Club Carta e Cartoni di Comieco: ‘La sostenibilità delle aziende? Si vede (anche) dal packaging’

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Il Club Carta e Cartoni di Comieco è diventato un punto di riferimento e di aggiornamento per le aziende interessate all’innovazione del packaging cellulosico. Duecento i soci iscritti che interagiscono e si confrontano per un nuovo e più proficuo dialogo di filiera

L’abito fa il monaco? Quando si tratta di scatole senz’altro. La confezione di un prodotto è infatti il primo (se non l’unico) strumento che il consumatore usa per conoscere meglio un prodotto e, quindi, un’azienda, inclusa la sua immagine e il suo impegno sostenibile.

Ecco il contesto in cui si muove il Club Carta e Cartoni di Comieco, che nasce con una volontà precisa: aiutare le aziende italiane ad essere sempre più sostenibili agli occhi dei consumatori – e non solo – attraverso i loro imballaggi.

Il Club Carta e Cartoni si pone quindi come punto di riferimento per tutti i professionisti che usano packaging: un centro di networking, formazione e aggiornamento sulle ultime innovazioni sostenibili in carta e cartone. Nato nel 2012, il Club conta ad oggi più di 300 soci, tra cui figurano manager di grandi aziende e multinazionali in ambito alimentare, cosmetico, abbigliamento, grande distribuzione, a cui si aggiungono consulenti, accademici e opinion leader.

Perché la scelta di dare vita ad un Club di questo tipo? Perché i materiali cellulosici sono parte integrante della vita degli italiani che li scelgono quotidianamente, basti pensare che il 65% dei consumatori davanti ad una confezione esprime una preferenza irrazionale per carta e cartone ondulato, secondo una ricerca del Club Carta e Cartoni in collaborazione con l’università Iulm di Milano.

I pack in carta e cartone rappresentano inoltre il 37% del totale imballaggi immessi al consumo in Italia (e tutti i prodotti, dal dado per brodo ai surgelati, prima o poi nel corso della loro “vita” vengono a contatto con un imballaggio cellulosico. Per questo diventa fondamentale raccontare alle aziende come, grazie ad una progettazione e gestione virtuosa dei loro pack, si potrebbe preservare e immettere nuovamente nel sistema un importante quantitativo di risorse, in un’ottica di economia circolare.

“Il Club Carta e Cartoni si propone di promuovere un processo di sistema, che vede tra gli altri un attore fondamentale: il “buon packaging”. Un vero e proprio biglietto da visita nei confronti del consumatore – dice Amelio Cecchini, Presidente di Comieco e coordinatore del Club Carta e Cartoni -. Gli imballaggi cellulosici immessi al consumo in Italia sono 4,7 tonnellate: di questi, l’88% viene recuperato e l’80% viene riciclato per tornare a nuova vita. Numeri importanti ma su cui si può e si deve continuare a lavorare, proprio “rompendo le scatole” alle aziende che ogni giorno scelgono migliaia e migliaia di tonnellate di carta e cartone per confezionare e movimentare i loro prodotti. In sette e più anni di lavoro ci siamo attivati per incontrare le aziende, sia le più grandi con expertise in materia, sia le più piccole che hanno bisogno di affiancamento sui temi della sostenibilità, ascoltando le diverse esigenze, mettendole a conoscenza dei produttori e avviando proficue sinergie lungo la filiera e a livello istituzionale”.

In sette e più anni di lavoro il Club Carta e Cartoni si è messo a disposizione di manager e professionisti “guidandoli” nel mondo del packaging sostenibile in carta e cartone, dalla condivisione di best practice all’accesso in esclusiva ad informazioni e aggiornamenti utili al loro lavoro quotidiano, come raccontano Giuseppe Scicchitano, Packaging Manager di Henkel e Alessio Stefanoni, Responsabile Comunicazione di CNA Torino.

“Ritengo da sempre che gli imballaggi a base cellulosica siano una valida soluzione per il confezionamento di molti prodotti e per la veicolazione sicura di quasi tutte le merci di cui ci serviamo quotidianamente – dice Giuseppe Scicchitano, Packaging Manager di Henkel e membro del Club Carta e Cartoni -. La natura rinnovabile della cellulosa e la riciclabilità di cartoncino e cartone aggiungono infatti un valore inestimabile a questo materiale eclettico. L’iscrizione al Club Carta e Cartoni di Comieco è stata un’importante occasione per trovare tutte le informazioni più interessanti, stimolanti e innovative legate a questo mondo. Il Club potrà diventare sempre di più un luogo di incontro privilegiato per tutte le figure interessate alla filiera della carta: dai produttori di materie prime, ai trasformatori, dagli utilizzatori industriali fino a chi ricicla, si realizza un ciclo virtuoso, esempio di quell’economia circolare che tutti auspichiamo”.

“L’uso di packaging riciclabile rappresenta una scelta consapevole da parte delle piccole imprese associate a CNA Federmoda che sempre più utilizzano imballaggi in carta e cartone per proteggere e promuovere i loro prodotti di assoluta eccellenza, frutto di un made in Italy ricercato e spesso realizzato su misura per il cliente – dichiarano Rossella Calabrò, Presidente CNA Federmoda Piemonte e Alessio Stefanoni, responsabile comunicazione di CNA Torino -. La collaborazione sviluppata con il Club Carta e Cartoni di Comieco ha permesso un progressivo avvicinamento di CNA e delle piccole imprese che l’associazione rappresenta ai temi del riciclo di una materia prima di grande importanza. Grazie al Club, è stato possibile attivare momenti di ascolto delle esigenze dei piccoli imprenditori, ed elaborarli in una logica proattiva per restituire risposte utili al business”.

Il Club Carta e Cartoni è aperto a tutte le aziende interessate che possono iscriversi gratuitamente sul sito http://www.clubcartaecartoni.org

Fonte: ecodallecitta.it

Più acquisti on line, più scatole a domicilio. La sfida è un packaging facilmente differenziabile

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Quanto ci costa in termini ambientali la comodità di acquistare direttamente da casa usando il nostro computer? In che modo è possibile diminuire l’impatto ambientale degli imballaggi?

Gli acquisti on line sono in aumento. Tra le conseguenze della comodità di fare shopping da casa c’è l’impatto ambientale degli imballaggi: ad ogni singolo acquisto corrisponde una consegna a domicilio e quindi un nuovo imballaggio, composto in larga parte di carta e cartone ma che spesso finisce tra i rifiuti indifferenziati. La sfida per le aziende è quindi quella di avere un packaging più facile da differenziare. Di questo si è parlato martedì 31 ottobre a Milano al seminario “La scatola a domicilio: la sostenibilità degli imballaggi nell’era dell’ecommerce”, presso Assolombarda.

Quanto ci costa  in termini ambientali la comodità di acquistare direttamente da casa usando il nostro computer? In che modo è possibile diminuire l’impatto ambientale degli imballaggi di carta e cartone del commercio elettronico?

Per l’Osservatorio Ecommerce del Politecnico di Milano nel 2017 il valore degli acquisti di prodotti on line è di 12, 2 miliardi di euro (il 28% in più rispetto al 2016) e ha superato il valore dei servizi che è di 11, 4 miliardi di euro. Troppo spesso gli imballaggi sono eccessivamente voluminosi e composti di più materiali, come nastri adesivi, strati di cellophane e pluriball, difficili da separare e avviare a riciclo. I beni trasportati a domicilio sono di vario genere, dagli alimenti alle cose ingombranti ed è necessario preservarli fino alla destinazione finale. Ma  un imballaggio sostenibile è possibile. Del resto lo stesso pacchetto sull’economia circolare prevede un obiettivo comune a livello di UE per il riciclaggio del 75% dei rifiuti di imballaggio entro il 2030. La progettazione degli imballaggi secondo i criteri del design sistemico, con più attenzione ai materiali e alla funzionalità delle cose, è la proposta di Agnese Pallaro del Politecnico di Torino. Gli imballaggi di Tita usati come “media” sono sostenibili ma anche utili a sensibilizzare chi li riceve. Ma anche scatole progettate per essere trasformate in altre cose dopo l’uso, per esempio un piccolo tavolino.

Amelio Cecchini di GIFCO (Gruppo Italiano Fabbricanti Cartone Ondulato) invita a vedere positivamente l’aumento delle consegne dei pacchi nei centri urbani e definisce le città “foreste urbane che producono cellulosa”. E in effetti a Milano, secondo i dati forniti da Netcom, il Consorzio del commercio elettronico, sono 650 mila le consegne e-commerce al mese, ovvero 23 mila al giorno!

Sono dati significativi che dimostrano quanto questo nuovo strumento sia diffuso. Ma bisogna chiedersi che fine fanno gli imballaggi dopo aver trasportato il bene scelto” (Carlo Montalbetti, Direttore generale Comieco).

Amsa come sta affrontando l’aumento degli imballaggi nel capoluogo lombardo? Il 12,4% di carta e il 18,6% di cartone va a finire ancora nella frazione residuale. “Migliorare la situazione ed evitare che l’aumento degli imballaggi dovuti al commercio elettronico comprometta il 54% di raccolta differenziata che fa di Milano un modello di riferimento per molte città europee e mondiali è possibile” (Mauro De Cillis, Direttore Operativo di Amsa) .

In collaborazione con Comieco, Amsa ha avviato un progetto pilota nella zona nord ovest della città con un servizio settimanale di ritiro porta a porta del cartone dalle utenze domestiche. Le utenze domestiche potranno conferire le scatole di cartone accanto ai contenitori per la carta, purché siano adeguatamente piegate. Entro il 2019 il progetto dovrebbe coprire tutta la città. Nel 2016 era stato avviato un servizio di prenotazione e ritiro a domicilio di imballaggi in cartone di utenze domestiche ma non era stato sufficiente. Tra i costi ambientali degli acquisti on line c’è certamente anche l’aumento del traffico urbano e Netcom propone soluzioni come centri di distribuzione urbana, punti di stoccaggio temporaneo, aree di sosta prenotabili e punti di ricarica per i veicoli elettrici.

Fonte: ecodallecitta.it

Packaging: gli europei preferiscono il vetro

Secondo una ricerca commissionata da Friend of Glass l’85% degli europei ritiene che il vetro sia il materiale più sostenibile per gli imballaggi alimentari.packaging-gli-europei-preferiscono-il-vetro

Il vetro è il materiale preferito dai consumatori per confezionare cibo e bevande. Lo rileva un sondaggio realizzato da InSites per conto Friends of Glass in undici paesi europei: Germania, Francia, Italia, Regno Unito, Spagna, Austria, Croazia, Repubblica Ceca, Polonia, Sovacchia e Svizzera. Il sondaggio ha raccolto l’opinione di 18 mila cittadini europei, dal 28 novembre al 14 dicembre 2016. Il risultato è abbastanza chiaro e netto: l’85% degli intervistati (cioè il 15% in più rispetto a un analogo sondaggio svolto l’anno precedente e il 50% in più rispetto al 2008) preferisce il packaging in vetro rispetto a quello in plastica, metallo o altri materiali. Il vetro viene considerato, infatti, più sostenibile. Il vetro, a differenza di altri materiali alternativi per il packaging, è un “rifiuto non rifiuto” perché può essere riciclato al 100% (e all’infinito) con costi assolutamente abbordabili. Tuttavia, come rileva lo stesso sondaggio, non molti cittadini europei sono perfettamente a conoscenza dei vantaggi ambientali di questo materiale: solo il 49% degli intervistati, ad esempio, è convinto che il vetro sia completamente innoquo per l’ambiente. Adeline Farrelly, segretario generale di FEVE (la federazione europea dei produttori di packaging in vetro, che è alle spalle della community di Friends of Glass), si dichiara soddisfatta a metà del sondaggio: “E’ incoraggiante vedere che i consumatori siano diventati più consapevoli dei benefici del packaging in vetro. Ma anche se questi risultati sono rassicuranti, come industria, non possiamo essere compiaciuti e rimaniamo impegnati nel nostro focus di informare i consumatori sulle caratteristiche uniche del vetro in fatto di sostenibilità e riciclabilità“.

Alcune proprietà del vetro, però, sono ben chiare ai cittadini europei: solo il 14% degli intervistati, infatti, crede che il vetro possa avere interazioni negative col cibo che contiene. Il 53% ritiene che il vetro sia il materiale più salubre per il confezionamento dei cibi e il 73% ritiene che lo sia anche per le bevande.  Purtroppo, però, i giovani non amano il vetro: secondo Friends of Glass, infatti, a causa del prezzo maggiore e della disponibilità minore i giovani comprano meno cibo confezionato in vetro rispetto ai consumatori di età più avanzata. Tuttavia sono gli stessi giovani a considerare il vetro più “trendy” rispetto a plastica e metallo. Per correttezza di informazione, infine, va ribadito che l’indagine InSites è stata commissionata dalla FEVE, che altro non è che la lobby europea del packaging in vetro.

Credit foto: Flickr

Fonte: ecoblog.it

La Commissione Europea ritira la riforma del mercato delle sementi. Via Campesina: “Riprendiamoci la nostra sovranità alimentare”

La Commissione Europea ha annunciato la sua decisione di ritirare la riforma del mercato sementiero, da più parti invocata affinché potesse essere contenuto lo strapotere delle multinazionali e reso possibile lo scambio dei semi per affrancare i contadini dalla schiavitù delle royalties. Ora si tratta di vedere cosa accadrà. Intanto l’associazione internazionale contadina La Via Campesina lancia i suoi “5 passi” per nutrire veramente il pianeta (altro che Expo 2015!) e rivendica la sovranità alimentare dei popoli.via_campesina

La Commissione Europea ha annunciato al Parlamento europeo la sua decisione di ritirare la riforma della regolamentazione del mercato sementiero, cancellando di fatto le seppur timide aperture cui la Commissione precedente era stata costretta dalle pressioni dei movimenti per la sovranità alimentare e dai gruppi rappresentativi in agricoltura. Quelle aperture lasciavano sperare che finalmente la UE potesse prendere in considerazione norme e interventi a difesa della biodiversità e preservazione dei suoli, a difesa del diritto dei contadini allo scambio delle loro sementi, del diritto delle piccole aziende a commercializzare tutte le biodiversità disponibili senza dover essere costrette a registrarle nei cataloghi istituzionali e a difesa della possibilità di aprire quei cataloghi ai semi non “standardizzati”, sinonimo di maggiore ricchezza nutritiva dei cibi. Nulla di tutto ciò, tutto cancellato, la pressione delle lobby di interesse e delle multinazionali sementiere evidentemente è devastante. Intanto l’associazione internazionale di contadini La Via Campesina rimarca la sua critica al sistema industriale di produzione del cibo, «causa principale dei cambiamenti climatici e responsabile del 50% delle emissioni di gas serra in atmosfera». Eccoli i punti critici principali.

Deforestazione (15-18% delle emissioni). Prima che si cominci a coltivare in maniera intensiva, le ruspe e i bulldozer fanno il loro lavoro abbattendo le piante. Nel mondo, l’agricoltura industriale si sta spingendo nella savana, nelle foreste, nelle zone più vergini divorando una enorme quantità di terreno.

Agricolture e allevamento (11-15%). La maggior parte delle emissioni è conseguenza dell’uso di materie rime industriali, dai fertilizzanti chimici ai combustibili fossili per far funzionare i macchinari, oltre agli eccessi generati dagli allevamenti.

Trasporti (5-6%). L’industria alimentare è una sorta di agenzia di viaggi globale. I cereali per i mangimi animali magari vengono dall’Argentina e vanno ad alimentare i polli in Cile, che poi sono esportati in Cina per essere lavorati per poi andare negli Usa dove sono serviti da McDonald’s. La maggior arte del cibo prodotto a livello industriale percorre migliaia di chilometri prima di arrivare sulle nostre tavole. Il trasporto degli alimenti copre circa un quarto delle emissioni legate ai trasporti e il 5-6% delle emissioni globali.

Lavorazioni e packaging (8-10%). La trasformazione dei cibi in piatti pronti, alimenti confezionati, snack o bevande richiede un’enorme quantità di energia e genera gas serra.

Congelamento e vendita al dettaglio (2-4%). Dovunque arrivi il cibo industriale, là deve essere alimentata la catena del freddo e questo è responsabile del consumo del 15% di energia elettrica nel mondo. Inoltre i refrigeranti chimici sono responsabili di emissioni di gas serra.

Rifiuti (3-4%). L’industria alimentare scarta fino al 50% del cibo che produce durante tutta la catena di lavorazione e trasporto, i rifiuti vengono smaltiti in discariche o inceneritori.

La Via Campesina rivendica la sovranità alimentare dei popoli e indica 5 passi fondamentali per arrivarci. Eccoli.

  1. Prendersi cura della terra.

L’equazione cibo/clima ha radici nella terra. La diffusione delle pratiche agricole industriali nell’ultimo secolo ha portato alla distruzione del 30-75% della materia organica sul suolo arabile e del 50% della materia organica nei pascoli. Ciò è responsabile di circa il 25-40% dell’eccesso di CO2 in atmosfera. Questa CO2 potrebbe essere riportata al suolo ripristinando le pratiche dell’agricoltura su piccola scala, quella portata avanti dai contadini per generazioni. Se fossero messe in pratiche le giuste politiche e le giuste pratiche in tutto il mondo, la materia organica nei suoli potrebbe essere riportata ad un livello pre-industriale già in 50 anni.

  1. Agricoltura naturale, no alla chimica.

L’uso di sostanze chimiche nell’agricoltura industriale è aumentata in maniera esponenziale e continua ad aumentare. I suoli sono stati impoveriti e contaminati, sviluppando resistenza a pesticidi e insetticidi. Eppure ci sono contadini che mantengono le conoscenze di ciò che è giusto fare per evitare la chimica diversificando le colture, integrando coltivazioni e allevamenti animali, inserendo alberi, piante e vegetazione spontanea.

  1. Limitare il trasporto dei cibi e concentrarsi sui cibi freschi e locali.

Da una prospettiva ambientale non ha alcun senso far girare il cibo per il mondo, mentre ne ha solo ai fini del business. Non ha senso disboscare le foreste per coltivare il cibo che poi verrà congelato e venduto nei supermercati all’altro capo del mondo, alimentando un sistema altamente inquinante. Occorre dunque orientare il consumo sui mercati locali e sui cibi freschi, stando lontani dalle carni a buon mercato e dai cibi confezionati.

  1. Restituire la terra ai contadini e fermare le mega-piantagioni.

Negli ultimi 50 anni, 140 milioni di ettari sono stati utilizzati per quattro coltivazioni dominanti ed intensive: soia, olio di palma, olio di colza e zucchero di canna, con elevate emissioni di gas serra. I piccoli contadini oggi sono confinati in meno di un quarto delle terre coltivabili nel mondo eppure continuano a produrre la maggior parte del cibo (l’80% del cibo nei paesi non industrializzati). Perché l’agricoltura su piccola scala è più efficiente ed è la soluzione migliore per il pianeta.

  1. Dimenticate le false soluzioni, concentratevi su ciò che funziona

Ormai si ammette che la questione agricola è centrale per i cambiamenti climatici. Eppure non ci sono politiche che sfidino il modello dominante dell’agricoltura e della distribuzione industriali, anzi: governi e multinazionali spingono per far passare false soluzioni. Per esempio, i grandi rischi legati agli organismi geneticamente modificati, la produzione di “biocarburanti” che sta contribuendo ancor più alla deforestazione e all’impoverimento dei suoli, continuano ad essere utilizzati i combustibili fossili, si continua a devastare le foreste e a cacciare le popolazioni indigene. Tutto ciò va contro la soluzione vera che può essere solo il passaggio da un sistema industriale di produzione del cibo a un sistema nelle mani dei piccoli agricoltori.

Fonte: ilcambiamento.it

Garby, la raccolta differenziata diventa compatta e low cost

In cambio del riciclaggio di materiali in PET, HDPE, PP, PS, LDPE, alluminio o banda stagna, gli eco-compattatori dell’azienda casertana offrono eco-bonus spendibili in esercizi commerciali per ottenere sconti e premi

Ridurre lo spazio occupato dal packaging, sia esso in PET, HDPE, PP, PS, LDPE, alluminio o banda stagna, significa ridurre i costi per la raccolta differenziata, lo stoccaggio, il trasporto e, di conseguenza generare margini di guadagno più ampi sulla vendita del materiale generato dal riciclo di plastica e alluminio. Garby fornisce i servizi commerciali e le tecnologie per far sì che il volume dei rifiuti destinati al riciclaggio possa essere ridotto fino all’80%. Fra bottiglie in PET, flaconi in HDPE e lattine in alluminio, sono circa 15 miliardi i pezzi che ogni anno, in Italia, finiscono in discarica o negli inceneritori invece di diventare una preziosa risorsa economica. L’azienda casertana di San Marco Evangelista facilita i processi di riciclaggio creando un sistema capace di generare profitti. Gli eco-compattatori oltre a svolgere questa importante funzione ecologica, rappresentano lo strumento diffuso sul territorio delle attività di eco-marketing di Garby: aree pubbliche, scuole, musei, teatri, aziende private ed esercizi commerciali diventano concessionari offrendo a cittadini e clienti la possibilità di usufruire dei benefit concessi a chi si dimostra attento alle buone pratiche.  Come generare profitti dai rifiuti tutelando l’ambiente? Il primo step è la conservazione di bottiglie PET, flaconi HDPE e lattine di alluminio, il secondo lo smaltimento presso gli eco compattatori Garby, il terzo l’accumulo di eco-bonus, il quarto la visita in uno dei negozi aderenti alla rete di Garby e l’ultimo la consegna degli eco-bonus in cambio di sconti, offerte e premi. Chi volesse collaudare l’efficacia del sistema Garby può cercare l’ecopoint più vicino a casa.FRANCE-ECONOMY-WATER-CAROLA

Fonte:  Garby

© Foto Getty Images

Supermercato senza packaging aprirà a Berlino

A Berlino presto aprirà un supermercato alla spina con prodotti sfusi, ossia senza imballaggi

L’idea di aprire un supermercato per prodotti alla spina a Berlino è di due giovani tedesche, Sara Wolf e Milena Glimbovski che hanno fondato per questo Original Unverpackt la start-up con cui intendono portare avanti questo progetto. Le due giovani imprenditrici sono alla ricerca del locale giusto per vendere verdure, frutta, legumi, pasta,riso,vino, caffè, olio e detersivi senza che siano confezionate nel packaging. In Italia abbiamo già due interessanti esempi in merito e sono i due punti vendita della catena Effecorta per ora aperti a Capannori, il comune che ricicla l’80 per dei rifiuti e a Milano e Negozio Leggero.effecorta-600x350

L’idea delle due giovani imprenditrici berlinesi è analoga, e prevede che il packaging riutilizzabile sia o portato da casa dagli stessi clienti o venduto nel negozio ma appunto una sola volta. Ad esempio le tanichette per il detersivo da riempire o i sacchetti di carta dentro cui mettere pasta, farina, legumi ecc. L’obiettivo è duplice: risparmiare sul prezzo finale dei prodotti perché acquistati senza inutili rivestimenti e produrre meno rifiuti. Questi negozi però stentano a decollare come dovrebbero perché i consumatori non sono più abituati a vedere i prodotti senza veli. Il packaging, infatti è diventato parte integrante del prodotto che si va ad acquistare e viene riconosciuto proprio attraverso quell’abito e poco importa, forse che costi di più a causa dell’impacchettamento. Le grandi superfici della distribuzione sono restie a accogliere la vendita di prodotti alla spina, tranne alcune coraggiose realtà che hanno accolto accanto alle zone di vendita con packaging aree con vendita senza packaging come ad esempio Conad che in alcune superfici vende i detersivi alla spina.

Fonte: Sueddeutsche, Slate
Foto : Effecorta