Ripensare la mobilità di persone e merci

Perché ripensare la mobilità? La mobilità risponde a logiche di servizio o di profitto? Ce ne parla Gaetano La Legname, imprenditore nel settore del trasporto e logistica e coordinatore del progetto Fai meno strada.strada_macchine_notte

Perché ripensare la mobilità? La mobilità è una logica di servizio o di profitto? Ripensare la mobilità, è un pensiero ardito, può sembrare anche minaccioso per chi ha interessi pre-costituiti, ma perché ripensare la mobilità? E soprattutto, come? In periodo pre-elettorale, tutti i partiti ed i movimenti hanno elaborato scenari e programmazioni di lungo periodo più o meno complessi. Hanno chiesto il voto, pensando, qualcuno sinceramente, di poter offrire delle soluzioni alle esigenze di mobilità di cittadini e merci. In realtà la questione è molto complessa, molto di più di quello che può sembrare a persone poco esperte del settore. Continuando a farci domande, la mobilità è una logica di servizio o di profitto? È entrambe le cose? O nessuna delle due? Gli amministratori pubblici attuali non devono avere le idee molto chiare, basta pensare infatti che per il trasporto pubblico locale, che dovrebbe essere inserito in una logica di servizio si sta privatizzando a tutto spiano. Mentre per il trasporto di merci che è liberalizzato totalmente da diverso tempo, specialmente nella city logistics, la consegna urbana delle merci, si sta cercando di controllarla attraverso le istituzioni pubbliche. Non ci si capisce più nulla. Però una cosa è chiara. La mobilità produce sia costi che benefici esterni.gaet_lalegname

Gaetano La Legname, imprenditore nel settore del trasporto e logistica e coordinatore del progetto Fai meno strada. Facendo degli esempi i costi esterni sono tutti i costi che ricadono sulla collettività come ad esempio l’inquinamento e la congestione, per citarne solo 2; mentre i benefici esterni sono la possibilità di realizzare delle economie attraverso il valore aggiunto generato dal lavoro dei cittadini nei centri urbani e dalla possibilità di poter trovare i prodotti ed i servizi al posto giusto, al momento giusto, nella quantità giusta e al giusto prezzo per ogni singolo cittadino. Dobbiamo precisare che i costi sono sempre a carico della collettività, senza addentrarci troppo in nozioni tecniche, diamo per buono questo assunto; mente i benefici sono a disposizione di tutti eccetto per il valore aggiunto che è del privato. È il concetto classico della socializzazione delle perdite e della privatizzazione dei profitti. Le perdite significano indebitamento, il debito produce altro debito e nel lungo periodo si ha il crash del sistema. Il fatto che, con la spending review non ci siano più soldi per il trasporto pubblico locale, è solo l’effetto dell’indebitamento del lungo periodo. Fino a qualche anno fa, prima dell’avvento dei treni ad alta velocità, avete mai visto qualcuno insistere tanto per aprire un proprio trasporto ferroviario? No! Perché i treni, ma in generale il trasporto pubblico locale, inserito in un contesto di libero mercato, sono attività in perdita per via della complessità dell’infrastruttura. È fisiologico, non si può fare molto. Facciamo un esempio: qualche tempo fa tornando dal Piemonte prendo l’ultimo treno regionale per Milano a tarda sera. Sul treno ci saranno state si o no 30 persone, in circa 9 vetture, treno vuoto; con il costo del biglietto di ognuno non si coprivano nemmeno le spese del capotreno. Chi paga queste spese? Sempre noi, attraverso il gettito fiscale, infatti il trasporto pubblico locale si dice sussidiato; cioè a Milano (e in altre città italiane) il costo del biglietto di 1,5 Euro lo paga il cittadino, la differenza di altri 3 Euro li paga l’amministrazione pubblica al gestore locale, che li prende dai noi attraverso la tassazione.binario3

I treni sono attività in perdita per via della complessità dell’infrastruttura. Il cittadino non vuole che vengano soppressi i treni, anche se viaggiano vuoti, perché giustamente ribadisce il proprio diritto di mobilità. Però questo ha un costo e i cittadini non vogliono e non possono sostenerlo. A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. Secondo chi scrive il gestore, che comunque viene ripagato dei propri costi e incassa una valore aggiunto adeguato, ci marcia su questa situazione. Non a caso adesso che sono stati realizzati tagli consistenti, molte aziende si trovano in difficoltà tanto da fermare i propri mezzi. E allora qual è la soluzione? È difficile dirlo, a mio modesto parere è bisogna trovare l’equilibrio tra logica di profitto e di servizio. Tra i costi e i benefici esterni. E questo passa anche dai comportamenti virtuosi e dalla consapevolezza dei cittadini che non possono più far finta di nulla. È tutto qui? Non proprio, internet e la green-economy ci possono dare una grande mano, ma questo ve lo racconto nel prossimo articolo.

Fonte : il cambiamento

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Sibari come Pompei, intervenire prima che sia troppo tardi

Il 18 gennaio un’ondata di piena dovuta alla straripamento del fiume Crati, ha ricoperto l’area archeologica di Sibari, vicino Cosenza. Un immenso patrimonio storico giace sotto strati di fango e i danni, se non si interviene subito, potrebbero essere inestimabili.

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Migliaia di anni di storia ricoperti da una spessa coltre di fango. È quanto accaduto all’area archeologica di Sibari(Cosenza), perla della Calabria ionica e antichissimo crocevia di popoli e culture. Dopo lo straripamento del fiume Crati, duecentomila metri cubi di acqua e fango hanno inghiottito tutto, dal Parco del Cavallo alle fontane monumentali, fino ad un impianto termale del I secolo. Sul caso è stata aperta un’indagine per accertare eventuali responsabilità e parte dell’area è stata messa sotto sequestro. L’allarme era stato già lanciato nel 2010 dalla sovrintendenza regionale che a gran voce aveva richiesto la manutenzione dei canali di bonifica a causa dell’elevato rischio di inondazione. L’appello è rimasto inascoltato e l’ondata di piena è arrivata puntuale il 18 gennaio a ricoprire pezzi di storia di inestimabile valore. L’ennesimo disastro annunciato, spettacolo tristemente noto, frutto di mala gestione e noncuranza a cui, dopo Pompei, è difficile abituarsi. Un gruppo di intellettuali, su proposta del Quotidiano di Calabria, ha deciso di rivolgersi direttamente al Presidente della Repubblica, al nuovo governo e agli enti competenti per salvare uno dei patrimoni culturali più importanti d’Italia. Chiedono che vengano destinati fondi e mezzi straordinari per la ripulitura, la messa in sicurezza ed il ripristino dello scavo archeologico, perché, come si legge nell’appello, una volta pompata via l’acqua: “il problema più grave sarà l’enorme quantità di fango che rimarrà sulle strutture e sugli strati antichi e che dovrà essere rimossa immediatamente, prima che abbia il tempo di solidificarsi e rendere tutte le operazioni di verifica dei danni, scavo, pulizia e restauro molto difficili o, addirittura, impossibili”. Il 23 e il 24 marzo, il Fai ha aperto il Parco al pubblico in occasione della ventunesima Giornata di Primavera, “affinché tutti, calabresi e italiani, possano vedere i danni della stupidità e della disonestà umana”, come dichiarato dal vicepresidente del FAI, Marco Magnifico. Sul sito web del FAI è inoltre in corso una raccolta firme “ Anch’io per Sibari”. Lo scopo è quello di non far spegnere i riflettori sulla vicenda. Secondo il FAI infatti, le aree golenali, ossia le aree di sfogo di un’eventuale piena non sono ‘libere’ ma bensì occupate da piantagioni di aranceti e, per questo motivo, non possono svolgere il loro compito di contenimento delle acque esondate. Sottoscrivendo l’appello, si chiede il ritorno della legalità nelle aree golenali e demaniali dell’area archeologica di Sibari. Una battaglia che mira, dunque, a diventare da stimolo per costruire basi solide perché una simile tragedia non si ripeta.

Fonte: il cambiamento