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Come si Calcola il Fattore Medio di Luce Diurna (FLDm)?

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Esistono diversi metodi di calcolo che differiscono tra loro per semplicità d’uso e soprattutto per l’affidabilità nel trattare situazioni geometricamente complesse. Una distinzione di base può essere fatta tra metodi che valutano globalmente le tre componenti e metodi che invece valutano singolarmente ciascuna di esse. Le tre componenti possono essere stimate con software specifici oppure con differenti metodi grafici, tabulari e analitici. Un metodo di calcolo molto diffuso è rappresentato dalla seguente formula:

calcolo lmdmIl calcolo risulta estremamente semplice mentre può non essere altrettanto scontato il procedimento di individuazione dei valori numerici da inserire, che richiede a sua volta l’utilizzo di tabelle e grafici. Fortunatamente al giorno d’oggi esistono numerosi software, anche gratuiti, che permettono di calcolare il FLDm per ogni ambiente in maniera molto semplice e rapida.
Nella seconda parte di questo articolo illustreremo passo passo come utilizzare un software gratuito (Velux Daylight Visualizer) per poter calcolare il Fattore Medio di Luce Diurna degli ambienti interni e quindi essere in grado di verificarne i parametri minimi imposti dalla legislazione.
A cura di Ing. Alessandro Marchegiani

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Da Cosa Dipende il Fattore Medio di Luce Diurna di un Ambiente?

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All’interno di un ambiente chiuso l’illuminamento naturale nei diversi punti è costituito da tre componenti: l’apporto di luce proveniente dalle sorgenti primarie esterne (il cielo), l’apporto di luce dovuto alle riflessioni delle superfici di eventuali ostruzioni urbane esterne, l’apporto di luce dovuto alle riflessioni multiple che si verificano all’interno dell’ambiente. Per cui in sintesi possiamo affermare che il FLDm dipende dai seguenti parametri:

  • dimensione, forma e posizione delle aperture finestrate
  • coefficiente di trasmissione nel visibile del materiale trasparente che costituisce le finestre
  • area dei diversi elementi che costituiscono l’involucro e che sono presenti all’interno del locale (pareti, pavimenti, soffitti, arredi, ecc.)
  • coefficiente di riflessione nel visibile delle superfici dei vari elementi presenti all’interno del locale
  • presenza di ostruzioni di qualsiasi genere, esterne o interne, che limitino la vista della volta celeste
  • stato di manutenzione delle superfici vetrate e delle superfici interne
  • altezza del piano di lavoro scelto.

Nella valutazione delle condizioni di illuminazione naturale interna si considera il caso più sfavorevole, che si verifica in assenza di radiazione solare diretta, caratterizzata invece da una forte direzionalità in funzione della posizione del sole. Posto il cielo coperto come condizione ottimale di valutazione, il rapporto tra illuminamento interno ed esterno deve essere costante, per cui il FLDm non dipende dall’ora del giorno, dal periodo dell’anno né dall’orientamento del locale.

fonte: Ing. Alessandro Marchegiani

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Cos’è il Fattore Medio di Luce Diurna (FLDm)?

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Prima di dare una definizione occorre introdurre un’altra grandezza fisica dell’illuminotecnica: l’Illuminamento.

L’Illuminamento (E) è il rapporto tra il flusso luminoso ricevuto da una superficie e l’area della superficie stessa. In altre parole indica la quantità di luce che colpisce un’unità di superficie e si misura in Lux [lx] = [lm / m²] (lm = lumen). A questo punto definiamo il Fattore di Luce Diurna (FLD) come il rapporto tra l’illuminamento (Eint) che si realizza su di una superficie orizzontale posta all’interno dell’ambiente considerato grazie alla luce proveniente dalla volta celeste (escludendo la radiazione diretta proveniente dal sole), e quello che contemporaneamente si ha su di una superficie orizzontale posta all’esterno senza alcuna ostruzione (Eest). In base a tale definizione il Fattore di Luce Diurna può essere calcolato con la relazione FLD = Eint/Eest, è una grandezza adimensionale e generalmente viene espressa in percentuale (es. FLD = 2%).
Quando si valuta il livello di illuminazione naturale di un ambiente, salvo casi particolari, non è necessario conoscere il FLD per ogni punto dello spazio, ma può risultare più pratico ed efficace avere un unico valore numerico che rappresenti la media di tutti i FLD nei vari punti della stanza, ovvero il Fattore Medio di Luce Diurna(FLDm). Anche perché poi le verifiche di legge vanno effettuate confrontando proprio il FLDm dell’intera stanza con quello minimo imposto dalla normativa. Per essere ancora più precisi bisogna specificare che il valore limite di legge è riferito ad un solo piano e non all’intero spazio tridimensionale della stanza. Per calcolare il FLDm si sceglie quindi un piano di lavoro, ovvero un piano di riferimento parallelo al pavimento e posto ad un’altezza da questo ad esempio di 90 cm. Per ogni punto del piano si calcola il FLD e quindi si fa una media fra tutti i punti per ottenere il FLDm relativo a quel piano specifico. Cambiando l’altezza del piano in genere cambiano i valori, quindi può capitare che il FLDm misurato all’altezza del pavimento sia totalmente diverso da quello misurato al soffitto. Per questo motivo è indispensabile scegliere il piano di calcolo in base al tipo di attività che si svolge nell’ambiente.

fonte: Ing. Alessandro Marchegiani

Gli OGM avanzano in Europa. L’Italia può ancora scegliere?

La partita sull’ingresso degli organismi geneticamente modificati in Europa si sta giocando nei tribunali, più che nelle sedi democratiche, con un’accelerazione che interessa anche paesi da sempre contrari al transgenico come l’Italia. Ma esistono ancora spazi di mobilitazione contro gli OGM.

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Quando il 6 settembre la Corte di Giustizia europea si è espressa a favore della Pioneer Hl Bred Italia srl., dando torto al Ministero delle Politiche agricole italiano – che tentava di impedire l’ingresso nel territorio nazionale di linee pure ed ibride del mais Mon 810, già ammesse a livello comunitario dal 1998 -, molti hanno parlato di una sentenza storica per il rapporto tra il nostro Paese e gli organismi geneticamente modificati. Il Ministero giustificava, infatti, il rifiuto di far entrare in Italia il mais transgenico sulla base del fatto le regole sulla coesistenza tra semi OGM e tradizionali, previste dal nostro ordinamento, non fossero ancora state approvate. Ma secondo i giudici di Lussemburgo, con l’autorizzazione alla commercializzazione, e poi con l’iscrizione delle varietà derivate nel catalogo comune della Commissione europea, la Pioneer aveva già acquisito il diritto alla distribuzione in tutti paesi dell’Unione, Italia compresa. Sulla scorta di questa sentenza, altri operatori del settore si stanno mobilitando per farsi spazio nel mercato italiano. Un nuovo procedimento è stato introdotto davanti alla Corte di Giustizia europea proprio in questi giorni e questa volta riguarda non la libera circolazione dei semi OGM, ma la loro messa in coltura. La causa riguarda infatti una persona tratta in giudizio nel 2012 per aver coltivato in Italia sementi di mais geneticamente modificato, senza avere ottenuto la debita autorizzazione. Secondo il Tribunale di Pordenone, infatti, il via libera di Bruxelles riguarda la sola commercializzazione, mentre per la messa in coltura è necessaria l’autorizzazione della competente autorità nazionale, cui la normativa europea assegna il compito di regolare la coesistenza tra colture Ogm e colture tradizionali. Dall’altra parte, invece, si fa riferimento al caso Pioneer sostenendo che la Corte Ue non si sarebbe pronunciata sulla necessità di avere anche l’autorizzazione dello Stato membro per la messa a coltura.

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Per uscire da questa incertezza, il Tribunale penale di Pordenone ha deciso chiedere alla Corte Ue se un Paese dell’Unione – in questo caso l’Italia, ma vale anche per gli altri – sia libero di subordinare le coltivazioni di OGM ad autorizzazione per tutelare il principio di coesistenza, anche nel caso di varietà già iscritte nel catalogo comune europeo. La posta in gioco è altissima: se la causa dovesse dare torto al Tribunale di Pordenone, sdoganata la commercializzazione, si aprirebbe anche alla coltivazione di tutte le varietà geneticamente modificate già approvate a livello comunitario, senza passare per l’approvazione da parte dei singoli Stati. In attesa di conoscere cosa deciderà la Corte di Giustizia europea, esistono almeno tre strade percorribili per mandare un messaggio in difesa dell’agricoltura convenzionale e biologica e per chiedere più autonomia per i Paesi Ue in materia di OGM. Uno: partecipare alla consultazione pubblica sull’agricoltura biologica lanciata dalla Commissione europea e aperta online fino al 15 aprile; il sondaggio è aperto a tutti i cittadini e rispondendo alle domande sulla coesistenza con il transgenico si ha l’occasione per far sentire la propria voce.

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Due: dopo la sentenza che ha tolto di divieto di coltivazione del mais Mon810, diversi Stati europei hanno adottato la “clausola di salvaguardia” per bloccare le semine OGM; l’Italia non lo ha fatto, ma alcuni cittadini hanno avviato una raccolta firme per chiedere ai ministri delle Politiche Agricole e della Salute di seguire l’esempio degli altri paesi. Tre, di maggiore impegno e guardando a più lungo termine: il nuovo commissario europeo alla Salute Tonio Borg ha annunciato che tra le priorità del suo mandato c’è la ripresa del negoziato sulla revisione della procedura comunitaria di autorizzazione degli OGM, bloccato ormai da mesi. Secondo quanto riportato dal suo portavoce, Borg avrebbe già avviato i colloqui con gli Stati membri contrari alla proposta della Commissione Ue, in particolare con Gran Bretagna, Francia e Germania, e punterebbe a riavviare la discussione tra i 27 già nel corso della presidenza irlandese dell’Unione, che ha iniziato il suo turno a gennaio e lo terminerà alla fine di giugno. L’Italia si era già espressa a favore della proposta della Commissione, perché lascia più autonomia ai singoli paesi nel limitare o vietare l’ingresso di organismi geneticamente modificati sul territorio nazionale. Nei prossimi mesi è quindi importante fare sentire la propria voce – associazioni, produttori e singoli cittadini, ciascuno con i propri mezzi – perché il dibattito riparta effettivamente e perché l’autonomia dei paesi in questo campo venga riconosciuta.

Fonte: il cambiamento

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Cosa Dice la Normativa Italiana Riguardo l’Illuminazione Naturale degli Ambienti?

Il quadro legislativo nazionale è piuttosto carente e soprattutto poco aggiornato visto che è fermo al 1975. I documenti legislativi e tecnici che danno indicazioni in merito sono i seguenti:

  • D.P.R. n. 303 del 19/3/56 – “Norme generali per l’igiene del lavoro”
  • Circ. Min. LL. PP. n. 3151 del 22/5/67 – “Criteri di valutazione delle grandezze atte a rappresentare le proprietà termiche, igrometriche, di ventilazione e di illuminazione delle costruzioni edilizie”
  • Circ. Min. LL. PP. n. 13011 del 22/12/74 – “Requisiti fisico-tecnici per le costruzioni edilizie ospedaliere. Proprietà termiche, igrometriche, di ventilazione e di illuminazione”
  • D.M. 5/7/75 – “Modificazioni alle istruzioni ministeriali del 20/6/1896 relative altezza minima dei locali ed ai requisiti igienico sanitari principali dei locali di abitazione”
  • D.M. 18/12/75 – “Norme tecniche aggiornate relative all’edilizia scolastica, ivi compresi gli indici minimi di funzionalità didattica, edilizia e urbanistica da osservarsi nella esecuzione di opere di edilizia scolastica”.

Il D.M. 5 luglio 1975 è una pietra miliare nel settore della progettazione di edifici residenziali, riguarda le dimensioni minime degli ambienti e in particolare per la questione della luce naturale all’art. 5 dispone quanto segue:

Tutti i locali degli alloggi, eccettuati quelli destinati a servizi igienici, disimpegni, corridoi, vani-scala e ripostigli debbono fruire di illuminazione naturale diretta, adeguata alla destinazione d’uso. Per ciascun locale d’abitazione, l’ampiezza della finestra deve essere proporzionata in modo da assicurare un valore di fattore luce diurna medio non inferiore al 2%, e comunque la superficie finestrata apribile non dovrà essere inferiore a 1/8 della superficie del pavimento.

Un’errata interpretazione dell’articolo ha diffuso l’opinione che la proporzione di 1/8 tra finestre e pavimento sia sufficiente a garantire un illuminamento adeguato della stanza. Dal testo invece appare chiaro che vanno effettuate entrambe le verifiche. In effetti gli studi sull’illuminotecnica confermano che il Fattore Medio di Luce Diurna(FLDm) dipende da numerosi fattori e non solamente dall’entità della superficie vetrata o dal rapporto tra essa e la superficie della stanza. Molto probabilmente la maggior parte dei tecnici dal ’75 ad oggi ha svolto solo la verifica del “1/8” nelle varie stanze tralasciando la questione del 2% anche a causa delle difficoltà oggettive che si riscontravano nel determinare questo parametro. Gli altri decreti e circolari indicati sopra riguardano principalmente l’edilizia pubblica (scuole e ospedali) e forniscono anch’essi dei valori minimi di FLDm da rispettare nei vari ambienti. Questo valore sarà tanto più alto quanto più il compito da svolgere in un determinato locale è di lunga durata e richiede maggiore sforzo visivo, per cui è evidente che ad esempio il FLDm di un’aula scolastica dovrà essere maggiore di quello di una sala da pranzo che a sua volta sarà maggiore del FLDm di un bagno. Per completare questo breve excursus normativo si riporta di seguito una tabella che riassume i valori minimi di legge per le differenti destinazioni d’uso degli ambienti:

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fonte: Ing. Alessandro Marchegiani