La decrescita e l’occupazione. Un matrimonio che s’ha da fare

Ospiti da tutta Italia alla conferenza nazionale del Movimento per la Decrescita Felice. Il tema della giornata sono occupazione e lavoro, temi particolarmente cari al movimento; perché decrescita non vuol dire recessione379503

Il Movimento per la Decrescita Felice non ha propri parlamentari né tantomeno vuole proporsi come un partito politico, eppure crede profondamente nel ruolo delle istituzioni e la conferenza di oggi ha come target proprio la politica.
In Italia c’è una fortissima disoccupazione, ma anche tantissimi lavori che non si fanno. Chi ha il poter politico ha quindi il dovere di ascoltare le nostre proposte”, ha dichiarato in apertura Maurizio Pallante, presidente MDF. “Non è più possibile uscire dalla crisi aumentando la produttività come negli anni 30. All’epoca infatti non c’era una crisi ambientale da affiancare a quella economica”. Entrambe le crisi sono causate dall’aumento dei consumi e tutte le tensioni internazionali e le guerre sono scatenate dal bisogno di controllare i paesi in cui sono presenti le materie prima necessarie alla crescita e consumo. Fondamentale per uscire dalle crisi sarà iniziare ad investire nel lavoro “utile”, su nuove competenze e sulle piccole e medie imprese, fondamentale è capire che gli strumenti tradizionali della politica economica continuano a dimostrare di non essere in grado di risolvere il problema. Si dovrà quindi mirare ad un nuovo modello che punti all’efficentamento energetico e materiale piuttosto che sul rinnovo continuo poiché solo riducendo i consumi a parità di servizi, si può recuperare il denaro necessario a pagare l’occupazione in attività lavorative che attenuano la crisi energetica, climatica ed ambientale. L’efficentamento energetico degli edifici, ad esempio, crea tra i 13 ed i 15 nuovi posti di lavoro per ogni milione di euro investo, contro i 2/4 delle rinnovabili e gli 0,5 della costruzione di grandi opere infrastrutturali. Ristrutturando 15.000 scuole ed investendo 8,2 miliardi di euro si otterrebbe un risparmio energetico annuo di 420 milioni di euro dando lavoro a 150.000 persone.   La speranza del movimento è quella di spingere verso una Bioeconomia che riprenda in considerazione anche la vita delle persone. “Questo tipo di economia – racconta Giordano Mancini formatore industriale – viene considerata utile dalle persone, non crea probemi sociali e genera nuovi posti di lavoro, fa diminuire le emissioni di CO2 e la quantità di rifiuti prodotta, non genere altro debito pubblico e consuma meno energia e materie prime”. Parla invece di “dramma di una generazione” il Professor Luciano Monti dell’università LUISS di Roma che propone un nuovo paradigma economico fondato sulla sostenibilità integrata che mira a riequibrare il saldo negativo accumulato ai danni del Pianeta e delle giovani generazioni.
Ama le future generazioni come te stesso” era lo slogan di Nicolas Georgescu Roegen, padre della bioeconomia e della decrescita e per farlo sarà necessario abbandonare il mito della crescita del PIL che non registra realmente il benessere di una popolazione né tantomeno quello dell’ambiente che abitano.

Fonte: ecodallecittà.it

Per fortuna c’è una…“Generazione decrescente”

Un quadro solido di valori che fa comprendere perfettamente perché non sia più possibile produrre, consumare e sprecare come si è fatto finora. E’ quello che esce dal libro di Andrea Bertaglio “Generazione decrescente” (Edizioni L’Età dell’Acquario). E Andrea sa bene di cosa sta parlando…generazione_decrescente

Andrea Bertaglio appartiene a quella generazione che oggi sta a metà del guado, fra i 30 e i 40 anni. “La prima generazione che non avrà più di ciò che i genitori hanno avuto” come ha detto Maurizio Pallante, che ha curato la prefazione del libro. Ma è proprio questa condizione che sta rendendo una generazione consapevole del fatto che non si può più produrre, consumare e sprecare come si è fatto finora. Andrea è partito dalla sua esperienza di vita per spiegare come la decrescita non sia solo una critica radicale a un sistema in recessione, ma rappresenti i valori sui quali costruire il futuro. Andrea Bertaglio è tra i portavoce nazionali del Movimento per la Decrescita Felice, ha 34 anni; nato a Milano, dopo aver vissuto anche in Germania e Gran Bretagna, da alcuni anni si è trasferito nella campagna piemontese. Giornalista, laureato in sociologia, ha lavorato nel 2007 in Germania al Centre on Sustainable Consumption and Production. È co-autore del documentario «Presi per il PIL». Il Cambiamento lo ha intervistato.

Il libro mi pare di capire che è una sorta di specchio di quanto hai vissuto e stai vivendo tu sulla tua pelle. Quindi tu sei un esponente della generazione decrescita? Come lo definiresti il contesto in cui questa(e) generazione(i) si trova(no) a vivere? Ti senti più come una generazione di passaggio che viene da qualcosa e va verso qualcos’altro o come una generazione capolinea che non ha una nuova sponda sulla quale approdare?

La mia “generazione”, che io considero quella di chi è nato dagli anni ’70 in poi, si trova ad affrontare una situazione molto particolare: ha più aspettative rispetto a quelle precedenti, ma ha meno possibilità per realizzarle. Se ci si pensa è un mix micidiale, fonte di una sensazione di frustrazione e inadeguatezza enormi: voglio di più, ma in un periodo in cui ho meno possibilità di ottenerlo. O almeno si pensa sia così, perché se si cambia la propria prospettiva, questo periodo offre molte possibilità. Possibilità di cambiamento, innanzi tutto. Appartengo alla generazione decrescente, quindi, quella che si sta accollando le conseguenze delle scelte fatte in passato dai suoi padri, che l’hanno portata a mangiare tre volte al giorno, ma a vivere in un mondo ultra-inquinato, completamente impazzito a livello economico e promotore di un vuoto esistenziale da levare il fiato. Mi spiace si possa pensare che la mia è una generazione senza una sponda sulla quale approdare, perché penso sia esattamente il contrario: è adesso che siamo in mare aperto, e abbiamo bisogno di impegnarci se non ci vogliamo restare a vita, bloccati in una eterna adolescenza da precari che non possono, non sanno o non vogliono crescere, appunto. Come possiamo uscirne? Secondo me partendo dalle piccole cose, dalla quotidianità, perché non è vero che è già stato tutto detto o fatto. C’è ancora molto da fare: andare avanti, progredire (nel vero senso della parola, che non è legato solo al “consumare”), ripulendo allo stesso tempo il mondo dalla sozzura che lo ammorba. Ridando a quest’ultimo una forma, per poi riempirlo ancora di sostanza.

La decrescita: tutti ne parlano, viene definita inderogabile e necessaria per invertire una rotta che ci porta al collasso. Ma chi ci vive in mezzo cosa ne dice?

Che è così, soprattutto se la si smette di pensare che la decrescita sia un ritorno al carro e alla candela. Queste sono balle diffuse da chi non si vuole levare il paraocchi ideologico che gli fa credere di vivere ancora nel ventesimo secolo. Non è più così, e crescere all’infinito è pura utopia, anche per i cinesi. Per vivere la o nella decrescita non c’è bisogno di rifugiarsi nei boschi, cosa che io per primo non saprei e non vorrei fare. Basta smetterla di consacrare la propria vita al consumo, allo spreco, all’accettazione di stili e modelli di vita insostenibili, sotto ogni aspetto. Per poi rendersi conto che non è così male, e che la famigerata crisi potrebbe anche scomparire, senza una serie di bisogni indotti ed inutili che ci hanno portati ad avere. Per cosa? Per essere comunque tutti stressati, infelici, e disoccupati!

A chi consiglieresti la lettura di questo libro? A chi ha perso le speranze e vuole ritrovarne? E’ un libro che lascia intravedere una speranza e che fornisce una lettura propositiva?

Lo consiglierei a tutti. Soprattutto a chi si è sentito in qualche modo a disagio, nel corso della vita, perché non si sentiva d’accordo con le idee dominanti. Una lettura propositiva? Certo, su questa è incentrata l’intera terza ed ultima parte del libro. Vanno bene la critica e la riflessione, sono fondamentali. Ma senza un approccio propositivo non si va da nessuna parte. E questo libro non avrebbe avuto motivo di esistere.

Fonte: il cambiamento