Bill Gates promette 2 miliardi di dollari di investimento nelle rinnovabili

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A maggio The Guardian aveva lanciato un appello per chiamare Bill Gates, il miliardario e filantropo, fondatore di Microsoft, a un impegno forte per l’ambiente. Ora Gates si muove con decisione a sostegno delle energie rinnovabili e negli scorsi giorni ha annunciato di voler investire 2 miliardi di dollari in tecnologie volte ad accelerare lo sviluppo dell’energia da fonti pulite e la riduzione delle emissioni di gas serra. In un’intervista rilasciata all’autorevole magazine The Atlantic, Gates ha spiegato che, visto lo stallo della politica, le iniziative volte a contrastare i cambiamenti climatici devono venire da investimenti privati. Gates chiede di superare la politica obamiana che vuole passare gradualmente dal petrolio e dal carbone al gas naturale: quello che è necessario è abbandonare le fonti fossili. Gates sostiene che tutti coloro che hanno immense disponibilità finanziaria dovrebbero dedicarne una parte per sostenere le start-up che lavorano per la ricerca e lo sviluppo di sistemi di produzione e distribuzione dell’energia da fonti pulite. Laddove gli Stati e i Governi non possono più arrivare per carenze di cassa, deve intervenire il settore privato. “Abbiamo bisogno di un’innovazione che ci dia energia più economica degli idrocarburi, a zero emissioni e affidabile quanto il sistema energetico odierno. Abbiamo bisogno di un miracolo energetico. Può sembrare scoraggiante, ma nella scienza i miracoli avvengono di continuo”, spiega Gates. E se i privati dovranno fare la loro parte, i Governi non potranno esimersi dalle tasse sulle emissioni: “Senza una carbon tax considerevole, non ci sarà l’incentivo a passare alle energie pulite”. Il traguardo? Arrivare a un 2050 in cui Stati Uniti e Cina, i grandi inquinatori del Pianeta, raggiungeranno le emissioni zero, smettendo di aggiungere CO2 all’aria.

Fonte:  The Atlantic

 

Siamo persone o consumatori?

Sono centinaia di miliardi gli euro investiti in pubblicità, mentre gran parte del mondo al di fuori delle nostre società si dibatte fra sofferenza, fame e miseria. “Consuma! Consuma finchè puoi!” è il messaggio sarcastico lanciato dal video “The Good Consumer”, di cui Il Cambiamento, in collaborazione con il blog LLHT, mette a disposizione la versione con i sottotitoli in italiano.470

Gli oggetti sono in sella e cavalcano l’umanità (R. W. Emerson)

Consumare, consumare sempre ad ogni ora del giorno e della notte, un continuo e martellante messaggio. Non siamo più persone, siamo solo consumatori nella mani dei pubblicitari, degli industriali, dei politici che ci dicono che se non consumiamo il paese va allo sfascio, la crisi si aggrava, ci saranno disoccupati e disperazione. Quindi dobbiamo consumare e qualsiasi gesto, pensiero e parola deve avere l’acquisto come obiettivo, come se fosse ossigeno indispensabile per vivere. Centinaia di miliardi di euro investiti in pubblicità mentre gran parte del mondo al di fuori delle nostre società vetrina si dibatte fra sofferenza, fame e miseria. Una imponente macchina per fabbricare illusioni ci induce a comprare di tutto e soprattutto quello che non ci serve, che andrà buttato, che dopo un po’ non ricorderemo nemmeno di avere, abbandonato in qualche cassetto o in qualche soffitta di case strapiene di oggetti. Presi da una spirale dove la parola fine non esiste,  tramandiamo questa nefasta tradizione ai nostri figli pensando così di non farli sentire inadeguati rispetto agli altri, senza riflettere che li stiamo facendo semplicemente diventare dei tossicodipendenti da consumo e a loro volta passeranno la vita a comprare, magari indebitandosi e pensando che senza il consumo non sono nulla. Mostreranno la loro auto o l’ultimo modello di  smartphone alle persone che vorranno impressionare e che ovviamente li considereranno per quello che hanno e non per quello che sono.  Si stupiranno se verranno abbandonati per chi ha più di loro. Da anziani verranno lasciati nelle mani di una badante perché se tutto si compra, meglio pagare una persona estranea che regalare affetto e vicinanza gratuita, aspetti questi che tra l’altro non fanno nemmeno crescere il PIL.
Ma che senso ha tutto ciò? C’è un limite, una fine a questa folle corsa verso il consumo della propria esistenza imprigionata da oggetti da comprare? Il consumismo è una droga e come tale va trattata, tossica e nociva che annebbia la mente e indebolisce il corpo. Chi continua a dire che dobbiamo consumere, va considerato come uno spacciatore di illusioni a caro prezzo e di indebitamento.  Della droga del consumo meno se ne fa uso e meglio si sta. Meno consumo, meno bisogno di soldi, meno bisogno di soldi e meno bisogno di lavoro, meno bisogno di lavoro e più tempo per le relazioni, più ricchezza umana e spirituale. In altre parole meno consumo e più vita.

Fonte: ilcambiamento.it

Dissesto idrogeologico: 7 miliardi in 7 anni per la manutenzione del territorio

Il Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti promette lo stanziamento di 7 miliardi di euro nei prossimi sette anni.

Allunga i tempi di una promessa e a mantenerla dovrà essere, molto probabilmente, qualcun altro. La tecnica molto attuale e, soprattutto, molto renziana è quello di rimandare e dilazionare nel tempo le urgenze e di rendere urgenti le grandi opere che urgenti e necessarie non lo sono. Un paradosso avallato dai Governi bipartisan dell’ultimo decennio, se non nelle azioni quantomeno nelle intenzioni. A erogare l’ultima promessa del Governo Renzi è Gian Luca Galletti, titolare del dicastero dell’Ambiente che ha annunciato lo stop ai condoni edilizi, veri e propri “tentati omicidi alla tutela del territorio” e un piano da 7 miliardi di euro in sette anni per le opere necessarie alla messa in sicurezza del territorio. Il dissesto idrogeologico materia per sua natura politica è sempre stata relegata nei recinti dell’associazionismo e dell’ambientalismo, come se le istanze di chi voleva tutelare il paesaggio fossero mere speculazioni di animi contemplativi. Eppure adesso la frittata viene abilmente rigirata dalla politica principale (se non unica) responsabile dei disastri degli ultimi giorni: sono necessari gli Stati generali del dissesto idrogeologico, una pianificazione della sicurezza che, secondo il capo della struttura #ItaliasicuraErasmo D’Angelis, andrebbe pianificata 365 giorni l’anno e dovrebbe far sì che “tutti si assumano le responsabilità, cittadini compresi”. Secondo il sottosegretario Delrio il piano è affidabile, integrato ed efficiente e consentirà di non piangere più vittime. Stop all’abusivismo e pugno di ferro contro chi inquina e non tutela il territorio. In tutto il piano prevede 9 miliardi di euro: ai 5 dei fondi di sviluppo e coesione si sommano i 2 del co-finanziamento delle regioni e dei fondi europei a disposizione delle regioni stesse. Poi ci sono i 2 recuperati dai fondi a disposizione per le opere di messa in sicurezza e non spesi fino a oggi. Entro la fine del 2014 verranno aperti 654 cantieri e altri 659 apriranno nei primi mesi del 2015, per una spesa, rispettivamente, di 807 e 659 milioni. Il tutto in un contesto di emergenza quotidiana frutto di un attendismo che continuerà a mietere vittime anche nel caso il sistema dovesse mettersi in moto con efficienza.img_41985-586x439

Fonte:  La Stampa

© Foto Getty Images

Piove governo ladro

Se non ci fosse da piangere, ci si potrebbe anche fare una risata alla battuta ormai trita ma sempre attuale: piove governo ladro. Piove, non c’è dubbio alcuno: alla prima pioggia autunnale mezza nazione affoga, le scuole vengono chiuse in diverse regioni…piove_governo_ladro

Il resoconto è un bollettino di guerra urbana: Carrara sott’acqua, acqua alta a Venezia, Roma in allerta con scuole chiuse, Liguria in regime di terrore con le ferite ancora aperte dell’alluvione di qualche settimana fa, fiumi dovunque ai livelli limiti o già esondati, eccetera eccetera. Ma il governo ladro cos’ha a che fare con tutto ciò? «L’Italia sprofonda, manca la gestione del territorio» dicevano i geologi nel dicembre 2013 quando le alluvioni devastarono Abruzzo, Sardegna, Marche e Basilicata. Le Regioni avevano stimato in 40 miliardi le risorse necessarie per mettere in sicurezza i territori, il governo aveva stanziato 180 milioni…non è un refuso, è proprio così. E l’attuale decreto Sblocca Italia ha stanziato altri fondi insufficienti (il ministro parla di poco più di 2 miliardi che verranno sbloccati [sbloccati badate bene, non destinati ex novo: vuol dire che c’erano già ma non sono stati spesi per quello a cui dovevano servire], c’è chi annuncia cifre superiori, ma sempre lontanissime da quanto servirebbe), prevedendo tra l’altro che i lavori urgenti siano svolti senza gara pubblica; ciò permetterebbe da una parte di accelerare i cantieri e dall’altra presta evidentemente il fianco al rischio di infiltrazioni mafiose (che già peraltro sono massicciamente presenti anche con le gare pubbliche) e al rischio che la gestione dell’emergenza e della messa in sicurezza si costruisca sopra un sistema di deroghe ed eccezioni da schizofrenia. A Genova dovrebbero andare 100 milioni, peccato che solo la scorsa alluvione abbia generato danni per 300 milioni. In “compenso”, nello Sblocca Italia sono inserite anche tutte le norme che daranno il via libera al moltiplicarsi degli inceneritori e delle trivelle e alla privatizzazione dell’acqua. Come dire…se volete i soldi per i lavori delle emergenze, dovete cuccarvi anche tutto il resto! A un prezzo per nulla vantaggioso, dal momento che l’attuale governo annuncia tagli di tasse ma di fatto le aumenta. Ha fatto i conti Giacomo Zucco, blogger de Il Fatto Quotidiano: «Guardando l’insieme della slide (di Renzi, nda) e considerando come valide tutte le ipotesi più ingenuamente ottimistiche, abbiamo: 17,5 miliardi di tagli di tasse e 19,4 miliardi di aumenti di tasse, attuali o future (come minimo 2 miliardi di tasse in più);15 miliardi di tagli di spesa e 18,5 miliardi di aumenti di spesa(come minimo 3,5 miliardi di spesa in più)».

Piove, governo ladro!

Fonte: ilcambiamento.it

Spreco alimentare domestico: 8,1 miliardi all’anno in Italia, secondo Waste Watcher

Presentato a Milano il Rapporto 2014 di Waste Watcher/Knowledge for Expo, l’Osservatorio su alimentazione, agricoltura, ambiente e sostenibilità. 8,1 miliardi di euro il costo annuo in Italia dello spreco di cibo domestico, ma c’è un leggero miglioramento rispetto al 2013 e aumenta quelli che controllano se il cibo scaduto è ancora buono. I dati completi della ricerca379720

8,1 miliardi di euro: è il valore dello spreco alimentare domestico annuo degli italiani, secondo il Rapporto 2014 Waste Watcher – Knowledge for Expo, presentato oggi lunedì 7 luglio all’EXPO Gate di Milano, dal presidente di Last Minute Market Andrea Segrè e dal presidente dell’istituto di ricerca Swg, Maurizio Pessato,. Sono intervenuti anche il Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Maurizio Martina. Alleghiamo i dati principali della ricerca, condotta dall’istituto SWG, su un panel rappresentativo di 1500 famiglie italiane. La cifra equivale ad una media settimanale di 6,5 euro per famiglia italiana, per 630 grammi di cibo buttato. Un dato che può sbalordire, ma è comunque in leggero calo rispetto a meno di un anno fa, quando era 8,7 miliardi di euro, il valore dello spreco alimentare domestico, secondo il monitoraggio pilota di Waste Watcher dell’ottobre 2013.  Il Rapporto 2014 indica altre tendenze positive, come il 63% degli italiani che chiedo al proprio Paese di “non sprecare”, prima ancora di altri valori come la sicurezza, l’equità e la tolleranza. L’81% degli italiani controlla se il cibo scaduto è ancora buono prima di gettarlo (era il 63% solo pochi mesi fa, nel gennaio 2014) e se solo al 30% degli intervistati capita di portare a casa il cibo avanzato al ristorante, c’è un 46% che vorrebbe farlo, ma non trova i contenitori al ristorante o è troppo timido per chiederli.
Coerentemente, in un’ottica di riduzione dello spreco ma anche di svolta culturale sulle tematiche ambientali connesse, gli italiani chiedono provvedimenti. In particolare auspicano (8,3 in scala da 1 a 10) una vera e propria campagna di educazione alimentare nelle scuole, oltre ad informazioni diffuse sul tema spreco (le considera utili il 94% degli italiani), a partire dai danni che lo spreco di cibo provoca anche rispetto all’ambiente. Le etichette giocano un ruolo chiave: gli intervistati sollecitano un sistema chiaro per le modalità di consumo. Il 90% afferma di leggerle sistematicamente per verificare la scadenza dei prodotti e l’83% dichiara di conoscere la differenza tra “data di scadenza” (within) e “preferenza di consumo” (best before). Ma solo il 67% di chi ritiene di saperlo (54% del totale del campione) ha dimostrato di conoscere realmente il significato.  Il Rapporto 2014 sullo Spreco Domestico è la prima rilevazione dell’Osservatorio Waste Watcher – Knowledge for Expo, dedicato ai temi dell’alimentazione, dell’agricoltura, dell’ambiente e della sostenibilità, attivato da Last Minute Market con Swg per svolgere studi e ricerche sui temi caratterizzanti l’Esposizione Universale, e al tempo stesso per favorire attraverso l’evento che si terrà l’anno prossimo l’elaborazione di smart policies sulle questioni centrali del nostro tempo legate al cibo. Sono sei i cluster individuati con il Rapporto 2014: sei tipologie di consumatori che compongono il quadro complessivo dell’opinione pubblica, segmentando l’universo dei nuclei familiari, e dividendo gli italiani in due macro aree di “attenti allo spreco alimentare” (59%) e non (41%):

virtuosi (22%): questo gruppo raccoglie la parte più sensibilizzata al tema dello spreco alimentare; lo inquadra sia come una immoralità, sia come un danno ambientale. Con queste motivazioni forti alle spalle riesce a sprecare veramente pochissimo.
attenti (27%): il loro atteggiamento è attento allo spreco ma con qualche licenza. Anche questo gruppo è caratterizzato sia dalla sensibilità ai temi ambientali che dalla valutazione morale sullo spreco; ma con un’intensità leggermente minore. La differenza sostanziale è che in questo cluster vi sono più coppie con figli. Sprecano poco.
indifferenti (10%): quelli che formano questo gruppo non hanno che una marginale attenzione ai temi della salvaguardia dell’ambiente e non ritengono che lo spreco alimentare produca dei danni. Nonostante questa condizione queste famiglie sprecano relativamente poco, meno della media delle famiglie italiane. La causa del loro comportamento corretto è di origine economica; è un gruppo che ha dei redditi limitati ed è il contenimento della spesa a motivarli nel non sprecare. Sprecano sotto la media nazionale ma più dei gruppi precedenti.

incoerenti (26%): accade spesso, nella società, che “si predichi bene e si razzoli male”. Questo gruppo si muove proprio così: segnala l’importanza dell’ambiente, percepisce il danno dello spreco e la sua immoralità, condivide i provvedimenti utili alla riduzione di questo fenomeno; però spreca.

spreconi (4%): si tratta di un piccolo cluster ma è significativo di un atteggiamento sociale, relativo non solo a questo tema; “io non ho responsabilità”, è la società che deve pensarci. Questo gruppo ha scarso interesse per l’ambiente e non ritiene che vi siano conseguenze più generali dovute allo spreco; per di più avendo anche una media capacità economica non vive neanche questo deterrente rispetto allo spreco alimentare domestico.

incuranti (11%): questo gruppo mostra di cogliere la problematicità dello spreco, ma come tema a se stante; non si scalda troppo per l’ambiente e, soprattutto, non ha interesse ad approfondire le conseguenze e le interdipendenze dello spreco alimentare.

I risultati completi e dettagliati sono a disposizione sul sito www.lastminutemarket.it

Spreco alimentare domestico: i dati principali del Rapporto 2014 Waste Watcher [0,50 MB]

Fonte: ecodallecittà.it

Come nasce una galassia: nel video in timelapse della NASA in 46 secondi la storia di 13 miliardi di anni

Come nasce una galassia? il video in timelapse della NASA racchiude 13 miliardi di anni in 46 secondi

Certe volte così presi dalla vita che viviamo sul Pianeta dimentichiamo come nello Spazio vi siano accadimenti ben più interessanti e per noi misteriosi. In effetti la NASA con questo video in timelapse in cui racchiude in appena 46 secondi ciò che è accaduto in 13 miliardi e 7 milioni di anni ci propone la verità: la nostra vita è davvero breve se paragonata alle grandi misure del tempo che ci sono nell’Universo. Una curiosità rispetto alla simulazione proposta dalla NASA, la forma a cuore ottenuta dopo una veloce (si fa per dire) collisione.galassia-1

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Noi con il nostro Pianeta, la Terra, abitiamo in una galassia, la Via Lattea in uno dei bracci, attorniati da circa 300 miliardi di stelle, più o meno. Ha 13,2 miliardi di anni e il video in alto ci propone una simulazione simile alla nascita della nostra galassia. Tutte le galassie sono insiemi di stelle, gas, polvere e materia oscura tenuti insieme dalla forza di gravità. Il loro aspetto e la composizione sono modellati nel corso di miliardi di anni di interazione con gruppi di stelle e di altre galassie. Utilizzando dei supercomputer, gli scienziati possono guardare indietro nel tempo e simulare come una galassia potrebbe essersi formata nell’universo primordiale e cresciuta e sviluppata in quello che vediamo oggi. Le galassie si pensa che nascano come piccole nuvole di stelle e di polvere che turbinano nello spazio. Poi a mano a mano le nuvole si avvicinano e la gravità invia il suo lavoro facendole anche scontrare. Queste collisioni generano oggetti sempre più grandi e il materiale per via della rotazione inizia a collocarsi verso la periferia della una galassia creando ampi bracci a spirale pieni di colonie di stelle.

Fonte:  NASA
Credits | NASA’s Goddard Space Flight Center; Video and images courtesy of NASA/GSFC/National Center for Supercomputing/Advanced Visualization Laboratoy/B. O’Shea and M. Norman

Le lobbies del petrolio in affanno: costi spaziali, risultati minimi

Le tre principali multinazionali “fossili” nel 2013 hanno speso l’equivalente del programma lunare della NASA con aumenti di produzione minimi. E’ l’ennesima conferma della validità della teoria di Hubbert: il petrolio facile è finito, quello rimasto è sempre più costoso e sarebbe meglio lasciarlo dov’è per investire nelle rinnovabili

Nel 2013 le tre più importanti multinazionali del petrolio, Exxon,Shell e Chevron hanno speso qualcosa come 120 miliardi di dollari per cercare di aumentare la produzione di greggio, quasi come l’intero programma spaziale Apollo(1) Lo dice una fonte non certo sospettabile di partigianeria qual è il breviario dei businessmen, cioè il Wall Street Journal (se il link non apre l’articolo, si può leggere una sintesi qui). Invece di raggiungere 9 volte la Luna come ha fatto la NASA tra il 1968 e il 1972 (2), big oil ha ottenuto solo “little to show”, cioè briciole. A fronte di una spesa pari a 500 miliardi di dollari tra il 2009 e il 2013, la produzione è cresciuta solo del 6-10% per Exxon, ed è rimasta a valori insignificanti per Chevron e Shell (vedi grafici in basso, tratti sempre dal WSJ). Con 500 miliardi si sarebbero potuti ottenere risultati certi nelle rinnovabili, ad esempio si sarebbe potuta aumentare due volte e mezzo la potenza eolica mondiale (3) e questa energia sarebbe stata a disposizione già oggi. Purtroppo le lobbies del petrolio sono prigioniere della “maledizione della trivella”: devono continuare a cercare greggio da giacimenti sempre più piccoli, di peggiore qualità e situati in luoghi sempre più sperduti per rimanere competitive sul mercato. I costi crescono a dismisura rispetto ai risultati e alla lunga questa è una battaglia che non si può vincere. Il progetto di Kashagan, Mar Caspio, prevede ad esempio la costruzione di isole artificiali per le operazioni di estrazione (video in alto). I costi, preventivati da Shelled Exxon in 10 miliardi, sono lievitati ad oltre 40 miliardi e solo da qualche mese l’impianto a iniziato a produrre qualcosa. Una fettina di questi investimenti sono stati anche sostenuti da ENI. Eppure, anche se ci fossero davvero 2 miliardi di tonnellate di greggio e fosse possibile estrarle tutte, questo cosiddetto giacimento gigante basterebbe solo per sei mesi di consumi mondiali. Che senso ha sperperare tutte queste risorse per prolungare la vecchiaia del petrolio di mezzo anno?Costi-enormi-per-poche-gocce-di-petrolio

(1) Il programma lunare Apollo costò 25,4 miliardi di dollari del 1973, equivalenti a 133 miliardi di dollari del 2013.

(2) Le 9 missioni circumlunari sono Apollo 8, 10, 1112, 13, 14151617. Quelle in neretto corrispondono agli allunaggi

(3) A fine 2013 c’erano 318 GW di eolico e con 500 miliardi se ne sarebbero potuti installare altri 500.

Fonte: ecoblog

Fondi per l’ambiente 2014-2020, il ministro Trigilia: “Dall’Ue 10 miliardi”

Il Ministro per la Coesione Territoriale Carlo Trigilia in Commissione Ambiente alla Camera: “Il problema è più legato alla capacità di progettazione e di intervento che al reperimento di risorse”Carlo_Trigilia_Ministro-586x512

Audito presso la Commissione Ambiente della Camera il Ministro per la Coesione Territoriale Carlo Trigilia ha fatto il punto sui fondi europei e nazionali per l’ambiente previsti tra il 2014 ed il 2020: 9 miliardi di euro più 1, ha detto il ministro, specificando che questa è la proposta che il suo dicastero avanzerà all’Europa. I fondi europei saranno da destinare agli obiettivi a diretta finalità ambientale: energia, mobilità sostenibile, prevenzione dei rischi, servizi ambientali ed asset naturali. Non trascurabile sarà anche l’apporto del Fondo Sviluppo e Coesione (Fsc), il cui rifinanziamento per il periodo 2014-2020 è previsto nella Legge di Stabilità 2014 per un importo complessivo pari a 54 miliardi.

“Nel Fondo sono previsti circa 54 miliardi in 7 anni, all’interno dei quali devono trovare spazio la prevenzione del rischio, la bonifica, la depurazione: interventi che non sono compatibili con le regole Ue: il problema è più legato alla capacità di progettazione e di intervento che al reperimento di risorse.”

Il Ministro ha spiegato che il problema italiano non è tanto garantirsi i 10 miliardi dei Fondi strutturali europei per l’Ambiente: ha infatti messo in evidenza come il problema delle politiche ambientali sia maggiormente legato al mancato rispetto dei tempi ed alle carenze della progettazione, che rallentano o interrompono il processo di realizzazione degli interventi.

Trigilia ha spiegato di aver già sensibilizzato il titolare del Ministero dell’Ambiente, Andrea Orlando, affinchè si dispongano le opportune misure di sostegno all’Autorità di Gestione dei programmi. Secondo il Ministro saranno in ballo, nei prossimi 7 anni, oltre 100 miliardi: 30 miliardi dall’Ue per il 2014-2020, 30 miliardi di derivazione nazionale, e 54 miliardi del Fondo sviluppo e coesione.

“Per il ciclo di programmazione 2014-2020 sarà assicurato l’impegno dei fondi strutturali per il rafforzamento delle politiche ambientali. […] Occorrerà una selezione degli obiettivi, concentrandosi e limitando lo spettro degli interventi: l’idea è che ci debba essere una visione nazionale per poi scendere nel dettaglio con la Regione.”

Un esempio lampante è quello del petrolchimico di Priolo che, nonostante ingenti finanziamenti garantiti nel corso degli anni, versa in una condizione di degrado ambientale assoluto.

fonte:  Ministero per la Coesione Territoriale

 

Smog: 43 miliardi di euro l’anno imputabili all’inquinamento da mezzi pesanti

Lo smog presenta il conto: l’inquinamento prodotto da camion, furgoni, tir, autocarri ci costa tra i 43 e i 46 miliardi di euro l’anno in giorni di lavoro persi e spese sanitarie. Per l’Agenzia Europea per l’Ambiente l’unica via far pagare è i costi esterni dell’inquinamento atmosferico alle compagnie di trasporto, incentivandole a rinnovare il parco mezzi376034

Cento miliardi di euro l’anno, fra giorni di lavoro persi e assistenza sanitaria: è il conto presentato ogni anno dallo smog, secondo le stime dell’Agenzia Europea per l’Ambiente. Di questi cento, almeno 43 miliardi di euro vanno imputati all’inquinamento causato dai mezzi pesanti, che viaggiano su strada. Camion, furgoni, tir, autocarri, sono responsabili del 40-50% dell’inquinamento da ossido di azoto (NOx) proveniente dal trasporto stradale. E poco importa che il passaggio sia al di fuori dei confini urbani: l’inquinamento non conosce frontiere, figuriamoci la classificazione stradale. Ne avevamo parlato, un anno fa, con il Direttore del Settore Ambiente di Amat, Bruno Villavecchia, in un’intervista ancora attuale, di cui vi riproponiamo un passaggio: “La principale fonte di inquinamento atmosferico sono i trasporti, e pur costituendo una parte ridotta del parco veicolare, il trasporto merci, che funziona prevalentemente su gomma, fa la parte del leone. Ci vogliono azioni politiche mirate, giocate su larga scala, e l’adozione di quelle misure strutturali che lo stesso Ministro dell’Ambiente ha richiamato quest’estate, alla presentazione del Decreto sviluppo. La Francia, a due passi da noi guarda da lontano il calvario dello smog che affligge Nord Italia, eppure loro stanno implementando un sistema di regolamentazione del trasporto delle merci su scala nazionale. Si farà uso della tecnologia Rfid e GPS per il tracciamento dei veicoli sopra le 3,5 ton, e ci sarà un sistema di tariffazione che interesserà tutta la rete stradale francese, in base alle percorrenza e anche alle emissioni. Tutto questo facendo uso di tecnologia italiana… Questa regola varrà anche per il traffico transfrontaliero, quindi anche per i mezzi italiani che fanno consegne in Francia. E che dire della Direttiva europea conosciuta come “Eurovignette”? Viene adottata in mezza Europa, e sancisce il principio del “chi inquina paga” imponendo una tassa ai veicoli inquinanti, che si applica al pedaggio autostradale. E noi, che siamo il malato più grave d’Europa, ci permettiamo di avere ancora circa il 32% dei mezzi pesanti in categoria Euro 0?”. Il gasolio, utilizzato dalla maggior parte degli automezzi pesanti, provoca più inquinamento atmosferico per chilometro rispetto ad altri combustibili come la benzina. Non a caso, le emissioni di scarico provenienti dai motori a gasolio sono state recentemente etichettate come cancerogene dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro. E, come sempre accade quando parliamo di inquinanti atmosferici, bisogna tener conto del fatto che le conseguenze variano da un ambiente all’altro. Così come per l’Ilva si disse che se lo stabilimento fosse stato costruito nella pianura padana invece che a Taranto avremmo avuto una catastrofe senza precedenti, anche gli scarichi dei mezzi pesanti provocano più danni dove vi è una densità di popolazione maggiore o in regioni senza sbocchi sul mare e aree montuose in cui l’inquinamento non può essere disperso così facilmente. Ed ecco perché, avverte l’EEA, il costo dell’inquinamento atmosferico dovuto ad automezzi pesanti è fino a 16 volte maggiore in alcuni paesi europei rispetto ad altri. “Il costo medio dell’inquinamento proveniente da un autocarro Euro3 da 12-14 tonnellate è più alto in Svizzera e ammonta a quasi € 0,12 per chilometro. I costi sono elevati anche in Lussemburgo, in Germania, in Romania, in Italia e in Austria e ammontano a circa € 0,08/km. All’estremo opposto, lo stesso autocarro che viaggia a Cipro, Malta e in Finlandia provoca un danno di circa mezzo centesimo di euro per chilometro”.
Pedaggi mirati
Per questa ragione, la relazione dell’EEA lancia una proposta: far pagare pedaggi che tengano conto delle effettive conseguenze sulla salute dovute al traffico nei diversi paesi europei. in altre parole, i pedaggi dovrebbero essere più cari in alcuni paesi rispetto ad altri.
Il rinnovamento del parco mezzi conta
In ogni caso, finché il trasporto merci su gomma continuerà a giocare un ruolo così importante nel commercio internazionale, per l’Agenzia europea, l’unica via percorribile per limitare i danni è rinnovare il parco mezzi. “Gli autocarri più nuovi avrebbero un impatto minore e pertanto un costo inferiore. Gli autocarri Euro4, che sono vecchi fino a sei anni, o Euro5, vecchi fino a tre anni, provocherebbero il 40-60% di costi esterni in meno sugli stessi corridoi di trasporto. Far pagare alle compagnie di trasporto i costi esterni dell’inquinamento atmosferico incentiverebbe tecnologie più nuove e più pulite”. Nulla di nuovo dunque. Ora però, bisogna metterlo in atto.
Fonte: eco dalle città