La storia della “mela musona” e di Sarah, che ha cambiato vita per dedicarsi alle api

Una piccola azienda agricola nello spezzino che racchiude una grande storia d’amore e di cambio vita. Si chiama La Mela Musona e si trova a Colli di Maissana; qui Sarah, Gabriele e i loro due bambini vivono producendo miele e coltivando verdure solo con acqua e sole.

La Spezia – Siamo a Colli di Maissana, in Val di Vara, a 760 metri di altitudine. Qui Sarah e Gabriele vivono insieme ai loro figli, circondati da orti e alberi da frutto. Sarah è inglese e nel suo CV non c’è una formazione agraria, ma un passato nel mondo della danza: «Prima di venire a vivere in Italia lavoravo come ballerina, ho studiato alla scuola di danza di Londra». Nel frattempo conosce Gabriele, originario di Casarza Ligure, sulla nave da crociera su cui era imbarcata. «Dopo qualche anno di avanti e indietro, nel 2005, ho deciso di cambiare vita e trasferirmi in Liguria. All’inizio ho lavorato in palestra, come insegnante, e con i cavalli, mio grande amore dall’infanzia».

Dopo la nascita dei figli però, Sarah sente l’esigenza di fermarsi e coltivare la sua passione per le api: «Sin da quando ero piccola, mi è sempre piaciuto andarle a cercare, osservarle, sedermi in un campo di fiori per scattar loro delle foto. Così, dopo aver seguito diversi corsi di apicoltura e potendo contare anche sui terreni di famiglia, è stato abbastanza naturale per noi virare sulla dimensione agricola».

Nel 2017 apre ufficialmente l’azienda agricola La Mela Musona, con una ventina di alveari e 2000 metri quadrati di orto e frutteto. «Certo, non è stato semplicissimo, occorrono tanti lavori piccoli per poter iniziare, ma dopo un po’ di anni di fatica, ora stiamo riuscendo ad ampliarci».

Sarah – La Mela Musona

LE ARNIE NOMADI

Adesso i ragazzi della Mela Musona hanno 50 alveari che non sono stanziali, ma “traslocano” a seconda della stagione per agevolare il processo di impollinazione. «Con le api seguiamo un approccio votato al nomadismo: in inverno vivono a Castiglione Chiavarese e producono il miele di erika, il nostro punto forte».

D’estate gli insetti si spostano a Sesta Godano, in un bel bosco di acacie: «Poi ancora le trasferiamo a Velva, dove c’è un mix di castagno e tiglio, mentre l’altra metà da noi a Colli di Maissana per il miele di castagno». Movimentare le arnie è una tecnica molto diffusa per la produzione di diverse varietà di miele, che valorizza le fioriture stagionali.

IL NOME

La “mela musona” è una una varietà autoctona di queste vallate ed è il simbolo del paese dove vivono Sarah e la sua famiglia: «La prima cosa che vedi quando giri la curva ed entri a Colli di Maissana è un bell’albero di mela musona. Proprio per questo l’abbiamo scelta come mascotte della nostra azienda agricola: è una varietà locale antica e dalla forma particolare, un po’ allungata, di piccole dimensioni e molto saporita».

Il frutteto è ancora giovane, di recente piantumazione, ma inizia a dare i primi frutti: qui le mele fanno compagnia a prugne, ciliegie, amarene e albicocche.

L’ORTO

Nei campi della Mela Musona si segue un approccio naturale e si coltivano ortaggi di stagione, tra cui le cipolle di Pignona: «Cresciamo le nostre verdure solo con acqua e sole. Seguiamo tutte le tecniche del biologico e anche se non siamo certificati; siamo dell’idea che la cosa importante sia dire sempre la verità al cliente, con cui si deve instaurare un rapporto basato sulla fiducia».

Chi acquista le verdure da loro sa con quali modalità si coltiva e può visitare i terreni dell’azienda. «D’altronde, non utilizzando sostanze, ci ritroviamo qualche cavolo con le foglie “bucate” dalle lumache, segnale però che di chimica sopra non c’è traccia. Meglio un cavolo perfetto, ma trattato, o uno con qualche imperfezione naturale?».

L’APPROCCIO SOCIALE

A breve La Mela Musona diventerà una fattoria didattica. L’intento è quello di poter offrire alle scuole già dalla prossima primavera un “pacchetto” per visitare l’azienda e conoscere più da vicino il mondo delle api: «Ho già fatto qualche piccolo laboratorio nelle scuole, ho notato che molti bambini hanno il terrore degli insetti e soprattutto delle api. Per questo più se ne insegna l’importanza, meglio è».

L’azienda agricola esprime la sua vocazione sociale e sostenibile aderendo all’associazione BbaKY, che sta creando sul territorio una rete di consumatori, aziende agricole, G.A.S. e associazioni che promuovano occasioni di un agire collettivo votato a pratiche di sostenibilità: «Ospiteremo presto un gruppo di ragazzi per condividere con loro i segreti del mestiere dell’apicoltore. Spiegheremo come preparare un alveare, faremo pratica in apiario e produrremo il miele. Ma mostreremo loro anche come funziona un banco del mercato, affinché imparino anche a gestire il processo di vendita».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/11/sarah-mela-musona/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Banca dei semi, educazione alimentare e consegne ecologiche: quando un orto è molto più di un orto

Luca e Fabio, due ragazzi palermitani, nel loro orto non coltivano solo ortaggi biologici ed erbe aromatiche, ma anche sogni e buone pratiche. Vi raccontiamo la loro storia e quella del progetto che hanno lanciato, che passo dopo passo vuole diffondere consapevolezza e sostenibilità a Palermo.

PalermoSicilia – Sono degli appassionati custodi della biodiversità Fabio e Luca, che da circa un anno hanno deciso di coltivare un orto a Piana dei Colli, a pochi chilometri di distanza dal centro storico di Palermo. Un orto che è cresciuto e si è evoluto insieme ai sogni dei due che gli hanno dato vita e se ne prendono cura ogni giorno. Quello che era nato un po’ per gioco e un po’ per passione si è a poco a poco trasformato in un giardino che è ormai uno scrigno di piante spontanee alimentari, fiori, erbe officinali e aromatiche e ortaggi antichi, rari e biologici.Luca e Fabio, in questo anno particolare, hanno deciso di evolvere la loro attività, hanno aperto l’associazione Aterraterra consegnano in bici i loro ortaggi ed erbe in delle buste ai residenti del centro storico di Palermo. Le loro bags vengono consegnate in modo del tutto ecosostenibile in bici agli associati ogni settimana e ogni settimana tutti sanno che ci saranno prodotti diversi in base all’orto e alla stagionalità. Il numero di bags che riescono a garantire in questo momento è destinato a crescere perché le richieste sono sempre di più.

Foto di Valeria Monti

Ma c’è tanto altro che ruota attorno a quel giardino ricco di colori e profumi spesso dimenticati. Intanto l’orto nato dalla grande cura, ricerca e dedizione di Luca Cinquemani e Fabio Aranzulla non nasce dalle piantine come spesso accade, bensì quasi esclusivamente dai semi che cercano da anziani contadini o tramite associazioni o banche dei semi. «Ci piacerebbe un giorno creare anche noi una banca dei semi – racconta Luca – oltre a ricercare ortaggi e piante rare e selvatiche abbiamo appreso delle tecniche di impollinazione grazie alle quali riusciamo ad ottenere e salvare le sementi di queste piante anno dopo anno».

Questa operazione di conservazione delle varietà antiche e rare consente di preservare un’alta biodiversità, che purtroppo a causa della grande distribuzione si sta sempre più perdendo a scapito anche di un’alimentazione variegata. «Cerchiamo di fare educazione alimentare: quando consegniamo le bags diamo consigli su come cucinare gli ortaggi rari e antichi o le erbe spontanee commestibili. Stiamo recuperando vecchie ricette e le tramandiamo, perché in tanti non conoscono alcuni dei nostri prodotti e abbiamo riscontrato un grandissimo interesse e tanta curiosità: molti vogliono vedere e provare sapori nuovi seppure antichi, lasciarsi stupire da gusti e consistenze mai provati».

Foto di Valeria Monti

Un progetto che si interseca e si intreccia con l’educazione alimentare, ma anche con l’arte, l’attivismo e la cultura: «Siamo coinvolti in diversi progetti culturali – aggiunge Luca –, ci piace molto far incontrare il mondo dell’agricoltura con altri ambiti culturali e per noi è importante invitare i giovani qui a scoprire il nostro orto e le nostre piante, sono venuti diversi studenti, ricercatori, ma anche cineasti».

L’orto continua a crescere, così come le interazioni di Luca e Fabio con agricoltori, cooperative, associazioni, studenti, attivisti, artisti, aziende e privati, così anche le loro idee e i loro sogni aumentano di volume. Uno dei prossimi obiettivi è quello di cominciare la coltivazione di un altro terreno per estendere il progetto e la sperimentazione e allo stesso tempo potenziare e arricchire l’offerta di prodotti, riuscendo così a consegnare più bags. Intanto grazie alla neonata collaborazione con la Cooperativa Agricola Valdibella il loro paniere si è già arricchito di prodotti agricoli e freschi che arrivano direttamente da Camporeale e anche di conserve e di prodotti trasformati sempre e rigorosamente biologici.

«Io e Fabio – aggiunge Luca – ci siamo incontrati casualmente, lui era da poco arrivato a Palermo dalla Germania, è venuto a trovarmi all’orto e si è messo a lavorare insieme a me in modo del tutto spontaneo. Condividevamo appieno sin dall’inizio il modo di vedere sui temi della biodiversità, dell’ecosostenibilità e un comune amore e rispetto per le piante e per le altre forme di vita».

Foto di Valeria Monti

Da quel momento i due hanno iniziato a progettare e lavorare insieme: «Ci riempie di gioia coltivare la terra, vedere le piante che crescono piano piano, e ora cominciano ad arrivare i risultati. Ci ha sorpresi la bella risposta delle persone, ci siamo lasciati coinvolgere in tante collaborazioni, i feedback sono positivi. Siamo cresciuti e siamo contenti e orgogliosi. Speriamo che questa pratica ecosostenibile prenda piede a Palermo e diventi sempre più diffusa».

Tante le collaborazioni in corso, oltre a quella con la Cooperativa Agricola Valdibella, la partecipazione al programma di Between Land and Sea, con il progetto tra Sicilia e Tunisia dal titolo “School of Water Scarcity”, nato dalla collaborazione con il documentarista e ricercatore Habib Ayeb e il ricercatore Enrico Milazzo del Collettivo Epidemia, la partecipazione alla Summer School del Caffè Internazionale, con la Summer School Difficult Heritage (Royal Institute of Art Stockholm & University of Basel) e con tanti altri agricoltori, attivisti e artisti.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/10/banca-semi-orto/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Nasce il Badante agricolo di comunità che aiuta le persone anziane nella cura dell’orto

E se le persone anziane e i giovani migranti si incontrassero, per prendersi cura insieme di un pezzo di orto, scambiandosi aiuto e conoscenze? Da questa domanda nasce a Ivrea e Castellamonte il progetto “Badante agricolo di Comunità”, per far incontrare due mondi e due culture diverse per creare comunità.

Torino – Il progetto “Badante agricolo di Comunità” si propone di far incontrare in un’attività di utilità comune due mondi e due culture apparentemente lontane: quello dei giovani migranti richiedenti asilo in cerca di un ruolo attivo nel loro territorio di adozione e quello delle persone anziane residenti sul territorio che necessitano di essere aiutate nella gestione del proprio orto. Il progetto coinvolge due realtà attive a Ivrea e Castellamonte, nel torinese, che sono rispettivamente l’Orto della Palude e l’Orto-giardino sociale: in questi spazi si propone di favorire l’inclusione e una reale integrazione di persone migranti, mettendo in comunicazione il loro bisogno di trovare un ruolo attivo nella comunità di adozione e il bisogno delle persone anziane residenti, delle famiglie che non riescono a prendersi cura del proprio giardino o dei comuni con aree verdi pubbliche che possono essere gestite in compartecipazione con la comunità. Si tratta dunque di un progetto che è anche incontro intergenerazionale, tra due mondi e due culture differenti.

E se le persone anziane e i giovani migranti si incontrassero, per prendersi cura insieme di un pezzo di orto, scambiandosi aiuto e conoscenze? Da questa domanda nasce a Ivrea e Castellamonte il progetto “Badante agricolo di Comunità”, per far incontrare due mondi e due culture diverse per creare comunità.

Torino – Il progetto “Badante agricolo di Comunità” si propone di far incontrare in un’attività di utilità comune due mondi e due culture apparentemente lontane: quello dei giovani migranti richiedenti asilo in cerca di un ruolo attivo nel loro territorio di adozione e quello delle persone anziane residenti sul territorio che necessitano di essere aiutate nella gestione del proprio orto. Il progetto coinvolge due realtà attive a Ivrea e Castellamonte, nel torinese, che sono rispettivamente l’Orto della Palude e l’Orto-giardino sociale: in questi spazi si propone di favorire l’inclusione e una reale integrazione di persone migranti, mettendo in comunicazione il loro bisogno di trovare un ruolo attivo nella comunità di adozione e il bisogno delle persone anziane residenti, delle famiglie che non riescono a prendersi cura del proprio giardino o dei comuni con aree verdi pubbliche che possono essere gestite in compartecipazione con la comunità. Si tratta dunque di un progetto che è anche incontro intergenerazionale, tra due mondi e due culture differenti.

Così gli orti sociali e i giardini diventano lo spazio in cui si fa comunità, luogo di incontro e scambio tra nuovi cittadini e popolazione locale. Il progetto si inserisce infatti all’interno di pratiche virtuose che vedono centrali la riqualificazione delle zone verdi e degli orti sociali in città, con un’attenzione ai valori dell’inclusione sociale e dell’inserimento al lavoro dei più deboli ed emarginati.Il progetto coinvolge gli orti sociali di Castellamonte e di Ivrea, che in invitano i cittadini ad avvicinarsi al tema dell’agricoltura urbana non solo partecipando agli eventi promossi negli orti sociali, ma anche e soprattutto a rendersi disponibili ad accogliere un badante agricolo e coltivare l’orto insieme a lui, iniziando da alcuni mesi di prova. Se l’incontro e la collaborazione avranno esito positivo, sarà possibile continuare ad avvalersi dell’aiuto del badante agricolo, attivando per lui un libretto famiglia. Partecipando al progetto, i cittadini potranno anche trovare supporto e consigli per la coltivazione e la gestione del proprio giardino presso gli orti sociali. Nello specifico, il progetto prevede due fasi: nella prima, due gruppi di giovani migranti parteciperanno a un percorso di formazione in orticultura e manutenzione del giardino, presso i due orti. Nella seconda fase si raccoglieranno le richieste di anziani e famiglie dei due territori e i ragazzi saranno accompagnati, con la mediazione di un tutor, ad entrare nelle case e a iniziare il loro lavoro di “Badante Agricolo”. L’obiettivo è che le famiglie proseguano il rapporto con i ragazzi, anche dopo il termine del progetto, aprendo per loro un libretto di famiglia, in modo da avviare per loro una vera attività lavorativa e concorrere alla loro autonomia.

Così gli orti sociali e i giardini diventano lo spazio in cui si fa comunità, luogo di incontro e scambio tra nuovi cittadini e popolazione locale. Il progetto si inserisce infatti all’interno di pratiche virtuose che vedono centrali la riqualificazione delle zone verdi e degli orti sociali in città, con un’attenzione ai valori dell’inclusione sociale e dell’inserimento al lavoro dei più deboli ed emarginati.Il progetto coinvolge gli orti sociali di Castellamonte e di Ivrea, che in invitano i cittadini ad avvicinarsi al tema dell’agricoltura urbana non solo partecipando agli eventi promossi negli orti sociali, ma anche e soprattutto a rendersi disponibili ad accogliere un badante agricolo e coltivare l’orto insieme a lui, iniziando da alcuni mesi di prova. Se l’incontro e la collaborazione avranno esito positivo, sarà possibile continuare ad avvalersi dell’aiuto del badante agricolo, attivando per lui un libretto famiglia. Partecipando al progetto, i cittadini potranno anche trovare supporto e consigli per la coltivazione e la gestione del proprio giardino presso gli orti sociali. Nello specifico, il progetto prevede due fasi: nella prima, due gruppi di giovani migranti parteciperanno a un percorso di formazione in orticultura e manutenzione del giardino, presso i due orti. Nella seconda fase si raccoglieranno le richieste di anziani e famiglie dei due territori e i ragazzi saranno accompagnati, con la mediazione di un tutor, ad entrare nelle case e a iniziare il loro lavoro di “Badante Agricolo”. L’obiettivo è che le famiglie proseguano il rapporto con i ragazzi, anche dopo il termine del progetto, aprendo per loro un libretto di famiglia, in modo da avviare per loro una vera attività lavorativa e concorrere alla loro autonomia.

Il progetto è promosso con il sostegno del Global Fund for Community Foundations, la Fondazione di Comunità del Canavese, in collaborazione con Consorzi InReTEe, CISS 38, Associazione SE.MI ed ECOREDIA. Un esempio concreto di questa esperienza è il caso dell’Orto della Palude di Ivrea, che ha coinvolto otto ragazzi sotto la guida del formatore Gianpiero Gauna, che con lui  hanno iniziato la lavorazione del terreno e l’impostazione dell’orto. In questo spazio, in cui si organizzano progetti educativi e formativi nelle scuole per diffondere una cultura del rispetto e della sostenibilità ambientale, è stato recentemente sottoscritto un Patto, coinvolgendo il circolo Legambiente Dora Baltea e le Associazioni Ecoredia e Senza Confini, per la cura e la valorizzazione dell’area insieme al Comune di Ivrea.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/07/badante-agricolo-di-comunita-orto/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Dall’ufficio di una multinazionale al frutteto: la storia di Elisabetta e Corrado

A Cecima, al confine tra Lombardia e Piemonte, Corrado ed Elisabetta sono riusciti a realizzare un importante progetto di vita: gestire un bed&breakfast, coltivare l’orto e prendersi cura dei loro alberi da frutto. Dopo anni di lavoro a Milano, hanno scelto di lasciare la città per ritrovare un contatto diretto e autentico con la natura. Non esiste il momento perfetto per cambiare vita, ma a volte è essenziale trovare il coraggio per farlo. Corrado e Elisabetta avevano un sogno nel cassetto: allontanarsi dalla città e vivere assecondando i ritmi della natura. A maggio dell’anno scorso, quando tutti uscivamo incerti e frastornati dal primo lungo lockdown, forse guardando il mondo per la prima volta con occhi nuovi e non più dalla prospettiva angusta di una finestra, per loro due è stato l’incredibile inizio di una nuova avventura. Solo pochi mesi prima, intorno a febbraio, si erano innamorati di un’antica casa di pietra con il fienile annesso e già ristrutturato, ideale per ospitare un bed and breakfast. «Quando è la cosa giusta, tutto sembra incastrarsi alla perfezione», mi racconta Corrado, mentre continua a innaffiare il giardino che circonda la casa, prima che faccia buio. Se c’è una cosa che ha imparato da quando si sono trasferiti a Cecima, è che la campagna richiede tanta cura e dedizione: «La luce del giorno segna il ritmo, finché c’è luce si può continuare a lavorare».

Dopo essere stato diversi anni responsabile per l’Italia di una multinazionale svedese, proprio nel momento in cui la vita sembrava non riservare più grandi stravolgimenti e inversioni di rotta, Corrado ha deciso di abbandonare il suo lavoro e cercare insieme a Elisabetta di vivere in modo più autentico, lontani dal frastuono cittadino. «Eravamo stanchi dei ritmi forsennati della città. In campagna si lavora molto, eppure siamo più felici», mi racconta Corrado. Non è sempre stato facile prendere delle decisioni e cimentarsi in qualcosa di completamente nuovo. Il loro progetto è stato costellato anche di inevitabili errori, su cui hanno saputo farsi una bella risata e imparare qualcosa in più. L’antico fienile oggi ospita due monolocali e due bilocali per accogliere i clienti del B&B, che spesso finiscono per diventare amici, complice la calorosa accoglienza dei padroni di casa. Arredati e dotati di ogni comfort, è possibile trascorrervi periodi anche più lunghi, nell’ottica di una nuova forma di turismo a passo lento. Il Velo di Maya – questo è il nome che hanno scelto per la loro nuova casa – è un luogo incantevole in cui rifugiarsi. Il paesaggio collinare degrada dolcemente verso valle e regala ogni giorno uno spettacolo unico.

Corrado e Elisabetta hanno in progetto di dedicare questo spazio a varie attività, come seminari, trattamenti olistici, eventi, presentazioni di libri. Purtroppo la situazione che ci troviamo a vivere ha interrotto molte delle iniziative in programma, ma Il Velo di Maya continua a essere un luogo di pace in cui trascorrere un week-end di relax o più giorni, anche per lavorare da remoto senza rinunciare al contatto con la natura. Il giardino, di circa quattromila metri quadrati, inizia a regalare i suoi preziosi frutti. Sono stati messi a dimora peschi, albicocchi, peri, aceri rossi. Vi erano già dei noccioli, dei noci e dei ciliegi. «Il nostro obiettivo – prosegue Corrado – è renderci autosufficienti dal punto di vista alimentare, riuscendo a produrre nel nostro orto il necessario per vivere». Il terreno a loro disposizione è alquanto scosceso: dei terrazzamenti sono stati creati per ospitare l’orto, da accudire secondo i principi della permacultura, tenendo conto dei ritmi stagionali delle piante coltivate.

In questo luogo è facile ritrovare sé stessi, immersi nella pace dell’oltrepò pavese, con i suoi paesaggi mozzafiato. Si può visitare il centro storico di Cecima, con il suo dedalo di vicoli realizzati con i ciottoli del torrente Staffora, o dedicarsi a varie attività, come le escursioni a piedi, in mountain bike e a cavallo. Non lontano ci sono l’osservatorio astronomico di Cà del Monte e le terme di Rivanazzano. Oltre «l’illusione del velo di Maya in cui siamo costantemente immersi», Elisabetta e Corrado non smettono di ricercare la purezza di una nuova vita a contatto con la natura. La bellezza del paesaggio li ricambia ogni giorno per il coraggio con cui hanno intrapreso questa nuova avventura, oltre a far innamorare i fortunati ospiti di questa oasi di pace.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/04/ufficio-multinazionale-frutteto-elisabetta-corrado/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Il senso della vita in una passeggiata nell’orto

Invischiati in un eterno vortice che ci mangia tempo di vita, non riusciamo spesso più a trovare il senso dell’esistenza. Allora, proviamo a fermare la corsa dentro e fuori di noi. Proviamo ad assaporare il senso della vita attraverso la bellezza della natura che ci ricorda chi siamo e perché siamo qui. La natura è semplice, straordinaria e gratuita, il senso è lì.potager , fleurs et outils de jardinage

Probabilmente lo stato in cui versa il mondo e la crisi dell’umanità (che sta andando verso la propria autodistruzione) sono dovuti anche al fatto che tanti non riescono a trovare un senso all’esistenza. Siamo prigionieri in questa continua frenesia, che diventa inquietudine, una ricerca costante di qualcosa che ci acquieti, che ci appaghi in qualche modo; spesso si pensa debbano essere il consumo, il possesso, il successo, i soldi, l’apparire, la fama. O magari si pensa che una famiglia, uno stipendio regolare e le varie sicurezze materiali, possano darci quelle risposte esistenziali che cerchiamo costantemente e che sono parte integrante del genere umano.  C’è chi per trovare queste risposte si rivolge anche alle varie religioni che sono piene di dottrine, dogmi, credenze, divisioni e che sono quanto mai di più lontano da se stessi e se possibile ostacolano ancora di più la vera conoscenza. Oppure c’è chi ci si rivolge a meditazioni in tutte le salse, pratiche di tutti i tipi, guru, santoni, esperti, ognuno con la sua bella ricetta in mano, spesso pagata a caro prezzo dagli eterni insoddisfatti. Nonostante questi tentativi, la vita è sempre più complicata, difficile; siamo compressi fra mille impegni, il tempo si riduce costantemente in un tentativo impossibile di poter assorbire la valanga di stimoli che ci bombarda ogni giorno. In queste condizioni, il senso dell’esistenza diventa sempre più vago e il disagio aumenta e spesso si tramuta in disperazione. Cercando le cause delle difficoltà interiori è molto facile dare la colpa agli altri della propria insoddisfazione. I nemici a cui additare sono tanti: i colleghi, il datore di lavoro, il proprio compagno o compagna, gli immigrati, i diversi, i più deboli che da sempre sono la valvola di sfogo delle frustrazioni dei veri deboli, quelli che devono per forza prendersela con qualcuno non volendosela prendere con gli unici responsabili della propria situazione cioè se stessi. Per cercare e trovare risposta diverse a quelle fin qui citate, suggerisco a chiunque di coltivare un orto piantando alcuni alberi, magari da frutto o trovare un orto qualsiasi in cui ci sia permesso passeggiare anche per poco tempo al giorno e osservare. Osservare, perché vedere avviene costantemente e sempre più distrattamente, osservare invece implica attenzione e attenzione significa scoperta. In qualsiasi periodo dell’anno, ma soprattutto in primavera ed estate, si può osservare qualcosa che rimette al centro l’essenza della vita e fa capire dove sta il senso che si cerca costantemente e disperatamente in situazioni e persone che non lo daranno mai perché è dentro di noi e la natura ci fa da riflesso. Ogni giorno anche in un orto di poche decine di metri quadrati si osservano cose straordinarie. Vedere crescere dei frutti, degli ortaggi è qualcosa che ogni volta è stupefacente. Non serve veramente granché altro per comprendere il profondo significato dell’esistenza, che è fatta per meravigliarsi di quello che la natura nella sua infinita saggezza e capacità ci offre costantemente. Una ricchezza indicibile che non può che lasciare esterrefatti ogni volta nella sua semplicità e allo stesso tempo ricchezza e maestosità  eccezionale. E’ qualcosa che ha probabilmente delle similitudini con la crescita dei propri figli, perché ogni giorno si nota qualcosa di diverso e ogni giorno non è mai uguale ad un altro. E poter dare anche ai propri figli questa possibilità di vedere da vicino come funzionano le fantastiche leggi della vita e della natura è un insegnamento che nessuna tecnologia al mondo potrà mai eguagliare, in nessun caso e in nessun modo. Un insegnamento che rimarrà per sempre, a differenza delle nozioni che si dimenticano presto. E non c’è solo l’aspetto dell’osservazione ma anche la soddisfazione di poter coltivare il proprio sostentamento; chi lo ha provato sa perfettamente cosa significa in termini di senso del proprio lavoro e gratificazione per la propria perseveranza e passione nella cura e osservazione della natura. Il tripudio di fiori, foglie, ortaggi, alberi che esplodono di vita è il miglior viaggio dentro la natura e dentro se stessi che si possa fare. Non c’è bisogno di chissà quali paradisi tropicali quando il paradiso è di fronte o vicino a noi. Un viaggio che riempie di consapevolezza, bellezza e senso. Ma bisogna saper osservare, saper fermare la corsa dentro e fuori di noi e assaporare il senso attraverso la bellezza della natura che ci ricorda chi siamo e perché siamo qui. La natura è semplice, straordinaria e gratuita, il senso è lì.

Fonte: ilcambiamento.it

La Recyclerie, la nuova vita di una vecchia stazione di Parigi

Fattoria, orto, bar, biblioteca, centro culturale, laboratorio di riuso e riparazioni. Tutto questo è La Recyclerie, uno spazio nato a nord di Parigi nel 2014 dalla riconversione di una vecchia stazione e divenuto oggi un posto di svago incentrato sulle buone pratiche e sull’economia circolare. A nord di Parigi, nel quartiere di Glignancourt, la vecchia stazione di Ornano è divenuta nel 2014 un sogno ecosostenibile: una fattoria urbana incentrata sull’economia circolare. Ridurre, riutilizzare, riciclare: questi i valori principali che animano La Recyclerie, uno spazio di svago, condivisione e buon cibo per il corpo e per lo spirito.14702319_563665010497495_1247588298441467805_n

Nella struttura centrale sono situati un caffè ed una cantina dove poter apprezzare e bere le specialità coltivate nei 100 mq tra orto, serra acquaponica e tetto verde, dove ci sono 4 arnie che producono il miglior miele di Parigi.  Gli spazi verdi fiancheggiano i binari della vecchia circolare, così come il pollaio con 16 polli (che produce più di 4000 uova l’anno) e le due oche che possono scorrazzare e ripulire l’orto dalle erbe infestanti. Ovviamente tutto il terreno è reso fertile dalle cinque compostiere inserite in una serra di 130 mq, dove arrivano gli scarti del bar che i lombrichi trasformano in humus, di cui usufruisce anche il vicinato. Qui troviamo anche la vasca di acquaponica, alimentata con acqua piovana. L’orto si estende per 400 mq e oltre a “sfamare” i clienti del caffè, rappresenta un luogo di incontro con il vicinato.
L’ex garage della struttura è divenuto poi l’Atelier di René, un vero e proprio laboratorio dove si scoprono nuovi modi di creare, di riparare e riutilizzare.larecyclerie-360-600x358

Foto tratta dal sito di La Recyclerie

La Recyclerie ospita anche una biblioteca con 280 libri sui temi dell’ecosostenibilità e propone corsi e massaggi. Dalle ceneri di una vecchia stazione abbandonata da decenni è sorto insomma uno straordinario centro di condivisione e sostenibilità.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/10/la-recyclerie-nuova-vita-vecchia-stazione-parigi/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Vuoi ritrovare te stesso? Coltiva un orto

Una società che sta perdendo i valori, ogni senso della vita e di cosa sia veramente importante, molto più dei soldi, ha prodotto una moltitudine di persone con vari problemi, insicurezze e immaturità. Come uscirne? Potrebbe bastare un orto! Veramente.9665-10440.jpg

Ci sono troppe persone disadattate, che non sanno più quale sia lo scopo della propria esistenza e perché fanno quello che fanno. Non hanno più tempo, compresse fra le mille richieste e urgenze della società del consumismo che immette nella testa delle persone bisogni indotti e false necessità che hanno come unico obiettivo rimpinguare le tasche di chi gli vende qualcosa e farle girare incessantemente nella ruota da criceti. Fino poi ad arrivare alla vecchiaia, guardarsi indietro e non vedere nulla se non un affannarsi a essere come la società voleva che fossero ma non come loro volevano essere. O addirittura non essere nemmeno arrivati a pensare a come volevano essere, troppo presi a correre una gara in cui si sono messi spinti dalla famiglia, dalle convenzioni sociali, dalla paura di essere diversi da come la società vuole. Una gara che alla fine non ha portato da nessuna parte. In questo smarrimento e disagio,  tranne che per gravi patologie, shock o traumi pesanti subiti, in cui servono davvero terapie speciali, i problemi delle persone sono facilmente riconducibili a due elementi essenziali: la perdita della comunità e quindi di un ruolo definito e riconosciuto all’interno di essa e la perdita del contatto con la natura.  Chi propone corsi e ricette di tutti tipi, è ovviamente propenso a complicare le cose a fare pensare che i disagi e le difficoltà derivino da chissà quali problemi irrisolti, dinamiche familiari, subconscio e mille altri risvolti ma basta vedere come si sentono meglio le persone anche solo quando sono più vicine alla natura o quando fanno qualcosa di costruttivo, bello e utile con gli altri, per capire che le soluzioni sarebbero semplici, se solo si volessero adottare. Questi corsi o soluzioni difatti non propongono quasi mai dei cambiamenti di vita ma puntano spesso alle dinamiche interiori e all’acquietamento tramite tecniche e discipline varie. Che la prima rivoluzione sia quella interiore è vero ma bisogna poi anche passare all’azione, si può rimanere infatti anni e decenni dentro un ufficio illuminato di luce artificiale, in una città impazzita, facendo una vita di stress pensando che il cambiamento deve essere interiore senza mai prendere decisioni veramente risolutive per la propria situazione. Un rinnovato rapporto con la natura e con gli altri, non filtrato da mille dispositivi elettronici ma diretto, sincero e aperto, può fare miracoli e soprattutto fare risparmiare molti soldi e paranoie. E per riappropriarsi di se stessi senza spendere tanti soldi o seguire questo o quell’imbonitore, si può iniziare da un semplice e poco costoso orto. Ormai orti collettivi, cittadini, terre abbandonate, terre in prestito, terre in affitto, ce ne sono ovunque  e anche un piccolo giardino si presta ottimamente. Informatevi sulle tecniche di orticoltura biologica, sperimentatene anche di diverse, ce ne sono tante. Iniziate a piantare e mettere le mani nella terra, vedrete che se lo fate con impegno, passione e un minimo di studio, ai primi raccolti verificherete quanto può essere di aiuto e positivo fare una attività del genere, che non è solo gratis ma che ci fa anche guadagnare qualcosa dato che se ce lo coltiviamo non dobbiamo comprarlo. E non credete a chi vi dice che l’orto vuole l’uomo morto o che ci dobbiate passare dieci ore al giorno. Con le varie tecniche di permacultura, agricoltura biologica, orti sinergici, agricoltura organica, bioattiva e chi più ne ha, ne metta, se non si tratta di grandi appezzamenti, bastano anche una o due ore al giorno per avere buoni risultati e la soddisfazione di coltivarsi una parte del cibo con le proprie mani. Vedere crescere e mangiare quello che si pianta è una soddisfazione unica, indescrivibile, che riconnette con se stessi e le basi dell’esistenza. Non servono parole, non servono terapie, basta solo sentire, osservare, avere accortezza, attenzione, un po’ pazienza e i risultati sono eccezionali sia per il palato, che per la mente. Piantate alberi a vedeteli crescere e dare frutti e fatelo con i vostri figli, è una ricchezza e soddisfazione impagabile.

Fonte: ilcambiamento.it

Orto bioattivo: oltre il biologico. Il cambiamento che passa dal cibo che mangiamo

L’agricoltura bioattiva non è una semplice alternativa all’agricoltura tradizionale ma un vero e proprio impulso alla consapevolezza a 360 gradi sul nostro cibo: dalla sua produzione alle sue qualità organolettiche e nutrizionali.9541-10298

Si tratta di una visione che parte dalla centralità del rispetto alla terra, ai suoi tempi e cicli naturali, garantendo nel tempo la sua rigenerazione. I sistemi di lavorazione intensivi, infatti, impoveriscono gradualmente il suolo che deve essere continuamente arricchito con sostanze chimiche di sintesi per essere in grado di produrre in continuazione ed assicurare profitto. L’agricoltura bioattiva si propone come un nuovo metodo agronomico fondato su basi scientifiche e misurabili che trae il fondamento da leggi microbiologiche e naturali. L’approccio è una combinazione delle scienze e delle tecniche moderne (microbiologia rigenerativa e nutraceutica dei cibi) ma è fondato sul rispetto delle leggi naturali dalle quali dipendono tutti gli esseri viventi del pianeta. Il metodo può essere applicato a strutture di orti rialzati, orti urbani, piccoli orti come in campo aperto.

Ne parliamo con Andrea Battiata, ideatore del metodo, agronomo e Consigliere della Società Toscana Orticultura.

Può presentarsi?

Sono un Osservatore della Natura e neovegetariano flessibile. Riassumendo molto brevemente, da agronomo, ho avuto esperienza nell’allevamento di vacche da latte in Maremma per poi dedicarmi al vivaismo e alle piante ornamentali. Da quando sono diventato principalmente vegetariano ho studiato un metodo per produrmi cibo veramente nutriente per non dipendere da quello che trovavo in commercio che non mi soddisfaceva.

Che cos’è un orto bioattivo?

L’ortobiottivo è un esempio di come sia possibile produrre cibo ad alto contenuto nutrizionale (nutraceutico – bioattivo) prendendosi cura della fertilità naturale del terreno. Racchiude i meccanismi microbiologici osservati nel biotopo più fertile in natura: la foresta pluviale.

Come funziona esattamente?

Non è necessario lavorare la terra, non ci sono arature né zappature. Il suolo è naturalmente ricco ma in seguito alle lavorazioni viene alterato. Rigirando il terreno si interrompe, infatti, l’azione combinata degli essudati radicali, dei residui organici e dei batteri generando uno squilibrio. L’agricoltura tradizionale interviene utilizzando sostanze chimiche e fertilizzanti di sintesi. L’effetto però è temporaneo, il suolo si impoverisce dando la possibilità dello sviluppo di patologie. L’agricoltura tradizionale inquina, inoltre, le falde acquifere. Il suolo non viene mai compattato per far sì che ci sia la giusta areazione e non si usano concimi. Cerchiamo di ricreare ciò che accade normalmente in natura: una piantagione densa di piante a differenti stadi di crescita con diverse caratteristiche. Le radici non vengono estirpate e le erbe spontanee fanno parte di questo sistema. Si copre il terreno con una pacciamatura attiva: rami di bosco frammentati. Si tratta del sistema che in Francia si chiama BRF (Bois e Rameaux Fregmentés) che permette di risparmiare acqua. Le ramaglie sminuzzate arricchiscono il suolo e trattengono l’acqua consentendone un notevole risparmio. Il terreno normalmente migliora in breve tempo. C’è inoltre l’associazione delle piante in modo mirato. Le associazioni benefiche aiutano a controllare i parassiti.

Quali sono i vantaggi?

Avere la possibilità di far crescere il nostro cibo con il massimo di vitamine, sali minerali, enzimi, antiossidanti in modo da riappropriarci della nostra salute, recuperare il rapporto con la natura acquisendo consapevolezza delle stagioni e dei cicli naturali, fare più esercizio fisico e aiutare il nostro pianeta. Si diventa custodi della Terra: si contribuisce alla conservazione della biodiversità, si recuperano tecniche tradizionali ormai sostituite da tecniche industriali.

Chi ha avuto l’idea, quanti siete e come siete partiti?

Più che di un’unica idea parlerei di un’ “esigenza” condivisa. Siamo in molti a sentire la necessità di alimentarci in modo sano ma spesso non sappiamo come farlo né come trovare un cibo prodotto da qualcuno di cui ci si possa fidare. A dire il vero chi è stato a darmi lo stimolo o, possiamo dire a provocarmi, è stata mia moglie! Ero insoddisfatto del cibo che trovavo e mi ha provocato dicendomi di coltivarmi da solo il cibo che volevo. Così, con l’aiuto di colleghi agronomi, agricoltori, università e appassionati, ho messo insieme i pezzi di un puzzle già esistente dandogli organicità e concretezza.

Qual è il vostro progetto?

Mettere in atto azioni tangibili per riprendere il controllo di quello che mangiamo. Proporre un metodo che superi il concetto di biologico e che sia in grado di garantire la qualità del cibo prodotto e non soltanto la certificazione della filiera. I progetti aperti in questa visione sono molti, con università (ricerca scientifica e sostenibilità), con le scuole primarie e secondarie, con l’Orto botanico di Firenze, con aziende agricole del territorio, etc…

Quali sono le differenze con un orto sinergico e con quello biodinamico? Puoi farci qualche esempio pratico anche relativamente al suolo, alla semina, alla pacciamatura e altre pratiche?

Abbiamo preso dalle esperienze del passato inclusa quella della Hazelip e di Steiner. Abbiamo semplicemente attualizzato i loro principi e integrato con quello che abbiamo imparato recentemente dall’osservazione della natura aiutati dalle ricerche scientifiche di laboratorio.

Qual è il vostro obiettivo?

Elenco di seguito gli obiettivi che è possibile raggiungere con l’ortobioattivo

ª  realizzazione di un terreno ad alta fertilità naturale

ª  produzione ortaggi di alta qualità (bioattivi – nutraceutici) e biologici

ª  rendere il sistema di facile gestione

ª  non usare alcun mezzo meccanico: il terreno non viene mai zappato, rivoltato, compattato

ª  risparmio idrico con la copertura permanente del terreno

ª  assenza di inquinamento delle falde acquifere

ª  ottenere insalate con bassi contenuti di nitriti

ª  utilizzo materie prime locali (sabbie vulcaniche locali vs torba di importazione)

ª  attivare meccanismi di fertilità autorigenerante

Rispetto a un orto tradizionale com’è la produzione?

Qualitativamente gli ortaggi sono ricchi in sostanze nutraceutiche – bioattive. Quantitativamente la resa è dalle 5 alle 10 volte superiore.

Tutti possono fare un orto bioattivo?

Certamente! Una volta avviato è semplicissimo da gestire. Basta garantire che una volta raccolto (senza estirpare le radici) si ripiantino subito altri ortaggi e che venga mantenuta la pacciamatura.

E’ immaginabile un’agricoltura bioattiva su larga scala e quindi non solo per l’orto di casa?

Certamente. E’ la sfida in corso quest’anno. Abbiamo già esteso il metodo ad un appezzamento di terreno in grado di soddisfare il fabbisogno di molte famiglie per tutto l’anno.

Quanto è grande il vostro orto?

Ne esistono molti e il metodo di Ortobioattivo può essere applicato anche su sodo e non necessariamente solo su letti rialzati. Comunque, il più grande realizzato su letti rialzati ha una superficie di circa 500mq ed è in espansione!

Quanti orti bioattivi esistono in Italia o all’estero, se ce ne sono?

In italia sono circa 30. All’estero ci sono progetti per le isole canarie ma ancora è troppo presto per svelare i prossimi passi!

Chi volesse saperne di più:

www.ortobioattivo.com    ortobioattivo@gmail.com   https://www.facebook.com/ortobioattivo/

Fonte: ilcambiamento.it

Nasce il culinary gardener, l’ortolano personale dello chef

Il mondo contadino incontra quello della ristorazione grazie ad una nuova figura professionale: il “culinary gardener”, ovvero l’ortolano che lavora a stretto contatto con gli chef per fornire loro prodotti di ottima qualità e consigli per creare un menu sano e ricercato. Ne abbiamo parlato con Davide Rizzi e Lorena Turrini che hanno portato questo mestiere anche in Italia. Davide Rizzi e Lorena Turrini lavorano come “culinary gardener” in Toscana, cioè producono frutta e verdura nel loro orto-giardino biodinamico a stretto contatto con gli chef al fine di fornire materie prime ad hoc per i loro piatti. Il culinary gardener – professione in crescita all’estero ma quasi sconosciuta in Italia – è il consulente-produttore personale di uno chef: produttore e chef stabiliscono insieme cosa seminare per poter creare un menù stagionale di verdure e frutti freschi, sani e ricchi di sostanze nutritive e decidono cosa coltivare per conseguire specifici sapori e profumi ricercati dallo chef.Lorena1

Lorena Turrini e Davide Rizzi

Originari di Modena, Davide e Lorena si occupano di orticoltura biodinamica dal 2010 e oggi svolgono questa professione a tempo pieno presso una società che possiede strutture di pregio dove lavorano due chef stellati: Andrea Mattei (del ristorante “Meo Modo” di Chiusdino-Siena) e Antonello Sardi (del ristorante “La Bottega del Buon Caffè” di Firenze).

“Una decina d’anni fa”, ci racconta Davide, “dopo aver trascorso un anno in India come project manager per un progetto umanitario, tutte le nostre certezze hanno cominciato a vacillare. Questa esperienza di vita ci ha segnato profondamente e abbiamo ripensato la nostra vita professionale alla luce di un lavoro che fosse utile e appagante. Da qui la decisione metterci in gioco e rischiare tutto per raggiungere l’obiettivo di produrre cibo sano, buono e ricco di sostanze nutritive per il corpo e per la mente. Sette anni fa abbiamo investito sulla nostra formazione e fatto esperienze di woofing sperimentando diversi metodi di agricoltura naturale. Non è stato facile perché non avevamo alcuna esperienza come contadini. Io sono diplomato al Conservatorio e ho lavorato come insegnante e musicista, mentre Lorena si è diplomata all’Accademia di Belle Arti ed ha lavorato sia come pittrice sia nei settori restauro e turismo”.Lorena7

“Tra le varie tecniche di agricoltura naturale abbiamo scelto di praticare il metodo biodinamico perché è quello che ci ha conquistato con sua idea di equilibrio, armonia e bellezza applicate alla natura. Dopo l’incontro con gli chef stellati toscani, abbiamo dato il via alla progettazione e creazione dell’orto-giardino biodinamico di Chiusdino e oggi – detto in poche parole – siamo i loro “ortolani personali”. Tutti i prodotti, infatti, vengono consegnati e lavorati esclusivamente nei loro ristoranti, dove gli chef portano a compimento il processo creativo iniziato nell’orto. Questo vale sia per la ristorazione degli ospiti, sia per la mensa interna riservata ai dipendenti delle strutture stesse. In questi anni ci siamo resi conto di quanto il mondo contadino sia ancora troppo lontano dal mondo degli chef. Nelle cucine professionali capita spesso che non si conoscano le stagionalità dell’ortofrutta e neppure il lavoro e l’impegno che stanno dietro alle materie prime e anche questo contribuisce, in parte, allo spreco alimentare”.

“Qui, invece, cucina e orto“, continua Davide, “sono vicinissimi, in tutti i sensi: decidiamo insieme agli chef cosa seminare affinché loro riescano a creare un menù stagionale di ortaggi freschi, sani e ricchi di sostanze nutritive e coltiviamo ortofrutta pensata appositamente per evocare quello specifico sapore e profumo ricercato dallo chef per ogni piatto. Noi garantiamo allo chef prodotti di altissima qualità per sapore e valore nutrizionale e lo chef si impegna ad utilizzarli in ogni loro parte evitando il più possibile gli sprechi. È un “accordo silenzioso” che celebra il valore del cibo e del lavoro – della natura e dell’uomo – che lo ha portato dalla terra alla tavola”.Lorena3

“A Chiusdino coltiviamo frutta, verdura e fiori edibili e abbiamo un 70% di varietà autoctone, mentre il restante 30% sono varietà provenienti da tutto il mondo. Utilizziamo sementi autoprodotte e dedichiamo molto tempo allo studio, ricerca e sperimentazione e il 2% di tutto ciò che coltiviamo è stato selezionato da me con tecniche di “genetica gentile”. Non solo riproduciamo i semi antichi, ma li rigeneriamo attraverso il metodo biodinamico, seminando con gli influssi del sistema solare e dei pianeti, per portare al cibo maggiori informazioni nutrizionali, vitamine e minerali. Un altro aspetto è la fertilità del suolo: rivitalizzare il suolo è condizione fondamentale per produrre cibo buono, sano e ricco di nutrienti. Se il suolo è sano, la pianta è sana, il suo seme è sano e forte. In questo modo avremo cibo in grado di nutrire davvero, cioè di dare forza vitale al nostro fisico”.

“Ma non è tutto: il nostro orto-giardino biodinamico”, conclude Davide, “è anche un luogo di pace e serenità, nel quale ritrovare il benessere esteriore ed interiore. L’arte e la musica fanno parte integrante dell’orto e aiutano frutta e verdura a crescere in completa sintonia con l’universo. Ci piace l’idea che il cibo “nutra” e non solo “riempia” e che coloro mangiano questi frutti possano beneficiare anche di un momento di intensa nutrizione spirituale e cosmica”.

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Ortociclo: i prodotti dell’orto arrivano in bici a casa tua

Prodotti sani e naturali provenienti dall’orto arrivano direttamente a domicilio in sella ad una bicicletta. Partito a Brescia, il progetto Ortociclo è stato ideato da Andrea Morandi che, due giorni alla settimana, in sella ad una bici speciale, consegna a domicilio frutta, verdure, spezie e altri prodotti. Cambiare vita è un concetto che spesso si sovrappone al cambiare lavoro, essendo quest’ultimo un tratto di noi che, volente o nolente, ci identifica spesso. La storia che vi raccontiamo questa settimana riguarda questo e altro: c’entra il lavoro, ma anche l’agricoltura e la sostenibilità umana e ambientale. Andrea Morandi è un ragazzo di Brescia che fece il suo ingresso nel mondo lavorativo come geometra; complice la crisi, i ritmi lavorativi diminuirono sensibilmente. In compenso Andrea scoprì in questa fase che nella vita voleva fare altro, lavorare e vivere di conseguenza in maniera diversa. Dopo aver vissuto in un paesino alle porte di Brescia, Andrea si era nel frattempo trasferito in centro ed aveva notato un particolare della città: “mancava un servizio di approvvigionamento di frutta e verdura biologica, la gente doveva spostarsi e andare nei mercati contadini o direttamente nelle aziende agricole per trovare prodotti di questo tipo” racconta Andrea. Perché non provare a realizzare un’impresa che realizzi consegne a domicilio di questi tipi di prodotto?

Andrea è appassionato di bicicletta ed è, dal 2015, segretario del circolo di Brescia del Movimento per la Decrescita Felice. Il puzzle è quasi completo: perché non unire la sua intuizione alle sue passioni nel lavoro? È quello che ha fatto.

Ortociclo nasce nel giugno del 2015 allo scopo di fare consegne a domicilio di prodotti provenienti da agricoltura naturale con una cargo bike, una bicicletta a due ruote (ma può averne anche tre ndr) dotata di un grande cassone molto capiente, tra il manubrio e la ruota davanti. Ortociclo si approvvigiona da aziende agricole che Andrea Morandi conosce e valuta personalmente, contribuendo a creare uno stretto rapporto reciproco di trasparenza, fiducia ed armonia tra produttori e clienti. La bici è diventata anche l’elemento caratteristico e principale dell’avventura di Andrea: “l’immaginario della bici conta moltissimo”, ci spiega, “in primis perché realizzare consegne con questo mezzo è una mia scelta di tipo etico che coincide con il primo obiettivo di Ortociclo, che è quello di consegnare prodotti genuini, rispettandone la stagionalità, abbattendo le emissioni di anidride carbonica.” Il trasporto incentiva così la scelta verso un consumo più critico e attento alla riduzione dell’impatto ambientale. Gli ordini vengono effettuati tramite il sito internet di Ortociclo e consegnati due giorni a settimana, il martedì e il venerdì pomeriggio dopo che Andrea li ha ritirati direttamente la mattina dalle aziende agricole selezionate. Altre consegne minori vengono fatte in alcuni punti di smistamento a Brescia, dunque le persone hanno anche la possibilità di andare a prendere direttamente i prodotti. La consegna è gratuita, il guadagno di Ortociclo è un ricarico sui prodotti che consegna.12376162_1096423180388242_7685587101468024366_n

L’aspetto che colpisce Andrea e che lo sorprende tutt’oggi è “la reazione delle persone quando mi vedono girare e consegnare con questa bici pittoresca: nonostante ormai mi conoscano in molti, sorridono sempre al mio passaggio. Il rapporto umano che si crea con le persone, sia produttori che consumatori, e le sensazioni che emana la mia figura mentre consegno sono gli aspetti che amo di più del mio lavoro.”

Dopo un anno e mezzo, Ortociclo sta crescendo sempre di più: gli ordini aumentano, Andrea sta pensando di inserire una nuova figura per la gestione degli ordini: “all’inizio ordinare prodotti freschi online potrebbe apparire come una cosa insolita, non è immediato per le persone fidarsi” racconta Andrea “ma il fatto che ci ho messo la faccia ha semplificato questo aspetto più difficile del lavoro.”img-20161130-wa0014

Flower market al castello Quistini di Rovato

 

Il furto della bici: un esempio di solidarietà concreto

Concludiamo con un aneddoto che ci è sembrato un esempio di come l’esperienza di Ortociclo sia entrata nel cuore degli abitanti di Brescia (e non solo). Nell’agosto di quest’anno, durante una consegna, la Cargo Bike di Andrea è stata rubata e purtroppo mai più ritrovata. Un brutto colpo, emotivo ma soprattutto pratico perché in quel momento la situazione finanziaria di Andrea non gli avrebbe permesso in tempi brevi di riacquistare il mezzo. A sfatare uno dei ricorrenti luoghi comuni sul “nord individualista ed egoista” sono arrivati tantissimi gesti di solidarietà da parte delle persone: all’inizio sotto forma di messaggi e chiamate per Andrea, con il suggerimento di aprire una campagna di raccolta fondi, con un conto deposito, per comprare un’altra bici. Nell’arco di quattro giorni sono arrivati i fondi necessari per acquistare la cargo nuova; il segno che secondo Andrea “Ortociclo è entrato nel cuore dei bresciani e questo è il lato rincuorante e positivo di una disavventura che si è trasformata in una conferma che mi dona gioia e fiducia”.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/12/io-faccio-cosi-145-ortociclo-prodotti-orto-bici-casa-tua/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni