L’oncologa Patrizia Gentilini: «5G, troppi rischi. Occorre una moratoria»

L’oncologa Patrizia Gentilini, membro dell’associazione Isde-Medici per l’Ambiente, riafferma la necessità di una maggiore precauzione sul 5G, la tecnologia che si sta diffondendo con una esposizione ai campi elettromagnetici ancora maggiore per la popolazione: «Troppi rischi per la salute, occorre una moratoria».

L'oncologa Patrizia Gentilini: «5G, troppi rischi. Occorre una moratoria»

L’oncologa Patrizia Gentilini, membro dell’associazione Isde-Medici per l’Ambiente, riafferma da tempo, supportata da una nutrita schiera di scienziati, ricercatori e movimenti di cittadini, la necessità di una maggiore precauzione sul 5G, la tecnologia che si sta diffondendo con una esposizione ai campi elettromagnetici ancora maggiore per la popolazione. L’abbiamo intervistata.

Dottoressa Gentilini, il 5G, la nuova tecnologia che esporrà la popolazione a radiofrequenze ubiquitarie che connetteranno tutto ciò che ci sta intorno, pare essere ormai una scelta ineluttabile. Quali sono i potenziali rischi documentati e quali quelli non ancora completamente valutati e conosciuti?

La nuova tecnologia 5G (“5th Generation”) sarà una ulteriore fonte di esposizione a campi elettromagnetici (CEM) che andrà ad aggiungersi  a tutte le altre sorgenti di CEM ad alta frequenza cui già oggi siamo tutti esposti: antenne radio e TV, Wi-Fi, smartphone, tablet, telefoni cordless, cellulari,  dispositivi Bluetooth, ma anche ai CEM a bassa frequenza emessi da elettrodomestici, cavi elettrici, lampade etc. Con il 5 G ci sarà un cambiamento tecnologico enorme su scala globale che ci porterà ad avere case, imprese, autostrade, città sempre “collegate in rete” e auto a guida autonoma. L’obiettivo dichiarato è di arrivare, entro il 2022, a fare in modo che nelle case di almeno l’80% della popolazione nazionale (il 99,4% entro giugno 2023) ci sia la copertura 5G. Secondo l’AGCOM, per raggiungere questi obiettivi l’infrastruttura di rete del 5G sarà pienamente operativa con una densità di circa un milione di dispositivi connessi per Km2. Tutto ciò farà aumentare ulteriormente l’esposizione dell’intera popolazione ai CEM che dall’avvento delle telecomunicazioni nel secolo scorso sono aumentati a dismisura. Bisogna ricordare che le frequenze  delle onde radio non esistono in natura e quindi né la  nostra specie, né le altre specie viventi mai erano state esposte. Fino al 1940 il fondo naturale pulsato era di 0,0002 V/m ( Volt/metro),  mentre attualmente il tetto legalizzato in Italia è di 6 V/m; si tratta di una media su 24 ore  e non più  del valore soglia da non superare.  Questa apparentemente piccola modifica  (media e non più soglia) è stato un “regalo” del governo Monti  alle compagnie telefoniche nel 2012; con il 5G il limite potrebbe crescere ulteriormente fino a 61 V/m e va ricordato che a tutt’oggi, come è stato di recente ribadito da ARPA Piemonte nel corso di un Convegno svoltosi all’Ordine dei Medici di Torino, che a tutt’oggi non esistono dispositivi in grado di misurare i CEM generati dalle antenne del 5G!

Come si potrà chiedere il rispetto dei limiti se non si è al momento in grado di effettuare le misurazioni?

Il 5G inizialmente userà le bande 700 MHz, 3.4-3.8 GHz, 26 GHz (onde centimetriche) e, successivamente, le bande comprese nella gamma tra 24.25 e 86 GHz ( onde millimetriche). Questo tipo di  onde penetra nella cute fino a 10mm e  per i fautori del 5G questa limitata penetrazione viene considerata scevra da rischi per la salute, ma non è affatto così, perché la penetrazione anche di un solo centimetro nella cute  può generare effetti sulle cellule cutanee,  in particolare danni alle membrane cellulari dei cheratinociti , ma anche alterazioni delle terminazioni nervose, delle ghiandole sudopripare e del microcircolo con liberazione di citochine infiammatorie e  potenziali effetti sia locali che sistemici. C’è da dire che le onde centimetriche erano conosciute in Unione Sovietica già negli anni ’50 ed uno studio del 1955 riporta che anche una singola esposizione a onde centimetriche in conigli aveva indotto seri danni agli occhi con sviluppo di cataratta. Attualmente  disponiamo di altre numerose conoscenze derivanti da indagini sperimentali condotte sia su colture cellulari che su animali, mentre ovviamente mancano conoscenze adeguate sul piano epidemiologico. I dati sperimentali  attestano che le onde centimetriche/millimetriche possono indurre l’alterazione dell’espressione genica e delle membrane citoplasmatiche, modificare la funzionalità dei sistemi neuro-muscolari,  aumentare della temperatura della cute, stimolare la proliferazione cellulare, modulare la sintesi di proteine coinvolte in processi infiammatori/immunologici. Inoltre l’esposizione di fibroblasti umani adulti e fetali a 25 GHz per 20’ ha comportato effetti sui cromosomi (aneuploidia) noti come predisponenti al cancro. Per quanto riguarda altri tipi di frequenze, quali quelle dei cellulari o delle antenne radio –base, disponiamo viceversa di moltissimi studi sia epidemiologici (ovvero sulle popolazioni esposte) che sperimentali che attestano i numerosi effetti biologici che vanno ben oltre l’effetto termico, ossia l’azione di riscaldamento dei tessuti, l’unica di cui si tiene conto per stabilire i limiti di legge.

In sintesi  gli effetti dei CEM suddetti sono sia  cancerogeni  che  non cancerogeni .

Fra questi ultimi ricordo:

-effetti genotossici : mutazioni geniche, aberrazioni   cromosomiche, scambi tra cromatidi, micronuclei, danni al DANN

-effetti epigenetici: attivazione di oncogeni, sintesi riparativa del DNA, alterazione di proteine funzionali

-riduzione della sintesi di melatonina

 -aumento della concentrazione di perossidi e radicali liberi

 -alterazione della concentrazione del Calcio

-inbizione della apoptosi (morte cellulare programmata)

-induzione di “proteine da shock termico“

-alterazione della funzionalità del sistema immunitario.

 -i CEM/ELF possono interagire sinergicamente con altri cancerogeni genotossici (radiazioni ionizzanti, idrocarburi aromatici policiclici, derivati del benzene, formaldeide).

Per quanto riguarda l’azione cancerogena ricordo che nel 2017 sono state pubblicate almeno 3 metanalisi che hanno preso in esame decine di studi epidemiologici caso-controllo. Si tratta di decine di migliaia di casi ( ovvero di soggetti affetti da tumori cerebrali) e ancor più controlli sani in cui è stata indagato l’utilizzo del cellulare. Da questa grande mole di dati è emerso che l’utilizzo del cellulare per oltre 10 anni , specie se ipsilaterale,  comporta un incremento del rischio di tumori cerebrali di oltre il 30% nel loro complesso e del 44%  per i gliomi, la forma più aggressiva di questo gruppo di tumori. Infine nel 2018 sono stati pubblicati anche i risultati di due ampi studi sperimentali, uno condotto negli USA  a cura del National Toxicology Program che ha valutato l’esposizione di 7mila topi da laboratorio (sacrificati a 106 settimane) a radiazioni corrispondenti all’intensità solo del 2G e 3G; l’altro condotto in Italia dall’ Istituto Ramazzini di Bologna che ha usato frequenze più basse (quelle tipiche delle stazioni radio-base) e si è protratto fino alla morte naturale degli animali. Entrambi gli studi – pur utilizzando frequenze diverse-  hanno trovato gli stessi risultati: aumento ‘statisticamente rilevante’ del numero dei tumori,  in particolare rarissimi tumori delle guaine nervose  al cervello e al cuore. Vi sono quindi tutti i presupposti per ipotizzare che anche sull’uomo e sugli altri organismi viventi ill 5 G, che si aggiungerà a quanto già in essere, non potrà che fare aumentare i rischi per la salute umana e si tratta di rischi niente affatto trascurabili e a cui nessuno potrà sottrarsi. Infatti, per la diffusione capillare del 5 G su tutta la superficie terrestre, che a sua volta sarà connesso con satelliti nello spazio, nessun essere vivente potrà sottrarsi agli effetti di questa tecnologia. Non sarà quindi come col cellulare o con altri dispositivi elettronici che possiamo decidere o meno di usare o comunque di avere precauzioni, col 5 G saremo tutti  ed inevitabilmente irraggiati. Ritengo  paradossale che una tecnologia che non è stata adeguatamente studiata, ma per cui esistono già numerosi indizi circa la sua pericolosità,  venga imposta per ora a 4 milioni di italiani e nel giro di pochi anni all’intera popolazione. Non per nulla si chiama “sperimentazione 5G”: credo che a nessuno di noi piaccia fare da cavia, oltretutto in assenza di qualunque adeguata informazione  e senza un  consenso scritto, cosa quest’ultima che ci viene richiesta anche per il più banale intervento medico!  E  possiamo affermare con certezza che se il 5G fosse un farmaco non avrebbe superato neppure la fase pre-clinica di sperimentazione. 

È nata una grande mobilitazione critica nei confronti dell’introduzione di questa tecnologia. Del fronte fanno parte scienziati autorevoli. Chi sono, oltre a te, coloro che si impegnano in questo appello alla precauzione?

L’allarme sui rischi derivanti dai CEM da parte di scienziati indipendenti è in atto già da anni: nel 2015 191 scienziati di 41 paesi hanno lanciato un allarme alle Nazioni Unite (ONU) e all’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) affermando che:  “numerose recenti pubblicazioni scientifiche hanno dimostrato che i campi elettromagnetici colpiscono organismi viventi a livelli molto al di sotto della maggior parte delle linee guida internazionali e nazionali. Più di 10.000 studi scientifici sottoposti a peer review dimostrano danni alla salute umana derivanti dalle radiazioni RF”. Sul 5G poi la mobilitazione sia a livello internazionale che nazionale è davvero poderosa anche se – come è facile aspettarsi – il parere di chi avanza dubbi e perplessità trova ben poco spazio. A livello internazionale ricordo il prof Martin Pall , prof emerito di Biochimica e di Scienze Mediche della Washington State University, che ha inviato alle istituzioni europee e statunitensi una revisione di studi che dimostrano la pericolosità della tecnologia 5G, ma anche i 29 autori (di cui 10 in possesso di titoli medici)  provenienti da 10 diversi paesi che hanno stilato e costantemente aggiornano il rapporto BioInitiative. In Italia ricordo  la Dott.ssa Fiorella Belpoggi direttrice dell’Istituto Ramazzini, il Dott Agostino di Ciaula, presidente del Comitato Scientifico Internazionale di ISDE che ha pubblicato nel 2018 un importante lavoro di revisione sul 5G, ma anche ricordo il Dott Massimiliano Pietro Bianco di European Consumers, cui va il principale merito del recente “Rapporto Indipendente sui campi elettromagnetici e sulla diffusione del 5 G”,  un lavoro di 140 pagine. Ricordo infine che al 5G Isde ha dedicato una intera pagina del proprio sito, aggiornata con le varie iniziative e in cui sono riportati i comunicati con richiesta di moratoria stilati già anni fa. 

Che scenario si va configurando secondo lei?

Lo scenario è sicuramente inquietante: sia chiaro nessuno di noi è contro le innovazioni e il progresso tecnologico, ma tutto questo dovrebbe essere governato con molta maggiore saggezza e lungimiranza e le questioni che entrano in gioco sono molteplici. A parte i rischi biologici di queste tecnologie, che ho prima ricordato, vorrei che non si trascurassero gli effetti psicologici che dispositivi  quali cellulari, tablet etc hanno sui bambini, anche di pochi mesi, cui troppo spesso vengono dati,  magari per distrarli e  tenerli tranquilli. Quale è la percezione della realtà che si sviluppa in questi soggetti e che confini potranno esistere fra mondo reale e mondo virtuale se facciamo di tutto per “sfumare” questi confini? Altro aspetto inquietante: questo mondo iper connesso e sempre più veloce davvero ci farà essere più felici, più attenti e più responsabili verso gli altri? Il fatto che già ci siano ad esempio in commercio pannolini “intelligenti” che avvisano quando il bambino è da cambiare o che sono obbligatori i seggiolini che avvisano se il piccolo viene dimenticato in auto non ci renderà sempre meno attenti e responsabili, facendoci “delegare” a strumenti tecnologici anche quanto di più innato dovrebbe esserci, ovvero la cura della prole? Sistemi di protezione sono certamente auspicabili, ma si potrebbero cercare altre soluzioni.  Altra cosa e non certo meno importante è il controllo capillare e costante di ogni nostra azione, contatto, spostamento, acquisto etc. alla faccia della tutela  della privacy : chi avrà accesso a questa enorme mole di dati e che uso ne verrà fatto? Ed infine in un mondo in cui le auto saranno senza guidatore e tanti altri lavori faranno a meno dell’uomo, come la mettiamo con la necessità di occupazione? Chi controllerà il mercato del lavoro?  Certamente in una fabbrica in cui lavorano robot non ci saranno scioperi e proteste, e questo per chi comanda  è  certamente quanto di più desiderabile possibile- ma questo non potrà che portare ad una concentrazione ulteriore delle ricchezze e del potere con una accentuazione delle disparità già oggi impressionanti.  Temo che questo modello tecnologico sia solo funzionale ad una ulteriore concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi e sempre più potenti attori che già oggi  vede nel solo 1 per cento della popolazione mondiale il monopolio delle risorse globali. Quando anche tutte le informazioni, compreso quelle più intime e personali saranno in enormi banche dati, cosa ci rimarrà ? Sarà davvero una società più equa, più democratica quella che ci aspetta, o sarà esattamente il contrario? Come ci insegna Vandana Shiva, “Devono risorgere la vera conoscenza, la vera intelligenza, la vera ricchezza, il vero lavoro, il vero benessere”, in modo che le persone possano riacquisire il loro diritto a vivere liberamente, pensare liberamente, respirare liberamente e mangiare liberamente.

Fonte: ilcambiamento.it

Trivellazioni, le regioni contro la ricerca di petrolio

Sono al momento cinque i Consigli regionali che, per difendersi da possibili estrazioni nei loro mari, hanno approvato una proposta di legge alle Camere per vietare ricerche di petrolio e gas. Le regioni in questione sono: Veneto, Abruzzo, Molise, Marche e Puglia.piattafoma_mare

Un anno fa, più o meno in questo periodo, vi spiegavamo il nuovo piano energetico del Governo Monti e di come fosse solo una scusa per favorire combustibili fossili e trivellare ancora di più la nostra penisola. 365 giorni sono passati ma l’emergenza ancora non sembra scemare. Sono già 5, infatti, i Consigli regionali che, per difendersi da possibili estrazioni nei loro mari, hanno approvato una proposta di legge alle Camere (come stabilito dall’articolo 121 della Costituzione) per vietare ricerche di petrolio e gas in mare. Le regioni in questione sono: Veneto, Abruzzo, Molise, Marche e Puglia. Quest’ultima, roccaforte di Nichi Vendola da parecchio tempo, è stata la capo fila, avendo approvato già nel luglio 2011 una proposta da sottoporre alle Camere in tal senso. “Ed ora”, sottolinea fiero Onofrio Introna, Presidente del Consiglio regionale pugliese, “anche i Consigli che hanno aderito al nostro invito ad assumere iniziative analoghe hanno adottato un testo netto e inequivocabile”. La proposizione vieta la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi in Adriatico, da applicare “ai procedimenti autorizzatori avviati e non conclusi, fatti salvi, fino all’esaurimento dei relativi giacimenti, i permessi, le autorizzazioni e le concessioni in essere, nei limiti stabiliti dai provvedimenti stessi”. Introna ha poi inviato una lettera al Ministro dell’Ambiente Orlando e ai Presidenti dei Consigli interessati (Eros Brega, per la Conferenza dei Presidenti dei Consigli, Nazario Pagano per l’Abruzzo, Vincenzo Niro per il Molise, Vittoriano Solazzi per le Marche e Clodovaldo Ruffato per il Veneto) per sottolineare l’esigenza di una moratoria dello sfruttamento di greggio e gas, vista come unica difesa dell’ecosistema costiero e delle economie turistiche delle coste. Introna nella nota ha informato il Ministro anche delle iniziative intraprese da tempo dalle Regioni: “la battaglia che non da oggi le Regioni adriatiche stanno conducendo contro la ricerca di petrolio e gas nella piattaforma continentale marina antistante le nostre coste”, chiedendo poi un incontro, utile “a stabilire le giuste sinergie tra Ministero e Regioni per un efficace iter parlamentare della proposta di legge che i cinque Consigli regionali hanno trasmesso alle Camere”. In Sicilia la situazione non è molto diversa. “Dove tutte le navi passano, dove tutti i pescatori pescano, nel cuore più prezioso del Canale di Sicilia, lo Stato Italiano vorrebbe trasformare il tragitto, da libero qual è, ad una corsa ad ostacoli sotto il segno del petrolio – ha detto Marco Costantini, responsabile mare del WWF Italia – Il WWF vuole fermarlo creando una nuova area protetta a Pantelleria, un obiettivo che possiamo raggiungere solo con l’aiuto dei cittadini di Pantelleria e dei tantissimi cittadini italiani e europei che firmeranno la nostra richiesta”. La richiesta a cui si fa riferimento è contenuta nella campagna“Sicilia: il petrolio mi sta stretto”. Il WWF ha chiesto alla commissione tecnica competente del Ministero dell’Ambiente di cancellare i progetti di ricerca di idrocarburi che Eni e Edison hanno presentato nel Canale di Sicilia (che sono attualmente sotto esame alla Commissione Valutazione di impatto Ambientale). I progetti in questione si vanno ad aggiungere a due permessi di ricerca concessi alle suddette aziende in un’area attigua e ad altri sette titoli minerari tra istanze, permessi e concessioni che riguardando sempre il Canale di Sicilia, area molto importante per il turismo, la biodiversità, gli animali (delfini, balenottere, mante mediterranee, aquile di mare, squali, tonni, pesci spada e tartarughe marine). Molto importante il fatto poi che l’area è a rischio sismico a causa di vulcani sottomarini tutt’ora attivi. Anche per questi motivi, il WWF chiede al ministero di Via Cristoforo Colombo di ripensarci. La petizione “Sicilia, il Petrolio mi sta stretto”, promossa anche da change.org, serve a mobilitare le coscienze dei cittadini per scongiurare l’eventualità di uno stravolgimento ambientale notevole, chiedendo di firmare per fermare le trivelle e per istituire un’area protetta a Pantelleria, isola vulcanica del Mediterraneo, unica isola non tutelata nello Stretto di Sicilia e quindi preda di progetti di estrazione petrolifera.

Fonte: il cambiamento

Pesticidi killer: stretta dell’Ue per proteggere le api

La Commissione europea approva la restrizione dell’uso di tre pesticidi – clotianidin, imidacloprid e tiametoxam – individuati dall’Efsa come dannosi per la salute delle api. Le nuove norme entreranno in vigore dal 1° dicembre 2013 in tutta l’Unione.ape_fiore8

Effetti dannosi sullo sviluppo, sul comportamento e sulla stessa sopravvivenza delleapi. Sono questi, secondo gli scienziati dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), i rischi connessi all’utilizzo, nel trattamento delle piante e dei cereali, di tre insetticidi neonicotinoidi, denominati clotianidin, imidacloprid e tiametoxam. Antiparassitari cui le api sono esposte per la presenza di residui nel nettare e nel polline delle piante trattate, ma anche per le polveri prodotte durante le semine, e che contribuiscono a ridurre la loro presenza in Europa. Le conclusioni dell’indagine Efsa sono state pubblicate a gennaio, ma la trattativa tra gli Stati membri sulle misure da adottare per difendere le api dai pesticidi killer non ha prodotto risultati: nella loro ultima riunione, ad aprile, i 27 non sono riusciti a raggiungere un accordo a maggioranza qualificata né a favore, né contro la proposta della Commissione Ue. Tra i paesi contrari c’era anche l’Italia, che si è opposta alla restrizione dell’uso dei pesticidi per trattare il fogliame degli alberi da frutto prima della fioritura. A quel punto, la Commissione ha deciso di procedere autonomamente e ha approvato una moratoria dei tre pesticidi per proteggere la salute delle api e garantire il processo di impollinizzazione, che da loro dipende per l’80% del totale. Moratoria, e non messa al bando, perché le restrizioni, che entreranno in vigore a partire dal 1° dicembre 2013, saranno riesaminate entro i due anni successivi alla luce degli effetti della norma e di eventuali sviluppi tecnici. Inoltre, il divieto non è totale: la stretta sui tre neonicotinoidi riguarda il trattamento di sementi, l’applicazione al suolo e i trattamenti fogliari su piante e cereali (ad eccezione di quelli vernini) che attraggono le api; il trattamento è, invece, ammesso per coltivazioni che attraggono le api nelle serre e per quelle nei campi all’aperto se effettuato dopo la fine della fioritura. La Commissione colloca il provvedimento nel quadro di un impegno di più ampio respiro, avviato già nel 2010 con il lancio di una strategia per la salute delle api, in via di realizzazione. Tra i progetti avviati dall’Esecutivo Ue, l’individuazione di un laboratorio di riferimento a livello europeo dedicato alla salute delle api e la realizzazione di programmi di ricerca, come Bee Doc eSTEP (Status and Trends of European Pollinators) per conoscere meglio le cause della riduzione del numero di api. In più, la Commissione ha deciso di aumentare la quota di partecipazione comunitaria ai programmi nazionali per l’apicoltura e di cofinanziare una serie studi nei 17 Stati membri che si sono impegnati volontariamente in questi campo, ricevendo finanziamenti per 3,3 milioni di euro nel 2012. I paesi dell’Unione, da parte loro, saranno costretti a uno sforzo in difesa delle api; a loro spetta infatti il compito di garantire la corretta applicazione delle restrizioni. I 27 sono tenuti a revocare o modificare le autorizzazioni esistenti entro il 30 settembre e possono permettere lo smaltimento delle scorte dei tre insetticidi solo fino alla data limite del 30 novembre di quest’anno, per prepararsi allo stop del 1° dicembre.

Fonte: il cambiamento

Api: passo avanti Ue verso il bando dei pesticidi killer

La maggioranza dei Paesi UE ha votato ieri a favore della proposta della Commissione Europea per il bando temporaneo di tre pesticidi riconosciuti a livello scientifico come altamente nocivi per la salute delle api.ape8

I neonicotinoidi rappresentano un “rischio acuto” per le api

La maggioranza dei Paesi UE ha votato ieri a favore della proposta della Commissione Europea per il bando temporaneo di tre pesticidi riconosciuti a livello scientifico come altamente nocivi per la salute delle api. Si tratta di Imidacloprid e Clothianidin prodotti dalla Bayer e del Thiamethoxam di Syngenta. “Il voto di oggi ci dice chiaramente che esiste una forte determinazione a livello scientifico, politico e civile a sostenere il bando. Adesso la Commissione deve fermare immediatamente l’uso di questi pesticidi, il primo passo per proteggere colture ed ecosistemi. Qualunque tentennamento significherebbe cedere di fronte alle pressioni di giganti come Bayer e Syngenta” afferma Federica Ferrario, responsabile della campagna Agricoltura Sostenibile di Greenpeace Italia. Imidacloprid, Clothianidin e Thiamethoxam appartengono al gruppo dei neonicotinoidi, pesticidi che, generalmente, vengono utilizzati per la concia delle sementi. In Italia, l’utilizzo di questi tre prodotti per il trattamento dei semi è già sospeso dal 2008, ma continuano a essere diffusi in ambiente anche nel nostro Paese sotto forma granulare per la disinfestazione dei suoli e come spray per i trattamenti fogliari. Come specificato nei pareri dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa) pubblicati all’inizio di quest’anno (gli stessi che hanno dato il via alla proposta di bando della Commissione Europea), i neonicotinoidi rappresentano un “rischio acuto” per le api. Studi scientifici hanno inoltre confermato che esiste un rapporto diretto tra l’uso di neonicotinoidi, anche a basse dosi, e la diminuzione delle difese immunitarie delle api, danni al sistema neurologico e fisiologico, e alterazioni nei modelli comportamentali legati alla ricerca di cibo dunque alla sopravvivenza. Anche l’Agenzia Europea dell’Ambiente ha recentemente diffuso un rapporto sui pesticidi che ci mette in guardia sui pericoli che corriamo se continueremo a ignorare il problema. Greenpeace sostiene che Syngenta e Bayer stanno portando avanti una dura campagna di pressione nel tentativo di ritardare il bando dei neonicotinoidi, fingendo di non sapere o ignorando consapevolmente i dati scientifici sulla tossicità di questi pesticidi. Imidacloprid, Clothianidin e Thiamethoxam non sono nemmeno gli unici prodotti di queste aziende a minacciare la sopravvivenza delle api e degli altri insetti impollinatori. Nel rapporto di Greenpeace “Api in declino”, oltre ai tre neonicotinoidi, vengono individuati altri quattro pesticidi killer delle api, prodotti da Syngenta, Bayer, BASF e altre aziende. Con la campagna SalviamoLeApi, Greenpeace chiede la rimozione di questi pesticidi dal mercato: il primo e indispensabile passo verso un’agricoltura sostenibile. “Il declino delle api è uno degli effetti più visibili e inequivocabili del fallimento dell’agricoltura di stampo industriale, che inquina l’ambiente e distrugge i migliori alleati degli agricoltori, gli insetti impollinatori. È ora di smettere di incentivare pratiche agricole intensive basate sull’uso della chimica, per investire, invece, nello sviluppo di un’agricoltura di stampo ecologico e sostenibile sul lungo periodo”, conclude Ferrario. Anche il presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza e quello dell’associazione degli apicoltori UNAAPI Francesco Panella hanno commentato la notizia diffusa da Bruxelles. “Salutiamo positivamente la notizia dell’esito della votazione del comitato Ue sulla moratoria di due anni su tre tipi di pesticidi dannosi per molti insetti e in particolare per le api. Nonostante l’Italia sia tra i paesi che hanno votato contro questa decisione, per motivi legati alla maggiore regolamentazione dell’uso di queste molecole, stimiamo positivamente il fatto che il voto a favore espresso dalla maggioranza dei paesi membri corrisponda all’opinione più diffusa tra i cittadini e gli operatori del settore europei”. “Ora – hanno concluso – attendiamo fiduciosi la formalizzazione della moratoria da parte della Commissione”.

Fonti: Greenpeace, Legambiente, UNAAPI

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