Bolletta del gas: basta pagare combustibili fossili

L’Italia presenta gravi ritardi nel percorso di decarbonizzazione e di transizione ecologica ed essi emergono anche dall’analisi della bolletta del gas. Questo problema è stato oggetto di un’attenta analisi da parte di uno studio commissionato dal WWF. Ecco cosa è venuto fuori.

La struttura della bolletta del gas non include affatto le politiche di decarbonizzazione, né una strategia di “phase out” del gas fossile dai sistemi energetici e non tiene conto del fatto che il gas è un combustibile fossile e il suo ruolo andrebbe ridimensionato, nella prospettiva del suo superamento in uno scenario a zero emissioni di gas serra.

L’incremento degli investimenti nelle infrastrutture per il gas, componente onerosa nella bolletta finale, rappresenta un aggravio crescente per i consumatori e una perdita di risorse per lo sviluppo di alternative a zero emissioni. In aggiunta, gli approvvigionamenti del gas sono solitamente legati a contratti di lungo periodo, che rischiano di introdurre un’ulteriore barriera alla decarbonizzazione: queste alcune delle conclusioni cui giunge un’analisi della bolletta del gas in Italia che il WWF ha commissionato a ECCO, il think tank indipendente sulle politiche climatiche, e del quale è stato anticipato l’executive summary.

«La narrativa costante negli ultimi venti anni parla di gas come combustibile di “transizione permanente” senza prevedere la fine del suo utilizzo – dice Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia – e questa è un’operazione molto rischiosa sia in termini ambientali, poiché bruciare il gas fossile provoca emissioni di CO2 e contribuisce al cambiamento climatico, sia in termini di sostenibilità economica».

Oggi siamo costretti ad affrontare il problema dei prezzi dell’energia e del gas, ma non si può pensare di risolvere la situazione solo con misure di emergenza che mantengono in vita una struttura pensata e permeata sui combustibili fossili o addirittura rischiano di aggravare la situazione in vista della decarbonizzazione: «Occorre affrontare i problemi strutturali. Inoltre, il PNIEC (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima) e la LTS (Strategia a Lungo termine) non sono aggiornati e non sono coerenti tra loro».

«La regolazione prevede necessariamente l’integrale trasferimento dei costi delle infrastrutture sulle tariffe finali», sottolinea Matteo Leonardi, CEO e co-fondatore di ECCO. «Chi ha la proprietà e programma lo sviluppo delle reti non sostiene rischi economici legati all’incompatibilità futura degli investimenti con le politiche per la salvaguardia del clima e tali costi saranno sostenuti dai consumatori finali».

«Chi può decidere se integrare nuove infrastrutture nella tariffa – ovvero l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente – deve basarsi su una precisa strategia per il clima per validare le richieste delle imprese di distribuzione e trasmissione gas in considerazione della loro compatibilità con uno scenario climatico allineato agli obiettivi ambientali», conclude Leonardi. Il rapporto sottolinea che a oggi il gas naturale non paga nei prezzi finali una componente ambientale significativa, soprattutto quando paragonato al settore elettrico. Per un utente domestico tipo, il costo unitario degli oneri ambientali nella bolletta gas è pari solamente a 0,8 €/GJ (gigajoule), mentre nella bolletta elettrica tale costo è uguale a circa 15,8 €/GJ. Tale disequilibrio dovrà essere corretto poiché rappresenta una barriera importante per l’elettrificazione dei consumi finali. È necessaria una nuova governance della bolletta del gas che parta da una strategia ordinata di phase-out come matrice per validare nuovi investimenti e un riordino del sistema tariffario per equilibrare i costi ambientali dei consumi energetici di elettrico e gas in sintonia con gli obiettivi di decarbonizzazione. Al contrario, la mancanza di una strategia di phase-out dal gas fossile si traduce in un incremento dei costi complessivi del sistema energetico e un ritardo nello sviluppo di alternative maggiormente sostenibili, con implicazioni sistemiche sulla crescita e la decarbonizzazione degli altri settori.

Questi i principali risultati del report:

  • Il settore gas è costituito da un’imponente rete infrastrutturale, la realizzazione di nuove infrastrutture ha effetti di lungo periodo nel sistema energetico.
  • Gli approvvigionamenti gas sono solitamente legati a contratti di lungo periodo. In Italia il 60% dei contratti gas ha una durata residua superiore ai 10 anni e circa il 30% dei contratti superiore ai 20 anni. Se non inseriti in una precisa strategia di phase out i contratti di approvvigionamento rischiano di introdurre un’ulteriore barriera alla decarbonizzazione.
  • I potenziali di biogas e idrogeno non sono lontanamente confrontabili con gli attuali volumi di gas: i contributi di idrogeno e biogas negli scenari di decarbonizzazione di lungo periodo non coincidono con le attuali infrastrutture di trasporto e distribuzione di gas fossile.
  • La bolletta del gas trasferisce sulle tariffe finali di consumo i costi di investimento, la remunerazione ed i rischi legati agli investimenti stessi. Oggi, la componente infrastrutturale incide per il 32% della tariffa gas (al netto delle imposte). In assenza di una precisa programmazione del phase-out del gas, il rischio di un sovra investimento nelle infrastrutture gas è estremamente elevato.
  • In Italia, la domanda gas si mantiene costantemente a livelli inferiori al 2005 e le politiche di decarbonizzazione indicano un’ulteriore diminuzione della domanda, mentre l’infrastruttura di gas esistente in Italia risulta già sovradimensionata rispetto alla domanda attuale ed alla previsione di domanda futura.
  • Il piano di sviluppo di Snam prevede investimenti per 12,5 mld € nel periodo 2021-2030. Di questi, 3,2 mld € sono indirizzati a progetti di sviluppo dell’infrastruttura gas per un aumento della capacità di importazione di oltre l’8,5%; 1,8 mld € sono destinati al rafforzamento della trasmissione per nuove importazioni da Sud, e altri 660 mln€ circa per la metanizzazione della Sardegna.
  • Ulteriore esempio del mancato allineamento della regolazione del settore energetico con gli obiettivi di decarbonizzazione di lungo periodo emerge nel settore elettrico dove è previsto un significativo sviluppo di capacità termoelettrica a gas col capacity market.
  • Gli scenari italiani su cui si fondano le policy non forniscono una visione del ruolo del gas chiara e allineata agli obiettivi net-zero. Gli scenari del Piano Nazionale Integrato Energia Clima (PNIEC) e della Long Term Strategy (LTS) non sono allineati tra loro, non sono aggiornati per seguire gli impegni europei e non forniscono una visione chiara del ruolo del gas fossile.
  • La volatilità del prezzo del gas sarà amplificata dal ridursi della quota gas sul totale della domanda energetica. Gli stanziamenti miliardari per coprire l’aumento delle bollette elettriche e gas, dovuti all’incremento di prezzo del gas fossile, non sono supportati da analisi di impatto convincenti.
  • Nella tariffa del gas non ci sono componenti di costo di natura ambientale sulla vendita di gas fossile. Dal confronto tra la tariffa gas e quella elettrica emerge come la tariffa elettrica sia maggiormente gravata di oneri fiscali ed ambientali rispetto alla tariffa gas. Il costo unitario degli oneri ambientali nella bolletta gas è pari solamente a 0,8 €/GJ, mentre nella bolletta elettrica tale costo è uguale a circa 15,8 €/GJ. Prendendo a riferimento la somma delle componenti ambientali e fiscali, nell’elettrico si paga 23€/GJ rispetto a 7,7€/GJ nel gas naturale. Riportando tali valori alle emissioni di CO2 si evidenzia come gli oneri ambientali nell’elettrico determinano un costo di 208€/t di CO2, mentre nel gas il costo è stimato in 14,3€/tCO2. Includendo nel calcolo tutte le componenti fiscali (inclusa iva ed accisa) ed ambientali, il costo per tonnellata di CO2 emessa è calcolato in 302€/tCO2 nell’elettrico e 137€/tCO2 nel gas. Questa struttura tariffaria è in forte contraddizione rispetto agli obiettivi di decarbonizzazione e rappresenta un forte disincentivo all’elettrificazione dei consumi finali.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/12/bolletta-del-gas-fossili/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Chi inquina, paga? I danni sanitari e ambientali delle attività economiche in Italia: quanto costa l’inquinamento alla collettività (e chi lo paga)

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Il documento redatto dall’Ufficio Valutazione Impatto del Senato della Repubblica lascia intravedere la possibilità che si può rilanciare “l’economia con l’attuazione dell’Accordo di Parigi sul clima e dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite” .

Nel nuovo documento dell’Ufficio Valutazione Impatto del Senato della Repubblica Chi inquina, paga? i costi esterni ambientali generati da ciascun settore dell’economia nazionale sono confrontati con l’ammontare complessivo delle imposte ambientali pagate dal settore (accise sui prodotti energetici, imposte sui veicoli, tasse sul rumore e altre imposte su inquinamento e risorse naturali) e, a seguire, anche con l’ammontare delle agevolazioni fiscali e di altri sussidi dannosi per l’ambiente che vanno a beneficio dello stesso settore, allo scopo di formulare un’ipotesi complessiva di riforma della fiscalità ambientale.388824_2

Una riforma che potrebbe essere completata dall’introduzione graduale di imposte speciali su specifici inquinanti e sull’estrazione di risorse naturali scarse, opportunamente calcolate con un’attività sistematica e regolamentata di misura dei costi esterni sanitari e ambientali associati a tali fattori d’impatto. Questa nuova prospettiva potrebbe agevolare l’attesa riduzione delle tasse sul reddito del fattore lavoro, migliorando l’equità e la trasparenza del sistema fiscale nazionale. Rappresenta, dopo il Catalogo dei sussidi dannosi per l’ambiente, un ulteriore passo verso una proposta per una fiscalità più ecologica per l’Italia. Accise sui prodotti energetici, imposte sui veicoli, tasse sul rumore o su inquinamento e risorse naturali: le tasse ambientali pagate dai residenti in Italia hanno assicurato, nel 2013, un gettito di 53,1 miliardi di euro. Ma è possibile quantificare anche i costi ambientali sopportati dalla collettività, cioè i danni per l’inquinamento prodotto da famiglie e imprese?388824_3

Un primo conto – limitato per il momento alle sole emissioni in atmosfera e al rumore dei trasporti – ha visto le famiglie produrre, nel 2013, danni sanitari e ambientali per 16,6 miliardi, seguite dall’industria (13,9 miliardi) e dall’agricoltura (10,9). Esiste però un forte squilibrio tra chi inquina e chi paga: nel 2013 le famiglie hanno pagato il 70% in più rispetto ai danni creati, le imprese il 26% in meno. Il record degli sconti, 93%, va all’agricoltura. Ci sono margini per una riforma della fiscalità ambientale all’insegna di maggiore equità e trasparenza? Il dossier propone un nuovo approccio per applicare meglio il principio Chi inquina paga, tenendo conto non solo delle tasse ambientali ma anche dei sussidi dannosi per l’ambiente.

Se accompagnata dalla parallela riduzione dell’imposizione fiscale sui redditi da lavoro, – si legge tra le osservazioni fatte dall’ufficio Valutazione del Senato – la riforma della fiscalità ambientale potrebbe avvenire senza incidere sulla pressione fiscale complessiva. Inoltre, essa consentirebbe di finanziare anche un piano di interventi green (infrastrutturali e di sostegno alla green economy) che coniughi gli obiettivi di rilancio dell’economia con l’attuazione dell’Accordo di Parigi sul clima e dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.”

Ai seguenti link il Focus e il Dossier realizzato dall’Ufficio Valutazione Impatto del Senato della Repubblica

 

Fonte: Senato della Repubblica e Arpa Piemonte

Al via in Veneto il progetto “Equaazione”

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Tu ricicli, io ti pago” realizzato da EverGreen Recycle, Savno, Consorzio Servizi di Igiene Territorio TV1 e Ascotrade.

Conferendo i rifiuti nei riciclatori incentivanti installati nei comuni di Conegliano, Vittorio Veneto e Oderzo, per la prima volta a livello nazionale sarà possibile risparmiare concretamente sulla tassa rifiuti semplicemente facendo bene la raccolta differenziata. Savno riconoscerà 1 centesimo per ogni bottiglia inserita negli eco-compattatori e ogni mese al cittadino che più riciclerà nei 3 comuni partecipanti al progetto sarà pagata la TARI annuale a partire da Gennaio 2017.

Chi più ricicla paga meno tasse: questo lo scopo del progetto “Equaazione – Tu ricicli, io ti pago”, unico nel suo genere a livello nazionale, che ha preso il via nel Veneto nei comuni di Conegliano, Vittorio Veneto e Oderzo. Realizzato in collaborazione con Savno srl, Consorzio Servizi di Igiene Territorio TV1 e Ascotrade srl, Equaazione punta a premiare i cittadini virtuosi che conferiscono i loro rifiuti (bottiglie di plastica PET) nei riciclatori incentivanti, dispositivi automatizzati per la raccolta e la compattazione di bottiglie di plastica. Questi macchinari consentono di rilasciare ai cittadini, in cambio di ogni bottiglia PET conferita, un bonus in euro, da utilizzare in negozi o attività convenzionate, o soldi veri, reali e spendibili tramite 2Pay, l’app su smartphone che permette di semplificare il processo di pagamento abbattendo i costi delle transazioni.

Tassa rifiuti pagata e sconti sulla bolletta della luce

Ma la principale novità dell’iniziativa Equaazione sta nel fatto che, per la prima volta in Italia, i cittadini più virtuosi potranno risparmiare concretamente sulle tasse: Savno srl riconoscerà un centesimo per ogni bottiglia inserita e da gennaio 2017 ogni mese il cittadino che più riciclerà nei 3 comuni partecipanti al progetto potrà considerare pagata la sua TARI annuale. Ascotrade, sempre da gennaio 2017, scalerà invece ai propri clienti i centesimi accumulati con il riciclo direttamente dalla bolletta della luce. Il primo eco-compattatore del progetto Equaazione, ideato da EverGreen Recycle, è stato inaugurato a Conegliano, in Via Cristoforo Colombo 84, sabato 19 novembre alla presenza del Sindaco Zambon, dell’Assessore Toppan, del Presidente del Consorzio Servizi di Igiene Territorio TV1 Giampaolo Vallardi, del presidente di Ascotrade Spa Stefano Busolin, del Presidente di Savno srl Giacomo De Luca e del Presidente Ascom Conegliano Luca Da Ros. Dal Presidente della Regione Veneto Luca Zaia sono giunti i saluti e gli auguri per la lodevole iniziativa, nata da tecnologia e innovazione di aziende venete, apprezzata da un folto pubblico di presenti.
Cosa sono i Riciclatori Incentivanti

Un sistema incentivante che ha come scopo principale quello di invogliare i cittadini a compiere la corretta raccolta differenziata e che allo stesso tempo consente di salvaguardare l’ambiente, migliorare l’arredo urbano, stimolare l’economia locale grazie agli accordi tra amministrazioni ed esercizi commerciali. Il progetto permette inoltre di realizzare una raccolta differenziata di qualità: gli eco-compattatori prodotti da Eurven srl, azienda del territorio, sono infatti predisposti per differenziare la tipologia di rifiuto materiale raccolto, riducendo fino al 90% il volume iniziale. Il macchinario è programmabile da qualsiasi dispositivo connesso ad internet, come ad esempio uno smartphone, e, attraverso una app dedicata, il gestore può monitorare tutta una serie di elementi: i dati di raccolta, la CO2 risparmiata, quanti pezzi sono stati conferiti, capire quando il macchinario è pieno, quanti coupon emessi e raccogliere i dati dei cittadini attraverso anche la lettura della loro tessera sanitaria o codice fiscale. Da remoto, inoltre, può programmare gli sconti da assegnare al singolo conferimento a seconda della scelta dell’attività merceologica.

Chi è Eurven

Eurven è leader nei sistemi a monte di raccolta differenziata, compattazione e riciclo rifiuti. Tra i suoi clienti Coca Cola, Ikea, San Benedetto, Despar, Conad, Coop, Pam, Panorama, Autogrill, Unes, Gardaland, Mirabilandia, Leroy Merlin e molti altri.

Maggiori informazioni su: www.eurven.com

Fonte: agenziapressplay.it

 

Amianto, a Sassuolo la rimozione si paga con l’8 per mille

Lo scorso 12 dicembre l’amministrazione comunale hanno deciso che la bonifica del nido Sant’Agostino andrà eseguita con le risorse provenienti dall’8 per mille del gettito Irpef53474572-586x388

C’è l’amianto nel nido Sant’Agostino di Sassuolo e, per mettere in sicurezza la struttura e apportare tutte le modifiche necessarie a migliorare le condizioni igienico-sanitarie, sono stati stanzianti fondi per 340mila euro che dovranno garantire la manutenzione straordinaria. Una delle opere più onerose sarà la sostituzione dell’attuale pavimento interno in vinil-amianto con una superficie in linoleum. Da dove arriveranno i soldi per pagare questi lavori? Con una delibera dello scorso 12 dicembre è stato deciso che i soldi per la bonifica e la ristrutturazione dell’asilo dovranno essere reperiti dall’8 per mille del gettito Irpef. Si tratta di una soluzione irrituale, ma non inedita visto che è già stata utilizzata in altri comuni vicini. L’attuale Governo, infatti, ha dato la possibilità di richiedere una quota dell’8 per mille dell’Irpef come contributo per le spese di adeguamento anti-sismico, efficienza energetica, ristrutturazione, messa in sicurezza e miglioramenti igienico-sanitari degli immobili scolastici. Dopo il terremoto del 2012, gli uffici tecnici avevano disposto l’esame degli immobili scolastici interessati dagli effetti del sisma. Se le cose rimarranno come sono, il Comune non dovrà sborsare un euro. Il pavimento in vinil-amianto non presenta problemi per la salute, ma la sostituzione verrà messa in atto coerentemente con i cambiamenti delle normative rispetto all’epoca in cui l’asilo nido venne edificato. Il caso emiliano farà scuola anche altrove? Viene da chiederselo visto che – secondo le stime più recenti – sono circa 2400 le scuole italiane nelle quali è ancora presente, in maniera più o meno massiccia, l’amianto, materiale fuorilegge dal 1992.

Fonte:  Gazzetta di Modena

Ambiente, nel 2014 in Italia chi inquina non paga

Il 2014 che si appresta a concludersi è stato un anno orribile per l’ambiente perché chi ha inquinato non ha pagatoITALY-HEALTH-TRIAL-ASBESTOS

Il 2014 sarà ricordato come l’anno del chi inquina non paga. L’ultima prescrizione, riguarda la discarica di Bussi, in Abruzzo, per cui non c’è nessun responsabile e nessun colpevole. E non c’è nessun responsabile per quanto riguarda il processo Eternit per cui la Cassazione ha annullato per prescrizione la condanna di Stephan Schmidheiny. Eppure di procedimenti penali che hanno riguardato i reati ambientali ve ne sono stati 50 mila tra il 2004 e il 2013 su un totale di 1.552.435 procedimenti. Dice Angelo Bonelli leader dei Verdi:

L’Italia è zona franca anche per chi vuole inquinare e non pagare nulla. Oltre ai processi prescritti c’è il dramma ambientale ed economico della mancata applicazione del principio chi inquina paga,ovvero dopo la prescrizione penale c’è anche la prescrizione economica.In Italia ci sono circa 180.000 ettari di siti nazionale e regionali da bonificare a cui vanno aggiunti siti inquinati non inseriti negli elenchi del ministero ambiente dei SIN ma non per questo non presentano gravi problematicità di danno ambientale. Il danno ambientale comprende i costi delle bonifiche, di ospedalizzazione dei cittadini ammalati a causa dell’inquinamento e i costi ambientali, cosi come previsto dalla direttiva europea che applica il “ principio chi inquina paga “ previsto dalla direttiva europea 2004/35/CE.

In Italia abbiamo tanti disastri ambientali impuniti: Terra dei fuochi, Marghera, Taranto, Gela, Eternit, Valle del Sacco, Quirra e per ciò si attende l’inserimento nel Codice Penali del reato del delitto ambientale. La proposta arriva da associazioni di cittadini, di studenti, di categoria e comitati e promossa da Legambiente e Libera affinché sia approvato il disegno di legge sui reati ambientali nel Codice penale che prevede 4 delitti ambientali: inquinamento e disastro ambientale, trasporto e abbandono di materiale radioattivo e impedimento al controllo. Ogni anno sono accertati 30 mila reati che fruttano oltre 16 miliardi di euro ma che mettono in serio pericolo la salute e la sicurezza dei cittadini. Il testo di questa legge è fermo al Senato e approvarlo significherebbe rendere giustizia al popolo inquinato. , a danno della sicurezza e della salute di tutti i cittadini e dell’economia sana. L’altra faccia della medaglia dell’inquinamento e dai costi che gravano sulla salute e la sicurezza dei cittadini sono i costi delle bonifiche che in Italia, per ettaro, possono costare dai 450 mila al milione di euro e in taluni casi anche di più. Sapete quanti fondi sono stati stanziati dai privati per le bonifiche dal 2002 al 2013? 1,8 miliardi di euro contro i 2,3 miliardi di euro pubblici che però non sono stati sufficienti. In Italia abbiamo ben 57 siti altamente inquinati da bonificare, i cosiddetti SIN, per cui occorrerebbero 220 miliardi di euro, secondo stime che potrebbero però puntare al rialzo.

Spiega Bonelli:

Il danno ambientale nel SIN di Taranto (sito importanza nazionale da bonificare) è stimato in 8,5 miliardi di euro dai custodi giudiziari della Procura della Repubblica. Per la discarica di Bussi, in Abruzzo, cifra analoga 8,5 miliardi di euro. Per la centrale Enel di Polesine Camerini a Porto Tolle- Rovigo l’ISPRA ha calcolato il danno ambientale in 2,7 miliardi di euro con una relazione scientifica depositata nel procedimento penale che ha portato alcuni mesi fa alla condanna dell’ex ad Scaroni. A Crotone nell’area dell’ex Pertusola i danni provocati stimati sono di 3 miliardi di euro. Nel petrolchimico di Priolo-Melilli-Augusta solo disinquinare l’area servirebbero 10 miliardi di euro a cui vanno aggiunti i danni sanitari e ambientali con una cifra che supera i 12 miliardi di euro. A Brescia dove c’e’ il Sin della Caffaro e dove si è inquinato per 20 anni il danno provocato è di 10 miliardi. A Brindisi nel Sin dove ci sono le centrali a carbone il danno stimato è di 3,5 miliardi di euro.

Chi ha inquinato, attentato alla salute dei cittadini non ha mai pagato in Italia. C’è stato un livello di sfruttamento del territorio che non solo ha violato i limiti della natura ma violato impunemente le leggi e il codice penale della Repubblica italiana. Le conseguenze all’economia di questo danno ambientale è elevatissimo, che gli economisti dovrebbero studiare perché quando si inquina le conseguenze su altre economie sono forti. Ad esempio come nell’agricoltura, nella pesca, nel turismo, nel commercio e gli indotti a loro legati. Quello che chiediamo è che il principio chi inquina paga si applichi in Italia arrivando a prevedere per legge il sequestro dei patrimoni degli inquinatori.

Fonte:  Angelo Bonelli@fb

© Foto Getty Images

 

Smog, nei giorni neri a Barcellona il trasporto pubblico si pagherà la metà

Parcheggi più cari del 25%, sgravi fiscali alle aziende meno inquinanti e trasporto pubblico a metà prezzo nei giorni di sforamento: Barcellona si prepara ad approvare definitivamente il suo piano anti smog che potrebbe essere attivo già dai primi mesi del 2015380411

Barcellona. Se il Pm10 o il biossido d’azoto sforano, il trasporto pubblico costa la metà. La misura, che deve ancora ricevere l’approvazione definitiva, fa parte del Piano d’azione messo in campo dal Governo Catalano per il miglioramento della Qualità dell’Aria delle cosiddette Zone a Protezione Speciale, le più soggette a picchi di inquinamento a causa del traffico, delle attività industriali e dello sviluppo demografico. Le Zone individuate sono una quarantina, e occupano un’area di circa 725 km quadrati per 4,3 milioni di abitanti: un bacino sufficientemente ampio per vedere dei risultati concreti, se i cittadini decideranno di collaborare.  Come ulteriore incentivo a lasciare a casa la auto, il Piano d’Azione prevede anche un aumento del 25% su tutti i parcheggi cittadini, indipendentemente dal tipo di veicolo guidato, a differenza di quanto avviene a Madrid, dove il prezzo della sosta varia a seconda della categoria Euro. I provvedimenti saranno discussi nei prossimi giorni ma se dovessero essere approvati – come appare probabile, dato il vasto consenso politico all’iniziativa – potrebbero essere operativi già dai primi mesi del 2015, e in ogni caso non oltre il 2016.  Se è vero che il traffico privato è il maggior responsabile dell’inquinamento – e in particolare quello causato dagli NOX – è altrettanto vero che la Catalunya è una delle zone più industrializzate del Paese, e, soprattutto nelle aree più interne, lontane dal mare, soffre pesantemente delle conseguenze ambientali prodotte dalle emissioni degli impianti. Per questo motivo, il Piano prevede sgravi fiscali per tutte le aziende che dimostreranno di essere riuscite a ridurre sensibilmente le concentrazioni di inquinanti riversati in atmosfera.

Fonte: ecodallecitta.it

 

Tares: Legambiente avvia la raccolta firme per la petizione popolare “Chi inquina paga, chi produce meno rifiuti deve risparmiare”

E’ iniziata la raccolta firme per la petizione popolare “Chi inquina paga, chi produce meno rifiuti deve risparmiare” promossa da Legambiente nell’ambito della sua campagna “Italia rifiuti free”. On line il comunicato stampa dell’associazione: “La tassazione a carico di famiglie e aziende deve essere equa e premiare i comportamenti virtuosi”375508

E’ iniziata la raccolta firme per la petizione popolare“Chi inquina paga, chi produce meno rifiuti deve risparmiare” promossa da Legambiente nell’ambito della sua campagna Italia rifiuti freeChi produce meno rifiuti dovrebbe essere premiato, mentre la Tares, la nuova tassa sui rifiuti rischia, al contrario, di aggravare ulteriormente il peso fiscale sugli italiani in maniera ingiusta. La petizione – indirizzata al presidente del consiglio dei ministri Enrico Letta e ai ministri dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare Andrea Orlando e dell’economia e delle finanze Fabrizio Saccomanni – chiede al governo di rivedere questo tributo in maniera tale da rispettare il principio europeo “chi inquina paga”, calcolandolo solo sulla effettiva produzione di rifiuti indifferenziati e consentendo così alle utenze più virtuose di pagare di meno. I primi firmatari della petizione sono Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale di Legambiente, Mario Tozzi, divulgatore scientifico, Luca Mercalli, presidente della Società Meteorologica Italiana, Cristina Gabetti, curatrice della rubrica Occhio allo Spreco della trasmissione Striscia la Notizia, Enzo Favoino, Scuola agraria del Parco di Monza, Roberto Cavallo, presidente dell’Associazione Internazionale per la Comunicazione Ambientale, e Walter Ganapini, ambientalista. In Italia – prosegue il testo della petizione che può essere firmata anche online sul sito di Legambiente – la gestione dei rifiuti sta vivendo una fase di grande evoluzione. Sono oltre 1300 i Comuni che in tutto il Paese superano l’obiettivo di legge del 65% di raccolta differenziata, si stanno diffondendo le buone pratiche locali per la riduzione degli imballaggi inutili, sono sempre più numerosi gli impianti di riciclaggio che costituiscono l’ossatura portante della green economy dei rifiuti. Ma ci sono ancora tanti problemi irrisolti: continuiamo a produrre troppi rifiuti e a smaltirne quasi la metà nelle inquinanti discariche. In più di settemila Comuni italiani l’ammontare della tassa non è determinato secondo la quantità di rifiuti prodotti, mentre solo alcune centinaia di enti locali fanno pagare in base alle quantità effettivamente prodotte grazie alla tariffazione puntuale. Oggi è possibile affrontare in concreto la sfida della riduzione, come è riuscita a fare ad esempio la Germania, utilizzando una equa leva economica, introducendo un criterio di giustizia e sostenibilità ambientale e alleggerendo la pressione fiscale sui più virtuosi. Solo in questo modo si contribuirà davvero a liberare l’Italia dal problema rifiuti, facendo entrare il nostro Paese a pieno titolo in quella “società europea del riciclaggio” alla base nella nuova direttiva europea. Legambiente ha fatto sapere che oltre alle adesioni on line dal 3 luglio i circoli sono stati invitati ad organizzarsi per la raccolta fisica tramite banchetti.

Fonte: eco dalle città