vAuto elettriche: Renault da Parigi guarda alla Cina con la K-ZE

Renault all’assalto del mercato delle auto elettriche economiche con la K-ZE, un modello prodotto e venduto solo in Cina.auto-elettrica-renault-k-ze_04

Dal Salone di Parigi parte l’assalto di Renault al ruggente mercato cinese delle macchine elettriche: la casa francese ha infatti presentato la K-ZE Concept da cui deriverà la K-ZE definitiva, auto elettrica economica e piccola che verrà prodotta in Cina in collaborazione con e-GT New Energy Automotive Co, la joint venture costituita con Dongfeng Motor Group e Nissan. LA K-ZE è un veicolo elettrico di segmento A (come le Fiat Panda e 500, la Smart Fortwo e la Toyota Aygo, per capirci) ma dall’aspetto di un SUV in miniatura. Avrà una autonomia pari a 250 km (ciclo NEDC) e quindi una batteria piccola, come è normale sul mercato cinese. In Cina, infatti, non spopolano le auto elettriche premium da 400 chilometri e oltre di autonomia e centinaia di cavalli di potenza ma, al contrario, le elettriche piccole che costano poco più degli incentivi statali. Design accattivante e doppio sistema di ricarica (domestica e colonnina pubblica) caratterizzano questa mini auto elettrica a basso costo per la Cina che non rinuncia, però, ad alcuni vezzi come i sensori di parcheggio, la telecamera per la retromarcia e un display centrale con navigatore e servizi connessi.

Il Gruppo Renault è stato pioniere ed è leader del veicolo elettrico. Il nostro nuovo modello, Renault K-ZE, accessibile, urbano e con uno stile da SUV, riunisce il meglio del Gruppo Renault: la nostra leadership nel settore dei veicoli elettrici, la nostra esperienza nei veicoli a prezzi accessibili e la nostra capacità di costituire solide partnership” ha dichiarato Carlos Ghosn, Presidente Direttore Generale del Gruppo Renault, durante la presentazione di questo EV.
Oltre a presentare la K-ZE Renault ha anche annunciato che, nel 2020, arriveranno le versioni ibride di Clio e ibride plug-in di Mégane e Captur basate su e-Tech, la nuova tecnologia 100% Renault che permetterà al Gruppo di elettrificare gradualmente i suoi modelli del segmento B e C.

4 Guarda la Galleria “Auto elettrica Renault K-ZE”

Fonte:ecoblog.it

Bike sharing a flusso libero: problemi anche a Parigi e Washington

Anche all’estero non mancano i problemi derivanti dal parcheggio selvaggio delle bici condivise del bike sharing a flusso libero.http _media.ecoblog.it_0_019_bike-sharing-a-flusso-libero-problemi-anche-a-parigi-e-washington

Molti benefici ma anche parecchi problemi dalla diffusione nel mondo dei servizi di bike sharing free floating, cioè a flusso libero. E, a quanto pare, i problemi sono sempre gli stessi ovunque questo servizio arrivi: i clienti lasciano le bici nei posti meno adatti. Abbiamo già parlato più volte dei problemi del bike sharing italiano a Firenze e Milano, con le bici gettate nei canali o lasciate in mezzo ai marciapiedi se non addirittura portare all’interno di garage e recinzioni private. Abbiamo visto anche che a Vienna ci sono problemi del tutto simili, con bici abbandonate al di fuori degli spazi condivisi. Recentemente anche il Washington Post ha raccontato delle bici degli operatori Spin e LimeBike parcheggiate selvaggiamente nella capitale USA: ai bordi di laghetti e in riva ai fiumi, in mezzo ai marciapiedi, sui ponti, appoggiate ai portoni di abitazioni private o abbandonate dentro i cimiteri e le stazioni della metro. E non mancano, neanche negli Stati Uniti, veri e propri atti vandalici.  A Parigi, invece, ci sono problemi anche per il bike sharing a postazioni fisse: quello, pubblico, di Vélib’. Ciò è dovuto al fatto che a Parigi è in arrivo a gennaio un nuovo operatore di bike sharing, Smoovengo, che sostituirà Vélib’ e questo ha reso necessario aggiornare o sostituire oltre 1.200 postazioni, al fine di renderle compatibili con le biciclette del nuovo operatore. Il risultato è che, al momento, a Parigi è praticamente impossibile utilizzare il proprio abbonamento Vélib’, tuttora valido, e che Vélib’ sarà costretta a spendere un bel po’ di euro per rimborsare ben 300.000 abbonati.

Fonte: ecoblog.it

La Recyclerie, la nuova vita di una vecchia stazione di Parigi

Fattoria, orto, bar, biblioteca, centro culturale, laboratorio di riuso e riparazioni. Tutto questo è La Recyclerie, uno spazio nato a nord di Parigi nel 2014 dalla riconversione di una vecchia stazione e divenuto oggi un posto di svago incentrato sulle buone pratiche e sull’economia circolare. A nord di Parigi, nel quartiere di Glignancourt, la vecchia stazione di Ornano è divenuta nel 2014 un sogno ecosostenibile: una fattoria urbana incentrata sull’economia circolare. Ridurre, riutilizzare, riciclare: questi i valori principali che animano La Recyclerie, uno spazio di svago, condivisione e buon cibo per il corpo e per lo spirito.14702319_563665010497495_1247588298441467805_n

Nella struttura centrale sono situati un caffè ed una cantina dove poter apprezzare e bere le specialità coltivate nei 100 mq tra orto, serra acquaponica e tetto verde, dove ci sono 4 arnie che producono il miglior miele di Parigi.  Gli spazi verdi fiancheggiano i binari della vecchia circolare, così come il pollaio con 16 polli (che produce più di 4000 uova l’anno) e le due oche che possono scorrazzare e ripulire l’orto dalle erbe infestanti. Ovviamente tutto il terreno è reso fertile dalle cinque compostiere inserite in una serra di 130 mq, dove arrivano gli scarti del bar che i lombrichi trasformano in humus, di cui usufruisce anche il vicinato. Qui troviamo anche la vasca di acquaponica, alimentata con acqua piovana. L’orto si estende per 400 mq e oltre a “sfamare” i clienti del caffè, rappresenta un luogo di incontro con il vicinato.
L’ex garage della struttura è divenuto poi l’Atelier di René, un vero e proprio laboratorio dove si scoprono nuovi modi di creare, di riparare e riutilizzare.larecyclerie-360-600x358

Foto tratta dal sito di La Recyclerie

La Recyclerie ospita anche una biblioteca con 280 libri sui temi dell’ecosostenibilità e propone corsi e massaggi. Dalle ceneri di una vecchia stazione abbandonata da decenni è sorto insomma uno straordinario centro di condivisione e sostenibilità.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/10/la-recyclerie-nuova-vita-vecchia-stazione-parigi/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Il Mater-Bi conquista Parigi: Novamont partner della città per la raccolta della frazione umida dei rifiuti

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Partita la consegna a 74mila parigini delle attrezzature per effettuare una raccolta facile, igienica e corretta dei rifiuti organici fondamentale per produrre energia verde e humus di qualità con cui rifertilizzare i suoli, secondo la logica dell’economia circolare. Diciotto mesi dopo COP 21, la città di Parigi, mantenendo fede agli impegni presi, ha dato avvio al primo atto della raccolta differenziata dei rifiuti alimentari prodotti nelle case dei parigini. In questi giorni, infatti, un centinaio di addetti stanno bussando alle porte di 74.161 famiglie per dare tutte le informazioni necessarie sulla nuova prassi e offrire le attrezzature indispensabili ad effettuare una raccolta facile, igienica e corretta:

– una pattumierina aerata che può essere tenuta in cucina, sotto il lavello

una dotazione di 72 sacchetti biodegradabili e compostabili in MATER-BI con cui raccogliere i rifiuti alimentari,

entrambe forniti da Novamont nell’ambito di un accordo di sponsorizzazione.387480_2

Giovedì 11 maggio, il vice sindaco Mao Peninou, accompagnato dai sindaci del 2° e del 12° arrondissment Catherine Barrati-Elbazet e Jacques Boutault, dai rappresentanti di ADEME, SYCTOM (responsabile della gestione dei rifiuti urbani) e di Novamont Francia si sono uniti alle squadre degli operatori per incontrare i cittadini coinvolti e spiegare loro le finalità e le potenzialità della raccolta differenziata dei rifiuti umidi, una risorsa di enorme valore che non sarà più dispersa nelle discariche o bruciata negli impianti di incenerimento ma utilizzata per produrre energia verde (biogas) e humus di qualità con cui rifertilizzare i suoli, secondo la logica dell’economia circolare, in cui nulla è rifiuto ma tutto torna ad essere risorsa. Nelle parole del vice sindaco Mao Peninou, “Invitiamo i parigini ad aderire con convinzione a questa innovazione ambientale e sociale che farà di loro i primi stakeholder nella produzione di biogas e compost“.

Come già a Milano, il kit per la raccolta, costituito dalla pattumierina aerata e dalla dotazione di sacchetti biodegradabili e compostabili, è fornito da Novamont, da anni partner di una rete di municipalità impegnate nella raccolta differenziata della frazione organica come, per esempio, Milano, New York, Ginevra, Vienna, San Francisco.387480_3

Il punto di forza del modello Novamont per la gestione del rifiuto umido risiede nell’utilizzo di sacchi in MATER-BI – la bioplastica biodegradabile e compostabile secondo primari standard internazionali – impermeabili, igienici, traspiranti e idonei al trattamento in impianti di digestione anaerobica e compostaggio. La compostabilità dei sacchi, infatti, è una caratteristica essenziale per garantire la qualità della raccolta dei rifiuti organici e la loro trasformazione in biogas e compost di qualità. Secondo Christophe de Doukhi Boissoudy, CEO di Novamont Francia “Nell’economia circolare il recupero delle risorse avviene innanzitutto riciclando i rifiuti e reinserendoli nel ciclo produttivo e il sistema circolare per eccellenza, come dimostrano diversi casi in tutta Europa (a partire da una metropoli come Milano), è quello che si basa sulla raccolta differenziata della frazione organica – che a Parigi rappresenta circa 1/4 dei rifiuti totali prodotti da ogni cittadino – per il cui successo è di fondamentale importanza l’uso di sacchi e shopper biodegradibili certificati secondo gli standard più importanti“.

Un valido contributo alla diffusione della raccolta differenziata dei rifiuti alimentari sarà dato anche dai sacchetti frutta/verdura che in base alla legge di transazione energetica voluta da Ségolène Royal dal 1° gennaio 2017 devono essere biodegradibili e certificati e che possono essere riutilizzati dalle famiglie per la raccolta dell’umido. Secondo Anne Hidalgo, sindaco di Parigi, “L’economia circolare ci dimostra ogni giorno che cambiare atteggiamento e l’approccio sulla questione dei rifiuti è promessa di enormi benefici per i nostri territori“.

Fonte: Novamont

 

A Parigi si testano navette elettriche senza pilota

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Parigi, bellissima e immortale, ha un serissimo problema legato all’inquinamento atmosferico: il traffico parigino è bestiale e il comune sta cercando di elaborare proposte diverse che incentivino la cittadinanza ad usare i mezzi pubblici. Il test più avanguardistico riguarda la sperimentazione di due navette elettriche completamente automatiche a guida autonoma – che significa senza pilota – che possono trasportare ciascuna fino a sei passeggeri seduti. Le navette hanno preso servizio sul ponte Charles de Gaulle di Parigi, collegando le stazioni di Gare de Lyon e Austerlitz. L’esperimento è stato lanciato e comunicato dal Comune di Parigi lunedì 23 gennaio 2017 e durerà un paio di mesi, fino al prossimo 7 aprile: le navette saranno completamente gratuite, lo scopo infatti è quello di testare il mezzo e non la sua redditività, oltre che la volontà effettiva della cittadinanza a recepire questa novità ultra-tecnologica. I mezzi, chiamati EZ10, sono forniti da Easymile, hanno un sistema di guida autonoma basato sul GPS ma avranno sempre a bordo un operatore per questioni di sicurezza e effettueranno servizio 7 giorni su 7 tra le 14 e le 20.  Similmente ad una metropolitana le navette faranno su e giù lungo il ponte Charles de Gaulle su un’unica corsia, percorrendo poche centinaia di metri a una velocità non superiore ai 25km/h. Nel corso di quest’anno il Comune ha annunciato altri esperimenti di mobilità collettiva pubblica simili.

Fonte: ecoblog.it

Cop21, Italia ancora non ratifica: “È come se l’accordo di Parigi non ci fosse mai stato”

“Il ministro Galletti ha affermato di voler trasmettere in Parlamento la proposta entro il mese di settembre. In realtà quello che preoccupa è la mancanza di un vero piano di riduzione delle emissioni climalteranti”. L’intervento di Gianni Silvetrini per Eco dalle Città dopo la ratifica da parte di Cina e Usa dell’Accordo di Parigi386113_1

di Gianni Silvestrini (direttore scientifico di Kyoto Club)

La ratifica da parte della Cina e degli Usa è molto importante perché avvicina a una rapida entrata in vigore dell’Accordo sul Clima. Se questo avverrà prima del cambio di presidenza negli Stati Uniti, si eviterà tra l’altro il rischio di un loro defilarsi (degli Usa, ndr) per i prossimi quattro anni, anche in caso di vittoria di Trump. Ma queste novità evidenziano anche la debolezza e le divisioni dell’Europa la cui ratifica deve passare attraverso un’adesione da parte di tutti i paesi. Così se Francia e Ungheria hanno già ratificato, questo passaggio non è ancora stato avviato o concluso per gli altri paesi, Italia inclusa.386113_2

Il ministro Galletti ha affermato di voler trasmettere in Parlamento la proposta entro il mese di settembre. In realtà, aldilà della lentezza nell’attivazione delle procedure necessarie, quello che preoccupa è la mancanza di un vero piano di riduzione delle emissioni climalteranti e di un coordinamento delle politiche nei vari settori: un vuoto preoccupante, tanto più che nelle scorse settimane sono stati proposti gli obiettivi di riduzione al 2030 per i settori non ETS (escludendo cioè le industrie energivore) che per l’Italia sono del 33% rispetto alla media 2016-18. In realtà ci sono singole iniziative interessanti: pensiamo alla proposta di finanza innovativa per avviare la riqualificazione energetica “spinta” del patrimonio edilizio, all’avvio dell’incentivazione del biometano, alle riflessioni in atto sul lancio della mobilità elettrica… ma sono azioni scoordinate in assenza di un piano complessivo con obiettivi di riduzione verificabili. E manca un coordinamento che per l’ampiezza delle politiche deve essere gestito presso la presidenza del consiglio. Il governo, insomma, dovrebbe prendere sul serio la sfida climatica e, a partire da questa, dovrebbe indirizzare la ricerca sui filoni più promettenti, avviare una politica industriale innovativa, rilanciare l’occupazione.

Ma, purtroppo, pare che per l’Italia è come se l’accordo di Parigi non sia mai stato firmato. Ne parlano i principali leader mondiali, ma Renzi su questo tema è totalmente assente.

Fonte: ecodallecitta.it

Il clima è cambiato

Il clima è un campanello d’allarme di un intero sistema sull’orlo del collasso ambientale, energetico e sociale. Tuttavia, alcuni fattori ci indicano che un profondo mutamento è in atto e ci mostrano una realtà diversa, che tiene a freno i facili catastrofismi.

In quell’esplosivo garbuglio fatto di tensioni geopolitiche, povertà, disparità sociale che è la società globale, non ci sono molte certezze su quello che accadrà nei prossimi anni. Il clima, ahinoi, è una di queste: sappiamo con una certa sicurezza scientifica che il clima si modificherà nel prossimo futuro (in parte sta già accadendo) nella direzione del riscaldamento globale e dell’aumento dei fenomeni meteorologici estremi.Climate-Change

Sappiamo anche che il motivo di questo mutamento siamo noi, gli esseri umani, e il nostro impatto sugli ecosistemi terrestri. Sappiamo, infine, che dobbiamo agire subito per abbattere drasticamente le emissioni climalteranti e riuscire a mantenere l’innalzamento delle temperature attorno ai +2°C, e che se non ci riusciamo le conseguenze saranno davvero drammatiche, inclusa la probabile scomparsa dell’essere umano dal Pianeta. Eppure i grandi decisori politici sembrano ancora distanti dal considerare il clima una priorità nell’agenda internazionale. I motivi sono molteplici e non staremo qui ad approfondirli: resta il fatto che ci troviamo in una situazione di stallo in cui le conferenze e i summit mondiali si ripetono anno dopo anno senza che si riescano a prendere decisioni pratiche ed operative per evitare il disastro. Il summit di Parigi si chiama COP 21 perché è il ventunesimo incontro di questo tipo: prima c’è stato il COP 20 di Lima, il COP 19 di Varsavia, fino al COP 1 che si tenne a Berlino nel 1995, vent’anni fa.  Il fatto che nei venti incontri precedenti non si sia riusciti a raggiungere un accordo vincolante non lascia ben sperare per quello attuale ed i piani nazionali circolati prima della conferenza aumentano i timore degli scettici: le misure che ogni paese sembra disposto a prendere non sono sufficienti a mantenere l’innalzamento delle temperature entro i 2 gradi.cop21_gendarmes

Ma il clima è solo un campanello d’allarme di un intero sistema sull’orlo del collasso ambientale, energetico e sociale. L’idea di una crescita economica infinita, il consumismo, la delocalizzazione dei sistemi di produzione e smaltimento dei rifiuti, la finanziarizzazione dell’economia sono tutte facce diverse di quella matassa complessa che è la società contemporanea, che ha ormai mostrato tutti i suoi limiti endogeni. Tuttavia alcuni fattori ci indicano che un profondo mutamento è in atto e ci mostrano una realtà diversa, che tiene a freno i facili catastrofismi. Negli ultimi anni sono cambiate molte cose e oggi possiamo dire che esiste un’ampia gamma di soluzioni per tutti i problemi che dobbiamo affrontare. Approcci come quello della Decrescita  forniscono la cornice teorico-pratica di un’economia più locale, circolare, sostenibile, di stili di vita in armonia con il Pianeta. La Transizione  mette a disposizione un metodo per agire sui sistemi complessi e introdurre cambiamenti sistemici e duraturi. Esistono, anche solo in Italia, moltissimi strumenti utili e rivoluzionari, già pronti per l’uso: ad esempio i circuiti similmonetari come Arcipelago SCEC  o Sardex  (e i suoi figli Piemex, Liberex, ecc) che sono in grado si ribaltare il significato e le direzioni delle monete tradizionali. Questa abbondanza di strumenti va di pari passo con una crescita della consapevolezza.  Vi è un sentire più diffuso di quanto si è soliti pensare che abbraccia tutti gli aspetti della vita, dal cibo, alla salute, ai beni comuni, al consumo di risorse ed energia. Ne sono testimonianza le sempre più numerose battaglie vinte in difesa dei territori, lo storico risultato dei referendum sull’acqua pubblica del 2011, la crescita – in controtendenza rispetto al settore alimentare – del biologico (che ormai occupa il 60% del mercato agroalimentare – dati Nomisma) e del chilometro zero. E le centinaia, migliaia, di esperienze virtuose che come Italia che Cambia incontriamo ogni giorno in giro per il Paese. Insomma, quello meteorologico è non l’unico clima che sta cambiando, e le conseguenze iniziano a vedersi anche ad altri livelli.cloudy-sky

Questo cambiamento culturale in atto, infatti, sta facendo sentire i propri effetti anche a livello macroeconomico. Le grandi multinazionali hanno fiutato l’inversione di tendenza e cercano di intrufolarsi nei nuovi mercati, interessandosi improvvisamente all’etica dei prodotti, al biologico, adottando modelli di sharing economy. Non è un caso, giusto per citare un esempio emblematico, che circa un anno fa i Rockfeller, una delle famiglie simbolo del capitalismo americano da sempre legata al petrolio, abbia deciso di boicottare l’oro nero ed annunciare una improvvisa “svolta ambientalista”. Né che un Papa possa emettere un’enciclica come “Laudato si’”  (pubblicata da Papa Francesco nello scorso giugno) in cui si parla di decrescita, beni comuni, ecologia. Forse i tempi sono maturi perché si giunga ad accordo storico, una svolta epocale sul clima (e non solo).Parigi in questo senso sarebbe un luogo simbolico per due aspetti: da un lato perché dopo i tragici fatti recenti segnerebbe un nuovo inizio, dall’altro perché collegherebbe idealmente due fenomeni apparentemente distanti ma in realtà interconnessi come il terrorismo e i cambiamenti climatici. Riflettiamoci: quella mentalità innaturale che considera le persone alla stregua di merci e le fa schizzare da un lato all’altro del globo, che persino nel cuore della civile Europa crea sacche di povertà ed emarginazione potenzialmente esplosive, terreno fertile per estremismi e fanatismi, non è forse la stessa che ci ha condotto ad alterare la biosfera e far “ammalare” la Terra? L’inquietudine ed il senso di impotenza che proviamo di fronte ad attentati come quello che ha scosso Parigi non è simile a quella che proviamo di fronte ai cambiamento climatici? E non dimentichiamoci  che lo stesso riscaldamento globale sarà causa di flussi migratori sempre più consistenti per via del fenomeno dei cosiddetti “profughi ambientali”. Siamo sicuri che la società contemporanea sia in grado di affrontare queste sfide senza una profonda ridiscussione dei propri valori?7338227

Dunque Parigi potrebbe essere il teatro di una svolta epocale, ed è per questo che è importante far sentire la nostra voce alla classe politica in vista dell’incontro. In tutto il mondo si stanno mobilitando milioni e milioni di persone per organizzare, nella data del 29 novembre, oltre duemila colorate e rumorose marce per il clima (l’elenco di tutte le marce su http://350.org/global-climate-march/). Solo in Italia se ne contano quasi duecento, dal grande evento romano organizzato dalla Coalizione Clima, alle miriadi di piccole marce locali: la mobilitazione di persone è impressionante e non ha precedenti nella storia delle conferenze per il clima. Una svolta epocale, dicevamo. Oppure è possibile, persino probabile, che questa svolta non avverrà a Parigi e il summit si concluderà con qualche pacca sulle spalle e nessun accordo vincolante. In tal caso non abbattiamoci: i cambiamenti sociali e culturali in corso vanno ben oltre un accordo fra stati e, per quanto qualche freno imposto dall’alto sarebbe d’aiuto, non possiamo aspettarci che la soluzione arrivi dal sistema politico-economico attuale. Le soluzioni le costruiamo noi ogni giorno, scegliendo come ci spostiamo, come e cosa mangiamo, dove mettiamo e come spendiamo i nostri soldi, persino – o forse soprattutto – come ci relazioniamo con gli altri. Forse l’incontro parigino non sarà una novella “rivoluzione francese” ma sarà un’occasione importantissima per accendere i riflettori sulle alternative che abbiamo costruito e che giorno dopo giorno continuiamo a diffondere.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2015/11/clima-e-cambiato/

Clima e COP21: questa sì che è una guerra da vincere

Molto si sta scrivendo in questi giorni in merito all’imminente inizio della Conferenza ONU sul clima (COP21) che si terrà a Parigi dal 30 novembre all’11 dicembre. Per la prima volta (o forse la seconda, se andiamo con la memoria all’11 settembre 2001) ci si sta ponendo la domanda se vi siano comuni interessi tra gli attacchi terroristici accaduti pochi giorni fa e un malaugurato fallimento della COP21.

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Come ricorda l’acronimo, si tratta della 21esima Conferenza sul clima e se ci aggiungiamo anche tutti gli incontri preparatori di natura politica e tecnica, sono diverse centinaia gli incontri svolti ad oggi a livello internazionale (migliaia se ci aggiungiamo quelli a livello interregionale) per cercare di adottare una politica climatica che sia “compatibile” con la sopravvivenza della specie umana, almeno alle condizioni di cui una parte della popolazione terrestre beneficia già oggi e tenendo in mente i limiti che dobbiamo porre alla nostra impronta ecologica. Per la prima volta (o forse la seconda, se andiamo con la memoria all’11 settembre 2001) ci si sta ponendo la domanda se vi siano comuni interessi tra gli attacchi terroristici accaduti pochi giorni fa e un malaugurato fallimento della COP21 e, inoltre, se sia opportuno far riunire a Parigi oltre 10.000 delegati – numero che verosimilmente potrebbe raddoppiare se si considerano gli attivisti ed esponenti della società civile ed imprenditoriale che parteciperanno, a meno che non si introdurranno stringenti misure selettive – provenienti da tutto il mondo. Il primo aspetto viene ben descritto da Oliver Tickell su The Ecologist che mette in guardia i leader politici dai rischi di un fallimento della COP21, ipotizzando un introito di circa 500 milioni di dollari all’anno dalle vendite del petrolio che in parte è nella disponibilità dei terroristi di ISIS per finanziare le proprie attività criminali. Tickell sottolinea che un accordo a Parigi è sì una questione ambientale ma che adesso abbiamo un motivo in più per non fallire e ridurre la nostra dipendenza dal petrolio. Innegabile. Come innegabile è il fatto che non basta un accordo per limitare le emissioni di gas serra in atmosfera per togliere potenziali risorse ai terroristi, anche se la riduzione delle emissioni raggiungesse livelli “inaspettati”, come ad esempio quelli che da tanto tempo gli scienziati dell’IPCC ci indicano come la strada da seguire. Chi muove gli attacchi terroristici troverà altre risorse per finanziarsi, al di là di quelle che ad oggi sembrano provenire dalla vendita del petrolio. Sono profondamente convinto che se non si analizzano a fondo le condizioni che muovono tali attacchi non riusciremo mai a contrastarli e, soprattutto, a fare in modo che non accadano più. Su questo punto, faccio riferimento a quanto scritto da Marco Travaglio su l’Huffington Post e, nello specifico, le sue considerazioni di natura politico-economica a livello internazionale e da Paolo Ermani su Il Cambiamento. Quanto scritto da loro delinea chiaramente quali sono le azioni da intraprendere, certamente non quella di continuare a bombardare a spron battuto qua e là nella speranza di colpire qualche terrorista ed avere come “effetto collaterale” – giustificato da molti – centinaia di morti civili. E’ necessario intervenire, subito, ma con intelligenza ma soprattutto umiltà. Umiltà nel capire che le condizioni che scatenano questi attacchi terroristici nascono da come il mondo che si definisce civile si comporta nei riguardi di altri territori e persone.

Fonte: ilcambiamento.it

Stop alle centrali a Carbone: La risoluzione è in Parlamento

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Alla vigilia della Cop21 di Parigi, che si terrà il prossimo 11 dicembre, nel nostro paese si riaccende il dibattito sul percorso da seguire in relazione alle emissioni di CO2. A tale riguardo, è stata presentata una risoluzione in Parlamento da Stella Bianchi (Pd), presidente dell’intergruppo Globe Italia che mette insieme i parlamentari impegnati in materia ambientale. La risoluzione avanza l’esigenza di chiudere progressivamente le centrali a carbone e di porre nuovi limiti alle emissioni di gas serra delle stesse centrali. Il quotidiano Repubblica ha riportato alcuni passaggi del testo elaborato in Parlamento. Ivi, si legge che è necessario muoversi immediatamente perché “le emissioni di CO2 provenienti dalla combustione del carbone arrivano a essere del 30% superiori a quelle del petrolio e del 70% superiori a quelle del gas naturale […] La pericolosità del carbone è aggravata dal fatto che, oltre al biossido di carbonio, vengono dispersi nell’ambiente mercurio, piombo, arsenico, cadmio e altri metalli pesanti“.

Inoltre, sempre nella risoluzione si fa presente che l’Italia possiede un eccesso di produzione di elettricità, senza tenere in conto l’apporto delle rinnovabili. Per questo motivo, si precisa, un decremento dell’offerta di energia da centrali termoelettriche (con la chiusura di quelle a carbone) non inciderebbe sulla sicurezza del sistema energetico nazionale.

A corroborare la tesi dell’opportunità di chiudere le centrali a carbone c’è anche il parere dell’ UK Energy Research Centre. L’ente ritiene che andare nella direzione delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica aumenterebbe i posti di lavoro. A parità di investimenti, le energie rinnovabili darebbero lavoro 10 volte tanto rispetto al settore termoelettrico. E, secondo uno studio di Legambiente, il settore delle rinnovabili, entro il 2020, potrebbe arrivare a creare 250mila posti di lavoro, più altri 600mila inerenti ad ambiti professionali connessi e all’indotto. Stella Bianchi ha aggiunto che “alla conferenza di Parigi si dovrà definire una road map per arrivare a un sistema produttivo carbon neutral […] E una delle prime mosse dovrà essere la messa al bando delle centrali a carbone […] L’Italia può essere capofila in Europa di questo processo virtuoso per sostituire un combustibile ad alto impatto ambientale con le rinnovabili e l’efficienza“.

Ricordiamo che il carbone non è solo pericoloso (per l’Università di Stoccarda ha prodotto 22300 decessi nel 2010), ma potrebbe diventare a breve anche un settore in cui non sarebbe più conveniente investire. Forti fenomeni di disinvestimento si registrano già oggi, come nel caso del Fondo sovrano norvegese che ha deciso di non puntare più sull’elettricità a carbone.

Fonte: ecoblog.it

Cos’è COP 21, la conferenza sul clima di Parigi

Tutte le informazioni sulla XXI Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite (UNFCCC) sui cambiamenti climatici che si terrà a Parigi dal 30 novembre al 11 dicembre del 2015Cina-Emissioni-di-CO2-21

La COP21, la XXI Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite (UNFCCC) sui cambiamenti climatici si riunirà a Parigi dal 30 novembre all’11 dicembre 2015. Di questo appuntamento storico, al quale parteciperanno 195 Paesi, 50mila persone e 25mila delegati ufficiali, si parla da molto tempo e alcuni cambi di passo dei leader dei più importanti Paesi energivori del mondo fanno si che si possa guardare all’appuntamento parigino con ottimismo. Obiettivo della UNFCCC è riuscire ad arrivare, per la prima volta in vent’anni, a un accordo vincolante e universale sul clima, un accordo che sia più solido e più esteso di quello di Kyoto, mai ratificato dagli Stati Uniti. La COP21 si concluderà significativamente l’11 dicembre 2015, a diciott’anni esatti da quel 11 dicembre 1997 in cui, durante la COP3, il trattato venne redatto.

COP21: gli obiettivi

Qualche giorno fa l’Onu ha reso note le linee guida delle questioni che andranno affrontate a Parigi e preventivamente esaminate a Bonn, dove fra il 19 e il 23 ottobre si terranno alcuni colloqui preliminari. I dodici giorni di negoziazioni dovranno portare alla redazione di un documento vincolante, al quale i Paesi aderenti dovranno attenersi secondo le regole fissate dal documento stesso. I singoli governi dovranno presentare dei piani per il raggiungimento degli obiettivi prefissati e il rispetto dei parametri verrà monitorato con cadenza quinquennale.

COP21: i Paesi partecipanti

Ovviamente esiste un notevole gap fra i diversi Paesi che prenderanno parte alla COP21: circa un quarto dei partecipanti (49 su 195) non hanno presentato i loro piani entro la deadline del 1° ottobre. Si va dai Paesi più sensibili, quelli scandinavi, a quelli maggiormente disinteressati come quelli del mondo arabo (per ovvie ragioni economiche…). E mentre l’Italia – a detta del ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti – è da annoverarsi fra i Paesi maggiormente collaborativi, nella capitale francese Stati Uniti Cina arriveranno portando in dote l’accordo bilaterale del 2014 sulla riduzione delle emissioni per il periodo successivo agli obiettivi del 2020. Alla COP21, naturalmente, parteciperanno anche piccoli Paesi che contribuiscono all’inquinamento con una quota minima di emissioni, ma ne subiscono in maniera pesante le conseguenze. Una delle questioni sarà lo stanziamento di 100 miliardi di dollari annui per risarcire i Paesi più poveri colpiti dagli effetti dei cambiamenti climatici.

COP21: i rischi

Un accordo sul clima deve essere preso e le emissioni devono essere ridotte, questo è un dato di fatto. Ma occorrerà analizzare nel dettaglio l’accordo, per capire, per esempio, se a pagare il conto dei provvedimenti che verranno presi saranno i cittadini o le aziende e gli Stati. Visto che sulle modalità per il raggiungimento degli standard che verranno decisi alla COP21 legifereranno i singoli Paesi, bisognerà capire se i singoli cittadini verranno sfavoriti nei confronti delle aziende. In parole povere: i cittadini dovranno rottamare le caldaie e le automobili inquinanti, ma le industrie che hanno contribuito in maniera determinante alla crescita incontrollata delle emissioni, di quali responsabilità dovranno farsi carico? Uno Stato, quello italiano, che ha favorito per oltre un secolo il trasporto su gomma, con quale credibilità potrà chiedere ora ai cittadini di pagare di tasca propria la riconversione a uno stile di vita all’insegna di un maggiore risparmio energetico? A pensar male si fa peccato, certo, ma l’esempio delle caldaie a condensazione è un interessante laboratorio per comprendere quanta ingiustizia e iniquità vi siano anche nei provvedimenti palesemente benefici e positivi.

Fonte:  COP21 Paris