Alex Zanotelli: “La nonviolenza parte dall’informazione”

Corsa agli armamenti, nucleare, ripudio della guerra, rispetto della Costituzione. Fare informazione su questi temi è fondamentale per creare consapevolezza e stimolare l’impegno di tutti – cittadini, Chiesa e istituzioni politiche – per favorire la cultura della pace e della nonviolenza. Ne è convinto il religioso e attivista Padre Alex Zanotelli, che abbiamo intervistato a margine di un convegno tenutosi a Firenze in occasione del 70esimo anniversario della NATO. Il 6 e 7 aprile hanno avuto luogo in Toscana due importanti eventi per fare un bilancio storico sui 70 anni dalla formazione della NATO: uno a Livorno, città ove la base americana di Camp Darby rappresenta il più grande arsenale USA fuori dal territorio americano e nel cui porto transitano navi a propulsione nucleare (all’insaputa della maggioranza dei cittadini stessi) e l’altro a Firenze. Il titolo del convegno internazionale tenutosi a Firenze, al quale abbiamo partecipato, esprimeva volutamente una domanda alla quale ciascuno di noi deve potersi dare una risposta analizzando i dati reali, al di fuori dalla retorica delle istituzioni e dei mezzi d’informazione tradizionali: “NATO: cultura di pace o cultura di guerra?” Nel corso del convegno, organizzato dal Comitato No Guerra No Nato (1),  è stata resa nota la “Dichiarazione di Firenze” che vi invitiamo a visionare per intendere a fondo gli scopi che questo evento si proponeva. In occasione del convegno fiorentino abbiamo intervistato Padre Alex Zanotelli, religioso e missionario italiano noto per il suo impegno per la pace e la nonviolenza.

Padre Alex Zanotelli a Riace (Foto di Gianmarco Vetrano)

Come può la persona comune contribuire alla diffusione della cultura della nonviolenza?

Dalla mia esperienza in questo periodo in Italia c’è un’atomizzazione della società, voluta dal sistema, che cerca di impedire che le persone si mettano insieme. Se quello della lotta pacifista e nonviolenta non diventa un movimento popolare, non si va da nessuna parte. Abbiamo visto ad esempio adesso in Algeria, quanto è efficace che la gente unita, aldilà delle bandiere , dica “basta”! 

Per fare questo ci vuole capacità organizzativa, ma la gente deve capire prima tutto ciò che avviene. Ecco che l’informazione diventa importante (2). Purtroppo quello che abbiamo fatto qui oggi non sta passando alla gente. Parliamo in fondo fra esperti e gente impegnata, che è bello ma non è sufficiente. Qui dovrebbero giocare dei grossi ruoli sia le scuole, sia la Chiesa. Purtroppo la Chiesa ancora non passa abbastanza all’azione su questi temi. Se la gente comune cominciasse a capire i problemi legati alla corsa agli armamenti, all’estremo rischio che corriamo ad ospitare armi nucleari sul suolo italiano, ad ospitare le basi NATO, è chiaro che comincerebbe a pensare: “Voglio vivere, non voglio mica morire!”. Per cui scatterebbe un meccanismo di forte preoccupazione per la propria incolumità e allora diventerebbe davvero qualcosa di popolare. Penso che sia questa l’unica strada: informare la popolazione adulta e quella dei più giovani, partendo dalle scuole, per arrivare alla Chiesa e ai media. Chiaro però che non è una strada facile. 

Nella sua esperienza quali sono stati i movimenti popolari che hanno prodotto dei risultati tangibili?

L’unico grande movimento che ho visto in Italia e che possiamo chiamare veramente popolare è stato quello dell’acqua, che poi ha portato al referendum del 2011. Ancora la politica non accetta il risultato, ma la cosa importante è che il popolo si è espresso eccome perché ha capito l’importanza dell’acqua come bene comune. Prima o poi anche la politica dovrà accettarlo. Ma ci sono tantissime iniziative con cui davvero si può vincere. Ho citato prima il problema delle banche: basterebbe davvero che il popolo italiano comprendesse prima di tutto la situazione: la gravità del nucleare, che cosa rischiamo. Una volta capito questo basterebbe lanciare una seria campagna contro le banche che investono i loro soldi nel nucleare. Secondo me sarebbe un’iniziativa di un’efficacia senza precedenti. Abbiamo visto in mille maniere come una volta che si iniziano a fare queste cose, funzionano! Però non vengono raccontate. Noi l’abbiamo fatto con la campagna “Banche Armate” e con Nigrizia. Ma quelle che meno di tutte accettano di prendervi parte sono le Parrocchie. Sono poche le diocesi in Italia che hanno preso parte alla campagna.

Come si spiega questa scarsa partecipazione? Qual è il ruolo della Chiesa nella promozione di una cultura della pace?

Il problema, a livello di Chiesa, è che noi abbiamo fatto una separazione tra culto e vita: è come se quello che raccontiamo in chiesa non avesse nulla a che fare con la vita fuori. Quando noi siamo fuori viviamo l’opposto di quello che ci diciamo in chiesa. Se c’è una cosa che è fondamentale, sia a livello biblico, sia in Dio, che non può che essere un Dio di pace, è che dovrebbe portare i credenti a un impegno in sé per una cultura della nonviolenza, ma non c’è questo passaggio. Quando si vuole fare massa critica per i temi legati al ripudio della guerra, al rispetto della costituzione, alla nonviolenza, una delle possibili criticità è la mancanza di conoscenza dei problemi veri, poiché non vengono neppure raccontati nei mezzi d’informazione di massa tradizionali; per i credenti, che certi temi dovrebbero averli particolarmente a cuore, il problema è essere in grado di passare all’azione, facendo il collegamento tra insegnamenti e vita di tutti i giorni. 

1. Il Comitato si è originato da una petizione online per chiedere l’uscita dell’Italia dalla NATO.

2. Qui Zanotelli fa riferimento ad un tema che è stato ampiamente trattato durante il convegno: quello del modus operandi dell’informazione/disinformazione mainstream e allude anche alla nuova rete costituita da Presenza di giornalisti indipendenti e attivisti di cui presto vi parleremo e di cui facciamo parte, che invece si pone il preciso scopo di informare puntualmente e compiutamente il lettore sui temi d’importanza cruciale che riguardano la società.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/04/alex-zanotelli-nonviolenza-parte-informazione/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Sarà in Italia il raduno europeo 2019 degli ecovillaggi

Approda in Italia, nel prossimo mese di luglio, la Conferenza Europea degli Ecovillaggi (GEN eu) per il 2019. L’appuntamento è alla Comune di Bagnaia, comunità attiva da tempo in Toscana.

L’edizione del 2019 della Conferenza Europea degli ecovillaggi (GEN eu) si terrà in Italia e per la precisione alla Comune di Bagnaia, comunità da tempo attiva in Toscana.

Si tratta del raduno annuale aperto a chi vive in ecovillaggio, a chi sogna di viverci e anche a chi sente affinità con il movimento e per il ritrovo i partecipanti provengono da tutta Europa e da tutto il mondo.

Dopo alcune edizioni in svariate nazioni del mondo, l’importante momento di confronto e condivisione delle esperienze torna quindi nel nostro paese, facendo cadere la scelta su un luogo particolarmente significativo per la realtà dell’abitare condiviso. La Comune di Bagnaia ONLUS è una comunità intenzionale attiva da molto tempo in Toscana e «non ha mancato di ispirare nel tempo numerosi ecovillaggisti, fautori del cambiamento, ricercatori e cittadini del mondo da tutta Europa e oltre con le soluzioni innovative sperimentate giornalmente» spiegano dalla Rive, la Rete Italiana degli Ecovillaggi.

Fondata nel 1979, gli obiettivi principali di Bagnaia sono vivere in modo autosufficiente, avere cura dell’ambiente e sostenere trasformazioni sociali positive attraverso la pace e la giustizia sociale.

«Guidati da questi valori, il raduno del 2019 porrà l’attenzione sulla partecipazione attiva, l’azione e la solidarietà, così che possiamo restare uniti di fronte alle grandi sfide del nostro tempo, rafforzati dalla nostra coesione nella diversità» spiegano ancora dalla Rive.

E ancora: «Nutrendo l’azione concreta attraverso un apprendimento pratico, la partecipazione e la creazione di reti, intendiamo generare una reazione a catena che vada oltre il raduno stesso, e che contribuisca alla costruzione di comunità e a una più ampia guarigione, così da favorire l’avvento di quel mondo ideale a cui tutti noi aspiriamo».

«La Conferenza Europea degli Ecovillaggi è un evento realmente co-creato – spiegano i promotori –  il nostro programma attinge dalla saggezza di tutte le reti di comunità associate e da tutti i movimenti collegati al GEN d’Europa e del mondo.  Coloro che parleranno e che terranno laboratori durante la conferenza offrono le loro capacità in dono, per la creazione di quel mondo ideale a cui tutti noi aspiriamo. Le tematiche che si intrecceranno nel programma di quest’anno rappresentano tre valori particolarmente cari alla Comune di Bagnaia Onlus: la pace, l’ecologia e la giustizia sociale. Il programma metterà in mostra progetti, soluzioni e conoscenze che possano ispirare un’azione concreta e un cambiamento duraturo in queste tre aree di applicazione, sia all’interno degli ecovillaggi che nel mondo esterno».

PACE

La Comune di Bagnaia Onlus ha una lunga tradizione di attività per la costruzione della pace. «Verranno messe in gioco le esperienze di coloro che hanno dedicato le loro vite a questa causa e insieme ideeremo delle strategie per creare una cultura globale di pace» spiegano i promotori.

ECOLOGIA

«La conferenza cercherà di onorare la Madre Terra e quel meraviglioso e misterioso universo che ci sostiene e provvede per noi attraverso rituali, celebrazioni, pratiche spirituali, insegnamenti e azioni concrete».

GIUSTIZIA SOCIALE

«Attraverso il nostro impegno per la solidarietà internazionale, cercheremo di porci interrogativi profondi sul nostro movimento e di diffondere trasformazioni sociali positive che abbiano la giustizia sociale come base».

QUI il sito dell’evento

Qui per le prenotazioni

Fonte: ilcambiamento.it

100 giorni per la pace

Morti di ogni nazionalità nel mondo ogni giorno; bombe, attentati, cecchini, guerre e pseudo-missioni di pace che godono del greenwashing del nome. E dopo gli ennesimi cadaveri di Dacca e Bagdad c’è chi invoca una “israelizzazione” dell’Italia e dell’Europa. Ma per fortuna la voce di tanti si leva con parole diverse: il 9 ottobre partecipiamo tutti alla marcia per la pace PerugiAssisi. «Non rassegnamoci» dice Flavio Lotti.Immagine.jpg

L’appello arriva, all’indomani degli ennesimi morti per le guerre e le sopraffazioni, da Flavio Lotti coordinatore della marcia per la pace PerugiAssisi. «Tra cento giorni, domenica 9 ottobre 2016, si svolgerà la marcia della pace e della fraternità – dice – Chi è indignato per come vanno le cose in Italia, in Europa e nel mondo sa che si tratta di una grande occasione per reagire e promuovere quel cambiamento che è sempre più urgente. Ogni giorno veniamo a sapere di atrocità commesse nell’indifferenza generale, di crimini sistematici che restano impuniti, di violenze indicibili che passano sotto silenzio, di pericoli che crescono senza che ci sia una reazione, una manifestazione adeguata».

«La PerugiAssisi del prossimo 9 ottobre 2016 romperà questo pesantissimo silenzio muovendo migliaia di persone da ogni parte d’Italia. Ma il risultato non è scontato – prosegue Flavio – Davanti a noi ci sono molti muri da abbattere. Il primo è quello della disinformazione. Poi viene quello della rassegnazione. E infine c’è quello più alto e spesso dell’indifferenza. Per questo l’aiuto di tutti nei prossimi 100 giorni è decisivo. Bisogna invitare gli amici, diffondere l’invito. Proporre la partecipazione a tutte le persone e i gruppi che si conoscono. I giornalisti pubblichino la notizia e spieghino.Invitate gli insegnanti, le scuole e gli studenti della vostra città a partecipare. A loro affideremo la gestione dei momenti salienti della giornata con interventi, letture, poesie, cartelli, striscioni, musica e balli. La PerugiAssisi è l’occasione per investire sui giovani e dare avvio al nuovo anno scolastico all’insegna dell’educazione alla cittadinanza glocale, alla pace e ai diritti umani».

«Chiedete al vostro sindaco e al vostro Comune di aderire e partecipare. Alla testa di questa Marcia ci saranno 300 sindaci con la fascia tricolore e i loro gonfaloni a rappresentare il lavoro straordinario che viene fatto nelle nostre città per fronteggiare la crisi profonda che stiamo vivendo. Insieme vogliamo chiedere che si torni ad investire sui Comuni perché solo rigenerando il tessuto delle nostre comunità locali sarà possibile uscire dalla crisi. Aiutate tutti ad organizzare la partecipazione dei rifugiati e dei migranti. Facciamo in modo che la PerugiAssisi sia visibilmente la marcia dell’accoglienza e della solidarietà, di una umanità che non conosce confini e non tollera le discriminazioni e le disuguaglianze. Chiediamo agli artisti, cantanti, musicisti che conosciamo di partecipare al concerto di pace che realizzeremo durante la marcia. Aiutate tutti a gettare le basi per una società di pace. Segnalateci le tante cose positive che succedono in Italia, in Europa e nel mondo, le cose semplici che moltissime persone fanno, l’apporto positivo di ciascuno, i tanti modi in cui si fa “pace”. E così, rendere le nostre azioni individuali e collettive più forti e contagiose».

«Il 9 ottobre riuniamo tutti gli operatori di pace, raduniamo le forze sparse e le energie positive, le persone che in Italia, in Europa e nel mondo hanno deciso di non rassegnarsi, di assumere le proprie responsabilità, di cambiare qualcosa nella propria vita e di unirsi ad altri per costruire nuovi rapporti economici, sociali, internazionali e con la natura. Vinceremo anche questa sfida. Ma solo se ci saremo!».

Fonte: ilcambiamento.it

Rondine, il piccolo borgo dove si costruisce la pace

Grazie al progetto Rondine – Cittadella della Pace’, un piccolo borgo in provincia di Arezzo ospita studenti provenienti da paesi in conflitto tra loro che qui sperimentano una vita di convivenza, di formazione e di studio. L’obiettivo è quello di far riscoprire la persona che si nascondeva dietro lo spauracchio del ‘nemico’ rendendo evidenti le similitudini tra le due parti e l’umanità che le accomuna.

Rondine è un borgo che sorge nei pressi di Arezzo e che negli anni ’50 stava per essere definitivamente abbandonato. La diocesi, però, decise di affidare il borgo ad alcune famiglie molto attive nel territorio e diciotto anni fa successe l’impensabile. Un luogo praticamente deserto diventò occasione di incontro e confronto per decine di ragazze e ragazzi provenienti da Paesi in conflitto tra loro: nacque infatti il progetto ‘Rondine – Cittadella della Pace’.

Questo straordinario esperimento di coabitazione e formazione alla Pace vide la luce un po’ per caso: le famiglie di Rondine, capitanate dal professor Vaccari – oggi presidente dell’associazione – volevano proporre uno spettacolo sulla vita di San Francesco in Russia. Una volta ottenuto il visto si trovarono in una situazione di guerra tra russi e ceceni. Parlavano di Pace in un contesto di guerra. Ebbero quindi il desiderio di contribuire in qualche modo alla Pace ‘nel quotidiano’ e si offrirono di agevolare il dialogo tra le opposte fazioni durante il conflitto. In quel contesto, il rettore dell’università di Grozny chiese ospitalità per alcuni studenti dell’università locale che era stata bombardata. Vaccari si rese disponibile ponendo però una condizione: il borgo di Rondine avrebbe dovuto ospitare anche studenti russi, con l’intento di creare un luogo ‘terzo’ neutro, in cui i due popoli in guerra potessero vivere a stretto contatto abbandonando così gli schemi tipici delle guerre.  “L’obiettivo – ci spiega Davide Berutti, neo Direttore Generale di Rondine – era far riscoprire la persona che si nascondeva dietro lo spauracchio del ‘nemico’ rendendo evidenti le similitudini tra le due parti e l’umanità che le accomuna”.rondine2

Il progetto fu un successo e venne presto replicato con giovani provenienti dai Paesi più disparati: Caucaso, Pakistan, India, Palestina, solo per citarne alcuni.  Questi studenti, appena laureati e provenienti da Paesi in guerra tra loro, si trovano quindi a condividere gli spazi abitativi, aiutati dai formatori di Rondine che li guidano attraverso un percorso sulla gestione del conflitto, sulla comunicazione non violenta e sul riconoscimento dell’altro.

“I ragazzi scoprono che l’identità è qualcosa di più complesso di ‘noi contro loro’ – continua Berutti – si smonta la conflittualità e si da una immagine più genuina della realtà, anche se qui trovano più domande che risposte.
La mensa è in comune, gli studenti pranzano e cenano insieme ed è un momento molto comunitario. I ragazzi si organizzano poi per giocare o suonare, organizzano concerti e sono spesso chiamati in varie parti d’Italia per raccontare la loro esperienza”.

 

La lingua obbligatoria a Rondine è l’italiano. Questo garantisce che si parta tutti dallo stesso livello e non ci siano culture più ‘avvantaggiate’ di altre. Tutti parlano male l’italiano! Per questo i primi tre mesi gli studenti devono frequentare un corso di italiano. A questo punto “c’è una cerimonia di accettazione, i ragazzi prendono un impegno consapevole e danno il via alle attività”.rondine3

È molto formativo dover raccontare e rielaborare il proprio vissuto in presenza del ‘nemico’ che probabilmente nel frattempo è diventato amico. “Vivono un forte contrasto tra la necessità di ribadire la propria identità e la propria sofferenza e il desiderio di non far male al nuovo ‘amico’. Così il lavoro diventa interessante: quando questi giovani torneranno al loro Paese di origine dopo i due anni trascorsi a Rondine, avranno sviluppato la capacità di difendersi senza aggredire, sapranno lottare per i propri diritti senza pretendere che l’altro rinunci ai suoi. In diciotto anni abbiamo accolto oltre centosessanta giovani. La selezione dei partecipanti al progetto avviene con un bando che esplicita chiaramente la sfida che lanciamo; i ragazzi sanno quindi a cosa vanno incontro”.

Rondine provvede a tutte le spese, dal visto al master, dal trasporto al vitto e alloggio. La struttura si mantiene grazie a diversi tipi di sostenitori, micro e major. Ogni studente costa circa venticinque mila euro per un anno. Al progetto lavorano venti persone, alcune full time e altre part time. L’ispirazione è laica: la dimensione religiosa dell’individuo, infatti, viene sottratta dalle strumentalizzazioni, mentre viene proposto il dialogo tra le religioni.  “Qui si fa sempre festa, perché festeggiamo tutte le feste, cristiane, musulmane, ebraiche e così via. Tutti gli studenti si devono sentire liberi di festeggiare le proprie festività e spiegarle agli altri per viverle insieme. All’ultima cena di natale, per esempio, un Ave Maria è stata cantata da una ragazza musulmana”.

Da quando Rondine è stata fondata il mondo è cambiato e di conseguenza sono cambiati anche i progetti portati avanti nella struttura.

“Oggi abbiamo molti progetti nuovi in mente per promuovere la pace – afferma Berutti – vogliamo continuare a seguire i ragazzi anche dopo la residenza italiana, nel momento del loro rientro in patria. Abbiamo già cominciato! Questo anno, ad esempio, abbiamo deciso di seguire per un anno un ragazzo a distanza, con costanza e presenza. L’associazione “rondini d’oro” (formata dagli studenti che hanno concluso la residenza positivamente) – inoltre – chiede di collaborare con noi come soggetto autonomo per concretizzare progetti ispirati a questa esperienza da riproporre nel loro paese”.rondine

E non è tutto. Rondine ha deciso di agire anche sul tessuto italiano attivando e sviluppando alcuni progetti con le scuole, in una duplice forma. Da un lato i ragazzi residenti a Rondine portano nelle scuole italiane la loro esperienza, dall’altro è stato attivato un “quarto anno d’eccellenza liceale”: gli studenti liceali, infatti, possono frequentare il quarto anno proprio nel piccolo borgo Toscano. “Seguono il programma ministeriale la mattina mentre il pomeriggio frequentano percorsi formativi integrativi sulla trasformazione del conflitto, l’innovazione tecnologica e l’integrazione con l’ambiente”.

Questi studenti si trovano a condividere l’esperienza di ventisei colleghi internazionali. L’auspicio è che una volta tornati nei licei di origine, questi ragazzi avranno sviluppato uno sguardo critico sulla complessità del mondo e del territorio su vari temi e in particolare sui fenomeni migratori. I fatti di Parigi non hanno cambiato molto il sentire dei residenti di Rondine. “Sono persone che vivono queste cose nella quotidianità. Chi viene da Gaza, per esempio, non è rimasto troppo scosso. Il dibattito sui fatti di Parigi non è stato su un piano religioso, ma i nostri ragazzi sono rimasti sorpresi del fatto che i media hanno parlato di questi conflitti solo quando hanno coinvolto Paesi europei. Si sono detti: ‘Queste cose da noi capitano tutti i giorni, perché ne parlano solo ora?’”.

 

Il sito di Rondine 

 

 

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/02/io-faccio-cosi-107-rondine-piccolo-borgo-pace/

Marco e Gabriella scelgono la pace di un rifugio in montagna

Avevano lavori sicuri ma stressanti, mai abbastanza tempo per dedicarsi alla famiglia, per assaporare la vita nei suoi momenti, tutti importanti. Allora è arrivata la scelta: lasciarsi alle spalle la frenesia per scegliere la pace di un rifugio in montagna. Ecco la storia di Marco e Gabriella.marcogabriella02

Marco D’Aliesio, 39 anni, insieme alla moglie Gabriella e ai loro 2 figli, hanno deciso di lasciare due lavori sicuri ma stressanti, che non davano loro il tempo di dedicarsi alla famiglia, per prendere in gestione un rifugio tra i monti liguri, quello di Pratorotondo. La peculiarità di questo posto è la vista aperta a 360 gradi, infatti da lì è possibile non solo ammirare tutto l’arco alpino con le cime più importanti (Monviso, Monte Rosa..) fino all’Appennino Tosco-Emiliano, ma anche vedere il mare, il promontorio di Portofino, la Corsica, l’isola d’Elba e la Capraia, e sono stati proprio questi panorami mozzafiato che nel 2010 hanno portato Marco a dire basta.

Marco, di cosa ti occupavi prima di prendere il rifugio in gestione?

“Facevo l’agente di commercio nel settore dell’abbigliamento in Liguria e in Piemonte. Avevo l’ufficio a Genova e vivevo a Varazze, quindi tutti i giorni dovevo affrontare il traffico per arrivare a lavoro. Non avevo orari fissi, lavoravo in media 8-10 ore, mentre durante le campagne-vendita arrivavo addirittura a dormire in ufficio con il sacco a pelo per tutta la durata dell’evento. Gabriella invece lavorava in un autogrill e faceva i turni, quindi ci alternavamo il più possibile in modo da stare con i bambini senza dover fare troppo affidamento sui nonni e per questo motivo ci vedevamo pochissimo tra di noi. La pressione del lavoro, gli orari sbagliati, il cibo poco genuino consumato in fretta, mi hanno portato nel tempo problemi di iperacidità con gastroduodenite. Inoltre mi pesava moltissimo non riuscire a seguire i miei figli nelle loro attività quotidiane e vedere così poco mia moglie”.

Come hai conosciuto questo rifugio?

“Sono venuto qui per 2-3 anni nel periodo meno freddo, facevo lunghe camminate con i cani per abbassare lo stress del lavoro, stare a contatto con la natura mi rilassava e mi ricaricava le batterie. Poi un giorno sono venuto in pieno inverno, in una giornata splendida ma gelida, ero in mezzo alla neve con la vista mare davanti, sono rimasto senza fiato… In quel momento ho deciso che volevo cambiare lavoro e che volevo gestire il rifugio. Infatti ero venuto a sapere che il gestore voleva vendere e così sentii che quella doveva diventare la mia nuova vita”. E fu così che nel giro di 6 mesi di trattativa, in settembre Marco diventò il nuovo gestore del rifugio, inizialmente insieme ad un socio. Questo avvenne in un clima di pareri contrari dei parenti, ad esclusione della suocera che non solo ha sempre appoggiato il progetto, ma è diventata parte attiva dello staff del rifugio.marcogabriella01

Gabriella, eri contenta della decisione presa da tuo marito?“Macché, inizialmente io non ne volevo sapere, ero molto spaventata sia dall’idea degli inverni rigidi, sia dalle preoccupazioni economiche. Oltretutto, quando lui ha scoperto questo posto e mi invitava ad accompagnarlo, io non ci andavo per niente volentieri, non solo perché ero incinta, ma anche perché, le poche volte che lo assecondavo, il tempo era sempre umido e nebbioso! Ma alla fine vedevo mio marito troppo insoddisfatto del suo lavoro e di tutto il tempo che sprecava in macchina nel traffico, così mi sono fidata di lui  e ho acconsentito.”

Quali difficoltà hai incontrato nel tuo nuovo lavoro, Marco?

“Quando sono entrato nel Rifugio per la prima volta, avevo 35€ in tasca e il conto in banca inesistente perché avevo investito tutto in questo progetto; ma non ero spaventato perché stavo realizzando un sogno e cambiando la mia vita in meglio, quindi ero pieno di entusiasmo e voglia di mettermi in gioco. Il primo anno e mezzo ho vissuto qua per capire meglio il funzionamento dell’attività, l’afflusso dei clienti e le spese necessarie. Eravamo io e il mio socio fissi mentre Gabriella e mia suocera venivano ad aiutare nel fine settimana. Successivamente però, il mio socio ha deciso di lasciare l’attività ed io ho convenuto di tenere chiuso nel periodo invernale per 2 giorni a settimana e garantire solo il minimo del servizio fino al giovedì, mentre dal venerdì alla domenica è aperta anche la cucina; questo perché le spese di riscaldamento erano troppo alte e non era fattibile tenere sempre aperto. In estate invece c’è il problema della siccità in quanto la nostra acqua di sorgente rischia di non essere sufficiente a coprire tutto il fabbisogno dovuto al maggior passaggio di gente ed inoltre, essendo il periodo in cui si lavora di più, teniamo il rifugio sempre aperto e viviamo qui tutti insieme.”marcogabriella03

Quali sono state invece le belle scoperte di questo posto?

“Qui la vita scorre più calma, non ci sono i ritmi imposti dalla società ma si scopre il tempo della natura, l’alternarsi delle stagioni, i cambiamenti della vegetazione e della fauna. Per esempio in questi anni ho stretto “rapporti” con diversi animali: per 3 anni ho avuto un tasso, un altro anno ho dato da mangiare tutte le sere ad un cucciolo di capriolo, inoltre ho familiarizzato con una coppia di fringuelli, tutti i pomeriggi dopo pranzo la femmina reclamava a gran voce le briciole che cadevano scrollando fuori le tovaglie. In questo posto il cellulare non prende, gli ospiti inizialmente si dispiacciono di questa mancanza, ma dopo pochi minuti parlano fra di loro! Di questi tempi è quasi una cosa strana da vedere… Io stesso amo stare qui perché non sono costantemente disturbato e distratto dal telefono, mentre mi accorgo quanto divento insofferente quando sono facilmente rintracciabile!”

Gabriella, cosa ne pensi alla fine di questo lavoro? Sono passate le paure?

“Sono assolutamente contenta di aver seguito Marco in questa attività: non mi piaceva lavorare in autogrill perché c’era un viavai frettoloso di persone che non consentiva di instaurare alcun tipo di rapporto. Inoltre gli orari cambiavano continuamente e organizzarmi con i bambini era un lavoro da equilibrista. Ora in inverno ho tutto il tempo per seguire i miei figli nella scuola e nelle varie attività; in estate invece stiamo tutti qui, i bambini trascorrono le loro giornate all’aria aperta e giocano con i bambini di passaggio, di qualsiasi nazionalità siano. Le difficoltà ci sono, ma non sono pesanti come credevo, tutto è affrontabile, la neve, il ghiaccio, gli imprevisti, sarebbe ben più pesante andare al lavoro in città tutti i giorni!! Io definisco questo “un lavoro a riposo”, nel senso che mi rilasso in cucina dalla frenesia di tutti i giorni. Adoro il contatto sorridente e disteso con le persone, questo è un posto magico che porta via tutte le tensioni.”marcogabriella05

Marco, ci sono altri progetti che hai potuto realizzare proprio grazie a questo posto?

“Certo, al rifugio ho avuto più tempo e più calma per osservare e per pensare: vedevo venire qui ogni genere di persone, dall’escursionista e dal ciclista in estate, all’amante delle ciaspole o snowkite in inverno. Questo mi ha fatto pensare a quante attività siano praticabili in un contesto come Varazze, dal mare alla montagna in soli 3/4 d’ora di macchina; credo che la Liguria sia unica nel suo genere per la velocità con cui si cambia scenario. Quindi dall’anno scorso, io e altri amici abbiamo fondato un’associazione chiamata “Vaze Free Time” con la finalità di realizzare progetti nel settore turistico e sviluppare una politica del turismo sostenibile che esalti le peculiarità e l’identità del nostro territorio. Un progetto che ha riscosso molto successo è il “Varazze Outdoor”, volto a promuovere il turismo sportivo nel parco del Beigua e a far conoscere le numerose possibilità che la nostra zona ci offre”.

L’ultima domanda, quella di rito: siete felici?

E la risposta di entrambi è “sì, non torneremmo mai indietro… Stiamo vincendo la nostra sfida, era tutto un’incognita ma le soddisfazioni stanno arrivando, sia nel lavoro che nella vita privata, finalmente facciamo un lavoro che ci piace e non dobbiamo sacrificare la nostra famiglia per farlo…!” Il rifugio di Pratorotondo è situato nel cuore del Parco naturale regionale del Beigua al confine tra i comuni di Sassello, Varazze e Cogoleto; si trova a un’altitudine di 1098 metri ed è il punto di arrivo della tappa numero 19 dell’Alta Via dei Monti Liguri. All’interno della struttura sono presenti la sala ristorante con forno a legna, la zona bar e 5 camere per accogliere i turisti.

fonte: ilcambiamento.it

Marinaleda, un paese dove l’affitto costa 15 euro al mese e la disoccupazione è allo 0%

Casares-Andalusia

Marinaleda è un comune spagnolo con poco più di 2.800 abitanti ed è situato nella comunità autonoma dell’Andalusia, a pochi chilometri dalla grande Siviglia, città devastata dalla crisi economica. E’ un paese come tanti altri Marinaleda, se non fosse che ha un sindaco alquanto particolare, legato al movimento nazionalista andaluso, la lucha jornalera (lotta dei lavoratori giornalieri) e alla lotta operaia in generale, è Juan Manuel Sánchez Gordillo.gordillo-vanesa-gomez-644x362

Questo sindaco ha messo in atto una politica che ha fatto di questo paesino una specie di paradiso utopistico. Praticamente ogni cittadino può affittare una casa per 15 euro al mese, a patto che se la costruisca. L’amministrazione municipale di Marinaleda, ha espropriato e reso di proprietà comunale migliaia di metri quadrati di terreno in prossimità del territorio municipale, per acquisire terreno per la costruzione di case, dopo di che ha chiesto al Governo centrale e regionale i fondi per la costruzione di case.

L’amministrazione ha gestito così questi terreni:

• il terreno, una volta passato in mano al Comune, viene ceduto gratuitamente all’autocostruttore

• grazie ad una convenzione con il governo regionale andaluso ed il cosiddetto P.E.R. (Plan de Empleo Rural) si possono acquistare i materiali da costruzione e consegnarli all’autocostruttore

• vengono messi a disposizione, sempre in maniera gratuita, alcuni operai edili disposti a seguire i cantieri
• il progetto della casa, redatto da architetti, è gratuito; gli autocostruttori possono inoltre partecipare attivamente allo sviluppo del progetto e richiedere modifiche migliorative

• infine, gli autocostruttori si riuniscono in assemblea per stabilire la quota mensile da pagare per divenire proprietario della casa che sta edificando. Le ultime case sono state costruite ed acquisite dagli autocostruttori per la cifra di 2.550 pesetas al mese (all’incirca 15 euro mensili).

Tutto questo grazie all’idea per la quale il benessere della società è tale quando viene autogestito e vige una forte cooperazione tra i membri della società.

La maggior parte degli abitanti di questo paesino rurale vive di agricoltura e trasformazione della materia prima, altri lavorano per l’amministrazione pubblica, per la scuola e nel commercio. La disoccupazione non esiste e lo stipendio è fisso e uguale per tutti: 47 € al giorno. Le cariche pubbliche non vengono retribuite, giustamente sono un servizio alla popolazione. Anche i servizi del comune sono autogestiti e manutenzionati e i prezzi anche qui usuali per tutti. La criminalità non esiste e nelle “Domeniche Rosse” la collettività si adopera per mantenere il decoro della cittadina. Questa cittadina così di “sinistra” politicamente parlando è presa in esempio da tutto il mondo proprio per l’esempio di solidarietà e uguaglianza.Immagine

E’ lo stesso sindaco a definirla un’utopia verso la pace.

Fonte: eticamente.net

I soldi pubblici per i diritti, la pace e l’ambiente. La contro-finanziaria di Sbilanciamoci

E’ un appuntamento imperdibile quello con la contro-manovra finanziaria della Campagna Sbilanciamoci, alleanza di cui fanno parte 49 organizzazioni, parlamentari, sindacalisti e rappresentanti delle autonomie locali. E la Campagna ha presentato anche per questo 2013-2014 la sua “ricetta” per un paese che sia finalmente sostenibile ed equo. Il Cambiamento vi propone di sottoporre alla presidenza del Consiglio queste proposte, chiedendo le risposte che vi spettano. Ecco come.campagna_sbilanciamoci_2013

“Con una patrimoniale, una tassazione sui capitali scudati e un’imposta maggiore sulle transazioni finanziarie sarebbe possibile ricavare denaro per sperimentazione il reddito minimo garantito e avviare un piano del lavoro e di investimenti in istruzione e ricerca”. Le idee, è evidente, sono chiarissime. La manovra, per complessivi 26 miliardi, è all’insegna della giustizia sociale e va in tutt’altra direzione rispetto a quella segnata dall’attuale governo. Cambiare è possibile, basta volerlo.“Per andare in questa direzione proponiamo una patrimoniale, una tassazione sui capitali scudati, una più efficace tassazione delle transazioni finanziarie, il blocco delle grandi opere, il taglio delle spese militari, il taglio ai finanziamenti a scuola e sanità private e ai Centri di identificazione ed espulsione. E proponiamo di usare tali risorse per una sperimentazione sul reddito minimo garantito, per avviare un piano del lavoro, per gli investimenti nell’istruzione, nella ricerca, nella cultura, nelle politiche di assistenza e di inclusione sociale, nella tutela dell’ambiente e dei beni comuni, nella mobilità sostenibile, nel rilancio dell’edilizia popolare pubblica e nel sostegno alle forme di altraeconomia, dalla finanza etica ai distretti di economia solidale”.Il volto dell’Italia è oggi è cupo, disperato. “A settembre 2013 la disoccupazione in Italia ha superato il 12%, quella giovanile il 40% – dicono i promotori della campagna – Dopo anni di recessione, le indicazioni che arrivano dal governo sembrano a senso unico: dobbiamo continuare a stringere la cinghia e accettare i piani di austerità e i vincoli macroeconomici imposti dalla Troika e dall’Ue. Il mantra ripetuto quotidianamente è che non ci sono alternative: è l’Europa che ce lo chiede”. Ma l’Italia può, e deve, chiedere una radicale inversione di rotta. “Il paese è in ginocchio e le misure previste dal governo non sono solo devastanti dal punto di vista sociale, ma nocive anche da quello macroeconomico. E’ una risposta sbagliata a una diagnosi ancora più sbagliata. Non è vero che c’è un eccesso di welfare. Non è vero che la crisi è colpa delle finanze pubbliche. Non è vero che i Paesi del Sud Europa hanno le maggiori responsabilità. Non è vero che il rapporto debito/Pil è il parametro di riferimento da tenere sotto controllo. Non è vero che i piani di austerità funzionano per diminuire tale rapporto. L’austerità è il problema, non la soluzione. Eppure da parte dei burocrati europei, a metà 2013, nessun ripensamento, nessuna alternativa. Si continua ad applicare una teoria economica fallimentare con un’ostinazione che rasenta il fanatismo. Deve essere il gigantesco casinò finanziario che ci ha trascinato nella crisi a sottoporsi a rigide misure di austerità, non cittadini, lavoratrici e lavoratori che hanno già pagato, diverse volte, per una crisi nella quale non hanno alcuna responsabilità. Ma ammesso e non concesso che si vogliano accettare i vincoli e le imposizioni della Troika, non è comunque vero che “non ci sono i soldi”. Con la legge di stabilità il governo propone al Parlamento e al paese scelte precise su come allocare le risorse pubbliche, ovvero i soldi delle nostre tasse. Scelte che hanno impatti di enorme rilevanza sulle nostre vite. Dal 2001 la campagna Sbilanciamoci! mostra che decisioni radicalmente differenti sarebbero possibili, sia dal lato delle entrate, sia da quello delle uscite. Occorre prendere i soldi dove ci sono e impiegarli dove sono necessari. La nostra è una manovra che assume come priorità la lotta alle diseguaglianze. Una manovra che va in direzione diametralmente opposta a quella del governo, che garantisce enormi sconti sulle multe che devono pagare i gestori di slot-machine e propone una “valorizzazione” del patrimonio pubblico per fare quadrare i conti”. Di fronte a questa lucida analisi, è legittimo domandarsi: com’è possibile che i governi italiani, uno dopo l’altro, nessuno escluso, restino ostinatamente ciechi, sordi e muti? Allora Il Cambiamento lancia anche un’idea che ci può rendere militanti, oltre che spettatori. Scrivete al presidente del Consiglio, Enrico Letta, e sottoponetegli tutti i punti che la contro-finanziaria di Sbilanciamoci mette in evidenza. E chiedetegli perché l’Italia non può essere questa, ma deve essere per forza tutt’altra.

La mail è: centromessaggi@governo.it

Fonte. Il cambiamento

Crimini in tempo di pace. La questione animale e l’ideologia del dominio

“Crimini in tempo di pace – La questione animale e l’ideologia del dominio” (Elèuthera 2013) è un testo antispecista che mostra come questo movimento filosofico abbia raggiunto, pur se ‘giovane’, una elevata maturità teorica. Al centro del libro scritto a quattro mani da Massimo Filippi e Filippo Trasatti la “questione animale” e l’“ideologia del dominio”.crimini_tempo_pace

L’opera di Lorenzo Lotto l’Annunciazione, tela dipinta tra il 1534 e il 1535, mette in scena Dio con le sembianze di un uomo maschio, adulto, bianco e di ceto elevato, che irrompe dal cielo, avvolto in una specie di nuvola, nella camera di una Maria stupita e impaurita (non potrebbe essere altrimenti), accompagnato dall’arcangelo Gabriele, un altro uomo come lui, ma più giovane e meno etereo dell’Onnipotente. Insieme ai tre “umani” un gatto, o una gatta, terrorizzato dalla scena. L’animale, infatti, non ha, nel dipinto, un ruolo prettamente simbolico, allegorico, ma bensì egli (o ella) è un vero e proprio testimone, un gatto reale che si trova nel bel mezzo di un “contratto”, spettatore del patto sancito tra l’uomo e Dio che conferirà agli umani l’immortalità, “[…] l’annunciazione della nascita dell’uomo-Dio, l’annunciazione di un Dio antropomorfizzato, l’annunciazione della nascita de “l’Animale” come irriducibile differenza da “l’Umano” a partire dal quale quest’ultimo potrà dare corso alle sue “magnifiche sorti e progressive”. “Questo soggetto quadrupede comprende di trovarsi, in quell’istante, in un “momento chiave della storia della domesticazione – nel pieno fiorire dell’Umanesimo e alle soglie della rivoluzione tecno-scientifica moderna – che inasprirà a dismisura l’oppressione degli animali fino a prevederne l’assoggettamento totale e l’eliminazione su scala industriale”. Questo gatto è dunque “il testimone di quella che Giorgio Gaben ha definito la ‘macchina antropologica’ e del passaggio dalla sua variante premoderna a quella moderna. […] Questa produce letteralmente tali singolari collettivi, comprimendo la complessa variabilità della vita: gli uomini, le donne, i bambini e gli anziani, i feti e gli oltrecomatosi, gli umani vivi e quelli morti, gli appartenenti ad etnie e culture ‘umane’ da una parte e tutti i non-umani dall’altra, dalle pulci allo scimpanzé, e l’innumerevole schiera di individui e gruppi umani che agli animali sono equiparati, dall’altra”. Attraverso veri e propri gironi danteschi e rocamboleschi mondi umani-zza(n)ti, “Crimini in tempo di pace – La questione animale e l’ideologia del dominio” (Elèuthera 2013), scritto a quattro mani da Massimo Filippi e Filippo Trasatti, è un testo antispecista che mostra come questo movimento filosofico abbia raggiunto, pur se “giovane”, una elevata maturità teorica.maiali__gabbia1

Seppur il libro non è sugli animali, ma bensì per gli animali, il titolo ci suggerisce esplicitamente il suo contenuto, la “questione animale” e “l’ideologia del dominio”, ovvero attraverso il pensiero di eminenti filosofi dal calibro di Michel Foucault, Jacques Derrida, i filosofi della Scuola di Francoforte, tanto per citarne alcuni, viene messo in risalto come la cosiddetta “questione animale” sia parte di un tutt’uno più grande, di un dispositivo meccanico, un girone infernale tra diversi altri che, coi loro ascensori con cui comunicano l’un l’altro, includono ed escludono in-discriminatamente individui umani e animali, un continuo processo di umanizzazione e disumanizzazione degli esseri, un meccanismo che coinvolge in modo euristico bipedi e quadrupedi tutti potenziale carne da macello, affinché possa farsi, e darsi, l’Umano. In questo meccanismo di inclusione-esclusione, pervaso dal dominio sull’altro attraverso la radicazione della biopolitica, che gli autori descrivono anche in termini di zoopolitica per evidenziare l’importanza della negazione simbolica e materiale dell’animalità per determinare e favorire l’esistenza de “l’Umano”, siamo tutti virtuali vittime e carnefici in-consapevoli sotto il controllo perpetuo dell’occhio del biopotere, del panopticon antropologico. “Che sia eliminata nel lager o nei mattatoi, disciplinata nei corpi-macchina o regolata nei corpi-specie, è zoè dove maggiore è la presa della forza normativa dei nuovi regimi di governo della vita”. Passeggiando così per l’Union Stock Yards di Chicago, il primo immenso mattatoio industriale nato nel 1865 in America, che reifica i corpi degli animali quanto quelli degli umani entrambi parti indifferenziati dell’ingranaggio che smantella i corpi, e dunque incontrando Laika, la cagnetta lanciata nello spazio destinata a morte certa, e poi gli ibridi darwiniani, muovendoci dunque per le opere surreali di Franz Kafka, i mondi paralleli di Jacob von Uexküll, quelli fiabeschi di Lewis Carroll e molti altri ancora, Angelo – questo il nome del gatto protagonista dell’annunciazione di Lotto – ci porta in giro fino negli abissi dell’inferno, dove ad attenderci vi è il Grande Macellaio pronto ad infierire sui corpi sostituibili degli esseri viventi e a nutrirsi di carne viva. Alla fine di questo “fantastico” percorso, tra scimmie parlanti e vacche spaziali, blatte ed elefanti, Angelo ci invita, come Deluze e il Gatto del Cheshire di Alice, ad abbandonare la nostra identità, a guardare il mondo con occhi nuovi, per poi, alla fine di questa avventura,“con la coda sollevata e uno sguardo che non tradisce più paura”, si allontana lentamente portandosi verso il centro del dipinto “per aggiungersi all’abbraccio corale, per confondersi anch’egli o anch’ella con gli altri. Questo gatto ci ha accompagnati attraverso mattatoi e allevamenti, laboratori e zoo, navicelle spaziali e ascensori per l’inferno, campi di battaglia e campi di sterminio, mostrandoci con sofferenza che l’inferno non è qualcosa che ci attende, ma è questa vita qui”.

Fonte: il cambiamento