5 grandi cammini in giro per il mondo

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TO GO WITH AFP STORY BY ELISA SANTAFE- A

Il 2016 è stato proclamato Anno Nazionale dei Cammini dal Ministro dei beni culturali Dario Franceschini. Sono sempre di più, infatti, i turisti che scelgono la dimensione slow del cammino che riporta alla mente i pellegrinaggi del passato. Nel nostro paese ci sono 6600 chilometri di cammini naturalistici, religiosi, culturali e spirituali che attraversano il Paese. Nel corso dell’anno vi presenteremo alcuni di questi itinerari italiani sulle pagine di Ecoblog. Per cominciare, però, vi proponiamo cinque itinerari da sogno, lunghi cammini in Europa, Asia e Nord America che possono rappresentare un’importante esperienza di vita. Eccoli nella fotostory di apertura.

5 Guarda la Galleria “5 grandi cammini in giro per il mondo”

 

Fonte: ecoblog.it

In Marocco la più grande centrale solare del mondo

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Ouazazarte, una località del deserto del Marocco ai piedi della catena montuosa dell’Atlante sorgerà la più grande centrale solare del mondo, capace, entro il 2020, di fornire il 50% dell’energia elettrica necessaria al Marocco.La località è molto nota agli appassionati di cinema, qui, infatti, sono stati girati molti importantissimi film storici e di avventura dell’ultimo mezzo secolo, da Lawrence d’Arabia a Il Gladiatore, da L’uomo che volle farsi re ad Alexander, da Prince of Persia Le crociate, da Babel Spy Game, da Nessuna verità a La mummia, da Il tè nel deserto a L’ultima tentazione di Cristo. Insomma questa località è il luogo privilegiato dai registi di film storici, biografici, biblici e d’avventura che hanno bisogno di paesaggi desertici e poco antropizzati. Ora però, alla vocazione di set cinematografico, Ouazazarte vuole affiancare un nuovo business, quello dell’energia rinnovabile. Con lo sviluppo delle energie rinnovabili il Marocco ambisce a divenire una delle potenze energetiche del Mediterraneo e dopo decenni di sopravvivenza energetica grazie all’import, punta a divenire esportatrice verso i Paesi di Nord Africa e Medio Oriente. Nelle aree a ridosso del Sahara l’intesità del sole è il doppio della media europea, un vero e proprio “capitale” che il Marocco vuole immagazzinare e utilizzare in parte per sé e in parte per le esportazioni. Nei prossimi mesi diverrà operativo il primo dei quattro impianti da 160 megawatt e, a partire dal 2016, la potenza salirà a 570 megawatt. Quando la centrale sarà completata, nel 2017, verranno raggiunti 2mila megawatt. Il governo del Marocco sta pensando a una linea elettrica che, attraversando il Sahara, riesca a raggiungere l’Arabia Saudita. Il re Mohamed VI si è assicurato il sostegno delle Nazioni Unite, della Banca Mondiale e dell’Unione Europea per un progetto che, a lavori ultimati, potrebbe valere, 9 miliardi di euro.

Fonte: ecoblog.it

Possiamo trasformare il mondo

«Possiamo trasformare il mondo» è lo slogan con cui la coalizione Together for Global Justice ha lanciato un appello ai potenti della Terra che si ritroveranno al vertice sul clima di Parigi il 7 e 8 dicembre prossimi.cambiare_il_mondo

Together for Global Justice è una coalizione di 17 organizzazione europee e del nord America che combattono contro povertà e disuguaglianze. Sollecitano da anni governi, mondo degli affari, confessioni religiose e organismi internazionali ad adottare politiche e condotte che promuovano i diritti umani, la giustizia sociale e lo sviluppo sostenibile. Ora hanno lanciato un appello, già sottoscritto da numerosi esponenti internazionali, affinchè i rappresentanti dei governi che si ritroveranno a Parigi il 7 e 8 dicembre diano prova di un impegno vero per cambiare paradigmi e azioni.

Ecco cosa si legge nell’appello:

«Possiamo colmare il gap esistente tra i pochi che posseggono la metà delle ricchezze mondiali e il resto della popolazione.

Possiamo assicurare una piena equità tra uomini e donne.

Possiamo garantire il diritto al cibo per miliardi di persone, soprattutto per i piccoli produttori che producono la maggior parte del cibo che si consuma nel mondo ma i cui diritti sono violati in maniera pervasiva.

Possiamo impedire che le temperature aumentino più di 1,5 gradi Celsius.

Possiamo garantire che i più poveri e i più vulnerabili siano protetti e supportati nelle loro battaglie per adattarsi ai cambiamenti climatici e possiamo realizzare una società globale più giusta e uguale.

Possiamo smettere di sfruttare la terra e limitare l’estrazione di risorse naturali.

Possiamo trasformare la cultura del dominio, del consumo e dell’estrazione in una cultura dell’autosufficienza, del prendersi cura e della solidarietà.

Possiamo garantire una giusta transizione ad economie dove sia garantito un lavoro dignitoso a tutti e dove sia valorizzato il lavoro che si prende cura degli altri.

Possiamo creare un mondo dove uomini e donne possono vivere, pensare, esprimere se stessi e muoversi in pace e libertà.

Molte volte nel corso della storia la comunità internazionale ha dato prova di riuscire a superare le divisioni in uno sforzo comune per rispondere alle paure; occorre perseguire un mondo di pace e di rispetto per l’ambiente, per il clima, per la giustizia sociale ed economica e per l’eguaglianza di genere.

Nei quattro anni appena trascorsi abbiamo assistito ad un livello senza precedenti di discussioni, consultazioni e mobilitazioni in preparazione dei nuovi obiettivi globali. La speranza è e deve essere quella secondo cui la comunità internazionale riuscirà a fare la cosa giusta».

Durante il summit Onu sullo sviluppo sostenibile, conclusosi domenica 27 settembre a New York  e al quale l’appello è stato pure rivolto, è stata adottata e discussa la piattaforma “Transforming Our World: The 2030 Agenda for Sustainable Development” il cui obiettivo è rispondere alle sfide più urgenti di un mondo che così non può più reggere le proprie sorti. La coalizione che ha sottoscritto l’appello ritiene la piattaforma dell’ONU «un’agenda universale che riconosce gli obiettivi ormai non più procrastinabili».

Ma viene anche messa in luce la sostanziale contraddizione insita nel concetto stesso di sviluppo sostenibile, laddove ciò significhi priorità nel continuare ad alimentare la crescita delle nazioni a discapito dell’armonia con la natura. Occorre limitare fortemente l’utilizzo delle risorse naturali e non bastano meccanismi di tassazione o nuove regole di finanza globale e di investimento. Ci vuole un radicale cambio di paradigma per rendere possibile il cambiamento, per dare corpo allo slogan “Possiamo cambiare il mondo”.

Ci sono comunità che stanno sviluppando soluzioni alternative e le stanno mettendo in pratica basandosi sul concetto che il benessere è anche prosperità condivisa e migliori relazioni di cura tra le persone. Si diffonde l’agroecologia tra i piccoli produttori per costruire filiere alimentari locali e solidali; nascono comunità dove si decentralizza anzichè centralizzare, si usano energie alternative, si modificano stili di vita. Insomma, si dimostra che cambiare è possibile, basta farlo con azioni concrete, con coerenza e non solo nella facciata.

Ma governi ed enti internazionali devono imparare a resistere (o volerlo, se non altro) alle forti pressioni dei gruppi di potere economico, devono esigere e praticare la trasparenza di ogni transazione e trattativa, di ogni scelta e decisione.

La gente nel mondo è pronta a vivere un futuro (che deve cominciare però già domani) di uguaglianza, giustizia, diritti e vita in armonia con la natura. Bisogna chiarire se il potere costituito è ugualmente pronto. Se non lo è, è probabile che la forza delle popolazioni lo costringa a prepararsi.

I sottoscrittori:
1. Dereje Alemayehu, World Citizen and Tax Justice Activist, Etiopia
2.
Marcia Anfield, Mariannridge Coordinating Committee, Sud Africa
3. Attilio Ascani, Direttore Focsiv, Italia
4. Georges Bach, europarlamentare, Lussemburgo

  1. Chris Bain, direttore CAFOD, Regno Unito
    6. Fr. Dário Bossi, missionario comboniano, International Alliance of those Affected by Vale, Brasile
    7. Jenny Boyce-Hlongwa, Mariannridge Coordinating Committee, Sud Africa
    8. Adriano Campolina, Chief Executive, ActionAid International
    9. Marian Caucik, Direttore eRko, Slovacchia
    10. Alistair Dutton, Direttore SCIAF, Scozia
    11. Hilal Elver, docente di legge, Turchia, e UN Special Rapporteur on the Right to Food
    12. Simone Filippini, Direttore Cordaid, Olanda
  2. Susan George PhD, presidente del Transnational Institute, Olanda
    14.
    Patrick Godar-Bernet, Direttore del Bridderlech Deelen, Lussemburgo
    15.Mamadou Goïta, Executive Director, Institut de Recherche et de Promotion des Alternatives de Développement en Afrique (IRPAD), Mali
    16. Arcivescovo Theotonius Gomes, vescovo ausiliario emerito di Dhaka, Federation of Asian Bishops’ conferences, Bangladesh
    17. Rev. Fletcher Harper, Executive Director, Greenfaith, USA
    18. Lieve Herijgers, Director, Broederlijk Delen, Belgio
    19. Jason Hickel, Lecturer, London School of Economics and Political Science, Regno Unito
    20.Wael Hmaiden, Executive Director, CAN International, Libano
    21.
    Heinz Hödl, CIDSE presidente e direttore, KOO, Austria
    22. Jean-Claude Hollerich, arcivescovo del Lussemburgo
    23. Nicolas Hulot, Special Envoy del president della Repubblica francese per la protezione del pianeta, Francia
    24. Pa Ousman Jarju, Ministro dell’ambiente, Gambia
    25. Aloys Jousten, vescovo onorario di Liège, Belgio
    26.
    David Leduc, Executive Director, Development and Peace, Canada
    27. Jorge Libano Monteiro, Amministratore FEC – Fundação Fé e Cooperação, Portogallo
    28.
    Bill McKibben, Co-fondatore di 350.org, USA
    29. Eamonn Meehan, Direttore Trócaire, Irlanda
    30.
    Daniel Misleh, Executive Director, Catholic Climate Covenant, USA
    31. Bhumika Muchhala, Senior Policy Analyst, Finance and Development, Third World Network, Malesia
    32. Fr. Stan Muyebe, Justice and Peace Commission, Southern Africa Catholic Bishops Conference, Sud Africa
    33. Kumi Naidoo, Executive Director, Greenpeace International, Sud Africa
    34. Bernd Nilles, Secretary General, CIDSE, Belgio
    35. Allen Ottaro, Executive Director, Catholic Youth Network for Environmental Sustainability in Africa (CYNESA), Kenya
    36. Peter-John Pearson, Dirertore Southern African Catholic Bishops’ Conference Parliamentary Liaison Office, Sud Africa
    37.
    Bernard Pinaud, Director, CCFD-Terre Solidaire, Francia
    38. Viviane Reding, ex Vice-Presidente della Commissione Europea ed europarlamentare, Lussemburgo
    39. Susana Réfega, Executive Director, FEC – Fundação Fé e Cooperação, Portogallo
    40. Cécile Renouard, filosofo ed economista, Francia
    41. Patrick Renz, Direttore Fastenopfer, Svizzera
    42. Andy Ridley, Managing Director, Circle Economy, Olanda
    43.Michel Roy, Secretary General, Caritas Internationalis, Città del Vaticano
    44.
    Jeff Rudin, Secretary, Alternative Information and Development Centre, Sud Africa
    45.Naderev “Yeb” Saño, Leader of The People’s Pilgrimage for Climate Action, OurVoices, Filippine
    46.
    Angelo Simonazzi, segretario generale di Entraide et Fraternité, Belgio
    47. Colette Solomon, Direttore di Women on Farms’ Project, Sud Africa
    48. Pablo Solón, Executive Director, Fundación Solón, Bolivia
    49. Pirmin Spiegel, Direttore di Misereor, Germania
    50. Soledad Suárez Miguélez, Presidente di Manos Unidas, Spagna
    51.Monicah Wanjiru, segretario generale del Coordinamento internazionale dei giovani lavoratori cristiani, Italia

Fonte: ilcambiamento.it

La Nuova Zelanda respinge la prima richiesta di asilo climatico al mondo

Respinta la prima richiesta di asilo politico al mondo a causa dei cambiamenti climatici

KIRIBATI - MARCH 14:  (BEST QUALITY AVAILABLE) In this handout image provided by Plan International Australia, debris is left by a strom surge after flood waters moved inland, March 14, 2015 on the island of Kiribati. Cyclone Pam is pounding South Pacific islands with hurricane force winds, huge ocean swells and flash flooding. (Photo by Plan International Australia via Getty Images)

KIRIBATI - MARCH 14:  (BEST QUALITY AVAILABLE) In this handout image provided by Plan International Australia, flood waters move inland following a storm surge, March 14, 2015 on the island of Kiribati. Cyclone Pam is pounding South Pacific islands with hurricane force winds, huge ocean swells and flash flooding. (Photo by Plan International Australia via Getty Images)

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La giustizia neozelandese ha respinto la richiesta di Ioane Teitiota di diventare il primo rifugiato climatico del mondo. Teitiota, 38 anni delle Kiribati, aveva presentato la richiesta di asilo climatico sostenendo che lui, la moglie e i tre figli, tutti nati in Nuova Zelanda, correrebbero un pericolo mortale se fossero rimpatriati. Il richiedente però, secondo la Corte Suprema della Nuova Zelanda non soddisfaceva i criteri necessari per ottenere lo status di rifugiato, ovvero essere minacciato di persecuzione nel suo paese natale. Secondo le Nazioni Unite Kiribati, insieme alle Maldive, a Tuvalu e a Tokelau, fa parte degli stati insulari che potrebbero ritrovarsi “senza terra” a causa del riscaldamento climatico: il paese è formato infatti da un arcipelago del Pacifico, composto da una trentina di atolli corallini la maggior parte dei quali si trova appena sopra il livello del mare, minacciato costantemente dall’innalzamento del livello del mare.

A inizio luglio si è tenuto a Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite a New York un incontro ad alto livello sul cambiamento climatico, cui ha partecipato anche il ministro dell’ambiente italiano Gian Luca Galletti, il quale aveva usato proprio l’esempio delle isole Kiribati come paradigmatico dei rischi che il pianeta corre in virtù dei cambiamenti climatici:

“I problemi che affronta oggi un piccolo stato isola come Kiribati sono gli stessi che i nostri figli, in Italia, affronteranno tra qualche anno. Dobbiamo capire che i problemi dei Paesi più esposti devono diventare i problemi di tutti”

dichiarò il ministro italiano in conferenza stampa.

Fonte: ecoblog.it

Negli orfanotrofi del mondo per testimoniare l’uguaglianza tra i bambini

Andrea Caschetto, pochi soldi, zaino in spalla e tanti chilometri sotto i piedi: “Sono in viaggio tra gli orfanotrofi delle periferie del mondo per vedere con i miei occhi quello che vedono i bambini che vi abitano e testimoniare come, malgrado culture diverse e scontri di civiltà, l’infanzia sia uguale ovunque”.andrea06

Andrea Caschetto, venticinque anni, siciliano, laureato in Media e Marketing con un master in Cooperazione internazionale per popoli sotto-sviluppati alla Cattolica di Milano: “Sono sempre stato contrario alle cose private ma non ho potuto non fare l’università privata perché ho problemi di memoria e lì c’era il centro per ragazzi con difficoltà…”. Si presenta così Andrea, sorriso a trentadue denti, voce allegra e occhi felici, in collegamento via Skype da un orfanotrofio del Paraguay: “Il mio sogno era di fare il magistrato. Sono cresciuto con il mito di Falcone e Borsellino e come loro avrei voluto dedicare la mia vita alla lotta alla mafia. Ma a quindici anni mi hanno trovato un ematoma nell’emisfero sinistro, chi lo chiamava tumore, chi malformazione cellulare, chi con altri nomi. Comunque mi sono dovuto operare alla testa e da lì in poi ho iniziato ad avere problemi di memoria e concentrazione. Sono passato dal non studiare nulla ed avere voti altissimi a studiare tantissimo per avere voti bassi. Capii subito che sarebbe stato quasi impossibile fare giurisprudenza. Così optai per un’università meno mnemonica che mi portò a una vita molto diversa da quella che avevo immaginato”.
Durante l’università, grazie alle borse di studio e al lavoro di volontario in diverse onlus, Andrea ha iniziato a viaggiare, ma la vera svolta è arrivata a dicembre: “Finito il master avrei voluto partire per un giro del mondo in sedia a rotelle per dimostrare che una persona con disabilità non è una persona disabile, volevo dimostrare che una persona su una sedia a rotelle non è altro che una persona seduta. Lo volevo fare perché dopo l’operazione sono stato costretto a starci su una sedia a rotelle, e ho capito il fastidio di essere guardato in un certo modo, il pregiudizio, la pena…”. Ma quel viaggio non è andato in porto: “Aspettavo degli sponsor perché con il mio budget – circa 4000 euro risparmiati dalle borse di studio – non avrei potuto permettermelo, in quanto gli spostamenti in sedia a rotelle, oltre ad essere più complicati, sono pure più costosi!”.andrea01

Così ecco che prende piede il Piano B. “Ho pensato a cosa mi sarebbe piaciuto fare, e mi è balenata un’idea: testimoniare che i bambini, tutti i bambini, malgrado le culture differenti, gli scontri e le guerre, sono uguali. Così ho deciso di investire i miei risparmi in un viaggio alla scoperta dei più piccoli”. E dove farlo se non negli orfanotrofi delle periferie del mondo? “Sono partito a febbraio per lo Srilanka, perché avevo un’offerta per il volo – 150 euro da Roma a Colombo – poi sono stato in India. A seguire il Nepal, appena prima del terremoto, poi la Tahilandia, la Cambogia, il Vietnam. Poi, facendo scalo a Dubai, sono giunto in Brasile e da lì sono arrivato in Paraguay. Seguiranno Bolivia, Perù, Ecuador, Colombia… E poi chissà”. In ciascun Paese Andrea vive in orfanotrofi barattando il proprio lavoro con vitto e alloggio: “Ho ridotto le spese a zero e ottenuto in cambio tantissimo. Ovviamente non faccio il turista, non visito i luoghi, mi dedico solo ai bambini, mangio e dormo con loro, mi sposto quasi sempre con mezzi pubblici”. In cambio dei pasti e di un letto Andrea svolge attività di musica, disegno, teatro, inglese “a volte li porto al mare, li faccio giocare a pallone o, più semplicemente, gli dedico il mio tempo. L’attenzione e l’affetto sono le cose più importanti che si possa dar loro”.andrea03

“Anche perché – spiega Andrea – molti orfanotrofi trattano i bambini come fossero in un canile: li lasciano tutto il giorno davanti alla televisione, li chiamano solo per i pasti, nessuno si relaziona con loro durante la giornata. Un orfanotrofio in India ospitava ben 44 bambine in un bilocale minuscolo. In un altro orfanotrofio, in Nepal, i bambini venivano lasciati totalmente soli tutta notte. Due ragazzi di diciannove anni avevano il compito di controllarli. Erano pagati 10 euro al mese”.
“In India ho visto episodi più tragici – continua Andrea – Bambini sui cinque anni trovati dalla polizia nella spazzatura. A quell’età i bambini si ricordano tutto ma non parlano perché è il dolore è troppo forte… l’unica cosa che si può fare allora è farli ridere, farli giocare. L’unica cosa che si può fare è fermare per un momento quell’orrore che avranno per sempre stampato nella mente. Io cerco di fare questo”. Ma, per fortuna, non tutte le realtà sono così degradate: “Ho vissuto per dieci giorni in un campus per bambini disabili, creato da una signora olandese, che ospitava 230 bambini. Questi erano divisi in 23 case e ogni abitazione aveva una responsabile che i bambini chiamavano mamma. Lì i ragazzi avevano la giornata piena: yoga, sport, lezioni, giochi, danza… erano davvero sereni. A me non restava altro che improvvisare spettacoli di cabaret alla sera! E’ stata un’esperienza bellissima che mi ha insegnato tanto: dal linguaggio dei non udenti alla lettura per i non vedenti”.andrea02

Perché da questi viaggi, alla fine, chi ne esce più arricchito e più felice, è proprio Andrea:  “Qui, negli orfanotrofi, vedo adulti e bambini che non possiedono quasi nulla e che non vedono l’ora di offrirti quel poco. Si pensa sempre che povertà sia sinonimo di criminalità, degrado, tristezza, ma non è così. I poveri, lontano dalle grandi città, non sono altro che angeli che non possiedono cose materiali. Non sono cattolico ma non saprei come definirli se non così”.
E da questi angeli c’è tantissimo da imparare: “Come spiega la regola dell’equatore! Meno si ha e più si è felici. E davvero in Africa posso dire di aver visto la vera gioia”. Oppure dagli insegnamenti degli Indios… “uno dei popoli che più ha cambiato il mio modo di relazionarmi con gli altri. Vivendo con loro nell’Amazzonia brasiliana, in un luogo senza luce artificiale, internet, denaro, senza gerarchie e stereotipi sociali, ho conosciuto il vero amore – afferma Andrea – Senza i modelli estetici e i luoghi comuni a cui siamo abituati la bellezza ritorna ad essere ciò che ti fa stare bene con l’anima. Smetterla di classificare le persone in base a canoni preconfezionati e indotti ti permette di conoscere e apprezzare davvero chi hai di fronte. Io, grazie a loro, oggi non dico più “che bella o che brutta che sei”, ora dico: “tu mi fai stare bene, tu mi fai stare alla grande”. Insomma, grazie a loro ho imparato ad apprezzare gli altri e a relazionarmi con essi, senza pensare all’aspetto, a ciò che possiedono o a ciò che la società ci insegna a considerare come importante”.andrea05

Un sogno nel cassetto? “Raccontare tutto questo in un libro. Ne ho già uno pronto e un altro è in divenire, una sorta di diario di viaggio… Malgrado i miei problemi di concentrazione, mi piace scrivere. Non si tratta solo di esibizionismo, penso davvero che certe cose meritino di essere raccontate e diffuse. Per il resto sono come i bambini, ho mille idee e tanti progetti… sicuramente non farò mai un lavoro che mi annoia. Voglio passare una bella vita ed essere felice. Quindi l’unica cosa che posso fare è continuare a fare cose che mi rendono tale”. Perché alla fine “lo único malo de los niños es que tienen un adulto en su futuro” (l’unica cosa negativa che hanno i bambini è un adulto nel loro futuro). Restiamo bambini!.

Fonte: ilcambiamento.it

Tutto il mondo in marcia contro la Monsanto

Sabato 23 maggio è andata in scena la Marcia contro la Monsanto: dalla Francia alla Svezia, dagli Usa allo Sri Lanka, migliaia di cittadini in 6 continenti, 48 Paesi e 421 città hanno sfilato nelle piazze contro la multinazionale americana.marcia_monsanto_470

Migliaia di persone hanno manifestato nelle piazze di tutto il mondo per l’annuale Marcia Contro la Monsanto. Quest’anno, secondo i dati dell’organizzazione, le adesioni dovrebbero avere superato i numeri dei due anni precedenti. Sono infatti coinvolti nella protesta contro la multinazionale americana 6 continenti, 48 Paesi e 421 città, per dire no, l’ennesima, al regime del gigante americano, leader nella produzione di pesticidi e sementi ogm.
Ricordiamo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato il glifosato, principio attivo dell’erbicida RoundUp (venduto in 180 paesi), sostanza probabilmente cancerogena per l’uomo e sicuramente cancerogena per gli animali. Mentre, è di pochi giorni fa, la presa di posizione del cantante canadese Neil Young nel suo prossimo album, The Monsanto Years, in uscita il prossimo 16 giugno. Il successo della manifestazione ha condotto ad iniziative come “The Women’s and Children’s Bill of Rights to Ban Glyphosate”, con l’obiettivo di tutelare i soggetti maggiormente a rischio, come appunto donne e bambini, dall’esposizione alla tossicità del glifosato, nel caso diventasse legge il prossimo ottobre. Il principio attivo è stato rilevato nelle falde acquifere in quantità compresa tra il 60% e il 100% in varie parti del mondo, sollevando preoccupazione di massa riguardo l’inquinamento su scala globale.
Molti esperti in materia sanitaria, come medici e ricercatori, relazioneranno oggi in occasione della Marcia contro la Monsanto, tra i quali Jeffrey Smith, esperto di OGM per l’Institute for Responsible Technology, Anthony Gucciardi, e il Dr. Joseph Mercola,

Segui la diretta qui:https://www.facebook.com/MarchAgainstMonstanto

Fonte: ilcambiamento.it

Worldwatch Institute: “Cresce la produzione di plastica nel mondo, riciclo insufficiente”

Nel 2014 la produzione mondiale di plastica ha forse superato le 300 milioni di tonnellate e per Gaelle Gourmelon del centro di ricerca ambientale fondato nel 1974, “il recupero e il riciclaggio restano insufficienti” e così la plastica finisce nelle discariche e negli oceani. Oggi il consumo di plastica in Europa occidentale e in Nord America è in media di 100 kg a persona381747

Da oltre mezzo secolo la produzione mondiale di plastica cresce di anno in anno. Nel 2013 ha raggiunto i 299 milioni di tonnellate, con +4% su base annua, e nel 2014 ha probabilmente superato la soglia dei 300 milioni di tonnellate. A fronte di questo, sottolinea Gaelle Gourmelon del Worldwatch Institute, “il recupero e il riciclaggio restano insufficienti”, e così la plastica finisce nelle discariche e negli oceani.  Oggi il consumo di plastica in Europa occidentale e in Nord America è in media di 100 kg a persona, con il materiale usato in gran parte per il confezionamento, si legge in un articolo pubblicato da Gourmelon su Vital Signs Online. In Asia è di 20 kg, ma la cifra è attesa in rapida crescita insieme all’espansione economica della regione. Stando al Programma ambientale dell’Onu, tra il 22 e il 43% della plastica usata nel mondo finisce in discarica. Tra i 10 e i 20 milioni sono invece le tonnellate di che ogni anno finiscono in mare, dove si stima che attualmente galleggino 269 milioni di tonnellate di plastica. Questi detriti si traducono in 13 miliardi di dollari di perdite annue, causate da danni agli ecosistemi marini, alla pesca e al turismo.
In Europa il 26% dei rifiuti plastici, pari a 6,6 milioni di tonnellate, è stato riciclato, il 36% è stato incenerito per produrre energia e il 38% è andato in discarica. Anche il riciclo però, sottolinea Gourmelon, può non essere virtuoso.
“Gran parte della plastica raccolta per il riciclaggio in Europa, Stati Uniti, Giappone e altri paesi industrializzati viene spedita in nazioni con standard di riciclaggio più bassi”, scrive il manager del Worldwatch Institute. In particolare, il 56% finisce in Cina, dove spesso la plastica usata viene lavorata in aziende a conduzione familiare sotto scarsi controlli di produzione ambientale, ad esempio sul corretto smaltimento di contaminanti e acque reflue.

Fonte: ecodallecitta.it

Naomi Klein e Jane Goodall tra i 10 leader più influenti al mondo

Chi sta influenzando il nostro modo di pensare oggi? Tra le 10 personalità più influenti al mondo troviamo anche Naomi Klein e Jane Goodall. Quali sono le personalità le cui idee coinvolgono maggiormente e più frequentemente un grande pubblico? Il GDI Gottlieb Duttweiler Institute e il MIT coordinati da Peter Gloor hanno presentato la lista dei leaders e pensatori più influenti al mondo. Il processo di valutazione si basa su software che hanno effettuato una serie di calcoli per misurare l’importanza su scala globale delle menti più creative. In cima alla classifica mondiale dei leader del pensiero di quest’anno appare Papa Francesco. Fino a poco tempo fa era ancora lo sconosciuto Jorge Mario Bergoglio, ma nel 2014 ha sbaragliato i 236 candidati piazzandosi al primo posto e seguito immediatamente dopo nelle preferenze da Tim Berners-Lee, l’inventore del World Wide Web; mentre al terzo posto troviamo l’economista indiano Amartya Sen. Seguono lo scrittore ceco Milan Kundera, e Muhammad Yunus fondatore della Grameen Bank in Bangladesh e nel 2006 il Premio Nobel per la pace. I due economisti Amartya Sen e Muhammad Yunus sono stati evidentemente apprezzati per i valoro etici che diffondono in un settore come quello dell’economia, noto piuttosto per vessazioni e tassazioni. Prendono parte nella classifica anche autori quali Milan Kundera e Paulo Coelho.

Questa la classifica con le prime 10 posizioni

Papa Francesco
Tim Bernerss-Lee
Amartya Sen
Milan Kundera
Muhammad Yunnus
Mario Vargas Llosa
Murray Gell-Mann
Paul Coelho
Jane Goodall
Naomi Klein
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Ma veniamo alla interessante presenza che riguarda le posizioni 9 e 10 della classifica in cui troviamo Jane Goodall e poi Naomi Klein. La prima è una scienziata inglese, etologa e antropologa, che ha studiato e studia da anni i primati nel loro habitat. E’ una delle maggiori esperte mondiali di scimpanzé e i suoi studi sono importantissimi per comprendere non solo il comportamento di questi splendidi animali ma anche per valutare i rischi a cui l’uomo li sottopone. Jane Goodall ha una pagina facebook molto attiva e in italiano in cui sono condivide le sue attività. E’ stata nominata nel 2011 Grande Ufficiale della Repubblica Italiana e a proposito e a proposito del suo impegno per l’ambiente dice:

Ogni singolo individuo può cambiare le cose e il modo in cui le cambiamo dipende da noi, perché la scelta è nostra. Con il nostro agire quotidiano, possiamo aiutare l’ambiente e tutti coloro che assieme a noi abitano il pianeta, umani e non umani. Altrimenti, possiamo solo danneggiare il mondo. E’ difficile rimanere neutrali.

Naomi Klein

Naomi Klein è nota per il suo attivismo contro il sistema delle multinazionali. Ha scritto No Logo un best seller adottato dal movimento no global. Si sta occupando anche di cambiamenti climatici e di come il sistema capitalistico sia direttamente responsabile di quanto sta accadendo al nostro Pianeta. In proposito, spiega, che i cambiamenti climatici stanno mettendo in crisi non solo gli equilibri naturali del Pianeta ma sopratutto le convinzioni su cui si è costruita la nostra attuale economia basata sul libero scambio e sui profitti delle multinazionali.

Foto | Naomi Klein@facebook
fonte:  GDI

Topaz: attivata in California la centrale solare più grande del mondo

Un impianto fotovoltaico gigante, da 500MW di potenza e 9 milioni di pannelli solari installati su un’area di 25 km quadrati: è Topaz, la centrale solare più grande mai costruita fino ad ora. Appartiene a MidAmerican Solar ed è stata realizzata a San Luis Obispo County381267

Mancavano gli ultimi 40MW da allacciare per completare la rete di Topaz, la centrale solare più grande mai costruita fino ad ora, e l’azienda proprietaria (la MidAmerican Solar) prevedeva di concludere i lavori nel 2015. Con qualche mese d’anticipo rispetto ai piani, il mega impianto fotovoltaico è già stato attivato a San Luis Obispo County.  La centrale – che è costata circa 2,5 miliardi di sollari – servirà ad alimentare oltre 160.000 abitazioni, grazie ai suoi 9 milioni di pannelli fotovoltaici, che coprono una superficie di oltre 25 km quadrati.  Nonostante si tratti di una delle forme di energia più pulite al mondo, le dimensioni della struttura hanno sollevato diverse polemiche fra gli ambientalisti e le amministrazioni locali, preoccupati delle conseguenze dell’opera su fauna e flora circostanti. Alla fine l’impresa ha potuto portare a termine i lavori solo impegnandosi a garantire la rigenerazione del suolo a proprio carico al termine dell’attività lavorativa della centrale, che non potrà superare i 35 anni.

(Foto: popularlogistics.com)

Fonte: ecodallecitta.it

A Cecina il primo impianto geotermico a biomasse del mondo

Il nuovo impianto della centrale di Castelnuovo di Cecina occuperà nel processo a filiera corta del reperimento delle risorse da 35 a 40 addetti.

Sorgerà a Castelnuovo Val di Cecina il primo impianto geotermico a biomasse del mondo. Enel Green Power ha avviato i lavori per la realizzazione, presso la centrale geotermica Cornia 2, di un impianto che impiegherà la biomassa per ottenere il vapore geotermico che alimenterà la centrale. Si tratta di un investimento di oltre 15 milioni di euro e i cui lavori si concluderanno entro l’estate prossima.

All’impianto geotermico esistente verrà affiancata una piccola centrale alimentata a biomasse vergini di origine forestale prodotte in un raggio di 70 km calcolato in linea d’aria dalla collocazione dell’impianto: grazie alla biomassa il vapore in ingresso alla centrale sarà surriscaldato per passare da una temperatura iniziale compresa tra i 150 e i 160 gradi a una di 370/380 gradi, cosicché aumenterà la potenza netta per la produzione di elettricità sia per la maggiore entalpia del vapore sia per il rendimento del ciclo legato alla minore umidità nella fase di produzione. Si tratta di un’innovazione tecnologica di grande valore perché è a impatto ambientale vicino allo zero e integra un insediamento industriale già esistente mantenendo la totale rinnovabilità della risorsa e del ciclo coniugando due fonti rinnovabili per una produzione che apre nuovi scenari a livello internazionale,

spiega in una nota Enel. La potenza aggiuntiva raggiungerà i 5 MW per un impianto che attualmente ha una potenza installata di 13 MW e che potrà incrementare la producibilità di circa 37 GWh/anno. L’operazione consentirà di risparmiare circa 17mila tonnellate di anidride carbonica, ma ci sarà una ricaduta positiva anche in campo occupazionale poiché, fra gestione diretta e indiretta, occuperà nel processo a filiera corta del reperimento delle risorse da 35 a 40 addetti. Una soluzione “ibrida” che potrebbe diventare un modello vincente da portare anche in altre regioni ricche di biomassa.

Fonte: Ansa
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