La lotta biologica ai nuovi parassiti derivanti dai cambiamenti climatici

I cambiamenti climatici sono le cause di nuovi parassiti che attaccano le nostre produzioni agricole come il  grano, il mais, la vite, il pomodoro, il ciliegio e altri frutti. Una guida ragionata alla lotta biologia alla cimice asiatica, al moscerino dagli occhi rossi e al coleottero polifago giapponese. Leggi tutto!

Fronteggiare i nuovi parassiti che danneggiano l’orto e il giardino è la sfida più urgente. Non solo la globalizzazione ma anche i cambiamenti climatici ci pongono di fronte a nuove sfide fitosanitarie: combattere insetti dannosi provenienti da altri continenti. Le piante trovano naturali sistemi di autodifesa per contrastare nuovi parassiti e funghi ma i tempi possono essere così dilatati da compromettere la sopravvivenza di determinate specie endemiche. E se il gelo delle scorse settimane fa ben sperare i salentini che auspicano la distruzione della piccola cicala originaria dell’America Centrale che trasmette il batterio della Xilella fastidiosa, gli inverni normalmente miti del Sud non possono garantire la distruzione degli insetti vettori. Per questa ragione lo studio di parassitoidi in grado di contrastare questi insetti, il rispetto della natura e l’introduzione di pratiche biologiche e biodinamiche risultano le uniche armi in nostro possesso.

LE CAUSE DELL’ARRIVO DI NUOVI PARASSITI

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È ormai accertata la connessione tra gli attacchi di nuovi parassiti e l’intensificarsi degli scambi commerciali avvenuta nell’ultimo ventennio che unitamente alle merci trasportate, hanno introdotto dai Paesi Terzi nuovi e pericolosi fitofagi.

Ma c’è un’altra causa molto più devastante per le nostre coltivazioni: i cambiamenti climatici. Questi hanno reso il nostro paese un luogo molto più ospitale e accattivante per questi parassiti provenienti dall’Asia, dall’America e dall’Africa che hanno trovato nelle nostre campagne e nelle nostre città condizioni climatiche favorevoli.

 LA CIMICE ASIATICA CONTRO: ROSACEEE, GRANO, MAIS E PESCO

Tra le specie che meritano di essere segnalate per gli ingenti danni procurati dai nuovi parassiti è certamente la cimice asiatica, la Halyomorpha halys, che dalla sua prima comparsa a Modena nel 2012 ad oggi si è diffusa in maniera preoccupante in tutta la penisola procurando ingenti danni a circa 300 specie tra cui rosacee, grano, mais, kiwi, melo, nocciolo, pesco e pero. Contro la Halyomorpha halys antagonisti naturali sono l’Anastatus bifasciatus, una sorta di formica nera con riflessi blu di 2-2,5 mm di lunghezza o il Trissolcus japonica, un parassitoide di origine asiatica presente anche negli Stati Uniti, entrambi in grado di paralizzare la cimice asiatica. Altra strategia consiste nella distribuzione sulle colture di sostanze repellenti quali olio di chiodi di garofano o citronella, oltre al collocamento di trappole a base di feromoni di aggregazione o la sistemazione di reti anti-insetto.

LA POPILLIA JAPONICA: IL COLEOTTERO GIAPPONESE CONTRO VITE E POMODORO

La Popillia Japonica è un coleottero polifago di origini nipponiche simile al nostro maggiolino ma con le elitre rossicce anziché verdi. Gli adulti si nutrono di foglie, frutti e fiori mentre le larve attaccano non solo i nostri prati ma anche l’apparato radicale di pomodoro, vite, pisello e tigli. É diffusa soprattutto al nord ma la sua adattabilità a climi molto differenti è davvero notevole, giacchè è stata avvistata sia in Portogallo che in Russia. Antagonisti di questo coleottero sono i parassiti appartenenti alla famiglia dei Tiphiidae già introdotti dal Giappone nel Nord America per il controllo biologico di questo dannoso Scarabeide. Altre strategie prevedono la cattura dei nuovi parassiti con trappole ai feromoni degli insetti adulti o l’uso del Bacillus Thurigiensis, subspecie tenebrionis che attiva una tossina che agisce sull’apparato digerente paralizzandolo e procurando l’arresto dell’attività trofica e la morte dell’insetto dopo 2-5 giorni. Il Btt deve essere applicato subito dopo la schiusura delle prime uova, con piante asciutte, preferibilmente di sera e in condizioni meteorologiche serene, in ragione di 3-5 grammi di prodotto per 10 mq di coltura.

LA DROSOPHILA SUZUKII CONTRO CIELIEGIO, FRAGOLA, ALBICOCCA

La Drosophila suzukii, il moscerino dagli occhi rossi noto come SWD, acronimo di Spotted Wing Drosophila, si nutre dei frutti di ciliegio, fragola, lampone, mirtillo, fichi, albicocca e di alcune varietà di vite portandoli alla marcescenza. Diffusosi quasi contemporaneamente in Nord America e in Europa questo dittero è contrastato dal Pachycrepoideus vindemmiae, un parassita nerastro lungo 1,5-2 mm o dal Trichopria drosophilae, un imenottero autoctono di molte regioni italiane che depone le uova all’interno delle larve di Drosophila S. ed il cui lancio si esegue verso maggio, introducendo da 0,5 a 4 esemplari/mq e ripetendo i lanci ogni 7-15 giorni.

ALTRE SOLUZIONI: ANTAGONISTI E CONCIMI NATURALI

Se è vero che in natura ogni specie contribuisce al mantenimento della biodiversità, quando strappate dall’habitat naturale e introdotte in ecosistemi estranei alcune specie possono causare fenomeni spesso molto dannosi. Per questa ragione, riconoscere e contenere l’avanzata di questi nuovi fitofagi, non solo con l’impiego di insetti antagonisti ma ricreando quelle condizioni di equilibrio della natura, abolendo i prodotti di sintesi, utilizzando concimi naturali e pratiche agronomiche sostenibili e monitorare i nuovi parassiti da parte dei Servizi Fitosanitari regionali in sinergia coi centri di ricerca appaiono le uniche armi in nostro possesso.

Fonte: stilenaturale.com

 

Olio, il finto “made in Italy” con il sistema delle fatture false

Parassiti e mosca olearia decimano la produzione e gli olivicultori acquistano da Turchia e Tunisia le olive per far quadrare i bilanci. La siccità e la mosca olearia hanno reso più povera la stagione degli olivicultori e alcuni di loro si sono organizzati per mantenere inalterati o quantomeno vicini agli standard i quantitativi della loro produzione. Come? Con un sistema di false fatturazioni che, secondo quanto affermato da Coldiretti, permetterebbe agli olivicultori di Calabria e Puglia di raddoppiare la propria produzione con olio proveniente dalla Tunisia o dalla Turchia. A ogni quintale prodotto sulla carta in Italia, ne corrisponde altrettanto prodotto altrove, nel migliore dei casi d’oliva, nel peggiore con semi o con le sanse ovverosia gli scarti. Il documento contabile procurato di frodo trasformo l’olio cattivo e di bassa qualità in olio “made in Italy”, con la maggiorazione di prezzo e la migliore spendibilità nell’export che ciò comporta. I parassiti come la mosca olearia e la siccità hanno decimato la produzione: se la media del raccolto annuo è di sei milioni di quintali, quest’anno si è a malapena raggiunto il milione di quintali. Puglia e Calabria sono, rispettivamente, la prima e la seconda regione come superficie coltivata a ulivi. L’olio “taroccato” fa dei giri enormi e dopo che le olive turche sono state lavorate, imbottigliate ed etichettate ripartono per i mercati americani e europei con la dicitura “made in Italy”.

La questione fondamentale è che la olivicultura in Italia è concorrente di paesi più poveri del nostro che lavorano a costi molto più bassi. Noi quindi non siamo competitivi e viviamo una situazione di crisi endemica. Gli olivicultori che in anni passati hanno truffato con le integrazioni della Comunità europea, adesso che le condizioni sono più restrittive nei controlli visto che c’è maggiore tracciabilità, usano questo altro metodo per far quadrare i conti delle aziende,

spiega il marchese Pierluigi Taccone, a capo dell’azienda agricola Acton di Leporano, 300 ettari nella piana di Gioia Tauro.72551783-586x387

Fonte:  Repubblica

© Foto Getty Images –

I parassiti distruggono gli alveari italiani: è allarme

Da una parte la Vespa velutina, o calabrone asiatico, dall’altro la Aethina tumida, un coleottero africano: stanno distruggendo gli alveari italiani.api_in_pericolo

La situazione è veramente preoccupante, lo segnalano le associazioni di apicoltori e le Agenzie regionali per l’ambiente. I predatori delle api stanno aumentando e a ciò si vanno ad aggiungere i pericoli insiti negli insetticidi neonicotinoidi con cui vengono trattate le piante. Insomma, per le api scatta l’allerta, è allarme rosso. Eppure se ne parla poco, forse non ci si rende conto di quale importanza fondamentale abbiano le api per la sopravvivenza stessa del sistema produttivo alimentare e del genere umano. Già dal 2005 ha fatto la comparsa in Francia la Vespa velutina, o calabrone asiatico, attivo predatore di api operaie che causa gravi perdite negli alveari; si è poi rapidamente diffusa in Europa, anche nel nostro paese. A fine 2013 la presenza del calabrone asiatico è stata accertata con sicurezza in Liguria, soprattutto in provincia di Imperia, e in Piemonte, nella parte meridionale della provincia di Cuneo. La rapidità di espansione è dovuta al trasporto passivo delle nuove regine, allevate dalle colonie a fine stagione, che si rifugiano in materiali di varia tipologia per trascorrere il periodo invernale. Il calabrone asiatico è un attivo predatore di api operaie, soprattutto bottinatrici di ritorno all’alveare, che cattura librandosi in volo davanti al predellino, ma può anche entrare in alveari deboli. L’attività di predazione causa disturbo alle api che riducono la loro attività con la conseguenza di minori produzioni e l’accumulo di scorte invernali più scarse, ma può causare anche la morte delle famiglie. In Francia le api rappresentano fino ai due terzi delle prede catturate e sono segnalate perdite di alveari che arrivano fino al 50%. Tra gli insetti predati compaiono anche molte specie utili come gli impollinatori selvatici e altre specie di vespe che si nutrono di insetti nocivi. Gli insetti che la vespa velutina cattura, insieme con frammenti di carne che possono strappare da animali morti, servono per l’alimentazione delle larve; gli adulti si nutrono quasi esclusivamente di sostanze zuccherine (nettare, melata, polpa di frutti maturi) da cui ottengono l’energia necessaria per volare e svolgere le loro altre attività. «L’individuazione e la distruzione dei nidi del calabrone asiatico è, al momento, il metodo di lotta più efficace, purché venga messo in pratica prima del mese di settembre, quando cominciano a comparire le nuove regine destinate a svernare» spiegano le Arpa. Purtroppo, i nidi primari, di piccole dimensioni e abitati da pochi individui, passano facilmente inosservati, mentre quelli secondari, molto più grandi e popolosi, sono nascosti dal fogliame degli alberi su cui sono costruiti. Una volta individuato un nido, questo deve essere distrutto in modo completo. Anche un altro pericolo incombe sugli alveari. Nel settembre scorso ha fatto la sua comparsa in Calabria la Aethina tumida, coleottero africano, che si è poi estesa anche in Sicilia e sta risalendo la penisola. Questo parassita si nutre di polline e miele e ne causa la fermentazione, rendendolo invendibile. La Regione Calabria è intervenuta ordinando di bruciare gli apiari se in un’arnia viene riscontrata la presenza dell’insetto. Una sola arnia di api può contenere dalle 50 alle 100 mila api! Il coleottero entra nell’alveare dove riesce a farsi nutrire dalle api; depone le sue uova dalle quali dopo pochi giorni nascono le larve che escono dall’arnia e cadono nel terreno circostante dove si trasformano in insetti adulti completando il ciclo. Ma si dice che possa completare il ciclo biologico anche all’interno di frutta e verdura in decomposizione. La Aethina tumida ha colonizzato molti apiari e si sposta volando anche a 15-20 chilometri di distanza. Gli alveari distrutti finora ammontano ad oltre 2500; le istituzioni promettono di risarcire gli apicoltori, ma su questo c’è grande diffidenza. Si veda per maggiori informazioni: Aethina tumida. Situazione epidemiologica

Ispezione dell’alveare

La vespa velutina all’attacco degli alveari in Liguria

Fonte: ilcambiamento.it

Con i cambiamenti climatici parassiti tropicali si muovono verso nord a 10 km all’anno

Insetti, acari, funghi e vermi si muovono dai tropici verso nord occupando habitat un tempo troppo freddi per le loro esigenze. La loro diffusione nelle zone temperate, unitamente alla crescita della popolazione, pone una seria minaccia alla sicurezza alimentare globaleSpostamento-parassiti-verso-nord-586x390

Una ricerca delle Università di Exeter e Oxford  appena pubblicata su Nature Climate Change mostra che i cambiamenti climatici stanno modificando gli habitat di centinaia di specie parassite: insetti, aracnidi, batteri e funghi. La velocità media di deriva dai tropici verso nord è di 2,7 ± 0,8 km all’anno a partire dal 1960; tuttavia ci sono differenze significative tra le centinaia di specie parassite prese in esame dall’indagine, come si può vedere dal grafico in alto, ottenuto dai dati originali della ricerca. E’ importante sottolineare che la ricerca ha preso esclusivamente in considerazione specie parassite che colpiscono i raccolti agricoli o gli allevamenti, con un’attenzione particolare a quelle di maggiore impatto economico negativo. Secondo gli autori, le osservazioni confermano che queste migrazioni siano guidate dai cambiamenti climatici, dal momento che i parassiti si inseriscono progressivamente in habitat che un tempo erano troppo freddi per le loro esigenze. Come ha affermato uno degli autori in un’intervista al Guardian, «Se i parassiti continuano a marciare verso i poli  man mano che la terra si riscalda, l’effetto combinato di una popolazione mondiale in crescita e la maggiore perdita di raccolti a causa dei parassiti porrà una seria minaccia alla sicurezza alimentare globale.» Già oggi una quota pari al 10-16% dei raccolti è persa per l’ “attacco” combinato di funghi, virus, batteri, insetti e vermi. Uno dei più temibili parassiti è il fungo del riso (Magnaporthe grisea) che distrugge ogni anno una quantità di raccolto in grado di sfamare 60 milioni di persone; le condizioni ideali di crescita del fungo sono: temperatura superiore ai 25-28 °C, suolo arido ed eccesso di fertilizzazione azotata. Cambiamenti climatici e agricoltura industriale ci stanno insomma preparando la tempesta perfetta.

 

Fonte. ecoblog

 

Parassiti resistenti agli OGM, un nuovo studio lo conferma

I parassiti resistono agli OGM e un nuovo studio pubblicato su Nature Biotechnology lo conferma.143168700-594x350

I parassiti si adeguano agli OGM, è la dura legge della sopravvivenza e uno studio lo conferma. Già lo studio della University of Arizona aveva dimostrato la capacità degli insetti di adattarsi e sopravvivere Gli autori della ricerca hanno passato in rassegna 77 studi condotti nei 5 continenti a partire dai dati disponibili in merito alle coltivazioni OGM di cotone. Le piante sono state geneticamente modificate per sviluppare tossine velenose per i parassiti derivate dal batterio bacillus thuringiensis. Dei tredici tipi di parassiti studiati cinque specie sono diventate resistenti nel 2011, contro una sola nel 2005. I parassiti sono considerati resistenti quando oltr il 50% degli insetti in un campo sono sopravvissuti e sui 5 insetti resistenti 3 hanno attaccato un campo di cotone e 2 un campo di mais. Tre dei cinque casi di resistenza sono stati identificati negli Stati Uniti, patria di metà delle superfici geneticamente modificate che producono la proteina Bt, gli altri due in Sud Africa e India. Un altro caso di resistenza è stato identificato negli Stati Uniti, ma meno del 50% degli insetti del campo era diventato resistente. In questo contesto, gli scienziati hanno dimostrato che con il tempo i parassiti sviluppano una forma di resistenza e che nel peggiore dei casi queste forme sono comparse dopo due o tre anni, mentre in altri casi le piante geneticamente modificate erano ancora efficaci contro i parassiti anche dopo quindici anni. Gli autori dello studio ritengono che l’adattamento dei parassiti alla tossina Bt sia inevitabile ma che organizzando delle zone franche all’interno dei campi, ossia zone senza piante OGM sia possibile rallentare il processo.

Fonte:  Le Monde