Prendersi cura della montagna: nasce la Cooperativa di Comunità Pratomagno

Per contrastare lo spopolamento dei borghi montani e recuperare terreni agricoli e boschivi in stato di abbandono, un gruppo di imprenditori e cittadini ha dato vita alla Cooperativa di Comunità Pratomagno. Ritornare ad abitare la montagna in modo consapevole, facendo rete con le piccole realtà locali, è l’unico modo per preservare il territorio e la sua bellezza. Torniamo sul Pratomagno, in Toscana, per raccontarvi come questo territorio stia rinascendo grazie alle cure dei suoi abitanti, vecchi e nuovi. C’è chi conosce questa montagna sin da bambino e tramanda da generazioni le tradizioni del territorio; e chi invece l’ha scelta per viverci. A ridosso della dorsale appenninica, nella provincia di Arezzo, il massiccio del Pratomagno fa da spartiacque tra il Valdarno Superiore e il Casentino. L’ampio crinale, a cui deve il suo nome, raggiunge nel suo punto più alto i 1590 metri sul livello del mare, dove un’imponente croce in ferro alta diciannove metri resiste al tempo e allo sferzare della tramontana. Nonostante in molti abbiano scelto di ripopolare i borghi incastonati sulle pendici del Pratomagno, avviare imprese agricole e riaprire vecchie botteghe, il paesaggio conserva a tratti i segni di un lungo abbandono. «Ci siamo resi conto che da soli si fa ben poco e per questo lo scorso settembre abbiamo deciso, con imprenditori locali e privati cittadini, di costituire una Cooperativa di Comunità», spiega Lara Lapi, presidente della Cooperativa di Comunità Pratomagno e socia dell’azienda agricola e fattoria didattica Il Bosco Magico. Lara ha deciso recentemente di lasciare il suo lavoro in ufficio per dedicarsi assieme a Claudio a un antico castagneto. Oggi la loro azienda, Il Bosco Magico, è tra i tredici soci fondatori della Cooperativa di Comunità Pratomagno. Insieme a loro si sono uniti al progetto altri imprenditori agricoli, guide ambientali, piccoli commercianti e aziende del posto specializzate nella trasformazione dei prodotti locali.

DIVENTARE CUSTODI DELLA MONTAGNA PER CONTRASTARE L’ABBANDONO

«Ascoltare i bisogni di questa montagna – racconta Lara – ci ha spinto a unirci come comunità e a collaborare». Il principale obiettivo per cui è nata la cooperativa, sebbene richieda molti anni, è proprio quello di recuperare terreni agricoli incolti e boschi abbandonati: «L’idea – chiarisce Lara – è di censirli e mettere in contatto i proprietari dei terreni e le aziende che li prenderanno in gestione, avvalendosi della collaborazione dell’Unione dei Comuni del Pratomagno».

Molti dei castagneti sul Pratomagno sono stati abbandonati. Il rischio è di perdere col tempo varietà di castagne uniche, tipiche di questo territorio. «Quello che si può fare oggi è rinnestare i castagni esistenti e un giorno magari creare un vivaio di castagni da frutto», prosegue Lara. Molto spesso la produzione non riesce a soddisfare la domanda di farina di castagne, perché i boschi in cui poterle raccogliere sono pochi. Recuperare queste aree boschive, quindi, è un bene anche per l’economia locale».

TURISMO RESPONSABILE PER RISCOPRIRE IL PRATOMAGNO

Costellato di piccoli borghi e frazioni montane, il Pratomagno è tutto da scoprire a piedi o in bicicletta. Questo territorio vanta circa 314 chilometri di sentieri, purtroppo non tutti accessibili. «Quarant’anni fa era un piacere camminare per questa montagna. La gestione dei sentieri era comunale, oggi la burocrazia ha complicato le cose e, ahimè, molti sentieri sono stati abbandonati», racconta Lara. Tra gli obiettivi della Cooperativa di Comunità Pratomagno vi è quello di ripristinare molti di questi sentieri e incoraggiare un turismo lento e responsabile. «Da noi – prosegue Lara – è possibile raggiungere i diversi borghi nell’arco di una stessa giornata. Ecco perché vorremmo ripulire alcuni sentieri e riaprire le botteghe e le piccole attività delle frazioni montane».

Ascoltare i bisogni di questa montagna ci ha spinto a unirci come comunità e a collaborare

A questo scopo a maggio verrà inaugurato l’ostello alla Trappola (frazione di Loro Ciuffenna), gestito proprio dalla cooperativa. Ospitato in un antico casale in pietra completamente ristrutturato, l’ostello si colloca all’imbocco di diversi sentieri da percorrere a piedi o in bicicletta, «il luogo ideale da cui partire per scoprire le bellezze del Pratomagno», racconta Lara.

A SPASSO TRA BORGHI E BOSCHI: IL PASSAPORTO DEL PRATOMAGNO

Nell’ambito delle iniziative della cooperativa di comunità si segnala quella del Passaporto del Pratomagno, un libricino con immagini e didascalie dei luoghi più iconici del territorio. L’azienda Il Bosco Magico ha posizionato venti casine in legno in borghi, frazioni e luoghi di interesse. In ognuna di queste si trova un timbrino da raccogliere nel proprio passaporto. «Un modo per coinvolgere i più piccoli e le famiglie – conclude Lara – perché imparino sin da subito ad amare e custodire questi luoghi».

Sulle pendici del Pratomagno, tra borghi e antichi boschi, la montagna torna finalmente a essere abitata e protetta dalla sua giovane comunità: un segno che fa ben sperare, sebbene ci vorrà del tempo e l’impegno di tutti. 

Fonte:; https://www.italiachecambia.org/2022/04/cooperativa-di-comunita-pratomagno/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

La Locanda del Silenzio: ruderi in pietra si trasformano in un albergo diffuso in montagna

Quella della Locanda del Silenzio è la storia di una famiglia che si è innamorata della montagna e, giunta nel borgo di Camoglieres, ha deciso recuperare e ridare vita a delle vecchie abitazioni in pietra. Prima una, poi due, poi tre… attraverso un progetto di riqualificazione dell’intera borgata attento all’uso di materiali tradizionali, oggi la locanda è un vero e proprio albergo diffuso che ospita i turisti alla scoperta della Valle Maira.

Cuneo – Quarant’anni fa nella borgata di Camoglieres si poteva trovare una manciata di ruderi in pietra, immersi nel silenzio della valle. Vecchie abitazioni che raccontavano storie di tempi lontani: ogni singola pietra che ne componeva l’imponente struttura custodiva i segreti di questo luogo fuori dal tempo. La borgata, tipicamente alpina, si trova a 1.005 metri di altezza nel cuore della Val Maira e ha in sé il sapore autentico delle valli occitane. Per diversi anni è rimasta immobile, sospesa a metà tra un passato già vissuto e un futuro ancora da scrivere. Ma oggi possiamo dire che quel futuro è divenuto realtà grazie alla storia di Francesco Garro e della sua famiglia. Una storia che inizia proprio quarant’anni fa, quando Gigi Garro, padre di Francesco, si imbattè in questa meravigliosa valle durante una gita in montagna. Convinto che questa borgata ormai dimenticata meritasse una seconda possibilità, decise di acquistare una delle sue case per utilizzarla come seconda casa durante la stagione più calda dove trascorrere il tempo con la sua famiglia. Da quel momento ebbe inizio una lunga avventura che dura ancora oggi.

L’albergo diffuso: un nuovo modello di ospitalità turistica

Negli anni successivi, insieme a sua moglie Marisa, a Francesco e ad alcuni soci, acquisì altre abitazioni e diede avvio a un graduale lavoro di recupero, realizzando una locanda e alcune camere per ospitare i viaggiatori. L’intento era chiaro fin da subito: dare vita a un progetto di accoglienza turistica attraverso un nuovo modello di ospitalità per riscoprire la vita autentica e caratteristica di un borgo alpino, dove i muri in pietra e i vicoli di montagna sostituissero i freddi corridoi degli hotel. Oggi le case vanno a comporre la borgata sono diventate parte integrante dell’albergo diffuso che tutti  Come ci racconta Francesco, «il nostro concetto di albergo diffuso parte dalla volontà di far vivere un’esperienza diversa da quella tradizionale dell’hotel». La struttura è stata rimodernata e le case vogliono restituire un ambiente tipicamente alpino che unisce il comfort al rispetto della tradizione e della storia del luogo. Da giugno a settembre camere, appartamenti, posti rifugio e una cucina attenta alla tradizione sono gli ingredienti della Locanda del Silenzio, che a oggi è composta da otto appartamenti e otto camere che possono ospitare fino a 40 persone. Intorno c’è il giardino e a due passi il bar e il ristorante, oltre che una sala congressi e conferenze dove è possibile organizzare eventi come meeting, riunioni o workshop.

Il recupero con materiali tradizionali

La Locanda del Silenzio è il primo e unico albergo diffuso certificato della Valle Maira ed è stato realizzato nel tempo da un paziente e attento recupero di ciò che già esisteva per farne una struttura che si inserisse in armonia con il contesto paesaggistico.

«Abbiamo scelto di ristrutturare il borgo mantenendo i materiali e la struttura originale, caratterizzata da abitazioni su due livelli, dove al piano terra c’erano le stalle e gli animali e al piano superiore si viveva la quotidianità, riscaldandosi nel periodo più freddo con il calore che arrivava dal piano sottostante».

«Da subito il nostro obiettivo è stato quello di impattare il meno possibile sull’architettura preesistente e per questo motivo,per il recupero delle abitazioni, abbiamo utilizzato le pietre che erano cadute, il legno dei tetti ormai danneggiati e i materiali reperiti in valle».

A testimonianza dell’impegno dimostrato, quest’anno la Locanda ha ottenuto il primo premio del bando di Concorso nazionale “La fabbrica nel paesaggio”, promosso dalla Ficlu – Federazione Italiana dei Club e Centri per l’Unesco, con il patrocinio del Parlamento europeo. Il premio, dedicato alla sezione riservata agli imprenditori privati, è dedicato proprio alla conservazione della preesistenza storica di un’intera borgata alpina attraverso un riuso di alta qualità capace di valorizzare il paesaggio naturale circostante.

In montagna tutto ha un sapore diverso

L’attenzione per la cucina è poi parte integrante della riscoperta del mondo alpino: come ci viene raccontato, «quella che proponiamo è una cucina a metà tra piemontese e occitana e per questo cerchiamo di utilizzare il più possibile prodotti locali e genuini, che sanno di montagna». 

Una cucina che segue la stagionalità dei prodotti, preparata – quando possibile – con ingredienti a chilometro zero che vengono trasformati in piatti che riscoprono vecchi sapori. «Convivialità, calore e passione sono gli ingredienti sempre presenti alla nostra tavola, accompagnati da più di 100 etichette di vini accuratamente selezionate da noi».

Rigenerare un borgo per valorizzare una valle

Grazie ai suoi grandiosi panorami alpini, la Valle Maira è diventata un punto di riferimento per escursionisti e per coloro che vogliono scoprire i segreti dei suoi boschi e il fascino delle strade che si inerpicano e si perdono tra le vette delle montagne. «Per far conoscere la nostra montagna a passo lento, attraverso la Locanda del Silenzio promuoviamo i cammini come il circuito dei Percorsi occitani, ma anche attività di tipo escursionistico, di arrampicata o mountain bike».

Per Gigi, Marisa e Francesco l’obiettivo, oltre a recuperare il borgo, è innanzitutto valorizzare il territorio proponendo un turismo responsabile che parta da questi luoghi carichi di storia. Così, tra il rumore dei propri passi e quello del vento tra gli alberi, chi attraverserà questo unico angolo di mondo anche solo di passaggio, non potrà non innamorarsi dei sentieri, delle vie ferrate e dei percorsi che questa valle offre. Luoghi che i nostri protagonisti da anni custodiscono con amore e che saranno sempre felici di mostrare a chi giungerà alla Locanda del Silenzio.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/11/locanda-del-silenzio-albergo/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Una cooperativa di comunità nata dal basso per dare nuova vita alla montagna

Ci troviamo in Lunigiana: qui un percorso formativo a cui hanno partecipato alcuni cittadini è stato la scintilla che ha consentito la nascita di una cooperativa di comunità e del relativo progetto per rivitalizzare l’area, risollevare l’economia attraverso il sostegno alle attività tradizionali e combattere lo spopolamento. Siamo in Lunigiana, nel Comune di Comano. Un’area cosiddetta “interna”, montana, storicamente ricca di tradizioni, di natura e di prodotti genuini, ma ad oggi in via di spopolamento. Qui a ottobre 2020, su iniziativa della Polisportiva San Giorgio e grazie al co-finanziamento ricevuto dalla Regione Toscana, è stato avviato “Passato Presente e Futuro”, un percorso volto a formare la cittadinanza interessata alle nuove forme di imprenditorialità capaci di valorizzare il territorio e in particolare alla modalità imprenditoriale della Cooperativa di Comunità.

Oltre alla Polisportiva, molti sono i partner che hanno reso possibile questo percorso: il Comune di Comano, il Parco Nazionale dell’Appennino tosco-emiliano, la Società della Salute della Lunigiana, la Croce Azzurra, le Pro-loco Castello di Comano, Pro-loco Comano G. Mori e Pro-loco Malaspina di Licciana Nardi, San Geminiano Onlus di Pontremoli e Lunigiana World. A formazione conclusa, un gruppo di cittadini, residenti o comunque persone legate al territorio, ha deciso di dare vita a una Cooperativa di Comunità con l’intenzione di valorizzare quest’area, i suoi prodotti e i suoi abitanti, creando così nuove opportunità lavorative ed economiche e contrastando lo spopolamento. Molte sono state le idee emerse al fine di ravvivare e rivitalizzare il territorio. Il punto di partenza sul quale il gruppo ha deciso di impegnarsi è apparentemente semplice, ma ricco di potenzialità. Pulizia dei castagneti – volta a facilitare la raccolta, ma soprattutto a mantenere viva la produzione –, raccolta dei frutti, essiccazione e produzione di farina di castagne, ottenimento di una certificazione DOP o bio, allestimento delle modalità di vendita, sia dal vivo che online. A questo poi, si aggiungerà la cura dei sentieri e della segnaletica, così da rendere più agevole il passaggio fra le vie principali e i percorsi naturalistici, non lontani dalla riserva Biosfera MAB Unesco dell’Appennino Tosco-Emiliano.

Per sostenere i costi di costituzione della Cooperativa, di gestione dei terreni, di acquisto e manutenzione degli attrezzi agricoli e della distribuzione del prodotto finale, il 10 maggio il gruppo ha dato il via a un crowdfunding, “Naturalmente Lunigiana”, che mira a raccogliere un totale di 6.300 euro. «Abbiamo bisogno del supporto di quante più persone possibili», hanno dichiarato i protagonisti. «Questo vale per il crowdfunding, ma non solo. Siamo infatti interessati alla creazione di accordi e collaborazioni con chi già opera sul territorio e con chi è sensibile alla nostra missione e anche la partecipazione o la scelta di dedicare del tempo al progetto saranno molto apprezzate».

Il gruppo, fin da subito, ha trovato sostegno da parte delle realtà che hanno reso possibile l’iniziativa di formazione. Il desiderio di tutti è che a queste si aggiungano presto altre associazioni, aziende e persone. «Oggi c’è sempre più consapevolezza rispetto al valore e alla ricchezza dei saperi tradizionali e degli stili di vita che si stanno perdendo o sono già andati perduti. Retaggi di un mondo ormai superato, ma che ci suggeriscono che si può vivere il presente anche in altri modi», ci hanno raccontato. «Tutto questo dà speranza a noi e apre a un futuro per questo territorio. La strada è in salita, certo, ma siamo determinati a percorrerla».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/05/cooperativa-di-comunita-montagna/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Due giovani donne restano in Calabria e allevano animali felici

Vi proponiamo la storia di Francesca e Cristina Cofone, due giovani sorelle calabresi che, una volta laureate, hanno deciso di rimanere in montagna, nel cuore della Sila, per sviluppare l’azienda agricola di famiglia, allevando, mungendo, coltivando, facendo i formaggi e vivendo la gioia di una profonda comunione con gli animali e la terra che li ospita.

Dopo aver attraversato paesaggi mozzafiato di mezza Calabria, io e Paolo giungiamo insieme alla nostra guida d’eccezione – Cristiana Smurra – presso l’Azienda Agricola Cofone, nel cuore della Parco Nazionale della Sila. Tra una mucca e una balla di fieno, una dolce collina e qualche stalla, scorgiamo due giovani donne, tra i 25 e i 30 anni. Sono entrambe laureate, una al Dams e l’altra in Lingue e letteratura straniera, eppure hanno scelto di occuparsi di mucche allevate allo stato brado, latte, formaggi, mozzarelle, grano, ortaggi, frutta. Francesca Cofone, la sorella più “giovane” tra le due, ci racconta di come l’azienda fu fondata dal padre una volta tornato dalla Svizzera, dove era emigrato quando aveva 16 anni in cerca del denaro con cui avviare l’attività. «Io e mia sorella siamo nate e cresciute qua – ci confida Francesca – insieme ad un altro fratello che ora vive in Svizzera. Abbiamo studiato e poi abbiamo scelto di restare».
La parola “scelta” mi sembra da subito la parola chiave. In un’epoca in cui molti giovani sognano le città e vogliono fuggire dalle zone cosiddette marginali, incontrare due giovani donne laureate che scelgono con entusiasmo di rimanere in Calabria, in montagna, e dilavorare la terracolpisce, soprattutto per la naturalezza con la quale sembrano vivere la situazione.
«Fin da piccolissime abbiamo lavorato, ma con più spensieratezza. Lo abbiamo sempre fatto, anche  quando studiavamo all’università o lavoravamo fuori. Abbiamo sempre aiutato». Purtroppo tra il 2013 e il 2015 sono mancati entrambi i genitori delle ragazze e a quel punto è stato quasi inevitabile prendere in mano la situazione: «Abbiamo deciso di portare avanti quello che nostro padre ci aveva insegnato e ci siamo riuscite. Non è stato semplice ma abbiamo avuto piccole e grandi soddisfazioni».

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La titolare dell’azienda è la sorella Cristina. «Nel momento in cui è venuto a mancare nostro padre, – ci spiega Francesca – mia sorella ha preso in mano la situazione. Abbiamo rifatto i capannoni, cambiato i tetti, eliminato 2000mq di amianto. Abbiamo avuto la fortuna di incontrare realtà e persone che ci hanno dato tanta fiducia e hanno avuto la pazienza di aspettare con i pagamenti. Il loro aiuto è stato determinante. Se si incontrano persone oneste che ti danno fiducia si può fare tutto. Oggi non puntiamo a diventare un’azienda grossissima; ci bastano venti mucche in modo da poterne mungere dieci per volta, a rotazione. In questo modo riusciamo a fare tutto noi due».
Una volta iniziati i lavori è arrivato anche il caseificio aziendale dove lavorano il latte che mungono al mattino. Le due sorelle, quindi, si mantengono vendendo i prodotti trasformati: latticini, cacio cavallo e altri formaggi. La loro peculiarità sta nella materia prima. Lavorano, infatti,  con il latte crudo anziché con quello pastorizzato. Questo è possibile grazie al numero limitato di bovini che consente loro di mantenere standard qualitativi elevati.

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«Le nostre mucche vivono allo stato semi brado. Comandano loro e noi cerchiamo di starle dietro. Le mungiamo solo una volta al giorno, mentre altri lo fanno due o tre volte e lasciamo il vitellino con la madre almeno tre mesi, anziché separarlo dopo pochi giorni come fanno in molti. Le mucche sono quasi la nostra famiglia. Quando vivi sempre con gli animali, ti rendi conto che ogni animale ha una sua personalità e sensibilità».  Non ci sono solo mucche quindi.
«Abbiamo bovini, mucche, vitellini, maiali, due capre, un cavallo, cani e gatti». Non solo. La proprietà comprende 15 ettari di terreno e circa 25 in affitto. Qui coltivano fieno, grano, segale. Questi prodotti, una volta macinati nel loro mulino, in parte vengono utilizzati per nutrire gli animali, in parte venduti. Anche in questo caso, l’idea è di non ampliare troppo la produzione agricola, per mantenere un’agricoltura sostenibile, senza pesticidi.
Le soddisfazioni non hanno tardato ad arrivare. «Il primo anno non ci calcolava nessuno, il secondo è andata un po’ meglio, il terzo siamo andati alla grande, e adesso siamo vip e tutti ci vogliono stare vicini! – scherza Francesca, e poi continua – Nessuno credeva in noi, ci vedevano come delle pazze; è stata una bella soddisfazione passare dal “ma che devono fare quelle due”  al “ma ci aiutano loro”. Io sono contentissima. Credo proprio di restare qui in Calabria anche in futuro. Mi ricordo che quando ero piccola andavo dietro le mucche con il cavallo e pensavo che ero fortunata a vivere qui. Beh, quel pensiero ce l’ho sempre. Non mi cacciano!».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/02/due-giovani-donne-restano-calabria-allevano-animali-felici-io-faccio-cosi-281/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Grazie agli abitanti del borgo nasce un parco naturale per ripopolare la montagna

L’eroe di questa storia è Marco Guerrini, sindaco di Carrega Ligure, borgo montano del comune di Alessandria che, grazie alla tenacia e all’amore per il suo territorio, ha dato vita ad un’azione partecipata con gli abitanti del borgo e con l’intera valle per far divenire il Parco Naturale Alta Val Borbera area protetta, con l’obiettivo di evitare il progressivo spopolamento ed abbandono di questi luoghi. Si tratta della vittoria di un’intera valle che ha scommesso sulla bellezza e potenzialità del proprio territorio e di un senso di appartenenza capace di generare il cambiamento.

Carrega Ligure è un comune montano di confine, localizzato nell’estremità sudorientale del Piemonte, in provincia di Alessandria. Il Comune si trova nell’Alta Val Borbera, in un’area caratterizzata da meraviglie naturali ed un ambiente tanto selvaggio quanto suggestivo: paesaggi incontaminati, panorami mozzafiato, pendii erbosi e boschi di faggio secolari. Un luogo magico e affascinante che accoglie da sempre gli amanti della natura, donando ai loro polmoni aria salubre e pulita e rendendo smog e inquinamento concetti distanti. Si tratta di un paesaggio tipico degli appennini, territorio che i piemontesi poco conoscono ma che racchiude in sé la ricchezza delle quattro regioni che si incontrano proprio in sua corrispondenza: Liguria, Lombardia, Emilia-Romagna e Piemonte.

Un luogo da favola, si direbbe, eppure come in tutte le favole, per giungere al lieto fine, è necessario superare una sfida: il problema principale che il borgo di Carrega Ligure si trova da anni a fronteggiare è il crescente rischio di abbandono dovuto ad un progressivo spopolamento da parte degli abitanti, dapprima verso l’estero e successivamente verso i maggiori centri urbani ed industriali. E’uno spopolamento in percentuale tra i più consistenti del territorio piemontese, di cui si vedono gli effetti concreti in ciò che rimane nelle frazioni del Comune, ormai quasi completamente abbandonate e disabitate, che lasciano troppo spazio ad una popolazione che nell’intero paese non arriva a sfiorare i 100 abitanti. Si tratta di una storia di abbandono, come le numerose che ormai caratterizzano i centri montani, in particolare quelli appenninici e responsabile di indebolire severamente le attività economiche del luogo quali agricoltura, allevamento e turismo, che in questi contesti hanno da sempre trovato la loro vocazione, compromettendo l’esistenza e la valorizzazione di un luogo ricco di storia e tradizione.

E’ di Marco Guerrini, sindaco di Carrega Ligure, l’iniziativa di rilanciare il borgo di montagna salvaguardandolo dall’ inevitabile spopolamento, con una richiesta forte e chiara: far istituire un parco naturale sul territorio dove il comune è collocato, per rilanciarlo in chiave turistica e salvarlo da un abbandono inevitabile. Ebbene si, si tratta proprio di un comune di montagna a chiedere l’istituzione di un parco naturale che sarà area protetta, rafforzato dalla significativa presenza di siti di interesse comunitario della Rete Natura 2000 e che sarà, allo stesso modo, una prospettiva di un futuro possibile per le valli e di attrazione e sviluppo territoriale. Una possibilità unica nel suo genere per rimettere in luce un’area che ha ancora tanto da offrire, puntando proprio su due tratti caratterizzanti quali ambiente e biodiversità. Per raggiungere lo scopo, il primo passo è stato quello di convincere il Consiglio Comunale a votare unanimamente per la richiesta di istituzione del parco, che ha trovato un ampio consenso, spinta dall’amore verso il proprio territorio.
Il passo successivo è stata la richiesta di un vero e proprio sostegno da parte dei cittadini: coinvolgere attivamente gli abitanti della Val Borbera col fine di far sentire la propria voce fino in Regione, proponendo di approvare al più presto l’istituzione del nuovo Parco naturale come area protetta.

Un parco, un vero e proprio bene comune, la cui iniziativa è stata accolta e condivisa con entusiasmo e passione dagli abitanti, che non hanno fatto attendere una loro risposta: nel 2017 un migliaio di persone hanno sollecitato la Regione inviando mail e messaggi in sostegno della richiesta del Sindaco. Si tratta di residenti del luogo, visitatori, amanti della natura che in questi paesaggi ritrovano ricordi e valori passati. Un coro di voci che, all’unisono rappresenta una ventata di speranza per un progetto condiviso che parte proprio dal basso e che ci parla di un legame indissolubile tra l’uomo e la terra. Proprio in questi giorni, dopo lunghi anni di attesa, il Consiglio regionale ha approvato la nuova legge che istituisce 10mila ettari di nuove aree protette, oltre a quelle già esistenti, per un totale di 200mila ettari, includendo anche il Parco regionale dell’Alta Val Borbera, che sarà affidato all’Ente di gestione delle Aree protette dell’Appennino piemontese.

Nel complesso sono ben tre i provvedimenti che hanno ricadute dirette per l’Alessandrino: oltre all’istituzione del Parco naturale e dell’area contigua dell’Alta Val Borbera presso il Comune di Carrega Ligure, si aggiungono l’ampliamento della Riserva naturale di Castelnuovo Scrivia e l’istituzione delParco del Po piemontese, che vede l’unione delle aree protette del Po alessandrino e del parco del Po vercellese. Una vittoria del territorio, una buona notizia che genera positività in un momento in cui il dibattito per il clima e l’ambiente è acceso più che mai. Ma si tratta soprattutto della vittoria di un’intera valle che ha creduto nella bellezza e potenzialità dei propri borghi e di un senso di appartenenza capace di scommettere su futuro per generare il cambiamento.

Foto copertina
Didascalia: Rovine Castello Malaspina Fieschi Doria
Autore: Paolo De Lorenzi
Licenza: Pagina fb Comune di Carrega Ligure
Fonte: http://piemonte.checambia.org/articolo/grazie-abitanti-borgo-nasce-parco-naturale-per-ripopolare-montagna/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Juri Chiotti, lo chef stellato che ha cambiato vita per la montagna

Juri Chiotti è uno chef stellato che ha deciso di cambiare vita e tornare alle sue origini: le Alpi piemontesi. Tra questi monti, dopo anni di esperienze in Italia e nel mondo, ha ora dato vita al ristorante agriturismo “REIS Cibo Libero di Montagna”. Oggi Juri non vive solamente in cucina: si occupa anche dell’orto e degli animali perché, come ha scoperto, agricoltura, allevamento e cucina sono profondamente legati. Il suo nuovo sogno? il recupero del borgo di famiglia.

Uno chef stellato Michelin decide di cambiare vita e molla il suo lavoro per trasferirsi a duemila metri di altitudine, per gestire un rifugio tra le montagne in cui è nato. Dopodiché apre un agriturismo e un ristorante, REIS Cibo Libero di Montagna, con l’obiettivo di recuperare e rivalorizzare un borgo semi-abbandonato. Non è la trama di un romanzo d’avventura e nemmeno le gesta di un supereroe, ma parte della storia di Juri Chiotti, che incontriamo a Frassino in piena Valle Varaita in provincia di Cuneo, nel suo “REIS Cibo libero di Montagna”, un agriturismo e ristorante dove Juri sta cercando di portare avanti il suo percorso: avvicinare sempre di più la cucina all’agricoltura e all’allevamento per valorizzare le proprie origini e la montagna.

Al nostro arrivo a REIS ci colpisce una bandiera: “Ti posso chiedere un favore? Riprendila con la videocamera. Ne vado fiero”. Si tratta della bandiera dell’Occitania, un’area storico-geografica che comprende diverse vallate alpine piemontesi, liguri e francesi: una di queste è la Valle Varaita, dove ci troviamo. Juri ha quasi trentatré anni ed un percorso di vita già caratterizzato da traguardi importanti. Di professione nasce cuoco ed esercita in diversi ristoranti in giro per l’Italia e nel mondo, ed a venticinque anni raggiunge l’importante traguardo della Stella Michelin, per due anni di fila, mentre lavora in un ristorante di Cuneo. Ma non era quello il mondo dove Juri voleva vivere e lavorare: “Non posso essere ipocrita, per me è stato un traguardo importante e l’esperienza nei vari ristoranti mi ha formato tantissimo. Ma volevo qualcos’altro: già allora, nel ristorante, cominciavo a sperimentare e a proporre piatti tipici provenienti dalle mie montagne e il richiamo si faceva sempre più forte”. 

Da qui la decisionedi lasciare il lavoro come cuoco e accettare una sfida importante:gestire il rifugio Meira Garneri, nel comune di Sampeyre in provincia di Cuneo,a pochi passi da casa sua, accessibile nei mesi invernali solamente inmotoslitta. “Il rifugio si trova a milleottocentocinquanta metri e sono rimastolì quattro anni. Un’esperienza che mi ha donato tantissimo e che considero l’iniziodel mio percorso che mi ha condotto fino a qua. Innanzitutto tramite questaesperienza sono tornato a casa, e poi ho capito ciò che amavo veramente:mettere al servizio del territorio il mio lavoro e la mia esperienza,realizzare qui in montagna qualcosa di significativo. Non poteva esistere Reissenza questo passaggio”.

REIS: cibo libero di montagna

Nel novembre 2016 Juri ha lasciato il rifugio. Uno dei motivi è la nascita delle sue due figlie (“logisticamente si faceva davvero difficile…”), ma l’altro motivo era la voglia di ricominciare con un nuovo progetto personale legato alla sua professione di cuoco. Viene così a conoscenza di una baita di mezza montagna nel comune di Frassino e se ne innamora: “In più di un mese mi sono concentrato nella pulizia e nelle migliorie del luogo e nell’aprile del 2017 siamo partiti”. 

REIS Cibo Libero di Montagna è oggi un agriturismo con un ristorante di trenta posti, l’orto, un pollaio e un gregge di circa trenta ovini (capre e pecore), che si pone l’obiettivo di far avvicinare i mondi della cucina, dell’allevamento e dell’agricoltura, che secondo Juri si sono allontanati negli ultimi decenni: “Ho fatto in modo che si realizzasse l’ambizione di fare ciò che mi riusciva meglio, cioè cucinare, in un luogo che conoscevo come le mie tasche. Qui so dove andare a cogliere le erbe spontanee nei campi, i boschi dove raccogliere i funghi, i fornitori e i produttori affidabili. In questa maniera riesco a vivere direttamente tutto il processo legato al cibo, non a vivere la cucina come un ambiente distaccato dalle materie prime che utilizza”.

La paura di aprire un’attività in un posto più isolato rispetto alla città non gli ha impedito di tentare il rischio: “Sono soddisfatto: è logico che aprire un ristorante in una valle a novecento metri di altezza non è la stessa cosa che aprirlo nel centro di una città, per quanto riguarda il bacino d’utenza. Però sono sempre stato convinto della bontà delle mie idee, la mia cucina piace, le persone arrivano e soprattutto non vivo solamente in cucina ma sto riscoprendo l’esterno, il mondo che ruota attorno ad essa e che ne è parte integrante allo stesso tempo. La cucina non è solo il piatto che ti porto, esiste tutto il discorso della filiera che è fondamentale ed è necessario ed importante che le persone siano consapevoli: ogni giorno miliardi di persone fanno scelte sul cibo che sono fondamentali per il nostro presente e il nostro futuro. È per questo che REIS,in futuro, avrà un occhio di riguardo sempre maggiore per la cucina vegetale: serviremo anche prodotti di origine animale, come facciamo ora, ma saranno sempre più da contorno e ulteriormente selezionati in base all’etica con la quale vengono prodotti. Sto capendo poi che bisogna collaborare, bisogna essere più soggetti per poter creare un’azienda sana in montagna”.

Il borgo Chiot Martin

Il Borgo Chiot Martin

Chiot Martin è un borgo di montagna che si trova a circa quindici chilometri da Frassino, nel vallone di Valmala, ed è il luogo di nascita del papà di Juri. Il futuro di Reis si intreccia al progetto dello chef di recuperare questo luogo e rivalorizzare le abitazioni presenti. Con un nuovo spazio anche per Reis.. ed un nuovo socio: “Stiamo lavorando ad uno spazio nuovo per Reis, che si lega al recupero del borgo di Chiot Martin. Un mio amico allevatore, Gian Vittorio Porasso, si sta unendo al progetto per fare di Reis uno spazio sempre più connesso all’ecosistema che ha intorno”. Gian Vittorio è un allevatore, con un centinaio di capre tenute a pascolo, ed un produttore di formaggi realizzati solo con latte crudo. Trasferirà il suo pascolo e la produzione a Chiot Martin, che diventerà parte integrante di Reis e del progetto di ristorazione. 

“Per reperire il terreno necessario ad allevare le capre stiamo cercando di creare un’associazione fondiaria, con l’aiuto del Professor Cavallero. Ci siamo inoltre rivolti, per il recupero degli abitati e la creazione del nuovo ristorante, ad uno sportello a Torino che si chiama ‘Vado a vivere in montagna’ e che si occupa di rendere sostenibili delle idee di ritorno in montagna, con la possibilità di accedere a finanziamenti agevolati. Abbiamo presentato il progetto e cercheremo di reperire i fondi per fare tutto quello che è necessario per rendere reale il progetto, che ha come pilastro principale non solo il recupero di una borgata ma quello di un intero ecosistema, rivalorizzato grazie all’allevamento sostenibile e alla valorizzazione dei boschi. Un ritorno alla simbiosi tra natura e uomo, che un tempo qui in montagna si respirava a pieni polmoni”.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/11/io-faccio-cosi-231-juri-chiotti-chef-stellato-ha-cambiato-vita-montagna/

Paraloup: lo spirito della Resistenza in un rifugio di montagna

Borgata Paraloup è un rifugio di montagna nella Valle Stura, a Cuneo. Un luogo dove i partigiani di Giustizia e Libertà hanno fatto la Resistenza e che oggi è rinato grazie alla Fondazione Nuto Revelli Onlus. Oggi la borgata Paraloup è un vivace centro culturale di scambio e di crescita, un sistema integrato di attività turistico-artigianali, agro-pastorali e di proposte culturali-formative, per coinvolgere la comunità locale e creare una rete di condivisione e partecipazione con le altre realtà del territorio. Immaginate di vivere come i partigiani. In montagna, da sempre e ovunque luogo di resistenza e liberazione. Immaginate di poterlo fare in Italia, in un luogo in cui davvero i partigiani hanno vissuto e lottato. Poi prendete un biglietto per Cuneo, armatevi di cartina e andate a Rittana nella Valle Stura: lì troverete il Rifugio Paraloup, una borgata a 1.400 metri di altezza formata da una dozzina di baite dove i partigiani si sono riparati per combattere il nazifascismo.

Luoghi recuperati con innovazione ma anche con attenzione al territorio e al paesaggio, i ruderi della Borgata Paraloup (che significativamente in dialetto piemontese significa “al riparo dai lupi”) sono oggi un rifugio di montagna con tanto di sale per convegni, mostre e un ristorante. Un luogo dove passare uno o più giorni respirando la memoria partigiana di quella banda di Giustizia e Libertà che scelse questo posto come base. Quello della storia della Resistenza, però, non è un espediente di attrazione turistica né tanto meno una memoria sterile, ma è il cuore di questo progetto di recupero del territorio. Il progetto Paraloup, infatti, è nato nel 2006 insieme alla Fondazione Nuto Revelli Onlus, dedicata al partigiano cuneese “testimone del suo tempo e di queste valli”. Poco tempo dopo la nascita della fondazione accade infatti che il regista Teo De Luigi, impegnato a girare un documentario in quella valle, lanci la spinta per il recupero di quelle baite. Spinta che è stata accolta positivamente dai membri della fondazione e che ha trovato aiuto nell’impresario Aldo Barberis e in un gruppo di architetti del Politecnico di Torino.paraloup-1

“Volevamo recuperare il sito perché è un luogo meraviglioso e perché porta con sé la vocazione di ispirare un ritorno alla montagna che sia consapevole di democrazia e impegno civile”, spiega Beatrice Perri, direttrice della Fondazione Nuto Revelli Onlus. “L’idea è stata quella di non volerne fare un museo o un luogo di memoria vuoto, ma un luogo che potesse innescare un processo di ritorno vero e coniugare memoria e innovazione”.

Recuperato con un’architettura leggera e rispettosa del paesaggio, a chilometro zero ed ecosostenibile (ci sono pannelli solari e si è prestata attenzione alla coibentazione degli edifici), il luogo è riuscito così a preservare la sua “aurea magica”: “Grazie ad un’indagine filologica oggi possiamo dire che si mangia esattamente dove mangiavano i partigiani e si dorme dove dormivano i partigiani”.

Ma la forza di questo luogo non sta soltanto nella sua storia di Resistenza. Come racconta Beatrice, “questo luogo porta con sé una vocazione molto forte, che appartiene al suo DNA, quasi un genius loci: lo hanno sentito i partigiani quando lo hanno scelto come base per un’Italia libera, lo ha sentito la popolazione (nella memoria locale ci sono tante figure in riferimento al luogo), lo abbiamo sentito noi e lo sentono anche i visitatori quando vengono e spesso tornano nuovamente”.paraloup-

La borgata Paraloup è infatti immersa nella Valle Stura ed è anche uno di quei luoghi della memoria della civiltà contadina cuneese, che pure Nuto Revelli aveva documentato. Ed è anche al recupero di questi territori che la Fondazione Nuto Revelli si è dedicata organizzando nel 2011 il primo “Festival Internazionale del ritorno ai luoghi in abbandono”. Il Festival raccoglie varie realtà italiane (l’Unical con il professore Vito Teti, il Movimento di ricostruzione dell’Aquila, il Movimento delle cascine di Milano etc) e ha come tematica principale il riutilizzo dei luoghi abbandonati, che in Italia sono il 70% del territorio nazionale. “Questi luoghi hanno spazi pronti e una vocazione per ospitare dei ritorni, che a volte sono anche delle andate, come nel caso dei migranti che arrivano qui per la prima volta”. E proprio in occasione di questo festival si costituisce la “Rete del ritorno”.

Un ritorno che passa necessariamente attraverso la terra, fonte di vita e di lavoro. Non a caso, la Fondazione organizza nel 2017 il convegno internazionale “Facciamo agricoltura” e, nello stesso anno, promuove la scuola dei giovani agricoltori di montagna, portata avanti grazie ad un progetto europeo e alla collaborazione di altre realtà piemontesi: “Abbiamo formato cinque giovani aspiranti agricoltori, nell’ottica che se lo spopolamento è stato un fenomeno violento e incontrollato il ritorno debba essere accompagnato da strumenti utili e su misura del luogo”.37984134_1919184448144711_5202357443123740672_n

Un’operazione abbastanza riuscita, se si pensa che nel 2017 Paraloup ha visto “passare” 30.000 persone ed è un rifugio per molti: appassionati di sport invernali, studenti che vengono a visitare il luogo, ricercatori di storia e antropologia, amanti della montagna. E “tutti”, ci dice ancora Beatrice, “lasciano Paraloup con un senso di responsabilità sulle spalle: questa è una spinta in grado di innescare dei cambiamenti ed è la vocazione di questo luogo”.

Il progetto Paraloup è solo uno dei modi della Fondazione di volgere l’attenzione alla memoria storica e riattualizzarla. Sono anni, infatti, che lavora sull’archivio di Nuto Revelli, portandolo nelle scuole: “La nostra attenzione è molto forte nei confronti dei giovani, perché certi valori (memoria, relazioni, ascolto) vanno coltivati per creare un dialogo sempre vivo e attivo ed evitare derive, che sembravano remote ma non lo sono più. L’obiettivo, per ora, è continuare a riempire di vita questo posto e sperare che possa essere d’esempio per altri luoghi”.

 

Intervista: Daniel Tarozzi e Paolo Cignini
Riprese e Montaggio: Paolo Cignini

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/10/io-faccio-cosi-227-paraloup-spirito-resistenza-rifugio-di-montagna/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Rebecco: ecco come rinasce un antico borgo

Nel cuore della Val Trompia si trova Rebecco. Questo piccolo borgo sta rinascendo grazie al progetto di un giovane agricoltore locale, uno dei partecipanti al programma ReStartAlp. Tutto questo è possibile grazie al sostegno di Fondazione Cariplo, che con AttivAree persegue proprio l’obiettivo di far rinascere le aree marginali. Rebecco è un piccolo borgo che si trova in Valle Trompia, nelle Prealpi Bresciane. Come molti altri luoghi, anche quest’area è oggi definita “marginale”: lontano dalle città, priva di molti servizi di base e di opportunità lavorative, vittima di un progressivo spopolamento.

Il borgo di Rebecco è un punto di raccordo tra i due progetti di Fondazione Cariplo dedicati alla rinascita della montagna e delle aree interne: il Programma intersettoriale AttivAree, dedicato alla rivitalizzazione di due aree lombarde – parte più alta della Valle Trompia e Val Sabbia e l’Oltrepò Pavese – e ReStartAlp, il campus per aspiranti imprenditori alpini promosso in collaborazione con Fondazione Edoardo Garrone giunto alla terza edizione. La rinascita del borgo rurale di Rebecco è uno degli obiettivi del Programma AttivAree, con interventi che non sono solo di tipo edilizio – ristrutturazioni, riconversioni, bonifiche ecc. –, ma anche di tipo sociale. Il ripopolamento, la riattivazione dei rapporti umani, la creazione di un nuovo tessuto socio-economico danno nuova linfa e sono il sangue che ricomincia a scorrere nelle vene di territori che si erano inariditi. Con il Programma AttivAree, a Rebecco, si punta infatti si, alla ricostruzione nell’ottica della valorizzazione delle caratteristiche costruttive del sito, ma anche alla nascita di un’attività imprenditoriale che possa presto divenire volano per l’economia del luogo e elemento di attrattività per nuovi abitanti.rebecco-1-1030x560

“Rebecco è un posto magico, conservato nei secoli, che in qualche modo racchiude la storia e la tradizione dei popoli che hanno vissuto in questa valle” sostiene Matteo, il giovane agricoltore valtrumplino che ha partecipato al campus ReStartAlp, con un’idea imprenditoriale pensata su misura per Rebecco: Rebecco Farm. Il borgo, nell’idea imprenditoriale che sta sviluppando Matteo Turrini, diverrà connettore delle realtà agricole locali, vetrina dei prodotti del territorio, luogo di sperimentazione agricola, luogo di incontro, scambio e contaminazione. Da un lato il Programma AttivAree che ricostruisce e valorizza il borgo, dall’altro l’esperienza formativa del campus ReStartAlp funzionale a creare imprese di successo. La scommessa è riuscire a fare ripartire il territorio, attraverso opportunità anche di coesione sociale, invertendo la tendenza dello spopolamento e spingendo soprattutto i giovani a riabitare queste aree creando opportunità di lavoro attraverso attività non convenzionali e strettamente legate alle caratteristiche del territorio, con l’obiettivo di valorizzarlo e non di drenarne la ricchezza.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/09/rebecco-rinasce-antico-borgo/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Paolo Cognetti: rendiamo viva la montagna facendo rete!

Fare rete. Questo il valore più grande di RestartAlp secondo Paolo Cognetti, vincitore del premio Strega con il libro “Le otto montagne”. Lo scrittore, tornato a vivere fra le vette per tutelare e dare nuova vita al territorio, ha incontrato i giovani aspiranti imprenditori che stanno partecipando al percorso di formazione proposto da Fondazione Garrone  e Fondazione Cariplo. A un certo punto della sua vita, quando ha cominciato a sentirsi a disagio e ad avvertire la necessità di staccare, ascoltare il silenzio e recuperare l’ispirazione, Paolo Cognetti ha deciso di tornare in Val d’Ayas, fra le “sue” montagne. Lo scrittore, vincitore del premio Strega con “Le otto montagne”, ha incontrato i ragazzi di ReStartAlp, giovani che vogliono andare a vivere e lavorare in montagna, cercando di rivitalizzare questi luoghi magici e spesso dimenticati con idee imprenditoriali fresche, innovative e connesse con il territorio.

Secondo Cognetti, il valore più grande del programma voluto da Fondazione Edoardo Garrone – in continuità con il progetto ReStartApp – e Fondazione Cariplo – nell’ambito del Programma AttivAree dedicato alle aree interne – è quello di “fare rete”: «Persone che cercano di fare quello che ho fatto sono completamente sole. Il valore di ReStartAlp è quello di far sentire che intorno a loro c’è una rete di persone simili. Sapere che intorno a te c’è qualcuno disposto ad ascoltarti e ad aiutarti ha un grandissimo valore».

Ancora prima del successo editoriale conosciuto grazie a “Le otto montagne”, Paolo Cognetti era un grande amante della solitudine e del silenzio che regnano fra le vette. Cresciuto qui, ha deciso di ritornarci e di attivarsi per tutelare e dare nuova vita al territorio, anche attraverso il suo progetto di animazione territoriale, che ha mostrato ai ragazzi di ReStartAlp.cognetti-restartalp

«Per me – racconta – la montagna è stato un luogo di grande riapertura, per cui mi sento un abitante di questo posto». Fra le righe si può leggere un altro consiglio che regala ai futuri imprenditori a cui le due fondazioni stanno fornendo gli strumenti per dare corpo alle loro idee: giungete in montagna in punta di piedi, imparate a conoscere e ad ascoltare la terra che vi accoglie, parlate con chi ci abita e sentitevi anche voi parte di questa comunità. È questa la filosofia di ReStartAlp, che trova riscontro anche nel programma formativo dal forte imprinting esperienziale, che ha portato i partecipanti a conoscere imprenditori montani, personalità del posto – fra cui Paolo Cognetti – operatori forestali, agricoltori e allevatori. Tutti attori e membri della comunità culturale, sociale e economica che saranno contenti di accogliere nuove forze, giovani che, forse un po’ stanchi della città, sognano di costruirsi una vita e un lavoro in montagna.

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Locana: così i piccoli centri di montagna combattono lo spopolamento

Da un bonus per le famiglie che decidono di vivere a Locana e iscrivere qui i propri figli a scuola sino ad un laboratorio d’impresa finalizzato a far nascere nuove attività in grado di valorizzare le risorse del territorio e offrire opportunità lavorative. Sono queste le iniziative messe in campo per combattere lo spopolamento e rivitalizzare questo piccolo centro montano del Canavese che rischia di sparire.locana-centri-di-montagna-combattono-spopolamento

Tutti a scuola a Locana”. È questo il nome dell’iniziativa lanciata contro lo spopolamento di Locana, piccolo centro del Canavese, nel territorio del Parco Nazionale del Gran Paradiso. Il bonus proposto dall’amministrazione consiste in 3.000 euro, per un massimo di 3 anni, destinati a ogni nucleo familiare che, trasferendo la propria residenza a Locana, iscrive qui almeno un figlio alle scuole d’infanzia, primaria o secondaria di primo grado. Per accedere al bonus è necessario un reddito Isee pari o superiore a 7.000 euro e i componenti del nucleo familiare devono essere residenti in Italia da almeno cinque anni. Il finanziamento massimo previsto dall’amministrazione comunale è di 30.000 euro all’anno. Come spiega l’amministrazione comunale, “l’istituzione di un contributo economico per i nuclei familiari con figli minori che trasferiscono la residenza in Locana mira ad agevolare il rientro dei molti locanesi che hanno abbandonato la montagna e a favorire l’arrivo di nuovi nuclei familiari”.

“Nonostante le risorse e gli aspetti positivi del nostro territorio, anche da noi, come in altre realtà montane, la popolazione diminuisce – spiega in un’intervista il sindaco Giovanni Bruno Mattiet – Dai 1708 abitanti del 2007 siamo scesi ai 1450 abitanti del 2017. E pensare che all’inizio del Novecento erano ben seimila. In particolare, in questi anni, più che partenze abbiamo registrato una costante diminuzione delle nascite e questo determina una riduzione della popolazione scolastica: così corriamo il rischio di perdere il patrimonio socioculturale costituito dalla presenza delle scuole, con conseguente ulteriore spopolamento”.

Ma le iniziative per la rivitalizzazione di Locana non si fermano al bonus “Tutti a scuola a Locana”.
La Regione Piemonte ha infatti deciso di avviare nei prossimi mesi a Locana un’iniziativa per sostenere la piccola imprenditoria locale. Proprio qualche giorno fa, infatti, l’assessore regionale al turismo, Antonella Parigi, ha presentato in municipio, insieme al sindaco di Locana Giovanni Bruno Mattiet, un laboratorio sperimentale d’impresa finalizzato a far nascere nuove attività imprenditoriali in grado di valorizzare le risorse presenti sul territorio montano. Si tratta di una sorta di incubatore di start-up rivolto a imprenditori, o aspiranti tali, che verranno indirizzati dalla Regione verso la realizzazione di progetti concreti. Come ha spiegato l’assessore Parigi, il laboratorio servirà a fare scuola su come si fa impresa, affiancherà le attività nascenti e farà da catalizzatore per nuove idee utili a valorizzare il territorio. A Locana, come negli altri centri di montagna della zona, un focus particolare sarà dedicato alle idee in grado di promuovere lo sport all’aria aperta, considerata anche la vicinanza con il Parco nazionale del Gran Paradiso. Tra le possibilità vi è quella di creare un Parco Avventura in prossimità dell’area attrezzata delle Nusiglie.

“Siamo fortemente interessati a questo esperimento – ha dichiarato il sindaco Bruno Mattiet – le potenzialità sono tante, dal turismo fino alla ripresa di coltivazioni che, un tempo, erano il traino economico di queste vallate”.

Foto copertina
Didascalia: Veduta panoramica di Locana

Fonte: http://piemonte.checambia.org/articolo/locana-centri-di-montagna-combattono-spopolamento/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni