 1° gennaio 1850 e il 1° gennaio 2000 a causa del particolato fine. Le aree marroni scure (soprattutto in India e Cina) hanno più morti premature rispetto alle aree marrone chiaro e alle aree gialle, mentre le zone in azzurro hanno addirittura migliorato la situazione rispetto al 1850, con un trend in diminuzione delle morti per inquinamento (alcune zone industriali della Gran Bretagna, del Sud  degli Stati Uniti, dell’India e del Brasile). La reversibilità di alcune situazioni è un dato molto interessante e rassicurante. La mappa è il risultato dello studio condotto da Jason West dell’Università del Nord Carolina. Nello studio –pubblicato su Environmental Research Letters – West stima che 2,1 milioni di morti, ogni anno, siano legati a questo tipo di inquinamento atmosferico. L’inquinamento da polveri sottili è composto da una miscela di ingredienti quali gli acidi e le particelle di polvere. Secondo la Us Environmental Protection Agency, la dimensione delle particelle inalate è direttamente legata alla loro capacità di provocare problemi di salute. Le particelle fini (quelle che misurano 2,5 micrometri di diametro o meno) sono le più pericolose perché hanno maggiori possibilità di raggiungere i polmoni attraverso la bocca e il naso.

Fonte:  Nasa