Due giovani donne restano in Calabria e allevano animali felici

Vi proponiamo la storia di Francesca e Cristina Cofone, due giovani sorelle calabresi che, una volta laureate, hanno deciso di rimanere in montagna, nel cuore della Sila, per sviluppare l’azienda agricola di famiglia, allevando, mungendo, coltivando, facendo i formaggi e vivendo la gioia di una profonda comunione con gli animali e la terra che li ospita.

Dopo aver attraversato paesaggi mozzafiato di mezza Calabria, io e Paolo giungiamo insieme alla nostra guida d’eccezione – Cristiana Smurra – presso l’Azienda Agricola Cofone, nel cuore della Parco Nazionale della Sila. Tra una mucca e una balla di fieno, una dolce collina e qualche stalla, scorgiamo due giovani donne, tra i 25 e i 30 anni. Sono entrambe laureate, una al Dams e l’altra in Lingue e letteratura straniera, eppure hanno scelto di occuparsi di mucche allevate allo stato brado, latte, formaggi, mozzarelle, grano, ortaggi, frutta. Francesca Cofone, la sorella più “giovane” tra le due, ci racconta di come l’azienda fu fondata dal padre una volta tornato dalla Svizzera, dove era emigrato quando aveva 16 anni in cerca del denaro con cui avviare l’attività. «Io e mia sorella siamo nate e cresciute qua – ci confida Francesca – insieme ad un altro fratello che ora vive in Svizzera. Abbiamo studiato e poi abbiamo scelto di restare».
La parola “scelta” mi sembra da subito la parola chiave. In un’epoca in cui molti giovani sognano le città e vogliono fuggire dalle zone cosiddette marginali, incontrare due giovani donne laureate che scelgono con entusiasmo di rimanere in Calabria, in montagna, e dilavorare la terracolpisce, soprattutto per la naturalezza con la quale sembrano vivere la situazione.
«Fin da piccolissime abbiamo lavorato, ma con più spensieratezza. Lo abbiamo sempre fatto, anche  quando studiavamo all’università o lavoravamo fuori. Abbiamo sempre aiutato». Purtroppo tra il 2013 e il 2015 sono mancati entrambi i genitori delle ragazze e a quel punto è stato quasi inevitabile prendere in mano la situazione: «Abbiamo deciso di portare avanti quello che nostro padre ci aveva insegnato e ci siamo riuscite. Non è stato semplice ma abbiamo avuto piccole e grandi soddisfazioni».

https://www.italiachecambia.org/wp-content/uploads/2020/02/cofone-1024x608.jpg

La titolare dell’azienda è la sorella Cristina. «Nel momento in cui è venuto a mancare nostro padre, – ci spiega Francesca – mia sorella ha preso in mano la situazione. Abbiamo rifatto i capannoni, cambiato i tetti, eliminato 2000mq di amianto. Abbiamo avuto la fortuna di incontrare realtà e persone che ci hanno dato tanta fiducia e hanno avuto la pazienza di aspettare con i pagamenti. Il loro aiuto è stato determinante. Se si incontrano persone oneste che ti danno fiducia si può fare tutto. Oggi non puntiamo a diventare un’azienda grossissima; ci bastano venti mucche in modo da poterne mungere dieci per volta, a rotazione. In questo modo riusciamo a fare tutto noi due».
Una volta iniziati i lavori è arrivato anche il caseificio aziendale dove lavorano il latte che mungono al mattino. Le due sorelle, quindi, si mantengono vendendo i prodotti trasformati: latticini, cacio cavallo e altri formaggi. La loro peculiarità sta nella materia prima. Lavorano, infatti,  con il latte crudo anziché con quello pastorizzato. Questo è possibile grazie al numero limitato di bovini che consente loro di mantenere standard qualitativi elevati.

https://www.italiachecambia.org/wp-content/uploads/2020/02/Azienda-Cofone-9-1024x512.jpeg

«Le nostre mucche vivono allo stato semi brado. Comandano loro e noi cerchiamo di starle dietro. Le mungiamo solo una volta al giorno, mentre altri lo fanno due o tre volte e lasciamo il vitellino con la madre almeno tre mesi, anziché separarlo dopo pochi giorni come fanno in molti. Le mucche sono quasi la nostra famiglia. Quando vivi sempre con gli animali, ti rendi conto che ogni animale ha una sua personalità e sensibilità».  Non ci sono solo mucche quindi.
«Abbiamo bovini, mucche, vitellini, maiali, due capre, un cavallo, cani e gatti». Non solo. La proprietà comprende 15 ettari di terreno e circa 25 in affitto. Qui coltivano fieno, grano, segale. Questi prodotti, una volta macinati nel loro mulino, in parte vengono utilizzati per nutrire gli animali, in parte venduti. Anche in questo caso, l’idea è di non ampliare troppo la produzione agricola, per mantenere un’agricoltura sostenibile, senza pesticidi.
Le soddisfazioni non hanno tardato ad arrivare. «Il primo anno non ci calcolava nessuno, il secondo è andata un po’ meglio, il terzo siamo andati alla grande, e adesso siamo vip e tutti ci vogliono stare vicini! – scherza Francesca, e poi continua – Nessuno credeva in noi, ci vedevano come delle pazze; è stata una bella soddisfazione passare dal “ma che devono fare quelle due”  al “ma ci aiutano loro”. Io sono contentissima. Credo proprio di restare qui in Calabria anche in futuro. Mi ricordo che quando ero piccola andavo dietro le mucche con il cavallo e pensavo che ero fortunata a vivere qui. Beh, quel pensiero ce l’ho sempre. Non mi cacciano!».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/02/due-giovani-donne-restano-calabria-allevano-animali-felici-io-faccio-cosi-281/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Il caldo record stressa mucche, galline e api

PHNOM PENH, CAMBODIA - AUGUST 26:  Chickens in holding pens at an egg farm south of Phnom Penh on August 26, 2013 in Preak Palap, Kandal Province, Cambodia. Cambodia has seen the worst out break of Avian influenza H5N1 since the disease was first identified, so far this year 17 cases have been report, 10 of which have been fatal. (Photo by Nicolas Axelrod/Getty Images)

Piglets stand in their enclosure at a pig farm of Label Rouge ("red label") standard in Marigne-Laille in western France on September 7, 2014. The "Label Rouge" is an official certification in France of the superior quality of a food or farmed product. AFP PHOTO/ JEAN-FRANCOIS MONIER        (Photo credit should read JEAN-FRANCOIS MONIER/AFP/Getty Images)

A honey beens sucks nectar out of a flower in a mustard field in full bloom on the outskirts of Srinagar on April 5, 2015. According to the Directorate of Agriculture of the state government of Jammu and Kashmir, the Kashmir valley comprising six districts has an estimated area of 65 thousand hectares of paddy land under mustard cultivation, which is about 40 per cent of the total area under paddy. AFP PHOTO /Rouf BHAT        (Photo credit should read ROUF BHAT/AFP/Getty Images)

A cow is milked with a milker on March 11, 2015 in Caserta, southern Italy. Thirty years after introducing quotas to combat the butter mountain caused by overproduction, the EU is on the cusp of freeing up the dairy sector amid growing global demand for milk products. The milk production quotas will ending on March 31, 2015 in the EU.  AFP PHOTO/MARIO LAPORTA        (Photo credit should read MARIO LAPORTA/AFP/Getty Images)

Le temperature record delle ultime settimane non rappresentano solamente uno stress per gli esseri umani, ma stanno alterando gli equilibri, i bioritmi e le attività anche della fauna. Con il termometro costantemente fra i 30° e i 40° C nelle ore più calde del giorno, le api volano molto meno e tendono a rimanere a terra senza più riuscire a prendere il polline. Anche galline e mucche sono stressate dal caldo: le prime producono fino al 15% di latte in meno, le seconde riducono la produzione di uova del 10%. È quanto emerge da un’indagine condotta da Coldiretti sull’estate più calda di sempre. Le mucche, stressate dal caldo, mangiano meno e gli allevatori per far fronte all’emergenza e per portare un po’ di refrigerio si sono attrezzati di doccette, ventole, condizionatori e addirittura di integratori a base di sali di potassio. Anche per i maiali sono stati accesi i condizionatori per evitare che, superato lo “spartiacque” dei 28°, i suini mangino fino al 40% della razione giornaliera. Insomma, per gli allevatori il caldo rappresenta un costo aggiuntivo che, molto probabilmente, andrà a ripercuotersi sui prezzi dei prodotti che ne derivano, dalla carne al latte, dalle uova al miele.

Fonte: ecoblog.it

Parmigiano Reggiano contaminato da aflatossina: sequestrate 2440 forme

Le aflatossine contenute nel mais scadente e dato come mangime alle mucche da latte ha contaminato 2440 forme di parmigiano Reggiano prontamente sequestrato dai NAS di Parma469560541-620x350

Sono scattati gli arresti domiciliari per 4 persone, ovvero Sandro Sandri direttore del centro servizi per l’agroalimentare di Parma e tre imprenditori agricoli per la presenza di aflatossina oltre i limiti imposti dalla legge in 2440 forme di parmigiano Reggiano. Dovranno rispondere delle accuse di associazione a delinquere finalizzata al falso in atto pubblico e alla commercializzazione di sostanze alimentari nocive e tentata truffa aggravata finalizzata alla ricezione di pubbliche erogazioni per il latte qualità. Le indagini dei NAS di Parma hanno portato anche all’iscrizione nel registro degli indagati di 63 persone poiché il latte usato per la produzione del Parmigiano Reggiano era contaminato da aflatossine entrate nella catena alimentare delle mucche da latte dal mangime a base di mais. Gli inquirenti ritengono che tutte le persone siano coinvolte nella falsificazione delle analisi omettendo i controlli e lasciando che latte contaminato fosse usato per produrre uno tra i più nobili formaggi simbolo del Made in Italy. la presenza della micotossina, hanno reso noto i NAS di Parma era superiore di ben due volte ai limiti comunitari. Le aflatossine sono micotossine cancerogene prodotte da due funghi che si sviluppano in ambiente caldo umido. Le aflatossine possono contaminare arachidi, frutta a guscio, granoturco, riso, fichi, frutta secca, spezie, oli vegetali grezzi e semi di cacao prima o dopo la raccolta.

Maurizio Martina ministro per le Politiche agricole ha commentato:

L’operazione della Procura di Parma e dei Nas a tutela della salute dei consumatori e del Parmigiano Reggiano è la conferma che il nostro sistema di controlli funziona. Abbiamo gli anticorpi giusti per contrastare con efficacia chi viola le regole, creando danni enormi alla reputazione dei nostri prodotti. Dobbiamo anche ribadire che non c’è al mondo un sistema di verifiche come quello previsto per i prodotti di qualità italiani. Solo nel 2013 abbiamo condotto più di 130 mila controlli e tra i prodotti DOP e IGP il tasso di contraffazione mostra percentuali molto basse. Il Governo è totalmente impegnato al fianco dei produttori che rispettano la legge e sono protagonisti di quel grande successo che è il Made in Italy agroalimentare, che vale oltre 33 miliardi di euro solo di export. Allo stesso tempo l’obiettivo primario resta quello di garantire la salute e la fiducia dei consumatori italiani ed internazionali.

Fonte:  RaiNews

© Foto Getty Images