Moria api, i neonicotinoidi funzionano come contraccettivi

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Che la moria delle api che interessa da alcuni anni l’apicoltura fosse connessa all’utilizzo dei neonicotinoidi lo si sapeva da tempo, ma quali fossero le cause che portano al declino delle api in molte zone del mondo restava da chiarire. Un gruppo di ricercatori dell’Istituto della salute delle api dell’Università di Berna, in Svizzera, ha scoperto che i neonicotinoidi agiscono come contraccettivi per i maschi delle api. Parzialmente vietati dall’Unione Europea, i neonicotinoidi continuano a essere utilizzati su vasta scala negli Stati Uniti. Nella fase sperimentale, i ricercatori hanno constatato come i maschi sottoposti a questo tipo di pesticidi avessero una durata di vita e una quantità di sperma ridotta del 39%. Secondo Junko Tokumoto che ha partecipato allo studio è un dato di fatto che i pesticidi producono delle reazioni di stress ossidativo. Gli spermatozoi, vista la composizione della loro membrana cellulare, sono particolarmente sensibili a questo tipo di stress. Ma potrebbe esserci anche un effetto indiretto dei neonicotinoidi: la sostanza tossica, infatti, potrebbe pregiudicare le api-nutrici che si occupano dei giovani maschi. La moria delle api non è imputabile soltanto ai neonicotinoidi che sono una delle principali cause di questo declino insieme ai cambiamenti climatici, alla frammentazione dell’habitat, all’assenza di risorse alimentari in alcuni periodi dell’anno e, ancora, a causa di un acaro (varroa destructor) che infesta molti alveari dell’emisfero boreale.

Foto | Davide Mazzocco

Fonte: Le Monde

Francia, oltre 600mila firme per salvare le api

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Diverse associazioni ambientaliste hanno consegnato al ministro dell’ecologia francese, Ségolène Royal, una petizione dopo avere raccolto fra le 600mila e le 700mila firme richiedenti la proibizione dei neonicotinoidi, dei pesticidi che aggravano la mortalità delle api. Le organizzazioni sperano che la proibizione dei neonicotinoidi sia inscritta nella legge sulla biodiversità che deve passare in seconda lettura all’Assemblea nazionale fra qualche giorno.

Royal ha fatto sapere di voler sostenere questa proibizione:

“È indispensabile mettere fine all’utilizzo di questo tipo di prodotti chimici, degli insetticidi che uccidono le api e influenzano la biodiversità ma anche l’agricoltura, poiché le api sono impollinatrici. I neonicotinoidi toccano il cervello della api e dunque hanno anche impatto sulla salute umana. È tempo di capire che è fissando delle regole ferme che i ricercatori e gli industriali investiranno in altri prodotto sostitutivi che non influenzano la salute umana”.

Come confermato dal ministro dell’agricoltura, Stéphane Le Foll, ogni anno 300mila colonie di api vengono decimate dai neonicotinoidi. Questi pesticidi sono stati oggetto di una moratoria parziale, da parte dell’Europa, dalla fine del 2013.

Fonte:  Le Monde

Foto | Davide Mazzocco

Moria api: in Francia aumenta l’utilizzo dei neonicotinoidi

La Francia all’avanguardia nel contrasto all’utilizzo dei pesticidi in agricolturaapi-8

La Francia sembra essersi accorta, prima di molti altri Paesi, della necessità di limitare l’utilizzo dei neonicotinoidi in agricoltura. Perché? Molto semplice: perché in gioco c’è la sopravvivenza delle api e, quindi, dell’agricoltura tutta, come dimostrano le surreali immagini degli “impollinatori” cinesi.

Dopo la moratoria europea sui pesticidi killer di api e farfalle (datata 2013) l’utilizzo dei cinque principali pesticidi (acetamiprid , clothianidin , thiamethoxam , imidacloprid , tiacloprid) è passato dalle 387 tonnellate del 2013 alle 508 tonnellate del 2014. Nonostante la moratoria l’aumento è stato del 31% in un anno. I dati 2015 non sono ancora stati resi disponibili dalla direzione generale dell’alimentazione del Ministero dell’Agricoltura.

Gilles Lanio, presidente della Union nationale de l’apiculture française, ha qualcosa da ridire sullo scarico di responsabilità da parte del Ministro dell’Agricolutura Stéphane Le Foll:

“Quando veniamo ricevuti al ministero, ci viene detto che gli agricoltori fanno dei grandi sforzi e che la mortalità delle api sono causate anche dalle nostre attività. Le cifre mostrano che questo è completamente falso. Quanto alla trasparenza non ce n’è, nonostante le promesse”.

La disputa sui neonicotinoidi è in corso all’Assemblea Nazionale e al Senato dove dopo l’esame del progetto di legge per la riconquista della biodiversità, della natura e del paesaggio, la Camera alta ha deciso per l’interdizione totale di tutti i neonicotinoidi a partire dal 2018. Un punto a favore degli apicoltori. E in Europa si guarda con interesse a cosa sta accadendo in Francia.

Fonte:  Le Monde

Foto | Mazzocco

 

Vietnam, moria di pesci a causa dell’inquinamento

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Un’ondata di indignazione si è diffusa nelle piazze e sui social media del Vietnam dopo la moria di pesci verificatasi nella costa centrale del Paese che ha portato al divieto della vendita dei frutti di mare nella regione e alla temporanea disoccupazione dei pescatori. Fino a questo momento non è ancora stato possibile scoprire la reale causa di questo disastro ambientale, ma secondo molti la responsabilità potrebbe essere attribuibile a un impianto industriale della Formosa Plastics Corporation situato nella zona industriale di Ang Vung. Il governo vietnamita ha detto che non vi è alcuna prova che l’impianto appartenente alla Formosa Plastics Corporation sia responsabile di questa situazione, ma gli attivisti della provincia di Tran Hong Ha hanno protestato disseminando le strade di pesci morti. La contaminazione delle acque ha avuto un effetto devastante sulle comunità locali di pescatori con perdite stimate in 200mila dollari in una sola settimana. Giovedì scorso il governo vietnamita ha deciso di vietare la vendita e la distribuzione dei pesci provenienti dalle aree colpite. Una catastrofe ambientale che è rimbalzata sul web, tanto che su Change.org è stata aperta una petizione nientemeno che da Erin Brockovich.

Fonte:  IBT

Messico, moria di 36 tonnellate di pesci nel lago Cajititlan: la causa è l’inquinamento

L’inquinamento del Lago Cajititlan in Messico ha prodotto una imponente moria di pesci. Ne sono state raccolte 36 tonnellate. Ma dei responsabili per ora nessuna traccia

La moria di pesci che si è registrata nel lago Cajititlan in Messico già da martedì scorso ha assunto proporzioni notevoli e tra sabato e domenica scorso i pescatori hanno tirato su oltre 36 tonnellate di pesce morto. Le cause sembra siano state indotte da qualche comportamento criminale. Queste le conclusioni a cui è giunta Magdalena Ruiz Mejía, segretario di Ambiente e sviluppo territoriale (Semadet). Non è la prima volta che nel lago si verificano massicce morie di pesci, questa è la quarta in ordine di apparizione ma probabilmente è la più grave e consistente. I problemi di inquinamento sono noti e denunciati da diversi anni e già nel 2013 furono avanzati sospetti sulla salubrità per flora e fauna delle acque lacustri.MEXICO-ENVIRONMENT-FISH

A questo proposito, il Comune di Tlajomulco de Zuniga, sotto cui ricade la territorialità del lago ha affermato in una breve dichiarazione che il fenomeno era dovuto a cause naturali e ciclici legati alla mancanza di ossigeno e al riscaldamento dell’acqua, ma secondo Ruiz Mejía questa possibilità è da escludere:

Abbiamo un sistema di controllo che ci suggerisce che la causa sia da ricercare nella cattiva gestione dell’acqua.

Infatti i funzionari dell’Ufficio di Stato per la protezione ambientale e della Commissione Acqua hanno affermato di avere le prove che ci sia una inadeguata gestione di tre impianti per il trattamento dei fanghi di Tlajomulco il che avrebbe prodotto la morte dei pesci. Tuttavia non ci sono al momento dati disponibili e dunque le prove sono state presentate al vaglio del Procuratore generale che potrebbe aprire un fascicolo di indagine per crimine ambientale.MEXICO-ENVIRONMENT-FISH

Cajititlán è una graziosa cittadina di appena 8.000 abitanti la cui vita ruota proprio intorno alla bellezza del lago considerata anche attrazione turistica grazie anche alla presenza di santuari e basiliche. Il nome Cajititlán deriva dalla radice “Caxitl” che in lingua Nahuatl significa ciotola, piatto o zucca. Pescatori e agricoltori della zona anche sostengono che la contaminazione delle acque dipenda dai liquami rilasciati nel lago dai tre impianti di depurazione presenti in zona e dagli scarichi industriali da 15 società che sversano nelle acque lacustri.MEXICO-ENVIRONMENT-FISH

Per ora comunque tutti i rappresentanti dell’amministrazione cittadina hanno le bocche cucite.

Fonte: InformadorTlajomulcoExcelsior

© Foto Getty Images

“Eden” tossico per le api: pesticidi nelle piante ornamentali

Il 79 per cento delle piante ornamentali analizzate sono risultate contaminate da pesticidi killer delle api. Alcuni campioni addirittura da sostanze illegali in Europa. Questi i risultati di un nuovo rapporto di Greenpeace International “Eden tossico: i loro veleni nel tuo giardino”, che evidenzia l’ampio uso di pesticidi dannosi per le api nel settore della florovivaistica. Le piante analizzate sono state acquistate in negozi di giardinaggio, supermercati e centri del fai da te in dieci Paesi europei per un totale di oltre 35 varietà di piante molto diffuse come viola, campanula e lavanda, note per attirare le api.eden_tossico

Il 79 per cento delle piante ornamentali analizzate sono risultate contaminate da pesticidi killer delle api. Alcuni campioni addirittura da sostanze illegali in Europa. Questi i risultati di un nuovo rapporto di Greenpeace International “Eden tossico: i loro veleni nel tuo giardino”, che evidenzia l’ampio uso di pesticidi dannosi per le api nel settore della florovivaistica. Le piante analizzate sono state acquistate in negozi di giardinaggio, supermercati e centri del fai da te in dieci Paesi europei per un totale di oltre 35 varietà di piante molto diffuse come viola, campanula e lavanda, note per attirare le api. Il 98 per cento dei campioni conteneva residui di insetticidi, erbicidi o fungicidi. Molti campioni erano contaminati da un “cocktail” di pesticidi diversi. Insetticidi ritenuti pericolosi per le api sono stati trovati in 68 piante (il 79 per cento dei campioni). In quasi la metà dei campioni sono stati rilevati residui di almeno uno dei tre insetticidi neonicotinoidi – il cui uso è stato limitato nell’Unione europea per evitare gli impatti sulle api – in alcuni casi ad alte concentrazioni: il 43 per cento conteneva imidacloprid, l’8 per cento il thiamethoxam, mentre il clothianidin è stato trovato nel 7 per cento del totale. «I fiori sui nostri balconi o nei nostri giardini possono contenere pesticidi tossici, che mettono a rischio api e altri impollinatori. Finché si continueranno a utilizzare pesticidi killer delle api per la coltivazione di piante e fiori, tutti noi possiamo essere complici inconsapevoli di una contaminazione ambientale che mette a rischio le api» dichiara Federica Ferrario, responsabile Campagna Agricoltura di Greenpeace Italia. Tra le sostanze rilevate dallo studio, in 12 delle 86 piante ornamentali analizzate (il 14 per cento del campione) sono stati rilevati pesticidi non autorizzati nell’UE, tra cui due tossici per le api. Non è chiaro se si tratti di applicazioni illecite effettuate in Europa o di importazioni da Paesi dove gli standard sono inferiori a quelli dell’UE. Anche se da questo studio non è possibile trarre conclusioni definitive sull’impatto di queste sostanze tossiche sulle api, è plausibile che api e altri impollinatori possano essere esposti a concentrazioni rischiose quando visitano queste piante. «Il bando parziale in vigore su alcuni neonicotinoidi non basta a proteggere le api e gli altri impollinatori. È necessario subito un divieto assoluto dei pesticidi dannosi per le api, che sia il primo segnale di un cambio radicale dell’attuale modello agricolo industriale basato sulla chimica di sintesi» conclude Ferrario. La presenza di residui di antiparassitari non autorizzati in piante ornamentali vendute in Europa evidenzia la necessità di un maggior rigore dei sistemi di monitoraggio e gestione delle filiere nel settore florovivaistico. Questa però è solo la cima dell’iceberg. Quello che serve è lo sviluppo e la promozione di pratiche agricole ecologiche, che garantiscano ambienti salubri e sicuri all’interno di aziende agricole e giardini, dove insetti e biodiversità possano prosperare.

Leggi qui la sintesi del rapporto in italiano.

Fonte: il cambiamento.it

Allevamenti killer: moria di pesci in laguna a Venezia

Migliaia di pesci galleggiano senza vita nella laguna di Venezia. All’origine della moria di pesci vi sarebbe il maggior rilascio di azoto e fosforo, che proviene dagli allevamenti. “La scelta per l’ambiente è incompatibile con l’alimentazione carnivora”.laguna_venezia

Di che cosa sono morti le migliaia di pesci che galleggiano senza vita nella laguna di Venezia, dopo una lunga e penosa agonia? Secondo quanto riportato dai giornali, la proliferazione e successiva decomposizione delle alghe ha provocato la carenza di ossigeno nelle acque e il conseguente“soffocamento” dei pesci; questo fenomeno ha visto sì come causa scatenante le intense precipitazioni prima e l’aumento di temperatura poi, ma il problema di base, come ribadito dalle fonti citate dai vari quotidiani, rimane il livello troppo alto di composti a base di azoto e fosforo, che da decenni le imprese e le aziende agricole sversano in laguna e che funzionano da fertilizzante per le alghe. Il Centro Internazionale di Ecologia della Nutrizione intende proporre una riflessione proprio su questo aspetto, facendo notare come, in ogni parte del mondo, sia l’industria dell’allevamento di animali per la produzione di carne, latticini e uova ad avere la maggior responsabilità relativamente all’inquinamento delle acque. Ciò è confermato anche dal dossier della FAO del 2006 “Allevamenti, una grande minaccia per l’ambiente” in cui si afferma che, per quanto riguarda le acque, i maggiori agenti inquinanti sono proprio le deiezioni degli animali, ricche di antibiotici e altre sostanze chimiche usate nell’allevamento nonché i fertilizzanti e pesticidi usati nella coltivazione dei mangimi per gli animali. Infatti, i raccolti assorbono solo da un terzo alla metà dell’azoto applicato al terreno come fertilizzante: le sostanze chimiche rimaste inutilizzate inquinano il suolo e l’acqua. Dato che, secondo le statistiche della FAO, metà dei cereali e il 90% della soia prodotti nel mondo sono usati come mangimi per animali, e che queste sostanze chimiche sono per la maggior parte usate nelle monocolture per la produzione di mangimi animali, è chiaro che la maggior responsabilità per questo enorme uso di sostanze chimiche sta proprio nella pratica dell’allevamento.pesticidi8__

Un ulteriore problema sono le deiezioni degli animali allevati: le deiezioni liquide e semi-liquide contengono livelli di fosforo e azoto al di sopra della norma, perché gli animali possono assorbire solo una piccola parte della quantità di queste sostanze presenti nei loro mangimi. Quando gli escrementi animali filtrano nei corsi d’acqua, l’azoto e fosforo in eccesso rovina la qualità dell’acqua e danneggia gli ecosistemi acquatici e le zone umide. Circa il 70-80% dell’azoto fornito ai bovini, suini e alle galline ovaiole mediante l’alimentazione, e il 60% di quello dato ai polli “da carne” viene eliminato nelle feci e nell’urina e finisce nei corsi d’acqua. Oggi, le deiezioni in eccesso vengono sparse sul terreno e nelle acque, mettendo in pericolo la salubrità delle acque e i pesci che ci vivono. Questo accade in ogni zona del mondo, perché ormai la pratica dell’allevamento intensivo è diffusa ovunque. Per esempio, lo spandimento delle deiezioni animali è strettamente collegato alla “zona morta” di 7.000 miglia quadrate nel Golfo del Messico, che non contiene più vita acquatica. Nel giugno 2010 il Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite ha pubblicato un report intitolato “Calcolo degli impatti ambientali dei consumi e della produzione” le cui conclusioni affermano: “Si prevede che gli impatti dell’agricoltura aumentino in modo sostanziale a causa dell’aumento di popolazione e del conseguente aumento del consumo di alimenti animali. Una riduzione sostanziale di questo impatto sarà possibile solamente attraverso un drastico cambiamento dell’alimentazione globale, scegliendo di non usare prodotti animali”. Lo stesso report specifica: “La produzione di cibo è quella che più influenza l’utilizzo del terreno, e quindi il cambiamento di habitat, il consumo di acqua, il sovrasfruttamento delle zone di pesca e l’inquinamento da azoto e fosforo”.allevamento__vacche_2

Gli animali d’allevamento, oggi considerati come “macchine” che producono “proteine animali”, hanno bisogno di una grande quantità di mangime per “produrre” una quantità di carne, latte, uova molto più bassa. Si possono definire in questo senso “fabbriche di proteine alla rovescia”, perché per ottenere un kg di carne sono necessari mediamente 15 kg di vegetali coltivati appositamente. Ernst von Weizsaecker, uno scienziato ambientale dell’IPCC (il Panel di scienziati dell’ONU sui cambiamenti climatici), ha dichiarato nel 2010: “Il bestiame oggi consuma la maggior parte dei raccolti mondiali, e di conseguenza la gran parte dell’acqua potabile, di fertilizzanti e di pesticidi”. Se le persone, anziché basare la propria alimentazione sui cibi animali, si nutrissero di cibi vegetali, come accadeva fino a pochi decenni fa, il risparmio, in termini di risorse e di inquinanti emessi, sarebbe enorme. Nello studio “Alimentazione e ambiente: quel che mangiamo è importante?” pubblicato nel 2009 dalla rivista scientifica “American Journal of Clinical Nutrition”, i risultati mostrano che la dieta non vegetariana richiede 13 volte più fertilizzanti rispetto a una dieta vegetariana. Dal punto di vista dell’ambiente, concludono gli scienziati, quello che ciascuno sceglie di mangiare fa la differenza. Se la terra fosse usata per produrre cibo per il consumo umano diretto, infatti, da un lato servirebbero molti meno terreni, dato che la quantità di vegetali da produrre sarebbe molto minore (perché viene eliminato lo spreco della trasformazione da prodotti vegetali a prodotti animali, che da 15 kg di vegetali fa ottenere 1 solo kg di carne), dall’altro la produzione potrebbe avvenire in maniera sostenibile, con la tradizionale coltivazione a rotazione, che non richiederebbe l’attuale uso massiccio di sostanze chimiche. E i pesci non morirebbero soffocati. Prima scegliamo di spostare i nostri consumi verso i cibi vegetali anziché quelli animali, prima potremo contrastare i danni enormi che il pianeta e tutti gli esseri che ci vivono (noi inclusi) è costretto a subire. E potremo così evitare che la meravigliosa laguna di Venezia rischi di diventare una delle “zone morte” del pianeta.

Fonte: il cambiamento

Fipronil il quarto insetticida letale per le api nel parere dell’EFSA

Mentre l’Europa senza il voto dell’Italia pone il bando su tre insetticidi valutati come letali per le api, ecco che un nuovo parere dell’EFSA mette in guardia su una quarta molecola, il fipronil.

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L’EFSA ha reso pubblico lunedì 27 maggio l’opinione sui rischi per le api del fipronil, pesticida della BASF in commercio come Régent.

Il giudizio è duro:

L’insetticida Fipronil, utilizzato per trattare le sementi di mais, rappresenta un elevato rischio acuto per le api mellifere.

I precedenti pareri resi da EFSA dall’inizio del 2013 sul thiamethoxam, clothianidin e imidacloprid hanno portato la Commissione europea a proporre agli Stati membri il ritiro per due anni delle tre molecole in questione. Dopo il voto degli Stati membri (l’Italia si è espressa contraria), Bruxelles ha confermato il 24 maggio l’entrata in vigore della moratoria dal 1 ° dicembre.

In ogni caso ecco le conclusioni di EFSA che riguardano i punti di esposizione:

·                                 rischio da deriva di polveri: è stato individuato un elevato rischio acuto derivante dal mais. Quanto ad altre colture, tra cui il girasole, non è stato possibile eseguire valutazioni complete del rischio né, quindi, stabilire il livello di rischio derivante dall’esposizione alle polveri rilasciate dalla semina a file;

·                                 nettare e polline: gli studi disponibili (di campo e semi-campo) presentavano punti deboli ed erano perciò insufficienti per stabilire il livello del rischio per le api mellifere associato all’utilizzo del Fipronil come trattamento dei semi di girasole e di mais. Tuttavia il rischio per le api da miele connesso all’uso autorizzato del Fipronil sugli ortaggi è stato ritenuto basso, poiché questi non sono appetibili quanto a contenuto di polline e nettare;

·                                 sono state individuate diverse lacune nei dati disponibili in relazione ad altre potenziali vie di esposizione.

Fonte:  Le monde

 

Australia, il surriscaldamento dei mari causa della moria dei delfini

 

I ricercatori hanno stabilito un rapporto di causalità fra il surriscaldamento delle acque marine e la moria e di delfini e pesci

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Gli esperti lanciano l’allarme: lo spiaggiamento di molti delfini avvenuto quest’anno, potrebbe essere un anticipo di quello che sarà il futuro impatto dei cambiamenti climatici. I delfini spiaggiati e i pesci morti rintracciati con preoccupante frequenza nei primi mesi del 2013 potrebbero diventare una caratteristica ricorrente sulle spiagge del Sud Australia, specialmente se continuerà il trend in costante crescita delle temperature che, nelle prime settimane dell’anno, hanno fatto registrare livelli record. Vic Neverauskas, direttore della sezione virus acquatici del Biosecurity South Australia, ha affermato come fosse logico supporre un rischio più elevato di eventi simili visto che i mari stavano seguendo una tendenza al riscaldamento dovuta ai cambiamenti climatici. L’eccessivo calore ha prolungato in maniera anomala la vita delle alghe: le temperature di ben 5 gradi superiori alla media, unite al fenomeno dell’upwelling (la direzione del vento contraria alla rotazione terrestre): così è scattata la trappola per i piccoli pesci che ha provocato un effetto domino su tutto l’ecosistema marino. Per quanto riguarda i delfini, i mammiferi sarebbero stati vittima di un virus moltiplicatosi in virtù dell’immuno-soppressione dovuta all’eccesivo calore.

Anche se questi tipi di eventi sono rari e sfortunati, capire la loro causa attraverso ricerche e indagini è il modo migliore per prevenire questi problemi,

ha dichiarato il ministro dell’Alimentazione e della Pesca del South Australia,Grace Portolesi. Nel Vecchio Continente freddo e maltempo non danno tregua, ma non ci si deve illudere: i cambiamenti climatici ci sono e questo è solo un esempio dei devastanti effetti che possono avere.

Fonte: The Guardian

Moria di delfini nel tirreno: salgono a 57 i ritrovamenti nel 2013

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E’ salito ancora il tragico bilancio di morte di delfini nel mar Tirreno: dopo i ritrovamenti di domenica scorsa le stenelle morte ritrovate lungo le coste italiane sono diventate 57, quando la media nello stesso periodo per il 2012 era di 4. Il Ministero dell’Ambiente, che ha attivato un censimento degli esemplari di stenella striata (Stenella coeruleoalba) ritrovati spiaggiati, addebita la colpa ad una causa non ancora individuata che sta facendo strage nel Tirreno. Gli ultimi ritrovamenti si sono verificati tutti lungo le coste del Lazio.

In un comunicato il Ministero dell’Ambiente spiega:

Domenica mattina la Capitaneria di Porto-Guardia Costiera di Anzio è intervenuta, in seguito alla segnalazione di un cittadino, per soccorrere un delfino in fin di vita, mentre l’Istituto zooprofilattico del Lazio e della Toscana ha recuperato altri esemplari morti a Focene (2 carcasse), Passoscuro, Sperlonga,Torvajanica e Marina di Alberese. […] Oltre ai 16 trovati sulle coste di Sicilia, Calabria, Campania e Sardegna, ad oggi sono 41 gli esemplari arrivati nei laboratori dell’Izs Lazio e Toscana, 23 nella sede centrale di Roma e 18 in Toscana.

Sembrerebbe dunque una vera e propria emergenza, almeno sui numeri, questa moria di delfini costante nelle acque tirreniche: il ritrovamento di Nettuno, quello sopra riportato dal ministero, è purtroppo avvenuto quando il delfino era già morto; le perizie del servizio veterinario dell’Asl Roma hanno dimostrato che l’esemplare morto era un adulto di circa 2 metri e riportava evidenti ferite. L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle regioni Lazio e Toscana (IZS) ha studiato tutti gli esemplari di stenella striata ritrovati in queste due regioni: ricerche sinora effettuate non si registrano isolamenti di agenti infettivi in grado di motivare le mortalità. Ad oggi infatti non è ancora stata chiarita la causa di questa moria. Inizialmente il ministero aveva ipotizzato l’ipotesi del batterio photobacterium damselae che può causare sindrome emolitica e lesioni ulcerative, come causa infettiva più probabile dei decessi dei mammiferi: ad oggi lo stesso ministero è tornato sulle sue ipotesi, certificando l’anomalia come “misteriosa”. Il Direttore Generale dell’IZS Dott. Remo Rosati, ha confermato al Tg2 che sono in corso esami anatomo-patologici, istologici, virologici e tossicologici, necessari a definire con certezza la causa di questa moria anomala di cetacei nelle coste tirreniche ma, ad oggi, la causa resta appunto ignota; Rosati non ha escluso tuttavia che questa moria di delfini possa essere correlata in qualche modo a fenomeni legati all’inquinamento o a eventi vulcanici sottomarini.

Fonte: Ministero dell’Ambiente