Re:Common: «I 12 progetti che rischiano di distruggere il pianeta»

Diciotto Ong internazionali, tra cui l’italiana Re:Common, lanciano il rapporto “I 12 progetti che rischiano di distruggere il Pianeta”. Lo studio prende in esame 12 mega-progetti fossili attualmente in fase di sviluppo che, se venissero realizzati, causerebbero il rilascio di atmosfera di 175 miliardi di tonnellate di anidride carbonica.

Diciotto Ong internazionali, tra cui l’italiana Re:Common, lanciano il rapporto “I 12 progetti che rischiano di distruggere il Pianeta”. Lo studio prende in esame 12 mega-progetti fossili attualmente in fase di sviluppo che, se venissero realizzati, causerebbero il rilascio di atmosfera di 175 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. «Un volume di CO2 sufficiente a esaurire metà del budget di carbonio rimanente per restare al di sotto della fatidica soglia di 1,5 gradi Celsius» scrive Re:Common sul proprio sito.

IL RAPPORTO E’ SCARICABILE QUI

«Oltre alle conseguenze per il clima, questi progetti comportano impatti negativi anche dal punto di vista ambientale e della salute delle persone, oltre a causare serie violazioni dei diritti umani – scrive l’associazione – A guidare l’espansione fossile ci sono società come l’italiana Eni, la francese Total, l’anglo-olandese Shell e le altre major dell’oil&gas, ma anche la finanza gioca un ruolo da protagonista. Dalla firma dell’Accordo di Parigi a oggi, le principali banche e i fondi di investimento mondiali hanno finanziato le società attive in questi 12 progetti con circa 3mila miliardi di dollari».

«Un fiume di denaro che dimostra come, nonostante gli impegni e le politiche di disinvestimento adottate in questi anni da molti istituti, per il clima la finanza non stia ancora facendo la propria parte. I 12 progetti analizzati rappresentano un test fondamentale per banche, assicurazioni e fondi di investimento. Le Ong che hanno realizzato il rapporto ritengono che per evitare gli impatti più catastrofici della crisi climatica occorre interrompere immediatamente i finanziamenti per quelle società che continuano a realizzare nuovi progetti fossili».

«Sono passati cinque anni dall’Accordo di Parigi, eppure il modello di business dell’industria fossile è rimasto immutato» ha dichiarato Alessandro Runci di Re:Common, tra gli autori del rapporto. «Società come Eni hanno continuato a espandersi, come in Mozambico, dove la scoperta di enormi riserve di gas si è trasformata in una maledizione per le comunità. Banche come UniCredit e Intesa Sanpaolo, quest’ultima tra le più fossili in Europa, devono smettere immediatamente di finanziare le società che stanno devastando il Pianeta», ha aggiunto Runci.

«Tra i casi più rilevanti inclusi nel rapporto c’è l’espansione dell’industria del gas in Mozambico, guidata da Eni e la francese Total, che sta causando devastazione e violenze nella regione di Capo Delgado. Nel Mediterraneo orientale, un’altra società italiana, Edison, è tra le proponenti del mega gasdotto EastMed, che dovrebbe collegare i giacimenti di gas della regione, molti dei quali controllati da Eni, con i mercati europei – proseguono da Re:Common – In Suriname, la scoperta di un enorme giacimento di petrolio ha innescato una corsa all’accaparramento delle risorse che mette a rischio il delicato ecosistema del Paese sudamericano. Nel nord della Patagonia, Total e Shell sono tra le più attive nelle attività di fracking in quel territorio, nonostante persino le Nazioni Unite abbiano sollevato delle criticità, sia per gli impatti ambientali e climatici, che per quelli sulle comunità e i popoli indigeni che abitano la regione. Il carbone è invece il protagonista dei progetti in Cina, India e Bangladesh, dove l’industria si sta continuando a espandere, ignorando gli appelli della comunità scientifica ad abbandonare il carbone entro il 2040».

«Per quanto riguarda la finanza, i giganti americani Blackrock, Vanguard e Citigroup guidano la classifica dei maggiori finanziatori delle società coinvolte in questi progetti, seguiti dalle inglesi Barclays e HSBC e dalla francese BNP Paribas – aggiunge Re:Common – Ad alimentare l’espansione fossile ci sono anche le italiane Intesa Sanpaolo e Unicredit, che complessivamente, dal 2016 ad oggi, hanno finanziato con la cifra astronomica di 30 miliardi le società fossili che guidano i 12 progetti, con Eni in cima alla lista dei beneficiari. Va specificato però che mentre Unicredit ha recentemente adottato delle politiche sui combustibili fossili che vanno nella giusta direzione, Intesa Sanpaolo rimane il fanalino di coda tra le banche mondiali, e uno dei pochi istituti di credito europei a non aver ancora indicato una data per il phase-out del carbone».

Le Ong che hanno redatto il rapporto: The Conservation Council of WA (CCWA), The Center for Energy, Ecology, and Development, The Center for International Environmental Law, Coastal Livelihood and Environmental Action Network (CLEAN), Climate Risk Horizons, Enlace por la Justicia Energética y Socioambiental (EJES), FARN, Framtiden i våre hender (Future in our hands), Friends of the Earth U.S., The Friends of the Earth France, The Global Gas and Oil Network (GGON), Global Energy Monitor (GEM), Oil Change International, Rainforest Action Network, Reclaim Finance, Urgewald, The Leave it in the Ground Initiative (LINGO), Re:Common.

Fonte: ilcambiamento.it

Big Pharma colonizza i “mercati emergenti”. Grazie alle ong

Grazie alle Ong, le grandi industrie farmaceutiche hanno colonizzati in paesi in via di sviluppo meglio definiti «mercati emergenti». Bene, dunque, per loro che aumentino i malati, perché i sani sono consumatori mancati.pharma-1

La scienza medica in Occidente e nei cosiddetti “mercati emergenti” (è la definizione che ne danno le multinazionali e le loro varie agenzie di servizi) è totalmente nelle mani delle grandi industrie farmaceutiche, a loro volta ormai emanazioni dei consorzi finanziari globali e sotto il loro completo e costante controllo. Come potremmo dire? Tutti insieme costituiscono una delle filiali o ramificazioni dell’Impero Globale.

“Cosa facciamo stasera, prof?”

“Quello che facciamo tutte le sere, Mignolo, tentiamo di conquistare il mondo!”

Per conquistare il mondo con i farmaci, oltre ad avere in mano l’istruzione e la carriera dei medici presenti e futuri, bisogna che aumentino gli ammalati. Ogni persona sana è un consumatore mancato, un cliente perso. Ora, bisogna dire che lo sviluppo industrial-capitalistico ha già fatto tutto il possibile per ammalarci, dai pesticidi agli additivi e conservanti sintetici, dai rifiuti tossici al cloro nell’acqua potabile, dagli allevamenti intensivi ai telefoni cellulari, dal trasporto privato di persone e merci e conseguente intasamento di strade con milioni di auto e camion che intasano l’aria di melma tossica, tutto il suo progresso nuoce alla salute umana e non. Adesso però tocca alle multinazionali del capitalismo global-farmaceutico fare l’impossibile: ottenere che ogni umano o animale domestico sulla faccia deturpata del pianeta diventi loro cliente. Non uno di meno!

La malattia cronica e inguaribile (ma curabile, naturalmente) è quella che prediligono e, se non c’è, non si scoraggiano. Con l’aiuto della “scienza”, dei media e dell’OMS si può benissimo inventarla. Colesterolo, pressione sanguigna, diabete, per esempio, si prestano particolarmente a trattamenti a vita di pazienti (anche troppo) occidentali. Basta far sì che gli “scienziati” al vertice delle scientifiche istituzioni (corporazioni) e al vertice delle varie agenzie sanitarie sovranazionali decidano di abbassare il tasso dei suddetti, colesterolo ecc. e tutti diventiamo ammalati cronici. Dimostrando così senza più ombra di dubbio alcuno che la scienza è

Chi crea l’opinione, per esempio, nel caso del colesterolo che deve abbassarsi sempre di più (chissà se possiamo vivere anche senza di esso, se continua così lo sapremo presto) è la European Society of Cardiology (Società Europea di Cardiologia), che definisce sé stessa una no-profit. Ma guarda. Si vede che sono tutti volontari che, finito il lavoro, si dedicano alla cura dei cardiopatici indigenti. No. Forse la parola “Società” è più appropriata. Sapete, quelle aziende dove ci si associa per fare profitti tutti insieme. Infatti, se andate a vedere il programma del loro congresso, troverete una parte “fieristica” dedicata all’industria. L’industria del farmaco e suoi annessi e connessi. Lì ci sono tutte, anche quelle che non avete mai sentito nominare. A questo punto, credere o non credere a ciò che dice la scienza è solo questione di fede, come credere alle fate, al malocchio o, se vogliamo fare un salto di qualità, come credere in un Dio o nell’altro. Non ho niente contro gli dei, né contro le fate. L’importante è che non facciano male a nessuno, né loro né i loro credenti. Per quel che riguarda la scienza medica, avrei molti dubbi sulla sua innocuità. Tutte quelle pilloline per abbassare colesterolo, pressione e glicemia, per esempio, non sono affatto prive di effetti collaterali anche gravi. Che a volte neanche il nostro medico conosce, anche perché non ha il tempo di informarsi su tutte le nuove medicine che quotidianamente i piazzisti del farmaco gli propongono.

Ma passiamo ora ai “mercati emergenti”. Anche lì si può contare sul no-profit, ovvero sulle ONG, per salvare milioni di persone dalla malattia.

“In cosa investiamo, stasera, prof?”

“Investiamo nella malaria, Mignolo”

Quella della malaria e dei suoi rimedi è una storia particolarmente interessante da molti punti di vista.

Esiste una pianta, l’Artemisia annua, che cresce in Asia e che è usata da secoli nella fitoterapia cinese, in grado di curare la malaria. E’ una pianta medicinale priva di effetti collaterali e che funziona egregiamente. L’uso fitoterapico della pianta naturale, cioè delle sue foglie, risulta anzi molto più efficace dei medicinali sintetici a base del suo principio attivo.

Già negli anni Ottanta-Novanta del secolo scorso i cinesi, quando cominciarono la loro personale conquista economica dell’Africa (in forma di collaborazione, a differenza dell’Occidente, benché sul modello sviluppista che l’Occidente ha imposto al mondo), si portarono dietro l’Artemisia Annua e i suoi semi come prevenzione e rimedio contro la malaria e, dato che il suo uso si diffondeva nel continente, la progredita scienza industrial-mercantile si diede da fare a cercare un rimedio per questa epidemia di medicina naturale, del tutto in contrasto con il suo progresso. Così, utilizzando l’Artemisia Annua (non sono riusciti a farne a meno, anche se ci hanno sicuramente provato), hanno creato dei medicinali sintetici a base di Artemisina, principio attivo della pianta. L’Artemisina è tossica, a differenza della pianta. Succede. La vita non è semplificabile, come sembrano credere gli scienziati dello “sviluppo” e degli affari. L’Artemisia Annua è un organismo vivente, le sue componenti innumerevoli e le loro relazioni imperscrutabili. Però, mentre la pianta uno se la poteva coltivare dietro casa o in un barattolo sul balcone, i medicinali a base di Artemisina li deve comperare. Oppure il suo governo li deve comperare per lui. A basso prezzo però, perché con grande spirito filantropico la Sanofi  Aventis rinuncia al brevetto. Difficile brevettare il principio attivo di una pianta naturale, e comunque non si può brevettare la pianta che lo produce e che uno può coltivarsi sul balcone. Ma si può, con l’aiuto di Medici Senza Frontiere e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, far esultare i media per la bontà e la buona volontà delle multinazionali farmaceutiche. “Nasce l’antimalarico senza brevetto, così l’Africa potrà curarsi da sola” era il trionfante titolo de La Repubblica nel 2007.

Non è che magari l’Africa si è sempre curata da sola, prima che arrivassimo noi ad ammalarla? Comunque il basso prezzo era garantito anche dal fatto che il nuovo e strepitante medicinale veniva prodotto in Marocco, sempre per aiutare l’Africa. Peccato che non funzioni e, nonostante la cura venga protratta per sempre più tempo e a dosi sempre più alte, il Plasmodium Falciparum, il parassita della malaria, se la ride dell’Artemisina, mentre probabilmente il fisico dei pazienti trattati non ci trova niente da ridere. In più, c’è sempre il rischio che la gente torni alle tisana di foglie di Artemisia Annua e che guarisca. Alla fine però un rimedio lo hanno trovato, e che rimedio: il vaccino. Così, malati o sani, tutti diventano clienti, pardon, pazienti.  E che il vaccino non funzioni è un vantaggio: invece di sostituirsi ai farmaci a base di Artemisina, vi si assomma. Vaccino più trattamento con farmaci, che bel mercato procura la malaria. Che il vaccino non funziona lo dicono tutti, compresa l’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Perché non funziona? Perché la malaria non è un virus né un batterio, è un parassita. Hanno provato ad iniettarlo morto nei “pazienti” e, naturalmente, non li ha immunizzati, ora provano con quello vivo e il risultato (il risultato della sperimentazione che loro riferiscono) è di un’immunizzazione che non arriva al 40% pur schiaffando in corpo ai bambini (africani) ben quattro dosi di vaccino. In compenso aumentano gli effetti collaterali: meningite e… malaria. E se lo dicono loro…
E allora? Niente paura, la moderna scienza fa volare gli asini. Dopo questi bei risultati, dati dalla sperimentazione sui bambini africani del vaccino RTS,S detto anche Mosquirix, della Glaxo, si passa a una più larga sperimentazione e “Ghana, Kenya e Malawi guidano la sperimentazione del vaccino contro la malaria”, esultano la Nazioni Unite, e “Il primo vaccino della malaria arriva in Ghana, Kenya e Malawi” esultano gli uomini d’affari.

Esultano per gli stessi motivi, non avranno anche gli stessi obiettivi?

Manca ancora qualcuno, ma se vuotiamo il sacco viene fuori. La filantropia mondiale. Prima di tutto, lo avrete indovinato, la Bill & Melinda Gates Foundation. Dicono di aver speso (investito) due miliardi di dollari per combattere la malaria, e dicono di star facendo pressione sui governi di qua e di là dal mare perché ne spendano anche loro. Poi abbiamo PATH, una ONG internazionale che si occupa di “medicina” a tutto campo, dai farmaci e dai vaccini agli strumenti diagnostici a quelli digitali. PATH e la Bill & Melinda Gates Foundation sono sempre assieme, come lo squalo e la remora. Questa no-profit si occupa di profitti, investimenti, affari, rischi politici ed economici, naturalmente nel campo sanitario  e per la salute delle aziende sanitario-farmaceutiche globali.  Nelle biografie dei suoi capi si parla di milioni di dollari guadagnati, di sviluppo finanziario-industriale. Ci si rivolge ai clienti. Da questo punto di vista PATH è un compendio estremamente istruttivo dell’intreccio tra istituzioni sovranazionali, finanza internazionale e suoi “derivati” come Big Pharma, organizzazioni così dette no-profit e governi (l’ultima ruota del carro). Comunque, per essere una no-profit, PATH di profitti ne fa parecchi anche di suo, dato che ha bilanci e risorse ammontanti a parecchi milioni di dollari.  Poi, se proprio non vogliamo farci mancare nulla, diamo un’occhiata anche alle risorse della benemerita MSF o DWB, ONG internazionale che noi chiamiamo Medici Senza Frontiere. E che distribuisce e somministra artesunato-amodiachina soprattutto ai bambini sotto i cinque anni e alle donne incinta, che nel 2015 si vantava di aver “trattato” 735.000 bambini in Niger, Ciad e Mali, 17.000 nella Repubblica Centrafricana, e ben 1.800.000 persone in Sierra Leone. Inoltre, distribuisce zanzariere trattate con gli insetticidi, sempre per proteggere gli africani dalla malaria. E chi li protegge dagli insetticidi? Siamo seri ed esaminiamo seriamente i vari “trattamenti” che MSF elargisce agli africani. Ci sono vari studi condotti da ricercatori cinesi, cambogiani, britannici, americani, che lavorano in prestigiosi e insospettabili centri di ricerca, i quali dimostrano che l’Artesunato-amodiachina, alle dosi consigliate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità è neurotossico ed epatotossico. Ciononostante, l’OMS continua a consigliarlo e MSF a somministrarlo. Quanto alle zanzariere impestate, immagino che gli africani vadano in giro indossandole dalla testa ai piedi, altrimenti a cosa servono?

Le zanzare non si aggirano solo all’interno delle abitazioni, non ti pungono solo quando sei a letto a dormire. Ma forse servono alle ditte che li producono. Pensate, l’UNICEF fa un congresso annuale con i fornitori di zanzariere impestate contro la malaria; un congresso di affari, dove l’UNICEF è il compratore.  Coi nostri soldi, che passano dalle tasse agli “aiuti allo sviluppo”, e coi soldi degli africani, che passano dai loro governi alle nostre multinazionali e/o alla Banca Mondiale in forma di debito. Naturalmente le aziende delle zanzariere impestate sono grosse compagnie occidentali, gli africani si devono accontentare di qualche briciola e delle zanzariere avvelenate e, poiché non sanno cosa farsene e, fortunatamente, non pensano di indossarle, le usano per pescare, creando senza colpa alcuna altro danno a sé stessi e al mare di cui vivono e di cui viviamo tutti, anche se non ce ne ricordiamo. Una piccola curiosità, per voi che siete curiosi. Le zanzariere avvelenate sono trattate con insetticidi detti piretroidi. Come per l’Artemisina, si tratta di sostanze chimico-sintetiche tossiche e persistenti, che imitano una sostanza naturale, il piretro. Il piretro è un fiore, tossico per gli animali a sangue freddo e solo per loro. Il piretro naturale si usa nell’agricoltura biologica, avendo la precauzione di non farlo finire in corsi d’acqua (i cui abitanti sono tutti a sangue freddo), e di non irrorare a destra e a manca e a qualsiasi ora, per non uccidere gli insetti indiscriminatamente. Dopo alcune ore, comunque, perde anche le sue proprietà tossiche per insetti, rettili e pesci, e non lascia traccia. Il maggior coltivatore mondiale di questa pianta è il Kenia ma l’Africa non se ne giova. Noi prendiamo i suoi fiori di piretro per farci il nostro insetticida biologico e a loro mandiamo le zanzariere impregnate di insetticidi chimico-sintetici tossici. Medici Senza Frontiere non distribuisce il piretro keniota, insegnando agli africani delle zone malariche come usarlo, ma distribuisce, istigata da UNICEF e OMS, le zanzariere delle multinazionali danesi e americane ecc. e gli insetticidi di altra bella gente, che tra l’altro fa anche farmaci. Non domandiamoci perché, non lo sapremo mai con certezza. Imperscrutabile è l’animo e il cervello umano. Qualcos’altro possiamo però sapere. Che il bilancio di MSF Stati Uniti era nel 2017 di 349 milioni di dollari e rotti. Che le spese di Medici Senza Frontiere a livello globale, nel 2017, erano di un miliardo e seicentoquattordici milioni di euro. Quindi, una potenza economica. Non ci meraviglieremo dunque di venire a sapere che la paga base dei suoi direttori USA è di 102.000 dollari l’anno, mentre quella del suo direttore esecutivo britannico è di “solo” 79.716 sterline. Nell’aprile 2017, adesso magari sarà qualcosina di più. Poi si chiamano “volontari”! E’ chiaro che sono volontari, non c’è mica bisogno di costringerli.

Fonte: ilcambiamento.it

Una volta si chiamava carità pelosa: l’umanitario funzionale al potere

Grandi ong, miliardari, fondazioni, denaro: ecco la fitta rete di rapporti e relazioni che unisce chi il potere e il denaro li ha e li usa.charityhands-revise-50

Trilateral Commission, giugno 1991. David Rockfeller dice: “Siamo grati al Washington Post, al New York Times, a Time Magazine e ad altre importanti pubblicazioni i cui direttori hanno partecipato alle nostrie riunioni e rispettato la promessa di discrezione per quasi quarant’anni… Sarebbe stato impossibile per noi sviluppare il nostro piano mondiale se fossimo stati esposti alle luci della pubblica opinione in questi anni. Ma il mondo ora è più evoluto e preparato a imcamminarsi verso un governo mondiale. La sovranità sovranazionale di un’élite intellettuale e degli uomini d’affari mondiali è sicuramente preferibile alla sovranità nazionale praticata nei secoli passati”.

La Commissione Trilaterale è una di quelle istituzioni sovranazionali con le quali i potentati economici pensano di dominare il mondo: uno strumento di elaborazione e progettazione della dittatura mondiale. Va da sé che i “mezzi di comunicazione di massa” non possono non avere un ruolo fondamentale per chi vuole dominare il mondo.

“Cosa facciamo stasera, prof? Quello che facciamo tutte le sere, Mignolo! Tentare di conquistare il mondo!”

Giornali, radio e televisioni (e internet per quanto possibile) devono essere sotto il loro controllo. E così è. “Siamo grati al Washington Post… e ad altre importanti pubblicazioni”. Non è il caso di elencarle tutte, evidentemente. In realtà, il dominio funziona solo se i popoli si sottomettono, ma ingannarli, confonderli, frastornarli, fuorviarli con “notizie false, esagerate, tendenziose” aiuta molto a renderli passivi, confusi, divisi, pieni di contraddizioni. In una parola, a sottometterli. L’inganno, l’occulta censura, la mistificazione sono uno strumento imprescindibile per i dominatori. Dire il falso, tacere il vero: questo potrebbe essere il motto, oggi, dei grandi mezzi di comunicazione. Quando l’Impero però comincia a decomporsi, quando per tenere in piedi la sua struttura scricchiolante e marcescente deve vessare e opprimere e distruggere senza più alcuna mediazione o inibizione, l’inganno diventa più difficile, il malcontento e la diffidenza popolare diventano imponenti e problematici da contrastare o “convogliare”. Allora l’inganno diventa un’arte e richiede nuovi attori. Per questo nella “troupe” a quel punto entrano le grandi ONG, o associazioni non-profit, o “Charity” come dicono gli inglesi. Associazioni di “carità”; cioè che chiedono a noi la carità mentre i loro funzionari e dirigenti, detti “volontari”, prendono stipendi invidiabili o addirittura, i dirigenti, barche di quattrini. Volontari. Non deve essere difficile trovare chi abbia una tale volontà. E come fanno a diventare grandi, le grandi ONG? Coi soldi degli stati e dei capitalisti.

Amnesty International è finanziata dalla Commissione Europea, dal governo britannico, dalla Open Society Georgia Foundation del famigerato benefattore internazionale George Soros, solo per citarne alcuni. Irene Khan, direttrice di Amnesty, suscitò lo sdegno degli stessi attivisti andandosene con una “liquidazione” di 500.000 sterline nel 2009. Suzanne Nossel, altra direttrice di Amnesty nel 2012-2013, aveva prima lavorato per multinazionali USA della comunicazione, per il Wall Street Journal, per il Dipartimento di Stato USA dove si era distinta per le sue posizioni filoisraeliane e a favore dell’intervento USA in Afganistan. Non per niente Colin Powell dichiarò che “le ONG sono per noi una forza altrettanto importante dei combattenti armati”. L’attuale direttore di Amnesty, Salil Shetty, prende uno stipendio annuale di 210.000 sterline. Passiamo a Save the Children, cacciata da Pakistan e Siria con l’accusa di lavorare per la CIA, che prende soldi da: Chevron, Exxon Mobil, Merck Foundation, Bank of America e molte altre multinazionali citate come sponsor sul suo sito, tra le quali naturalmente varie industrie chimiche e chimico farmaceutiche, oltre che dall’immancabile Soros e dai due benefattori mondiali Bill e Melinda Gates, dall’Unione Europea e dal governo britannico (alla faccia delle organizzazioni non governative). Uno dei suoi passati direttori, Justin Forsyth nel 2013 prendeva un salario di 185.000 sterline per salvare i bambini. Era stato prima direttore di Oxfam, poi consigliere di Tony Blair, poi direttore delle “campagne strategiche di informazione” di Gordon Brown; adesso è direttore UNICEF. Decisamente un uomo per tutte le stagioni. O forse è sempre la stessa? Nel 2014 lo stipendio (chiamiamolo così) massimo di un dirigente di Save the Children UK era di 234.000 sterline. Nel bilancio di Save the Children International il dirigente con la paga più alta prendeva 387.000 dollari. Medici senza Frontiere nel 2010 aveva un bilancio di 1,1 miliardi di dollari. Nel 2014 il direttore di MSF USA (Doctors Without Borders) prendeva uno stipendio di 164.000 dollari l’anno, però per risparmiare viaggiava in aereo in “economic class”. Tra i finanziatori di Medici Senza Frontiere ci sono Goldman Sachs, Citigroup, Bloomberg, e Richard Rockfeller, padrone e dirigente di svariate multinazionali, è stato per ventun anni presidente della filiale USA di questa organizzazione caritatevole che si è trovata spesso in situazioni ambigue sui teatri di guerra, accusata di essere di parte e non necessariamente dalla parte giusta. Accusata di lanciare falsi allarmi per false epidemie che però richiedevano vere campagne di vaccinazione. Naturalmente, anche qui non mancano Soros e Bill Gates.

E via incamerando. E redistribuendo, perché no? Vaccini a vagonate, per esempio.

Bill Gates e consorte sono proprietari delle ditte farmaceutiche che producono vaccini, danno soldi a Save the Children e Medici senza Frontiere, che ne trattengono quel che serve per i propri stipendi e il resto lo restituiscono ai patron Gates comperando i loro vaccini. I Gates scalano dalle tasse le “donazioni” che sono rientrate nelle loro tasche, i bambini africani e indiani vengono rimpinzati di vaccini e tutti vivono felici e contenti. O no?

Della Commissione Trilaterale, lo dice la parola stessa, fanno parte tre “branche” del dominio: uomini d’affari (e con questo s’intende dirigenti e padroni di multinazionali private e pubbliche), politici (ma solo del tipo che rappresenta gli interessi dei succitati uomini d’affari), intellettuali (idem). Degli intellettuali membri della tribù trilaterale (loro sì che “fanno rete”!) fanno parte qualche vagone di docenti universitari e rettori di università di tutto il mondo, camionate di giornalisti e direttori di giornali e media vari e… parecchi funzionari della CIA. Ma è interessante notare come la maggior parte di costoro saltellino dall’uno all’altro dei tre rami dell’albero trilaterale come allegri uccellini. Forse per ingannare la vista.

Ed è quello che fanno anche i dirigenti delle grandi e ricche ONG. Paolo Magri, segretario generale del gruppo italiano della Trilateral Commission, è direttore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, docente di Organizzazioni internazionali all’università di Pavia, docente al master in Comunicazione per le Relazioni Internazionali della IULM, membro della consulta tecnica della fondazione Giordano dell’Amore (microfinanza) e del consiglio d’indirizzo della fondazione Italia-Russia, funzionario dell’ONU e collaboratore della Italcementi e… vicepresidente del CESVI. Una delle più grosse e importanti ONG italiane, che “risponde alla fame nel mondo, all’assistenza sanitaria e alle emergenze umanitarie”.

Il capitalismo globale sa che l’inganno e il tradimento sono armi fondamentali per vincere le guerre e, nella sua guerra globale, le utilizza a piene mani. Sa anche che il lavoro d’équipe è quello che dà i migliori risultati. In questo lavoro d’équipe le grandi ONG sono il nuovo strumento dell’imperialismo e del neocolonialismo. Dietro le apparenze, che ingannano tante brave e generose persone, volontari e donatori, ci sono interessi economici, politici e strategici perseguiti con maschere ingannevoli (ma sempre meno ingannevoli) e dietro regie occulte (ma sempre meno occulte).

Fonte: ilcambiamento.it

L'industria della Carità

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L’occhio delle multinazionali sulle ong

Se ne parla da tempo: le multinazionali prese di mira dai boicottaggi e dalle critiche delle organizzazioni ambientaliste e no profit si organizzano per tenere monitorate le stesse ong e riuscire così a conoscerne le strategie. Ora a metterlo nero su bianco, raccontandone meccanismi più o meno limpidi, è Gary Ruskin, direttore del Center for Corporate Policy e membro di Essential Information, organizzazione no profit fondata nel 1982. Entrambe le realtà effettuano monitoraggi periodici delle politiche seguite dalle multinazionali e ne informano i cittadini. Il Cambiamento vi mette a disposizione la versione integrale del rapporto in Pdf.ong_e_spionage

Le multinazionali e le grandi società stanno utilizzando tecniche e strategie di monitoraggio delle organizzazioni no profit, imboccando a volte strade “poco ortodosse” e non sempre corrette. A metterlo nero su bianco nel suo rapporto diffuso nei giorni scorsi è Gary Ruskin, autore del documento rilanciato negli Usa dal Center for Corporate Policy (http://www.corporatepolicy.org)che lo stesso Ruskin dirige. Nello staff dell’organizzazione ci sono anche esperti come Sarah Anderson, direttore del Global Economy Program dell’Institute for Policy Studies di Washington; John Cavanagh, economista che ha lavorato negli anni ’80 per l’Onu; Charlie Cray, ricercatore in forze a Greenpeace USA e direttore della campagna Citizen Works;Robert Weissman, presidente dell’organizzazione Public Citizen, avvocato e autore di numerosi articoli e pubblicazioni. Ruskin fa parte anche di Essential Information (http://www.essentialinformation.org), organizzazione no profit che pubblica un rapporto mensile sulle condotte delle multinazionali. Nel rapporto Ruskin spiega e documenta come le multinazionali si avvalgano negli Stati Uniti anche di ex personale della National Security Agency, di altri organismi federali e di personale delle forze dell’ordine locali per monitorare le organizzazioni no profit e i loro attivisti in diversi campi di interesse: ambientalisti, pacifisti, tutela dei consumatori, movimenti che si occupano di giustizia sociale, alimentazione, lotta all’abuso di sostanze chimiche nell’alimentazione e nell’agricoltura, diritti animali. Una delle strategie di cui parla diffusamente Ruskin è quella che vede le multinazionali infiltrare tra volontari e giornalisti persone di fiducia per raccogliere informazioni. “Per molte grandi società – scrive Ruskin – il valore del brand in sé è cosa preziosa. Per questo vedono le organizzazioni no profit e chi protesta come potenziali e imprevisti avversari e vogliono sapere tutto su di loro. Le grandi società prendono molto seriamente tutto ciò che mette a rischio il loro marchio e quindi concentrano i loro sforzi nel tenere controllate le organizzazioni no profit per mettere a punto strategie con le quali negano addebiti o mascherano determinate attività”. La ricostruzione di Ruskin è minuziosa e dettagliata, cita articoli e atti giudiziari e documenta una serie lunghissima di casi. Cita per esempio l’articolo-denuncia di James Ridgeway comparso su Mother Jones (http://www.motherjones.com), secondo cui un’importante società privata che si occupa di sicurezza “ha spiato Greenpeace dalla fine degli anni ’90 fino almeno a tutto il 2000 appropriandosi di documenti persino dai bidoni della spazzatura, cercando di infiltrare persone nei gruppi e nei meeting, raccogliendo registrazioni telefoniche di attivisti”. Cosa succedeva in quegli anni? “Negli anni ’90 – scrive Ruskin – Greenpeace ha condotto una campagna per eliminare l’uso del cloro nella fabbricazione di plastica e carta. Molte delle critiche erano state dirette alla Dow Chemical (http://www.sciencemag.org)ed ebbero anche il sostegno dell’amministrazione Clinton e di altri organismi governativi. Nel tentativo di contenere i problemi anche di immagine, la Dow fece un accordo con una società di pubbliche relazioni, la Ketchum. Secondo Mark Floegel di Greenpeace, la Dow pagò alla Ketchum circa 500mila dollari l’anno per le pubbliche relazioni e per spiare Greenpeace e altri gruppi ambientalisti”. L’associazione ambientalista ha fatto causa alla Dow e ha raccolto una precisa cronologia del caso (http://www.greenpeace.org)che mette a disposizione atti giudiziari e testimonianze. Nel 2000, sempre secondo la ricostruzione di Ruskin, la società privata per la sicurezza che aveva spiato Greenpeace, la BBI, cambia il suo nome in S2i e viene assoldata dalla Ketchum per monitorare organizzazioni no profit che si stavano opponendo agli alimenti geneticamente modificati. Ne scrive sempre James Ridgeway su Mother Jones; la rivista fornisce anche un documento che attesta come la BBI si fosse concentrata anche sulla Fenton Communications, una società di pubbliche relazioni che sostiene le cause ambientali e i gruppi no profit

(www.motherjones.com).

Un altro esempio ancora risale al gennaio 2011, quando il responsabile di una società che si occupa di sicurezza informatica annuncia di avere identificato il capo degli hacker che si fanno chiamare Anonymous. Per tutta risposta, Anonymous ha hackerato mail e account della società diffondendo in rete documenti riservati (http://www.theguardian.com) che hanno consentito di scoprire come la stessa società avesse in mente di aiutare un proprio importante cliente, la Us Chamber of Commerce, a gettare discredito sulle organizzazioni troppo critiche (http://www.nytimes.com). Sempre nel 2011, ma a novembre, la società francese Electricite de France è stata multata di 1 milione e mezzo di euro per avere hackerato i computer di Greenpeace France e ha anche pagato altri 500mila euro di danni (http://www.telegraph.co.uk). Ruskin nel suo rapporto ha ricostruito decine di episodi. Eccone un altro. Il Camp of Climate Action è un gruppo inglese formato da attivisti che chiede a gran voce il decomissioning degli impianti a carbone e nell’ottobre 2009 avevano condotto una campagna di disobbedienza civile nei confronti dell’impianto di Ratcliffe-on-Soar. Sedici mesi dopo il giornale inglese Guardian riportò che tre grandi compagnie nel settore dell’energia avevano incaricato una società privata di infiltrarsi tra gli attivisti del gruppo (http://www.theguardian.com). Cosa accade in Italia? Molte multinazionali e grandi società sono presenti anche nel nostro paese. Come si comportano? Auspichiamo presto un’analisi dettagliata come quello di Ruskin in Usa.

Per saperne di più: Spooky Business:Corporate Espionage Against Nonprofit Organizations

Fonte. Il cambiamento