Revenge of the Electric Car: un documentario sulla nuova generazione di motori elettrici

Revenge of the Electric Car è un documentario girato in lungometraggio diretto dal regista Chris Paine, che nel suo curriculum ha già all’attivo la regia di ‘Who Killed the Electric Car?’: presentato per la prima volta al Tribeca Film Festival del 2011 a New York, in occasione dell’Earth Day, il film racconta la storia di quattro imprenditori che lottano per aprire nicchie di mercato per auto elettriche durante la grande recessione del 2008.

Nel film, ambientato tra il 2007 e il 2010, compare anche, per la prima volta su tutti gli schermi, l’enigmatico Elon Musk, alla guida di Tesla Motors per i primi tre anni inseguendo il suo sogno di una mobilità libera dai combustibili fossili. Tra gli altri protagonisti c’è Bob Lutz, vicepresidente di General Motors, Carlos Ghosn, amministratore delegato che ha letteralmente salvato Renault-Nissan dal fallimento. Il film vuole raccontare la resurrezione di una nuova generazione di automobili alimentate da motori a energia elettrica: tra queste ci sono la Chevrolet Volt, la Nissan Leaf e la Tesla Roadster. Automobili e tecnologie che rinascono dalle proprie ceneri, da quando il programma ambientale della California ha portato nel 2006 la distruzione di ben 5.000 veicoli elettrici perché fuori norma. È un punto di vista molto interessante, formativo e ricco di nozioni che può avvicinare chiunque al mondo delle auto elettriche, ne evidenzia pregi (molti e vantaggiosi) e difetti (pochi ma antipatici, ma considerate che il documentario è uscito nel 2011 e negli ultimi cinque anni le cose sono parecchio migliorate). Insomma, è un film da vedere per tutti coloro i quali vogliono avvicinarsi al mondo dei motori elettrici.

Fonte: ecoblog.it

LIT MOTORS, GLI ELETTRICI DALLA SILICON VALLEY

Lit Motors, gli elettrici dalla Silicon Valley

Arrivano da San Francisco due progetti visionari per la mobilità elettrica a due ruote: il Kubo, un piccolo cargo urbano e il C-1 un commuter per tutte le stagioni che non cade mai… Sì, a essere precisi la Silicon Valley è un po’ a sud di San Francisco. Ma negli ultimi anni le compagnie più arrembanti si stanno insediando nella città del Golden Gate, che ha già “incubato” successi come Twitter e Dropbox. Inevitabile quindi che in quest’area nascessero anche progetti di mobilità hi-tech: il primo è stato Mission Motors, che con alterne fortune ha tentato di replicare su due ruote le prestazioni delle auto Tesla; e l’ultimo è la Lit Motors, piccola startup passata anche per la piattaforma di finanziamento collettivo Kickstarter e che propone un paio di veicoli decisamente interessanti. 423874_8196_big_Potrero 4x3-med

Il Lit Motors Kubo

Il primo è il Kubo, un originale scooter “da carico” costruito attorno a una grande “cella” centrale che promette opportunità di carico veramente irraggiungibili da qualunque scooter tradizionale. Concepito per l’utilizzo nei grandi centri urbani sovraffollati, ha una velocità di punta di 75 km/h grazie al motore-ruota da 3 kW, mentre l’autonomia può raggiungere gli 80 km, aiutata anche dalla frenata rigenerativa. Il caricabatterie è integrato e la sospensione anteriore modificata per far spazio all’area di carico da 22 pollici (56 cm) di ampiezza, dotata di binari e occhielli di fissaggio. La capacità di carico totale (compreso il pilota) è di 136 kg, l’altezza della seduta è regolabile e nel sottosella è stato ricavato un altro vano. Ovviamente tutta digitale la strumentazione e totalmente LED le luci. La produzione dovrebbe partire in estate. 423874_4149_big_lit_motors_2014121

Il Lit Motors C-1

Il secondo (e per ora ultimo) è il C-1, che ha poco a che vedere con lo scooter coperto lanciato una dozzina di anni fa da BMW e ricorda invece il Monotracer della svizzera Peraves. L’idea è quella di un veicolo basso, da guidare con le gambe allungate davanti e protetti da una carenatura integrale. Un po’ il sacro Graal di chi riflette sulla mobilità urbana o se si vuole, piuttosto letteralmente, l’uovo di Colombo. Colombo in questo caso si chiama Danny Kim, ha origini asiatiche ma è nativo di Portland, Oregon. Il suo progetto ha alcuni punti di indubbia originalità, a partire dal sistema di stabilizzazione basato su due giroscopi controllati elettronicamente, che montati inclinati consentono al C1 di stare in qualunque posizione anche da fermo. Dato che anche l’impostazione di curva è gestita dai giroscopi, per guidare un C-1, che si inclina e piega come una moto, non servono competenze motociclistiche e qualunque automobilista può farlo (indubbiamente qualcosa che gli ideatori ritengono un punto di forza commerciale). Per contro, tenerli in rotazione consuma energia, per cui l’autonomia dichiarata di 300 km con una pur capace batteria da 8 kWh sembra perlomeno ottimistica: con una batteria da 8 kWh, il BMW C1 evolution ha un’autonomia dichiarata di circa un terzo. A parte questo aspetto, però, il C-1 promette poi di portare effettivamente nel mondo moto alcuni elementi finora riservati alle auto in termini di comfort (dal sedile alla climatizzazione, fino al sistema audio, per non parlare della connettività, che promette “grosse sorprese” a detta di Lit Motors) e di sicurezza: cinture, airbag multipli e un telaio a deformazione controllata, che insieme al sistema di stabilità a giroscopi sono tutti di ispirazione automobilistica. Si torna al mondo moto quanto ad abitabilità: il veicolo è fondamentalmente monoposto, anche se un passeggero può trovare posto alle spalle di chi guida. Anche il C-1 usa motori-ruota, in questo caso due, e un sistema di recupero in frenata tipo KERS usato per alimentare i giroscopi. Le prestazioni promesse sono brillanti: 160 km/h di velocità massima e 6 secondi nello 0-100. Se anche l’autonomia sarà quella dichiarata, le premesse per un possibile successo ci sono tutte.

Al momento non si sa ancora quando il C-1 entrerà in produzione, di certo questo mezzo sarà in grado di garantire una sicurezza che ad oggi nessuna moto o scooter è in grado di offrire: per farvi un’idea guardate il video!
di Christian Cavaciuti
Per ulteriori informazioni: itmotors.com 

Fonte: dueruote.it

Robot per migliorare le prestazioni del fotovoltaico

L’inseguimento solare viene realizzato con un solo robot che si muove lungo una rotaia in grado di gestire parchi fotovoltaici di 337 kWp con un aumento di produzione del 40% rispetto ai sistemi fissi

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SunBots, ovvero robots al servizio dell’energia solare; questa semplice idea potrebbe migliorare drasticamente il rendimento dei grandi impianti fotovoltaici. Poichè la posizione e l’altezza del sole variano durante la giornata, un pannello fisso riesce a ottenere la massima efficienza solo in corrispondenza del mezzogiorno (1). I sistemi a inseguimento hanno piccoli motori elettrici che variano l’inclinazione del pannello lungo uno o due assi per seguire il moto apparente del sole: l’aumento del rendimento arriva al 35-40%, ma crescono in parallelo i costi di installazione e manutenzione. La soluzione trovata dall’azienda californiana QBotix è semplice: poichè il sole si muove lentamente lungo la volta celeste, non è necessario motorizzare ogni pannello, ma è sufficiente avere un solo robot che si muove lungo una rotaia e che aggiusti l’orientamento di tutto il parco fotovoltaico. Muovendosi ad una velocità media di circa 1,6 km/h, un piccolo robot come quello illustrato nella figura può orientare un parco di 337 kWp (225 unità da 1,5 kWp) nell’arco di 45 minuti, aumentando la produzione di energia del15% rispetto ai sistemi ad un solo asse e del 40% rispetto ai pannelli fissi. Il robot consuma 475 kWh all’anno, equivalenti a meno di un’ora e mezza di energia prodotta dal parco quando lavora a piena potenza. Altri sistemi robotici vengono invece utilizzati per le operazioni di monitoraggio e pulizia dei pannelli solari e sono particolarmente utili nelle remote zone desertiche dove la polvere trasportata dal vento può ridurre la produzione energetica anche del 40%. (1) La potenza incidente sul pannello è pari a IS sinß, dove I è l’irraggiamento in W/m², S l’area del pannello e ß è l’angolo tra il sole e la normale al pannello. Il massimo occorre naturalmente quando ß è uguale a 0, cioè il pannello è perpendicolare alla direzione della luce.

Fonte: ecoblog