Uranio impoverito, il Tar dà ragione a soldato ammalatosi in missione

Il Tar Piemonte ha dato ragione a un soldato di 32 anni ammalatosi nel corso di una missione in Iraq. Il Tar Piemonte ha emesso una sentenza molto importante dando ragione a un giovane militare al quale era stata negata la causa di servizio dopo che questi si era ammalato di un grave tumore maligno al pancreas, al ritorno dalle missioni militari all’estero. Che cosa dice la sentenza del Tar piemontese? Innanzitutto che coloro che si ammalano durante le missioni all’estero hanno diritto al riconoscimento della causa di servizio se si ammalano di patologie correlate all’uranio impoverito. Inoltre, se il ministero della Difesa ritiene che non vi sia nesso tra la missione e la malattia è suo l’onere di dimostrarlo scientificamente nel corso della valutazione. Si tratta di una sentenza-chiave che disegna un nuovo scenario per le centinaia di soldati che, in prima istanza, si sono sempre visti respingere le domande di causa di servizio. La storia del soldato trentaduenne assomiglia a quella di tanti altri militari italiani: l’uomo era stato in Iraq per sette mesi, fra l’aprile e il novembre 2006. A Camp Mittica l’uomo partecipava alle attività di bonifica delle aree contaminate da uranio impoverito senza alcuna protezione individuale. Durante le esplosioni si rifugiava per ore in rifugi inadeguati a proteggere i militari dalla polveri. Fra il 20 luglio 2008 e il 18 febbraio 2009 il militare è stato in servizio nella squadra dei disinfettori tra Libano e Israele e, successivamente, come radiofonista a Beirut. Cinque anni dopo quelle missioni gli è stata diagnosticata una grave patologia tumorale, per la quale si trova tutt’oggi in chemioterapia. Come accaduto a molti altri militari, anche a questo soldato è stato negato il riconoscimento della dipendenza dalla causa di servizio. I giudici del Tar hanno imposto al ministero di rivalutare la sua richiesta:

Il parere impugnato che ha escluso il nesso eziologico fra la grave infermità e il servizio non fa alcun cenno a dati recenti e indagini sulla materia. Dati e risultati che hanno portato il legislatore a riconoscere l’esistenza del rischio specifico. Poiché è impossibile stabilire, sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, un nesso diretto di causa effetto, è sufficiente la dimostrazione, in termini probabilistico-statistici del collegamento tra l’esposizione all’uranio impoverito e la malattia,

si legge nella sentenza. Sono i numeri, insomma, e la ricorrenza dei tumori fra coloro che hanno operato nella varie missioni all’estero a rendere plausibile quel rapporto di causalità che il ministero della Difesa continua a negare per non dover risarcire le migliaia di militari contaminati negli ultimi venticinque anni.Depleted Uranium Ammunition Site in Kosovo

Fonte:  Repubblica

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Sardegna parte civile nel processo per i veleni di Salto di Quirra

La proposta è stata fatta dallo stesso governatore regionale Francesco Pigliaru.


Venerdì 12 settembre la Giunta regionale della Sardegna, con una delibera proposta dallo stesso governatore Francesco Pigliaru, ha deciso di costituirsi parte civile nel processo per il disastro ambientale causato dall’attività del Poligono Interforze Salto di Quirra.

Secondo il presidente regionale

si tratta di un’azione dovuta, la Regione ha il dovere di garantire e vigilare sulla tutela della salute e dell’ambiente, diritti sanciti dalla Carta Costituzionale e almeno di pari livello rispetto a quelli della Difesa nazionale. La nostra posizione è quella di stare dalla parte della Sardegna, accanto ai cittadini e ai sindaci dei territori coinvolti. Lo faremo anche per quanto riguarda Santo Stefano che, sia ben chiaro, è una vecchia servitù scaduta. Allo stato delle cose non abbiamo ricevuto alcun decreto dal Ministero della Difesa, se lo riceveremo faremo partire subito un ricorso al Presidente del Consiglio dei Ministri, affiancando il sindaco di La Maddalena nelle azioni legali che vorrà intraprendere nelle sedi preposte.

La presidenza della Regione ha indirizzato una nota al Consiglio dei Ministri per ribadire la necessità di interrompere le esercitazioni nella stagione turistica: i test effettuati a Salto di Quirra, oltre ad avere un impatto devastante per la popolazione umana e animale residente nelle vicinanze, creano gravi limitazioni socio-economiche e rischi di incendio nei territori coinvolti. La magistratura indaga da anni sul Poligono Interforze di Salto di Quirra, sui casi di capi di bestiame deformi e sull’elevato numero di leucemie e linfomi di Hodgkin riscontrati fra i militari operativi nella base e fra i pastori che portavano greggi e mandrie nei pascoli adiacenti alla base.A row of US Army  25mm rounds of deplete

Fonte:  L’Unione Sarda

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Isola di Budelli, il Parco della Maddalena esercita la prelazione ma rischia di prendersi le armi chimiche della Siria

Dopo l’appello del magnate Harte per non perdere la possibilità di sfruttare privatamente l’Isola di Budelli, ecco che il Parco della Maddalena esercita il diritto di prelazione ma il Ministero per la Difesa pensa di stoccare a S.Stefano le armi chimiche della Siriaisola-di-budelli1-620x350

Scade oggi il termine per far tornare l’Isola di Budelli allo Stato e il Parco della Maddalena ha esercitato il suo diritto di prelazione depositando gli atti presso il tribunale di Tempio Pausania. La copertura economica per gestire l’intera operazione di rientro e pari a 3 milioni di euro circa è stata finanziata attraverso un emendamento alla Legge di Stabilità approvato a fine dicembre al Senato. Giuseppe Bonanno presidente del Parco ha detto:

Un particolare ringraziamento va ai quasi 85 mila sottoscrittori della raccolta firme lanciata sulla piattaforma Change.org dalla Fondazione Univerde, con in prima linea l’ex Ministro dell’Ambiente, Alfonso Pecorario Scanio, che si è attivato immediatamente per questa battaglia di civiltà e di principio. Un doveroso ringraziamento, inoltre, ai due primi firmatari dell’emendamento, i Senatori Loredana De Petris e Luciano Uras, e a tutta la Commissione Bilancio del Senato, che all’unanimità, e quindi in modo assolutamente trasversale, ha raccolto le istanze e le sollecitazioni provenienti da un’opinione pubblica fortemente motivata e interessata alla risoluzione della vicenda Budelli.

In effetti l’ex ministro Pecorario Scanio si è battuto come un leone attraverso la piattaforma per le petizioni on line Change.org e il suo appello è stato accolto da circa 100 mila sottoscrittori:

Questo è un successo per l’ambiente ma anche per la dignità nazionale di un’Italia che deve puntare sulle proprie eccellenze anche naturali .Ora mi aspetto che si superino le polemiche e si lavori ,con grande collaborazione istituzionale e civile ,a sostenere il Parco Nazionale negli ulteriori adempimenti e nella migliore tutela e valorizzazione di questa isola unica. Spero inoltre che questa sia un’occasione per richiamare l’attenzione sull’arcipelago della Maddalena che è stato truffato con gli scandali del mancato G8 e necessità di risorse adeguate per le bonifiche e un rilancio turistico sostenibile non certo ,come si teme proprio in questi giorni di vedersi destinate le armi chimiche siriane da smaltire dopo i decenni di servitù militari.

Ma La Maddalena però non sembra trovare pace poiché recenti voci sembrano insistere sulla possibilità che il Ministero della Difesa usi i bunker dell’Isola Santo Stefano per tenere in deposito 700 tonnellate di armi chimiche siriane per almeno due settimane. In pratica l’Italia si presterebbe a far effettuare il passaggio di 150 container contenenti armi chimiche siriane dalla nave militare che attualmente le trasporta e partita da Cirpo alla volta dell’Italia, alla “Cape Ray” cargo militare Usa che sarà nel Mediterraneo tra almeno due settimane e che porterà le armi in alto mare per distruggerle.

Il Presidente del Parco Giuseppe Bonanno si è affrettato a scrivere sia al ministro della Difesa sia al ministro degli Esteri lo scorso 31 dicembre per avere chiarimenti, ma nessuna risposta è stata ancora consegnata.

Fonte: ecoblog

Uranio impoverito, il business segreto della regina Elisabetta

La Casa Reale britannica, incurante dell’impatto ambientale, avrebbe investito nell’uranio circa 4 miliardi di sterline. Una rivelazione shock sull’intreccio fra Buckingham Palace e società produttrici di armi 174296391-586x393

La notizia, se confermata, è destinata a fare parecchio rumore. Secondo il gruppo pacifista Stop the War Coalition, la regina Elisabetta II, una delle donne più ricche e potenti del pianeta, avrebbe fatto affari con l’uranio impoverito, portando ingenti guadagni nelle casse di Buckingham Palace. Nel video, pubblicato su Youtube, gli attivisti raccontano di come, in sessant’anni, il capitale della Casa Reale Britannica sia cresciuto da 300 milioni di sterline a 17 miliardi di sterline. Come? Con investimenti nell’industria petrolifera nazionale (BP) e nelle aziende che producono armi che utilizzano l’uranio impoverito, come la Rio Tinto Zinc. Il video cita l’esperto Jay M. Gould che nel 1996 pubblico The Enemy Within, libro nel quale rivelava come la casa reale britannica, ma soprattutto la regina in prima persona, avesse investito una cifra di circa 4 miliardi di sterline nell’uranio attraverso la Rio Tinto Zinc, la compagnia mineraria fondata nel 1950 (con il nome Rio Tinto Mines) daRonald Walter Rowland, per volontà della casa reale britannica. Nel video si sostiene che la Regina e gli altri reali abbiano investito nell’uranio impoverito, senza farsi troppi scrupoli sulle conseguenze sanitarie e ambientali delle loro speculazioni. Le armi all’uranio impoverito sono state utilizzate dai militari degli Stati Uniti durante la prima Guerra del Golfocontro l’Iraq, nel 1991. Da allora sono diventate di uso comune in numerosi conflitti, fra cui quelli in Afghanistan, nei Balcani e, nuovamente, in Iraq. Secondo il Ministero della Difesa degli Stati Uniti solamente in quel conflitto furono utilizzate fra le 315 e le 350 tonnellate di uranio impoverito in bombe, granate e proiettili. Secondo Doug Rocchi, che fu responsabile del Pentagono per i progetti sull’uranio impoverito, la decontaminazione dell’ambiente dove è stato utilizzato uranio impoverito è impossibile. A ventidue anni dal primo conflitto ea quasi dieci anni dalla “guerra preventiva”, in Iraq continua a crescere il numero di malformazioni, leucemie e patologie genetiche attribuibili all’utilizzo di uranio impoverito. I problemi del Medio Oriente, però, sono distanti dagli affari della casa reale, quegli affari che nascondono parecchie zone d’ombra che la stampa mainstream bada bene a tenere sotto silenzio, interessandosi piuttosto ai cappellini delle principesse e al nome del Royal Baby.

Fonte:  Stop The War Coalition

 

No definitivo della Provincia a un impianto fotovoltaico da 72 ettari nella riserva della Vauda

La Provincia ha bocciato in via definitiva il progetto del ministero della Difesa di costruire un impianto fotovoltaico da 80 milioni di euro e 72 ettari ai bordi della riserva naturale della Vauda, tra i Comuni di Lombardore, San Francesco al Campo e San Carlo Canavese. Un No al consumo di suolo libero sostenuto anche dai cittadini e dalla società civile375845

No a un mega impianto fotovoltaico nella riserva naturale della Vauda, nel canavese. A opporre il secco e definitivo rifiuto al progetto del ministero della Difesa di occupare 72 ettari di suolo libero, per di più ai bordi di un parco come quello della Vauda, è la Provincia, a cui spetta la procedura di Valutazione di impatto ambientale (Via) su progetti regionali e nazionali, che ha formalizzato il proprio parere negativo. Le ragioni: il progetto sarebbe in contrasto con le linee guida regionali, con il Piano provinciale territoriale di coordinamento e con la giurisprudenza nazionale in materia. «Grandi impianti fotovoltaici sono possibili – spiega l’assessore provinciale all’Ambiente, Roberto Ronco, sollecitando un intervento legislativo del Governo di revisione della normativa sulle energie rinnovabili –, e noi non siamo contrari alla loro installazione sul nostro territorio: il problema resta valutare attentamente la loro collocazione. Anziché a una riserva naturale il ministero della Difesa poteva pensare ad aree dismesse, caserme, insomma tutti quei luoghi che non comportano consumo di suolo libero». Il progetto, che vale 80 milioni di euro, prevede la concessione dell’uso dei terreni alla Belectric Spa, che ha vinto la gara d’appalto. Una superficie pari a 112 campi di calcio all’interno dell’area della riserva che interessa i Comuni di Lombardore, San Francesco al Campo e San Carlo Canavese, favorevoli invece all’impianto. Una decisione a cui la Provincia ha cercato di opporsi già nei mesi scorsi e che aveva portato il presidente Saitta a scrivere a marzo all’allora ministro della Difesa e ai titolari dell’Ambiente e delle Politiche Agricole e Forestali. Dopo il Niet di due anni fa alla proposta dell’Ikea di aprire un nuovo punto vendite a La Loggia su un’area a vocazione agricola, la Provincia si è messa di nuovo di traverso a un progetto che porterebbe, sì, fondi nelle sempre più esangui casse pubbliche, ma a dispetto della difesa ambientale. Non è un caso che la posizione della Provincia sia sostenuta da un ampio consenso della società civile: sono state oltre due mila le mail di protesta dei cittadini contro il progetto di costruzione dell’impianto ricevute dall’ente. Nonché, si sono schierati apertamente contro la scelta del ministero della Difesa anche Slow Food, Don Luigi Ciotti, Luca Mercalli, Salvatore Settis e Padre Alex Zanotelli. «Abbiamo sollecitato più volte il Governo – spiega Saitta –, senza mai ottenere risposta. Capisco l’imbarazzo, ma questa insensibilità è un fatto grave: c’è bisogno che vengano ripensate le normative nazionali, in modo che gli enti locali non vengano lasciati soli a difendere il loro territorio. Anche per questo un eventuale ricorso della Beletric mi sembrerebbe assurdo: sarebbe come se fosse lo Stato stesso a impugnare la nostra decisione».

Fonte: eco dalle città

Provincia di Torino contro Ministero della Difesa: “Inaccettabile consumare 70 ettari di suolo libero per il mega impianto fotovoltaico”

Il presidente della Provincia Antonio Saitta boccia il progetto del Ministero che vuole realizzare un parco fotovoltaico di 70 ettari su terreno demaniale tra Lombardore e San Francesco al Campo: “Usino i tetti delle caserme”. E annuncia: “Scriverò al ministro Clini per capire se ne sia informato e cosa ne pensi come tecnico dell’ambiente”

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“Comprendo le necessità del Ministero della Difesa di valorizzare e far rendere al massimo le sue proprietà in tutta Italia, ma pretendere di realizzare un grandissimo parco fotovoltaico consumando 70 ettari di terreno libero tra Lombardore e San Francesco al Campo ai bordi del parco della Vauda è inaccettabile. Mi chiedo e chiederò formalmente al Demanio perché non coprono di pannelli fotovoltaici i tetti delle centinaia e centinaia di caserme invece di occupare suolo libero. Sono fermamente contrario a questa operazione che devasta una delle ultime zone naturali libere del territorio”: lo dice il presidente della Provincia di Torino Antonio Saitta che questa mattina ha esaminato il progetto durante la seduta della Giunta. L’iter della vicenda, sintetizzato dall’assessore provinciale all’Ambiente Roberto Ronco, comincia mesi fa quando il Demanio mette a gara in tutta Italia lotti di sua proprietà ed affida ad imprenditori privati la realizzazione di impianti fotovoltaici. Nel territorio della provincia torinese individua 70 ettari del poligono di Lombardore, prima in zona SIC (sito di interesse comunitario), poi dopo i primi pareri contrari in una zona limitrofa, ai confini tra il territorio di Lombardore e San Francesco al Campo, “vicino alle case, dove c’è un’ampia fruizione a piedi, a cavallo, in bici” spiega l’assessore Ronco preoccupato perché dice “la Provincia è favorevole all’energia pulita, ma non sfruttando terreni liberi”. Saitta non ha dubbi: “è gravissimo -dice- che sia lo Stato attraverso il Demanio militare a monetizzare 70 ettari di suolo ancora libero con un’operazione commerciale che se pur legittima condiziona l’ambiente in modo così pesante. Scriverò anche al ministro Clini per capire se ne sia informato e cosa ne pensi come tecnico dell’ambiente”. Conclude Saitta: “gli abitanti della zona si stanno mobilitando e fanno molto bene: la Provincia di Torino è politicamente contraria a questa operazione, che si può fare con altre modalità su tetti di caserme e capannoni militari; non vogliamo assumere il ruolo di passacarte tra il Ministero della Difesa e la Regione Piemonte, ci faremo sentire”.

Fonte: eco dalle città