Il 2015 è stato l’anno più caldo di sempre

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Lo si sapeva da mesi, ma ora è ufficiale: il 2015 è stato l’anno più caldo della storia moderna. La National Aeronautics and Space Administration (NASA) e la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) che compiono il monitoraggio delle temperature sulla terraferma e negli oceani lo hanno confermato congiuntamente mercoledì 20 gennaio. Secondo la NOAA il 2015 ha superato di 0,9°C la media del XX secolo e di 0,16°C il picco del 2014, secondo la NASA il superamento è stato di 0,87°C rispetto alla media del XX secolo e di 0,13°C al di sopra del 2014. Il 2015 è di gran lunga l’anno più caldo della storia e nella graduatoria precede, nell’ordine, 2014, 2010, 2013, 2005, 2009 et 1998. Il mese di dicembre (con temperature sopra lo 0 al Polo Nord!) ha battuto tutti i record superando di 1,11° C la media del secolo scorso. Nove dei dodici mesi del 2015 hanno stabilito i record mensili di temperatura media: solo gennaio, febbraio e aprile fanno eccezione. Le anomalie termiche registrate un po’ in tutto il mondo sono da attribuire a El Niño, questo fenomeno naturale ciclico che si verifica periodicamente (fra i 3 e i 7 anni) e si caratterizza per un forte riscaldamento delle acque superficiali dell’Oceano Pacifico equatoriale e un’inversione degli alisei: il combinato di questi due fenomeni, per il gioco delle correnti oceaniche e atmosferiche, genera sconvolgimenti meteorologici di grande ampiezza su scala globale. Il fenomeno in corso dovrebbe terminare in estate e ciò lascia prevedere che anche i primi mesi del 2016 saranno più caldi della norma. Bernie Sanders, candidato democratico alla Casa Bianca, ha commentato la notizia con un tweet:

Il dibattito è finito. Il cambiamento climatico è reale e causato dall’attività umana. Questo pianeta e la sua gente sono in difficoltà.

 

Fonte:  NOAA | NASA

 

Il global warming e il collasso della produttività del lavoro

Se le emissioni proseguiranno secondo il business as usual, le ondate di calore causeranno una riduzione della capacità lavorativa fino al 60% a fine secolo, con punte fino al 20-30% nelle zone equatoriali e tropicali. I costi derivanti dalla perdita di produttività supereranno tutti gli altri costi imputabili al global warmingRiduzione-produttività-del-lavoro-nel-XXI-secolo-432x337

La produttività è un’ossessione degli industriali che pensano di poter costringere i lavoratori a ritmi sempre più rapidi “per essere competitivi” (1). D’altra parte, esistono soglie minime di produttività per poter garantire “il mondo come lo conosciamo”. Queste soglie minime verranno sempre più messe a rischio dai cambiamenti climatici, come illustra uno studio  della NOAA: l’aumento delle temperature globali farà crescere lo stress da caldo e ridurre la capacità lavorativa, come è illustrato nel grafico in alto (2). Secondo l’analisi il costo della perdita di produttività potrebbe superare tutti gli altri costi indotti dal global warming messi insieme, e non c’è da stupirsi, visto che il lavoro è la base della società umana. (3). Nel probabile caso di emissioni business as usual è prevista una riduzione della capacità lavorativa fino al 60% alla fine del secolo (zona in rosso). La diminuzione potrebbe fermarsi all’80% nell’improbabile  caso di emissioni dimezzate (zona in blu). Ancora più impressionante è la riduzione della capacità lavorativa per zone geografiche (mappa qui sotto). In caso di aumento di 3°C, scenario probabile se si continuerà a inquinare come oggi, nelle zone equatoriali e tropicali la capacità lavorativa potrebbe calare fino al 20-30%.Riduzione-produttività-zone-geografiche-432x174

(1) In Tempi moderni, Charlie Chaplin è stato il primo a cogliere la disumanizzazione di un lavoro in cui gli uomini devono seguire il ritmo delle macchine.

(2) La capacità lavorativa è definita come il rapporto tra la produttività minima annuale e la produttività massima: essendo adimensionale, viene rappresentata come una percentuale.

(3) L’arti. 1 della Costituzione Italiana, prima ancora di essere un omaggio ai lavoratori è un omaggio alla Fisica.

Fonte: ecoblog

Siccità USA: il 2013 potrebbe essere peggio del 2012

Secondo la NOAA, tra primavera ed estate la siccità dovrebbe peggiorare in tutto l’ovest americano, mentre le grandi pianure sono a rischio inondazione

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La grave siccità che ha colpito gli USA nel 2012 causando un crollo delle rese agricole e danni paragonabili a quelli del ciclone Sandy, potrebbe non essere un episodio isolato. Secondo la NOAA, il 2013 potrebbe essere perfino peggio, come è possibile vedere sommariamente confrontando la cartina in alto (previsioni fino a giugno 2013) con quella in basso (previsioni a giugno 2012). Rispetto allo scorso anno, la situazione è un po’ migliorata in Florida, Georgia e Alabama, ma è nettamente peggiorata nel Texas e in tutto l’ovest. Il trend negativo degli ultimi quattro anni è ben illustrato nelle mappe della gallery. Le zone indicate in verde come miglioramento, sono in realtà seriamente minacciate da alluvioni, come mostra l’ultima mappa della gallery. Se alle abbondanti nevicate fa infatti seguito una fusione troppo rapida, l’acqua non riesce a ricaricare le falde sovra-sfruttate  ma fluisce rapidamente verso il mare. Se qualcuno pensava che il global warming avrebbe portato un po’ di “tepore” nell’emisfero nord, avvantaggiando l’agricoltura, dovrebbe ricredersi. Immettendovi più energia, il sistema atmosferico diventa più instabile e più orientato ai fenomeni estremi.

Fonte: ecoblog