Le 10 multinazionali del food che inquinano il Pianeta come se ne fossero 25

Ci sono 10 multinazionali del food che inquinano il Pianeta come 25 fabbriche dell’industria pesante. La classifica l’ha stilata la Ong Oxfam. Ci sono 10 aziende nel mondo che inquinano e che con le loro emissioni di gas in atmosfera contribuiscono a aggravare il riscaldamento globale. Non affrontano i cambiamenti climatici diminuendo le emissioni le aziende del settore alimentare, vere e proprie industrie che trasformano il cibo e che lo distribuiscono in tutto il mondo. Oxfam, che ha stilato la classifica delle 10 aziende che inquinano di più il Pianeta attraverso una pagella che viene aggiornata periodicamente. Nota Oxfam che se queste aziende fossero concentrate in un unico Paese inciderebbero sull’ambiente come le 25 aziende più inquinanti al mondo. Oxfam per stilare la classifica ha preso come parametri di riferimento quali: trasparenza aziendale; trattamento delle Donne che lavorano nella filiera produttiva; diritti dei braccianti agricoli nella filiera produttiva; trattamento economico e commerciale dei Piccoli produttori agricoli; terra, diritti d’accesso alla terra e uso sostenibile; acqua, diritti e accesso alle risorse idriche e uso sostenibile; cambiamento climatico, sia in materia di riduzione delle emissioni di gas serra che di aiuto agli agricoltori ad adattarsi ai cambiamenti climatici. La maggior parte delle 10 aziende è molto attenta all’uso dell’acqua ma piuttosto carente sul resto dei parametri. Ma come consumatori abbiamo la possibilità di chiedere alle 10 sorelle di impegnarsi maggiormente firmando la petizione di Oxfam.

1. General MillsGeneral Mills In Talks To Purchase Yoplait Yogurt

General Mills è concentrata sul risparmio delle acque utilizzate ma l’azienda non è impegnata a tutelare l’accesso alle risorse idriche verso le comunità coinvolte nelle proprie attività. Per quanto riguarda le politiche per il contenimento delle emissioni agricole, non risultano a Oxfam azioni in merito il che la pone in cima alla classifica delle aziende più inquinanti.

2.Associatetd British FoodsLondon 2012 - Shopping - Twinings On The Strand

Per Oxfam ABF ha una politica dell’acqua fallimentare. Non sono riconosciuti impegni per la riduzione del consumo di acqua o riconoscimento ufficiale del diritto all’acqua.

3.Kellogs’

Kellogg Reports 10 Percent Rise In Profits For 2003

Questa azienda ha migliorato le politiche su donne, terra, acqua e clima, sui diritti alla terra e dei lavoratori ma Oxfam ha verificato la mancanza di sostegno ai produttori di piccola scala. Poco tutelati anche i diritti dei braccianti ma molto informazioni riconosce Oxfam sono presentate in maniera più trasparente.

4. Mars(FILES) Picture taken September 21, 2007

Per Oxfam questa azienda è senza infamia e senza lode. Nell’insieme adotta una serie di comportamenti virtuosi ma è carente sulla politica per la terra poiché l’azienda non ha conoscenza in merito e non sembra neanche interessa a agire in proposito.

5. DanoneFRANCE-FOOD-DANONE

Oxfam riconosce a Danone, il gigante dello yogurt e dei marchi Evian e Volvic, di adottare una politica al di sopra della media per la tutela dell’acqua, clima e trasparenza. Ma questa multinazionale risulta carente nel sostegno alle donne, agricoltori o ai diritti legati alla terra.

6. Mendelez

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Questa azienda (Milka e Oreo tra i suoi marchi più famosi) è ultima su politiche per contrastare i cambiamenti climatici; si sforza su acqua, trasparenza e diritti alla terra. Oxfam riconosce gli impegni presi sul rispetto dei diritti delle donne il che potrebbe fare la differenza.

7. PepsiCoPepsi Bioreactive Concert Featuring A-TRAK, Powered By Lightwave

PepsiCo è particolarmente impegnata sulle politiche climatiche ma poco incline nelle questioni che riguardano i diritti degli agricoltori e delle donne e mostra anche poca trasparenza.

8. Coca ColaPALESTINIAN-ISRAEL-ECONOMY-COCA COLA

Coca-Cola è al top per quanto riguarda i diritti alla terra e delle donne. Ha un punteggio alto sulle politiche per i lavoratori, il cambiamento climatico e l’acqua. È ancora però distante dalle aziende al top a causa delle deboli politiche di sostegno ai produttori agricoli.

9. UnileverINDIA-BRITAIN-NETHERLANDS-ECONOMY

Il voto globale assegnato da Oxfam è discreto grazie agli impegni in sostegno ai piccoli agricoltori e ai diritti dei lavoratori; ci sono interventi anche per contrastare i cambiamenti climatici e per la gestione dell’uso dell’acqua. Unilever ha recentemente preso nuovi impegni per i diritti delle donne, ma può ancora migliorare.

10. NestlèSWITZERLAND-FOOD-BUSINESS-EARNINGS-NESTLE

Nella parte più bassa della classifica e dunque azienda più virtuosa è Nestlé che ha adottato una serie di azioni per contrastare i cambiamenti climatici tanto che ora ha iniziato a chiedere ai suoi fornitori di agire direttamente. Ha politiche in merito al consumo d’acqua, diritti dei braccianti (prima a pari merito) ed è l’azienda più trasparente. Gli impegni assunti da Nestlé possono fare la differenza nel garantire i diritti delle donne che lavorano nella sua filiera. ma ricorda Oxfam:
Nestlé mostra qualche progresso in tema terra con la revisione delle sue linee giuda sulle forniture, ma la mancata condanna dei fenomeni di land grabbing le impedisce essere un vero leader nelle politiche del settore.
© Foto Getty Images
Fonte: ecoblog.it

CO2: i colossi mondiali dell’alimentazione ne emettono più della Scandinavia

Secondo l’ultimo rapporto pubblicato da Oxfam, le 10 maggiori multinazionali dell’alimentazione emettono ogni anno più CO2 di tutti i paesi del nord Europa messi insieme. Kelloggs e General Mills sono considerate le “peggiori”379246

Le 10 maggiori multinazionali del settore alimentare emettono da sole più CO2 di quante ne producano insieme Finlandia, Svezia, Danimarca, Norvegia e Islanda. La denuncia arriva dal nuovo rapporto “Standing on the Sidelines”, pubblicato dalla confederazione di organizzazioni non governative Oxfam.

«Queste aziende hanno il dovere di scendere in campo e usare la loro influenza per richiedere provvedimenti climatici urgenti con governi e altre industrie – scrive Oxfamnel suo studio – e di garantire che le loro catene di approvvigionamento siano in grado di produrre gli ingredienti in modi più equi e sostenibili».

Le multinazionali in questione (Associated British Foods, Coca Cola, Danone, General Mills, Kelloggs, Marte, Mondelez International, Nestlé, PepsiCo e Unilever) sarebbero in grado, adottando politiche ad hoc, di tagliare le loro emissioni complessive di circa 80 milioni di tonnellate entro il 2020. Attualmente, spiega Oxfam, questi marchi emettono ogni anno circa 263,7 milioni di tonnellate di CO2. Le “peggiori”, in particolare, sarebbero Kelloggs e General Mills, che «continuano a tollerare nella propria catena di approvvigionamento massicci tassi di deforestazione». La contraddizione è che i prodotti commercializzati da queste due aziende sono altamente vulnerabili al cambiamento climatico, tanto che il prezzo al dettaglio dei Kelloggs Corn Flakes potrebbe salire di oltre il 44% nei prossimi 15 anni.

Fonte: ecodallecittà.it

Oxfam boccia il Paese della Dieta Mediterranea: è in Olanda che si mangia meglio

Il Paese simbolo della Dieta Mediterranea delude le aspettative di Oxfam, infatti non è l’Italia che si piazza all’8° posto, bensì l’Olanda ad avere la dieta è più sana, abbondante, nutriente e economica e batte persino Francia e Svizzera1oxfam-best-worst-food-map-620x350

Secondo il Rapporto Oxfam Good Enough to Eat è l’Olanda il Paese numero 1 al mondo per la dieta più abbondante, nutriente, sana ed economico battendo la Francia e la Svizzera che si piazza al secondo posto. Il Ciad si classifica in coda alla lista dei 125 Paesi presi in esame dietro Etiopia e Angola. I Paesi europei occupano tutta la parte superiore della classifica coprendo i primi 20 posti con l’eccezione dell’Australia che si colloca all’ 8 ° posto, mentre Stati Uniti, Giappone, Nuova Zelanda, Brasile e Canada seguono il resto della classifica. Occupano le posizioni peggiori 30 Paesi Africani con Laos, Bangladesh, Pakistan e India. L’Italia si piazza all’ 8° posto a causa degli elevati livelli di obesità e diabete che spingono il nostro Paese verso il basso nella classifica mondiale. Good Enough to Eat di Oxfam ha messo a confronto 125 paesi nel merito delle sfide che le persone devono affrontare ogni giorno per procurarsi un pasto completo analizzando se hanno abbastanza da mangiare, cibo di qualità, l’accessibilità al cibo e la salubrità alimentare. La ricerca rientra nella campagna GROW in cui Oxfam chiede una riforma urgente per il modo in cui il cibo viene prodotto e distribuito in tutto il mondo per porre fine allo scandalo per cui una persona su otto soffre la fame nonostante ci sia cibo sufficiente a sfamare tutti. Sulla convenienza il Regno Unito è tra i peggiori Paesi in Europa occidentale condividendo la 20sima posizione con Cipro; il cibo in Guinea, Gambia, Ciad e Iran costa due volte e mezzo più di altri beni di consumo, rendendo questi Paesi tra i più cari al mondo; il prezzo del cibo negli Stati Uniti è il più economico e più stabile del mondo mentre Angola e Zimbabwe soffrono per i prezzi alimentari più volatili. I paesi i cui cittadini devono lottare per avere cibo a sufficienza e con elevato numero di bambini malnutriti e sottopeso sono Burundi, Yemen, Madagascar e India. Ma qualche vantaggio lo hanno anche Cambogia e Burundi essendo i Paesi che registrano i livelli di obesità e diabete più bassi nel mondo mentre gli Stati Uniti, Messico, Fiji, Giordania, Kuwait e Arabia Saudita svettano con i più alti tassi per obesità e diabete. L’Islanda ha un mix perfetto per la qualità del suo cibo, in termini di diversità nutrizionale e acqua potabile, ma i livelli di obesità e diabete la spingono verso il basso al 13 ° posto così come gli Stati Uniti che finiscono al 21° posto.

Winnie Byanyima direttore esecutivo di Oxfam International ha dichiarato:

Questa classifica mette a nudo i problemi più comuni che le persone hanno con il cibo indipendentemente da dove essi provengono e rivela come il mondo non riesce a garantire che tutti possano mangiare in modo sano nonostante ci sia abbastanza cibo per tutti.

Fonte: Oxfam

Biocarburanti, “occasione persa per il Parlamento europeo”

Il voto dell’Assemblea di Strasburgo che limita l’uso di biocarburanti al 6% rispetto al 10% di energia da fonti rinnovabili nel settore dei trasporti per il 2020 non offre nessuna soluzione efficace per la difesa dell’ambiente e della sicurezza alimentare. È quanto sostengono ActionAid e Oxfam Italia che definiscono il voto del Parlamento europeo “un compromesso al ribasso”.biocarburanti8_

“Il Parlamento Europeo ha deciso oggi di destinare alla produzione di biocarburanti un quantitativo di prodotti agricoli capace di sfamare oltre 200 milioni di persone”

“Oggi il Parlamento Europeo ha perso l’occasione di promuovere il consumo e la produzione di biocarburanti sostenibili”. Questo il primo commento di ActionAid e Oxfam Italia dopo il voto dell’11 settembre a Strasburgo sulla proposta di modifica del cosiddetto “pacchetto ILUC”, che riguarda le emissioni indirette determinate dall’utilizzo di coltivazioni agroalimentari a fini energetici. Per migliorare la performance ambientale e sociale dei biocarburanti europei lo scorso ottobre la Commissione ha proposto di dimezzare l’utilizzo di quelli di “prima generazione”, cioè quelli ricavati a partire da coltivazioni alimentari, rispetto all’obiettivo del 10% di energia da fonti rinnovabili nel settore dei trasporti. Il Parlamento ha votato ora, a stretta maggioranza, per portare questa soglia al 6% sull’utilizzo di biocarburanti realizzati a partire da coltivazioni alimentari o energetiche dedicate. “Si tratta di un voto deludente che, se da un lato riconosce gli enormi problemi sociali e ambientali che i biocarburanti di prima generazione causano, dall’altro non offre nessuna soluzione efficace alle conseguenze negative che producono su scala globale sulla sicurezza alimentare e l’ambiente”, ha affermato Elisa Bacciotti, Direttrice Campagne di Oxfam Italia. L’attuale media di miscelazione europea , pari al 4,5%, fa sì che vi sia un consistente margine per l’aumento del consumo di biocarburanti di prima generazione in Europa nei prossimi anni. “Con il suo voto per un 6% – riferiscono ActionAid e Oxfam Italia – il Parlamento Europeo ha deciso oggi di destinare alla produzione di biocarburanti un quantitativo di prodotti agricoli capace di sfamare oltre 200 milioni di persone”. “In un mondo dove quasi una persona su otto è affamata, e dove il rialzo dei prezzi alimentari, spinto anche dalla domanda agro energetica, è un problema di portata epocale per il futuro di miliardi di persone, ci aspettavamo che il Parlamento Europeo desse un segnale più forte rispetto alla proposta della stessa Commissione”, ha spiegato Marco De Ponte, Segretario Generale di ActionAid. Si tratta dunque di un compromesso al ribasso, frutto dell’azione delle lobby europee sui biocarburanti, che beneficiano di un mercato ad hoc sussidiato dall’Unione Europea e che costa ai Paesi membri 6 miliardi di euro l’anno. È un risultato che poteva dunque essere addirittura peggiore – spiegano ancora da ActionAid e Oxfam Italia – se non si fosse mobilitata la società civile a livello europeo: grazie alla petizione lanciata da ActionAid e Oxfam Italia su Change.org, in appena due settimane oltre 20mila italiani hanno chiesto agli eurodeputati di votare contro i biocarburanti che causano la fame (#NoFoodForFuel). Nell’ultimo anno, inoltre sono state quasi 250mila le persone che a livello europeo si sono mobilitate per chiedere alle istituzioni comunitarie e ai Paesi membri di promuovere politiche sostenibili sui biocarburanti. Adesso è il turno del Consiglio Europeo che dovrà pronunciarsi sulle modifiche votate dal Parlamento. Con il voto di oggi, pur deludente e inadeguato, il Parlamento ha comunque lanciato un messaggio importante sulla necessità di porre un tetto al consumo di biocarburanti che provocano la fame. “Chiediamo ai Ministri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico, Orlando e Zanonato, di accogliere questo messaggio e quello lanciato dalle migliaia di persone che hanno sostenuto la nostra petizione,” hanno concluso ActionAid e Oxfam Italia. “Il Governo non può continuare ad ignorare questi segnali ed è necessario che si esprima al più presto in modo chiaro a sostegno del rafforzamento del limite all’utilizzo di cibo e terra per la produzione di biocarburanti, spingendo in Europa per posizioni più ambiziose e lungimiranti rispetto a quelle proposte oggi dallo stesso Parlamento europeo”.

Fonti: ActionAid, Oxfam Italia

 

OXFAM: multinazionali del cibo prendono l’insufficienza per etica e ambiente

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Come Greenpeace dà una pagella di performance ambientale alle grandi aziende elettroniche, così l’ong Oxfam ha dato un punteggio alle multinazionali del cibo, valutandole in 7 diverse categorie etico-ambientali: diritto alla terra, diritti dei lavoratori e delle donne, sostegno ai contadini, gestione dell’acqua, riduzione delle emissioni serra e trasparenza nel proprio operato.

Come si vede dall’immagine qui sopra, nessuna multinazionale ha raggiunto la sufficienza.

I tre marchi più noti a livello mondiale, NestlèUnilever e Coca Cola hanno fatto meno peggio degli altri con voti tra il 4 e il 5 e 1/2, forse perché più attenti all’immagine e più dediti al greenwashing, anche se va ricordato che General Mills che ha preso un bel 2 è un partner di Nestlè.

Nettamente insufficienti con punteggi tra il 2 e il 3 altri noti marchi come Pepsi, Mars, Danone e Kellog’s.

Occorre anche notare che i punteggi sono molto bassi soprattutto rispetto ai diritti, in particolare il diritto alla terra e i diritti delle donne.

Oxfam commenta dicendo che mentre a parole tutte le aziende riconoscono che bisogna rendere più giusto il sistema alimentare, poche hanno intrapreso concreti passi in questa direzione. Il messaggio della ong ai cittadini è molto chiaro:

Le più grandi aziende alimentari del mondo hanno un grande potere, ma tu ne hai di più. E siccome non stanno usando abbastanza il loro per sostenere le comunità più povere o l’ambiente del pianeta, puoi usare il tuo per cambiare il modo in cui fanno affari.

Come? Smettendo di comprarne i prodotti e dicendoglielo.

Fonte; ecoblog