Particolato fine: ecco quanta gente muore ogni anno in Italia a causa del Pm2.5

Il particolato fine o Pm2.5 è la sostanza inquinante emessa dalle attività di matrice antropica che ogni anno causa il maggior numero di decessi. In Italia è soprattutto il nord a esserne colpito, con punte di letalità che arrivano a 468 morti all’anno ogni 100mila abitanti. Una delle sfide più importanti nella lotta al cambiamento climatico è la riduzione dell’inquinamento atmosferico, particolarmente dannoso sia per l’ambiente che per la salute dell’essere umano. Delle diverse sostanze inquinanti che l’attività di matrice antropica emette nell’atmosfera, una particolare attenzione va rivolta al cosiddetto particolato fine o Pm2.5 (acronimo inglese di particulate matter), che secondo la European environmental agency e l’OMS è tra le più nocive. In particolare, ha un impatto molto forte sulla salute umana, e ogni anno causa migliaia di decessi prematuri.

Gli effetti del particolato fine sulla salute umana

Il Pm2.5 è una particella di diametro inferiore ai 2,5 millesimi di millimetro (o micron, μ). Data la sua dimensione estremamente ridotta, è capace di penetrare in profondità nel sistema respiratorio umano, raggiungendo non solo la trachea e le vie respiratorie superiori, quale è il caso del Pm10, ma anche gli alveoli polmonari. Il particolato fine ha effetti nocivi sia sul sistema respiratorio che su quello circolatorio. Secondo le analisi dell’Oms, una esposizione prolungata ha comprovati legami con l’emergere di tumori e di altre patologie come l’obesità, il diabete, ma anche il morbo di Alzheimer e la demenza. Può inoltre causare arteriosclerosi e, secondo ricerche recenti, potrebbe incidere sullo sviluppo neurologico nei bambini e sulle funzioni cognitive negli adulti. Oltre a esacerbare problemi di salute preesistenti.

Come riporta l’Eea, si tratta della sostanza inquinante più dannosa per la nostra salute, insieme al biossido di azoto (No2) e all’ozono (O3), nonché quella che ogni anno causa il numero più elevato di morti premature. Negli ultimi anni, grazie all’innovazione tecnologica e al crescente utilizzo di carburanti meno inquinanti, nell’UE questa cifra ha registrato un graduale calo. Si tratta comunque di cifre molto elevate. Soprattutto se consideriamo che sono distribuite in maniera fortemente diseguale non solo tra i vari paesi dell’Unione, ma anche all’interno dei singoli Stati, in particolare tra le diverse classi sociali di appartenenza.

Bambini, anziani e persone con condizioni di salute fragili o malattie pregresse sono infatti particolarmente esposte ai rischi del particolato fine. Ma in generale anche le persone che si trovano in condizioni di disagio socio-economico, che spesso vivono nelle aree più periferiche delle grandi città. Cioè zone fortemente industrializzate, con poco verde pubblico e abitazioni costruite a ridosso di strade trafficate – luoghi particolarmente esposti all’inquinamento atmosferico.

L’esposizione al Pm2.5 incide fortemente sull’aspettativa di vita

In questo senso è anche importante sottolineare che i dati riguardano solo i 27 paesi che fanno parte dell’Unione Europea, ma che a essere maggiormente colpiti dal problema dell’inquinamento da Pm2.5 sono paesi europei che non ne fanno parte, in maniera particolare l’area balcanica (Serbia, Macedonia del nord, Albania). Come evidenzia l’Eea, si tratta infatti di stati ancora largamente dipendenti da combustibili di qualità inferiore come il legno e il carbone, fortemente inquinanti.

La regione della capitale macedone Skopje, in particolare, è quella che riporta il numero più elevato di morti premature da Pm2.5 di tutto il continente (225 ogni 100mila abitanti nel 2019), seguita dalla provincia serba Podunavska oblast (205). Tra i paesi Ue invece è la Bulgaria a registrare le cifre più elevate, soprattutto, anche in questo caso, nella regione della capitale.

Le morti premature da Pm2.5 nella penisola italiana

A causa dell’alto tasso di industrializzazione, l’Italia è uno dei paesi UE che risultano maggiormente colpiti dal problema del particolato fine. Da questo punto di vista esistono però forti differenze a livello locale. Cremona è la provincia italiana che nel 2019 ha registrato il numero più elevato di decessi causati dall’esposizione al particolato fine. È la quarantesima provincia in UE da questo punto di vista. Si stima che in quell’anno 468 persone abbiano perso la vita per questo motivo. La seguono Brescia, Mantova e Padova con 123 decessi ogni 100mila abitanti.

Il numero di decessi causati dal particolato sottile ogni 100mila abitanti nelle province italiane (2019)

In generale, a risultare maggiormente colpito è il nord della penisola e in particolare la Lombardia, il Veneto e l’Emilia-Romagna, in corrispondenza della zona fortemente industrializzata della pianura padana. Mentre a riportare le cifre più contenute sono la provincia sarda di Sassari (con 49 decessi ogni 100mila abitanti), seguita da Olbia-Tempio nella stessa regione e dalla Valle d’Aosta, entrambe con 50 morti. Va però sottolineato che, come è avvenuto a livello europeo, anche in Italia la situazione sta gradualmente migliorando. Come abbiamo raccontato in un altro recente approfondimento sul problema del particolato fine, negli ultimi 13 anni la concentrazione di questa sostanza nell’aria delle città italiane si è infatti dimezzata. Ma resta ancora molta strada da fare, considerando che l’Ocse raccomanda una concentrazione inferiore ai 10 µg/m3, mentre nel 2019 nelle città italiane questa si attestava, mediamente, intorno ai 15,5 µg/m3.

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Fonte: https://www.italiachecambia.org/2022/01/particolato-fine-italia/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Chi sono i ricercatori finanziati dalla Coca Cola?

La Coca Cola ha pubblicato una lista, definita “trasparente” dalla stessa multinazionale, dei ricercatori scientifici che finanzia. Ma la rivista Public Health Nutrition ne ha verificato correttezza e completezza e ha scoperto che…Immagine

Un articolo pubblicato su Public Health Nutrition ha cercato di valutare quanto fosse completa la lista, dichiarata come “trasparente” dalla CocaCola, dei 218 ricercatori finanziati dalla stessa. Per far ciò, gli autori dell’articolo hanno considerato tutte le ricerche scientifiche i cui autori avevano dichiarato di aver ricevuto dei finanziamenti dalla CocaCola, pubblicate tra il 2008 e il 2016. Hanno così identificato 389 articoli pubblicati in 169 diverse riviste da 907 autori. Su 331 articoli in cui apparivano finanziamenti da parte della CocaCola, 128 (39%) non avevano tra gli autori uno dei 218 ricercatori della lista “trasparente”, mentre 38 (17%) di questi 218 ricercatori avevano omesso di dichiarare i finanziamenti ricevuti. La lista “trasparente” della CocaCola è quindi alquanto incompleta. Infine, la maggior parte delle ricerche finanziate dalla ditta riguardavano l’attività fisica; la CocaCola si guarda bene dall’analizzare l’associazione tra dieta ed obesità, e soprattutto tra consumo di bevande zuccherate e obesità. Nonostante affermi, dopo i recenti scandali (leggere gli articoli nella lettere 36 di gennaio 2016 e 47 di aprile 2017), di voler essere trasparente, la CocaCola deve fare ancora molta strada per raggiungere questo obiettivo. Un aspetto importante e originale dell’articolo, sottolineato dall’editoriale che lo accompagna, scritto dalla redazione della rivista al completo, è che gli autori pubblicano nomi e cognomi dei 15 ricercatori maggiormente implicati nelle ricerche finanziate da CocaCola in termini di fondi ricevuti e numero di studi realizzati e pubblicati. Tutti e 15 questi ricercatori avevano dichiarato i finanziamenti e facevano parte della lista “trasparente” della ditta. Si tratta quasi sicuramente di un segnale che la Nutrition Society, la società scientifica che pubblica Public Health Nutrition, vuole dare. Non è più sufficiente dichiarare finanziamenti e conflitti d’interesse; bisogna anche smetterla di lavorare per l’industria, soprattutto se si tratta di un’industria invischiata in danni alla salute. Fare i nomi significa additare alla comunità scientifica quei ricercatori che, pur di fare carriera accademica, con i relativi benefici economici, non esitano a collaborare con il diavolo. Se questa strategia, fare i nomi, dovesse diventare comune, forse qualche ricercatore ci penserebbe due volte, prima di imbarcarsi in relazioni pericolose.

Si ringrazia l’associazione No Grazie Pago Io

Fonte: ilcambiamento.it

A scuola si cammina “un miglio al giorno” per contrastare obesità e sedentarietà

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Benessere e movimento all’aria aperta. “Un miglio al giorno” è il progetto che la Asl TO4 ha importato dalla Scozia per promuovere il movimento e l’attività all’aria aperta come parte integrante della giornata a scuola e diffondere nella comunità scolastica informazioni e conoscenze sui benefici dell’attività motoria. 1Km e 600 metri di camminata a passo svelto per ossigenare la mente e offrire un esempio di buona pratica quotidiana.

Dailymile” (un miglio al giorno), è una pratica che, nata da un’iniziativa di una scuola scozzese, si sta rapidamente diffondendo oltre che nel Regno Unito, anche in molti paesi europei (Olanda, Belgio, Francia, Spagna) e negli USA.
Le scuole scozzesi hanno fatto da apri pista di questa esperienza dimostrando i vantaggi che questa pratica porta non solo a livello di benessere fisico ma anche sulla capacità di concentrazione, umore e sullo stato generale di benessere un-miglio-al-giorno-a-scuola-1519639569

1km e 600 metri da percorrere durante l’orario scolastico, abbandonando le aule per una pausa rigenerante all’aria aperta, un momento di socialità e relazione diversa per i bambini che non si ferma di fronte alle intemperie. Infondo come diceva l’educatore e scrittore anglossassone Robert Baden-Powell: “Non esiste buono o cattivo tempo, ma solo buono o cattivo equipaggiamento”.

L’anno scorso “Dailymile” è arrivato ufficialmente anche in Italia e più precisamente in Piemonte con l’adesione di due scuole inserite anche nella mappa del sito scozzese: nell’istituto comprensivo statale Buttigliera Alta Rosta e alla scuola primaria “Elsa Malferrati” di Roddi (Cn). Partendo da queste due sperimentazioni la Asl Piemonte ha deciso di proporre il progetto “Un miglio al giorno” che ha preso il via a settembre dell’anno scorso con un percorso di formazione rivolto agli insegnanti delle scuole aderenti (a cura dei Servizi Asl TO4 Medicina dello Sport, Promozione della Salute, Sorveglianza e Prevenzione Nutrizionale). Nelle scuole aderenti tutti i giorni, durante l’orario scolastico, le classi a rotazione, accompagnate dagli insegnanti, escono dall’edificio scolastico per coprire la distanza di un miglio a passo svelto lungo un percorso sicuro individuato dagli insegnanti. Un allenamento fisico leggero, circa 15 minuti, passi importanti per promuovere uno stile di vita sano sin da piccoli, vista anche l’alta incidenza di bambini in sovrappeso o che non praticano attività sportiva fuori dalla scuola che lo staff promozione e salute della Asl ha individuato.un-miglio-al-giorno-a-scuola-1519639622

Infatti, parallelamente, il progetto invita gli insegnanti a lavorare sul miglioramento dello stile di vita in tema di alimentazione, “perché ad un’auspicabile attività di movimento quotidiana occorre abbinare fin dall’infanzia una corretta alimentazione”.
L’attività viene svolta dalle classi aderenti almeno due giorni a settimana, chi lo propone con più frequenza, anche ogni giorno, oltre al monitoraggio di base supportato dal Servizio di Medicina dello Sport, ha anche un monitoraggio del peso dei partecipanti. La normale didattica così si interrompe e continua al di fuori dell’aula, gli insegnanti infatti spesso propongono in questo modo didattica all’aria aperta: dall’osservazione dell’ambiente, del cambio delle stagioni, a laboratori artistici. Al progetto hanno aderito decine di scuole primarie e alcune scuole secondarie di primo grado.

Fonte: http://piemonte.checambia.org/articolo/un-miglio-al-giorno-a-scuola/

 

Quanto zucchero mangiare? L’OMS vorrebbe dimezzare le dosi consigliate

25 grammi al giorno per le donne e 38 per gli uomini sarà probabilmente la nuova dose suggerita, ma per ora non c’è nulla di ufficiale, forse perchè si teme il massiccio contrattacco dell’industria alimentare e dei baroni dello zucchero

Sappiamo ormai con certezza che lo zucchero agisce come una droga sul nostro organismo, creando veri e propri fenomeni di desiderio acuto, dipendenza, astinenza e ricadute, come dimostrato da una ricerca dell’Università di Princeton. Il nostro cervello da cacciatori-raccoglitori non sa quando smettere di fronte allo zucchero raffinato e sembra non essere mai sazio: in un secolo in Italia il consumo di zucchero è cresciuto di sei volte, da 5 a 30 kg pro capite. Negli USA il consumo è più che doppio, a causa dei dolcificanti, tra cui il famigerato HFCS, lo sciroppo di fruttosio: 64 kg all’anno sono un bel fardello, come mostra l’immagine in basso! Non sempre questo consumo è visibile in termini di bustine o cucchiaini: quanto zucchero c’è ad esempio in una lattina di bevanda gassata? (vedi il video in alto). Conosciamo anche gli effetti negativi dello zucchero sulla salute, al punto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda da almeno una decina di anni di ridurne il consumo e di non superare il 10% dell’apporto calorico quotidiano, cioè circa 65 grammi al giorno per una dieta da 2500 kcal. In Europa in media oggi si viaggia intorno al 12% e in America addirittura al 16%. Da qualche tempo però si vocifera che l’OMS vorrebbe dimezzare le dosi consigliate al 5% dell’apporto calorico, indicativamente 25 grammi al giorno  per le donne e 38 per gli uomini. Per ora non c’è nulla di ufficiale, anche perchè si tratta di un argomento che scotta: “l’industria alimentare farà qualunque cosa per bloccare una simile mossa”, ha dichiarato Philip James, il presidente dell’Associazione Internazionale per lo studio dell’obesità. Saremo in grado di autocontrollarci senza limiti di legge? Non sarebbe male, anche perchè parte dei 31 milioni di ettari dedicati alla canna (26 milioni) e alla barbabietola da zucchero (5) potrebbero lasciare spazio ad altre calorie meno “vuote”.Consumo-medio-zucchero-USA

Fonte: ecoblog

Oxfam boccia il Paese della Dieta Mediterranea: è in Olanda che si mangia meglio

Il Paese simbolo della Dieta Mediterranea delude le aspettative di Oxfam, infatti non è l’Italia che si piazza all’8° posto, bensì l’Olanda ad avere la dieta è più sana, abbondante, nutriente e economica e batte persino Francia e Svizzera1oxfam-best-worst-food-map-620x350

Secondo il Rapporto Oxfam Good Enough to Eat è l’Olanda il Paese numero 1 al mondo per la dieta più abbondante, nutriente, sana ed economico battendo la Francia e la Svizzera che si piazza al secondo posto. Il Ciad si classifica in coda alla lista dei 125 Paesi presi in esame dietro Etiopia e Angola. I Paesi europei occupano tutta la parte superiore della classifica coprendo i primi 20 posti con l’eccezione dell’Australia che si colloca all’ 8 ° posto, mentre Stati Uniti, Giappone, Nuova Zelanda, Brasile e Canada seguono il resto della classifica. Occupano le posizioni peggiori 30 Paesi Africani con Laos, Bangladesh, Pakistan e India. L’Italia si piazza all’ 8° posto a causa degli elevati livelli di obesità e diabete che spingono il nostro Paese verso il basso nella classifica mondiale. Good Enough to Eat di Oxfam ha messo a confronto 125 paesi nel merito delle sfide che le persone devono affrontare ogni giorno per procurarsi un pasto completo analizzando se hanno abbastanza da mangiare, cibo di qualità, l’accessibilità al cibo e la salubrità alimentare. La ricerca rientra nella campagna GROW in cui Oxfam chiede una riforma urgente per il modo in cui il cibo viene prodotto e distribuito in tutto il mondo per porre fine allo scandalo per cui una persona su otto soffre la fame nonostante ci sia cibo sufficiente a sfamare tutti. Sulla convenienza il Regno Unito è tra i peggiori Paesi in Europa occidentale condividendo la 20sima posizione con Cipro; il cibo in Guinea, Gambia, Ciad e Iran costa due volte e mezzo più di altri beni di consumo, rendendo questi Paesi tra i più cari al mondo; il prezzo del cibo negli Stati Uniti è il più economico e più stabile del mondo mentre Angola e Zimbabwe soffrono per i prezzi alimentari più volatili. I paesi i cui cittadini devono lottare per avere cibo a sufficienza e con elevato numero di bambini malnutriti e sottopeso sono Burundi, Yemen, Madagascar e India. Ma qualche vantaggio lo hanno anche Cambogia e Burundi essendo i Paesi che registrano i livelli di obesità e diabete più bassi nel mondo mentre gli Stati Uniti, Messico, Fiji, Giordania, Kuwait e Arabia Saudita svettano con i più alti tassi per obesità e diabete. L’Islanda ha un mix perfetto per la qualità del suo cibo, in termini di diversità nutrizionale e acqua potabile, ma i livelli di obesità e diabete la spingono verso il basso al 13 ° posto così come gli Stati Uniti che finiscono al 21° posto.

Winnie Byanyima direttore esecutivo di Oxfam International ha dichiarato:

Questa classifica mette a nudo i problemi più comuni che le persone hanno con il cibo indipendentemente da dove essi provengono e rivela come il mondo non riesce a garantire che tutti possano mangiare in modo sano nonostante ci sia abbastanza cibo per tutti.

Fonte: Oxfam

L’iniziativa contro lo spreco alimentare di Last Minute Market per il 2013 è ‘Carta spreco zero’

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Lo spreco alimentare che si verifica quotidianamente è uno dei più grandi paradossi di un mondo nel quale una buona parte della popolazione muore di fame o è a rischio di morte e malnutrizione a causa di sufficiente cibo disponibile, mentre un’altra parte della popolazione, più ridotta ma in aumento, combatte contro l’obesità. Tali estremi si riscontrano non solo tra diversi Continenti, ma anche all’interno dello stesso Stato o della stessa città. Contro queste differenze, ma anche contro un uso scorretto e una mancata valorizzazione delle risorse ambientali, si schiera la nuova campagna 2013 di Last Minute Marketspin off dell’Università di Bologna-Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari nato nel 1998 e divenuto nel corso degli anni una realtà d’eccellenza internazionale nel recupero delle eccedenze alimentari. Dal 2010, l’associazione è impegnata in campagne annuali europee per sensibilizzare contro gli sprechi alimentari. Tema centrale, quest’anno è la carta. Con la campagna “Carta Spreco Zero“, già sottoscritta da 231 Comuni italiani. In una situazione economica e sociale difficile, nella quale il 6% delle famiglie italiane ammette le proprie difficoltà nel garantirsi i pasti quotidiani, le amministrazioni firmatarie si impegnano ad attivare il decalogo di buone pratiche contro lo spreco alimentare che rende subito operative le indicazioni della Risoluzione del Parlamento europeo contro lo spreco. Non solo il cibo è al centro del prezioso decalogo, ma tutte le energie e le materie prime che vengono coinvolte nei processi produttivi di alimenti che finiscono poi per venire sprecati. Il fine ultimo è quello di ottimizzare l’intera catena alimentare europea, dai piccoli produttori e consumatori sino ai più complessi sistemi della grande distribuzione e della ristorazione, dove si registrano le maggiori quantità di sprechi. Firmando la carta, i Comuni si impegnano a rendere immediatamente attive le proposte contenute nel decalogo, in vista del raggiungimento dell’obiettivo UE, concordato proprio grazie all’azione internazionale di Last Minute Market, di ridurre gli sprechi alimentari del 50% entro il 2025. In particolare, il catalogo prevede il sostegno al recupero dei prodotti scartati dall’industria agroalimentare per la ridistribuzione alle persone al di sotto del reddito minimo, l’incentivazione della vendita a prezzo scontato di prodotti prossimi alla scadenza, attivazione di progetti di educazione alimentare, la semplificazione delle etichette per gli alimenti e l’istituzione di un osservatorio per gli sprechi alimentari.

Fonte: tuttogreen

Cani e gatti: il 30% soffrono di obesità. Quali rimedi

Sempre più animali domestici soffrono di obesità. Ecco qualche consiglio per mantenerli in forma 109948517-586x390

Come negli esseri umani, anche fra gli animali domestici diventano sempre più frequenti i casi di obesità. Cani e gatti mangiano troppo, proprio come i loro padroni: il 30% dei cani gatti italiani sono obesi. A volte la malattia è causata dall’ipotiroidismo o da trattamenti con farmaci cortisonici. Ma nel 99% dei casi la causa è il padrone che non fa muovere abbastanza l’animale e lo rimpinza di qualsiasi genere di cibo. I proprietari degli animali domestici devono nutrire i loro animali in maniera equilibrata, senza esagerare con le dosi di croccanti e scatolette e tenendo bene a mente che l’animale non è un’alternativa al bidone dell’organico, come purtroppo molti padroni poco avveduti pensano. Se tre animali su dieci hanno problemi di obesità, il problema è la cultura – assimilata in decenni di vacche grasse – per cui più si mangia e meglio si sta. Non è così, anzi, più i nostri cani e i nostri gatti mangiano, maggiori sono le possibilità che gli animali sviluppino malattie quali il diabete mellito, l’artrite patologie muscolo-scheletriche come le classiche zoppie croniche dei cani sovrappeso. E anche cani e gatti soffrono di patologie cardiache e respiratorie e di pressione alta. Per molti animali il cibo è anche un modo per attirare l’attenzione dei padroni. La cosa migliore è consultarsi con il veterinario e capire quanto e quando l’animale deve mangiare. La razione giornaliera va divisa in due o tre pasti. E basta. Niente bocconi durante il giorno. Un po’ di buon senso e poche calorie. Per tenerli insieme a noi il più a lungo possibile.

Fonte: Alto Adige

 

Microonde: 10 motivi per utilizzarlo il meno possibile.

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Il microonde può essere considerato uno strumento sicuro per cucinare o dovrebbe essere evitato per proteggere la nostra salute? Risultano al momento numerosi e differenti i pareri e le teorie in proposito. Da una parte il microonde potrebbe essere considerato uno strumento utile ed innocuo, dall’altra parte esso altererebbe il sapore e le caratteristiche degli alimenti, con possibili danni per la nostra salute. Proviamo dunque ad approfondire l’argomento in dieci punti, tenendo conto di come, rispetto alla progressiva diffusione dell’uso dell’elettrodomestico, gli studi riguardanti i suoi effetti sui cibi sarebbero relativamente poco numerosi.

1) Energia elettromagnetica e molecole

Le microonde vengono definite, secondo quanto riportato da Progetto Caduceo (un sito web dedicato alla ricerca delle cause profonde delle malattie) come una forma di energia elettromagnetica, in grado di cambiare polarità, dal positivo al negativo, per un determinato numero di volte nel corso di ogni ciclo. Le radiazioni emesse dal forno a microonde interagirebbero con le molecole dei cibi, “bombardando” gli alimenti dall’interno verso l’esterno. Ciò sarebbe in grado di deformare e di danneggiare la struttura delle molecole, tanto da portare alcuni ad affermare che il cibo cotto al microonde conservi soltanto il proprio aspetto esterno, ma non potrebbe più essere considerato “cibo” dal punto di vista del proprio contenuto.

2) Sostanze cancerogene

In Russia sono stati condotti studi approfonditi riguardo l’impiego del microonde, che hanno ricevuto la propria pubblicazione ufficiale tra le pagine della rivista Atlantis Raising Educational Center di Portland (Oregon). Da tali studi sarebbe emerso come in numerosi alimenti sia possibile la formazione di sostanze cancerogene a seguito dell’impiego del microonde. Tali alimenti sono costituiti in particolar modo da: carne, latte e cereali, verdure (crude, cotte o surgelate, per cui anche una breve esposizione trasformerebbe i loro alcaloidi in sostanze cancerogene), frutta scongelata al microonde. In barbabietole e rape cotte al microonde si formerebbero radicali liberi cancerogeni. Nel 1976 la Russia mise al bando i forni a microonde, poi riabilitati con la Perestroika.

3) Valore nutritivo degli alimenti

Il valore nutritivo degli alimenti, ancora una volta secondo gli studi russi, subirebbe una drastica diminuzione a causa dell’esposizione alle radiazioni emesse da parte del microonde. Il valore nutritivo di tutti gli alimenti testati verrebbe ridotto dal 60 al 90%. Ad essere interessate sarebbero in particolar modo le vitamina, con riferimento alle vitamine del gruppo B, alla vitamina C ed alla vitamina E. Sarebbero inoltre interessati da un calo del valore nutritivo i minerali essenziali ed i fattori lipotropi (sostanze in grado di modificare il metabolismo dei grassi) presenti negli alimenti).

4) Effetti sul sangue

Dal sito web Disinformazione.it apprendiamo come uno dei maggiori studi riguardanti l’effetto del microonde sul sangue sia da attribuire al professor Bernard Blanc, dell’Università di Losanna, il quale, insieme ad un altro esperto, di nome Hans U. Hertel, propose al Swiss National Fund una ricerca riguardante gli effetti sulla salute umana del cibo cotto con il microonde. La proposta fu rifiutata e la ricerca venne dunque condotta su piccola scala e con fondi privati. Otto volontari furono coinvolti nello studio, senza che fossero a conoscenza dei metodi di cottura del proprio cibo. A parere degli esperti, secondo quanto riportato all’interno dello studio in questione: “I cibi cotti con microonde, paragonati a quelli non irradiati, causano cambiamenti nel sangue delle persone testate, tali da indicare l’inizio di un processo patologico, proprio come nel caso di un iniziale processo canceroso”. Dalle analisi del sangue condotte sui volontari emerse come a seguito di assunzione di cibi cotti al microonde si verificassero una riduzione dell’emoglobina ed un aumento dell’ematocrito, dei leucociti e del colesterolo.

5) Le microonde sono tossiche?

Il sito web Disinformazione.it riporta un’intervista rivolta al dottor Hans U. Hertel, nella quale le microonde vengono definite in contraddizione con la natura e quindi tossiche, principalmente poiché nel caso del microonde ci troviamo di fronte ad un’energia basata sulla corrente alternata, mentre le energie naturali si basano sulla corrente continua, a impulsi. Gli alimenti verrebbero resi tossici proprio dall’azione delle microonde, con effetti a lungo termine pericolosi per la salute dell’uomo, compreso il cancro.

6) Involucri per microonde

Un’ulteriore situazione di dubbio è legata all’impiego di involucri per il confezionamento di alimenti destinati alla cottura in microonde. Nell’anno 2000 la University of California ha posto in luce la migrazione dagli involucri per microonde verso gli alimenti in essi contenuti di una sostanza cancerogena denominata dietilexiladepate, in una quantità compresa tra le 200 e le 500 parti per milione. Tra le sostanze in grado di migrare dagli involucri agli alimenti vennero inoltre individuate gli xenoestrogeni, correlate al tumore al seno ed alla diminuzione degli spermatozoi.

7) Esposizione alle microonde

La nostra esposizione agli effetti della cottura al microonde non avverrebbe unicamente attraverso l’assunzione di cibo preparato utilizzando tali metodi, ma anche a causa di una eccessiva vicinanza all’elettrodomestico durante il suo funzionamento. Sarebbe dunque necessario mantenere una distanza di almeno 90 centimetri dal forno a microonde funzionante per non esporsi agli effetti cumulativi delle sue onde. La parte del corpo a maggior rischio di esposizione alle microonde sarebbe il cristallino degli occhi, in quanto non avrebbe modo di disperdere l’energia termica.

8) Struttura cellulare degli alimenti

L’invenzione del forno a microonde sarebbe avvenuta durante la seconda guerra mondiale, in Germania, al fine di facilitare la preparazione dei cibi all’interno dei sottomarini oppure per facilitare i soldati nel corso delle manovre di invasione dell’Unione Sovietica. La tecnologia venne in seguito esportata negli Stati Uniti ed il primo forno a microonde venne posto in commercio da parte di Rayethon nel 1952. Soltanto negli anni Settanta iniziarono però a comparire i primi studi che apparivano porre in dubbio la sicurezza del microonde. Studi condotti su broccoli e carote cotti al microonde avrebbero evidenziato come la struttura molecolare degli alimenti si deformasse al punto tale da distruggere le pareti cellulari. Nella cottura tradizionale, invece, le strutture cellulari rimarrebbero intatte (Journal of Food Science, 1975).

9) Biberon e latte per l’infanzia

L’Università del Minnesota, tramite un annuncio trasmesso via radio, avrebbe indicato come il microonde non sia raccomandato per riscaldare il biberon dei bambini. Il contenitore potrebbe apparire freddo all’esterno, ma il liquido contenuto al suo interno potrebbe risultare bollente e causare ustione. Inoltre il riscaldamento al microonde potrebbe provocare alcuni cambiamenti all’interno del latte stesso con perdita di vitamine nel latte formulato e con la distruzione di alcune proprietà protettive nel caso del latte materno. L’Università consigliava dunque di riscaldare il biberon immergendolo in una ciotola contenente acqua calda in sostituzione del microonde.

10) Obesità

La complessa questione della cottura al microonde è stata infine posta in correlazione con la diffusione di una vera e propria epidemia di obesità nel corso degli ultimi decenni. Il microonde ha contribuito alla diffusione dell’obesità? Secondo un articolo pubblicato nel 2007 da parte di BBC News, dal titolo “Did microwaves ‘spark’ obesity?”, la diffusione del microonde dovrebbe essere valutata tra le possibili cause dell’epidemia dell’obesità. L’inizio dell’epidemia di obesità è stato datato da parte degli esperti tra il 1884 ed il 1987, periodo in cui ebbe inizio un’ampia diffusione dell’impiego del microonde, che avrebbe dunque reso più rapida la preparazione degli alimenti, accompagnato dalla comparsa nei supermercati di cibi pronti da cuocere in poco tempo. Ciò potrebbe aver condotto ad una minore qualità dei cibi introdotti nella propria alimentazione, ad un incremento delle quantità di cibi di scarsa qualità consumati e ad un conseguente aumento incontrollato del peso corporeo.

Marta Albè

Fonte: http://pianetablunews.wordpress.com/

USA, ADDIO ALLA CARNE: I VEGANI RADDOPPIATI NEGLI ULTIMI TRE ANNI

GOOGLE TRENDS: CRESCITA NOTEVOLE DELL’INTERESSE

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Con personaggi influenti come l’ex presidente Usa Bill Clinton che ha annunciato il proprio entusiasmo per una dieta vegana e celebrità come Justin Timberlake che canta “Bring it on down per Veganville”, sembrerebbe che il veganismo stia diventando sempre più diffuso. Secondo Google Trends, l’interesse del pubblico per la dieta vegana è più alto che mai. E’ in aumento il numero di persone alla ricerca del termine “vegano” sul motore di ricerca più importante del mondo. Il picco, quota 100, indica l’interesse più alto mai raggiunto, che per questo termine è stato toccato lo scorso marzo. E non solo: uno studio, commissionato nel 2012 dal Vegetarian Resource Group e realizzato da Harris Interactive, ha rilevato che il 2,5 percento degli americani si è definito “vegan”, rispetto all’1 percento nel 2009. Guardando questi ultimi numeri, sembra di non essere di fronte ad una crescita accentuata, ma per comprendere il fenomeno basta considerare il fatto che il numero dei vegani è più che raddoppiato in soli tre anni. L’anno scorso, Mark Bittman ha scritto su The New York Times che la domanda americana di carne è stata in costante diminuzione, con le proiezioni del Dipartimento dell’Agricoltura che mostrano un ulteriore calo. Più di recente, dopo che lo scandalo della carne di cavallo, soprattutto in Europa, ha suscitato indignazione pubblica, le vendite di prodotti senza carne sono salite. Il crescente interesse potrebbe dipendere dall’esplosione delle celebrità vegan negli ultimi anni. Tuttavia, siamo davanti ad una tendenza più significativo. Alcuni studi hanno recentemente collegato il veganismo ad una varietà di effetti benefici sulla salute a tutto tondo: da una migliore salute del cuore ad un controllo più efficace degli zuccheri, fino all’abbassamento dei tassi di obesità. Ridurre il consumo di carne, tra l’altro, è anche vantaggioso per l’ambiente.

       Fonte: mondo veg

Verso un’alimentazione vegetariana o vegana: arriva il Vegancoach

Secondo il Rapporto Eurispes 2013, ogni anno aumenta in Italia il numero dei vegetariani e vegani per una maggiore empatia verso gli animali, per il benessere del pianeta e di se stessi. Tutti coloro che vogliono ridurre i consumi di carne e di altri prodotti di origine animale o desiderano alimentarsi correttamente nell’ambito di un regime vegetariano o vegano possono ora rivolgersi ad un Vegcoach, nuova figura professionale ideata dalla Dott.ssa Roberta Bartocci, biologa nutrizionista.

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Il 6% degli italiani ha scelto di diventare vegetariano (4,9%) o vegano (1,1%). Pur essendo una percentuale molto bassa rispetto al 94% degli onnivori, “è in aumento di due punti percentuali rispetto alla rilevazione dello scorso anno”, secondo il Rapporto Eurispes 2013presentato a gennaio presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma. “Sono soprattutto le donne – si legge dal rapporto – ad essere disposte a praticare questo stile di vita, in virtù di una spiccata sensibilità per gli animali (66,7% contro il 30,8% degli uomini), mentre gli uomini scelgono di essere vegetariani o vegani prevalentemente per il benessere fisico e per la salute”. Per tutti coloro che vogliono ridurre il consumo di carne e di altri prodotti di origine animale o che vogliono alimentarsi correttamente a prescindere dalle motivazioni, nasce una nuova figura professionale, il Vegcoach: un esperto di alimentazione, nutrizione e lifestyle vegetariano e vegano per avvicinarsi ad un alimentazione più green. Abbiamo incontrato la Dott.ssa Roberta Bartocci, biologa nutrizionista e ideatrice di questa nuova professione.

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Per l’ambiente. Con un solo pasto 100% vegetale rispetto ad uno con carne ma a parità di apporto nutrizionale è possibile risparmiare fino a 3,2 Kg di CO2 e oltre 1500 litri di acqua/kg di cibo. Se tutti gli italiani si impegnassero a sostituire un pasto con carne una volta a settimana o se ai 2 milioni di bambini e ragazzi che mangiano in mensa venisse somministrato un pasto a base di carne in meno si risparmierebbero tonnellate di CO2 senza spendere un euro e con benefici immediati sull’ambiente. Per non parlare poi del fatto che un bovino produce deiezioni quanto 16 umani, un suino quanto 4: un allevamento con 10.000 suini equivale ad una cittadina di 40.000 persone senza rete fognaria!

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Per gli animali. Le atrocità commesse sugli animali non umani per alimentare un mercato non necessario sono letteralmente disumane: sfido anche il più arrogante degli onnivori a non inorridire di fronte a quanto subiscono circa 1 miliardo di animali ogni anno (questa la cifra approssimativa di quelli terrestri allevati solo in Italia) e a non rabbrividire se si considera che la quasi totalità sono uccisi appena cuccioli. Su questo argomento non mi dilungo oltre visto che è possibile approfondirlo facilmente sul web; mi preme però, sottolineare che la scelta del cibo ha anche una dimensione inconscia e che scegliere assecondando non solo la pancia e il palato ma anche il cuore e lo spirito dà al cibo tutto un altro sapore e un’altra energia che si ripercuote sulle nostre cellule. Per la salute. Le molecole riconosciute come anticancerogene sono tutte di origine vegetale e se c’è un principio su cui qualsiasi nutrizionista concorda è quello che consumare abbondanti quantità di cibi vegetali a scapito di quelli animali preserva da diversi tipi di cancro, diabete, malattie cardiovascolari, sovrappeso e malattie a base infiammatoria. Escludendo del tutto carne e derivati e pianificando in modo adeguato l’alimentazione i benefici sono massimi.

Le produzioni animali inoltre rappresentano una fonte energetica (per chi considera gli animali cibo) troppo lontana da quella primaria di energia: il sole. I passaggi fino al consumatore finale sono molti di più rispetto alle produzioni vegetali e questo si presta a speculazioni che si ripercuotono sulle popolazioni dei paesi in via di sviluppo.

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Vegcoach è il nome della professione da lei ideata. Cosa significa e che cosa ricevono le persone?

Sono una biologa nutrizionista che ha provato sulla propria pelle l’alimentazione a base vegetale da molti anni. Ho deciso di inventare questa professione perché credo che questo sia il momento storico giusto per sostenere quanti desiderino avvicinarsi a stili alimentari sostenibili e per facilitare chi già si è avvicinato al green food e necessita di un supporto. In più di 15 anni ho provato stili alimentari, ricette e prodotti vegetali di ogni tipo; posso, così, consigliare i marchi migliori da acquistare, il tipo di preparazione di un certo alimento che non è stato mai provato prima. Cosa ricevono le persone che si rivolgono a me? Prima di tutto attenzione perché considero positivamente chi decide di alimentarsi in modo più green, mettendo a proprio agio coloro che troppo spesso non si sentono compresi o che vengono addirittura scoraggiati nel perseguire uno stile alimentare etico. Per i privati, oltre a consulenze nutrizionali, propongo corsi di cucina a tema, supporti familiari, conferenze di approfondimento anche per piccoli gruppi; per le imprese della ristorazione, anche lontane dalle esigenze del consumatore green, studio menu, ricette esclusive e propongo percorsi di formazione ed eventi.

Il singolo che ha bisogno di una sua consulenza cosa deve fare?

Contattarmi via mail o telefonicamente per spiegarmi l’esigenza. Ricevo a Roma su appuntamento in Via Flaminia Vecchia, il venerdì. Per chi mi contatta da fuori Roma è possibile effettuare colloqui via Skype previo appuntamento. Sul mio sito web Vegcoach, sotto la voce ‘Contatti’, potete trovare tutti i riferimenti utili.

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Gli sportivi possono avere un suo supporto?

Certamente. Collaboro e mi interfaccio però con altre figure professionali se la persona che mi contatta pratica uno sport a livello agonistico.

In che cosa consiste la visita?

La prima visita ha la durata di circa un’ora e prevede la raccolta di dati antropometrici: peso, altezza, circonferenze, plicometria e bioimpedenziometria per la valutazione della composizione corporea e un lungo colloquio che include anamnesi del peso, dello stile alimentare, dell’attività fisica e degli obiettivi. Al termine vengono fornite indicazioni in base alle esigenze del paziente oppure su richiesta, dopo circa una settimana dalla visita, viene organizzato un secondo colloquio durante il quale viene consegnato e illustrato al paziente il documento contenente il programma con le indicazioni alimentari personalizzate, compresi suggerimenti di ricette e modalità di cottura dei cibi e viene effettuato un colloquio con tecniche di counseling per supportare l’adozione di comportamenti corretti in modo efficace ed attivo, rendendo l’alimentazione sana un piacere!

Ha un bellissimo bambino. È vegetariano o vegano?

Mio figlio, che ha 4 anni, mangia vegano a casa e vegetariano all’asilo perché i menu della ristorazione scolastica romana non contemplano in modo adeguato la scelta vegana e non è possibile fargli portare cibo da casa. Ad ogni modo seguo diverse mamme e bimbi nello svezzamento, periodo tanto delicato e importante quanto sprovvisto di figure professionali di riferimento, soprattutto nel centro e sud Italia.

Vogliamo sfatare alcuni miti? Iniziamo da osteoporosi e latte…

Latte e derivati hanno una composizione in minerali e proteine tale da produrre scorie acidificanti in grado di indebolire ossa e denti. Per rinforzare lo scheletro non è importante solo il calcio, ma anche il magnesio, di cui sono ricchi i vegetali e che invece scarseggia nel regno animale. È fondamentale inoltre, l’attività fisica ed una adeguata esposizione solare per produrre la vitamina D, indispensabile per la salute delle ossa. Consumare elevate quantità di derivati del latte predispone ad infiammazioni intestinali e inoltre è stata dimostrata la correlazione con l’insorgenza di cancro ad ovaie, seno e prostata.

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Ferro e carne…

Nel regno vegetale c’è abbondanza di ferro, che viene assorbito a seconda dei bisogni dell’organismo; una percentuale di quello contenuto nelle carni invece, chiamato ferro eme, viene assorbito anche se i depositi di ferro già presente nell’organismo sono elevati, cosa positivamente correlata all’insulino-resistenza, predisponendo quindi al diabete.

Vitamina B12 sì vitamina B12 no per i vegani e vegetariani…

La risposta può essere molto differente a seconda che ci si riferisca ad individui o ad una popolazione. Premettendo che l’alimentazione vegan non richiede alcuna supplementazione, mi sento tuttavia di consigliare un’integrazione per i vegani, solo ed esclusivamente per via della qualità media del cibo a cui si ha accesso oggi e della relativa necessità di proteggerne l’igiene. A livello individuale si può valutare la necessità dell’integrazione in considerazione della variabilità genetica e ambientale di ogni persona.

I vantaggi di una dieta vegetariana o vegana?

A parità di apporto energetico rispetto ad un regime onnivoro, gli stili alimentari prevalentemente o esclusivamente vegetali proteggono dalle principali patologie degenerative al primo posto nelle statistiche di mortalità e morbilità dei paesi industrializzati: diversi tipi di cancro, sovrappeso e obesità, diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari e sindrome metabolica, osteoporosi.

L’unico stile onnivoro compatibile con una eccellente salute del resto è quello in cui i cibi di origine animale sono consumati sporadicamente e in quantità residuali. Chiaramente anche la qualità dei cibi ha una rilevanza fondamentale: stagionalità, grado di lavorazione e raffinazione, metodo di coltivazione.

Fonte: il cambiamento