Amianto: chiuso Palazzo Nuovo a Torino

Nonostante le bonifiche degli ultimi quindici anni un controllo dell’Asl ha constatato la persistenza dell’amianto nella struttura universitaria. Il rettore Gianmaria Ajani è indagato dalla Procura di Torino per omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro. Palazzo Nuovo è chiuso. La storica sede delle facoltà umanistiche torinesi chiude i battenti per dieci giorni, dalle 15 di quest’oggi alle ore 8 del 27 aprile. Niente lezioni, niente convegni, colloqui o esami, stavolta si fa sul serio. Palazzo Nuovo chiude e il rettore Gianmaria Ajani è indagato dalla procura di Torino dopo l’ultimo sopralluogo effettuato dall’Asl nel quale è stato constatata ancora una volta la presenza di amianto all’interno della struttura. L’accusa che pende sul rettore è di omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro. Chi scrive ha pubblicato il primo articolo sull’argomento nell’autunno 1999. Fu allora, oltre quindici anni fa, che gli studenti dell’ateneo inscenarono le prime proteste per la presenza dell’asbesto negli ambienti universitari. Il pm Raffaele Guariniellolo stesso del processo Eternit, aprì un fascicolo sulla questione proprio nell’autunno del 1999. Da allora tre persone sono decedute per mesotelioma pleuricoGianni Mombello, professore di francese, Andrea Brero, un ricercatore di economia a Scienze Politiche, e un bibliotecario di 54 anni. Si tratta di tre soggetti esposti alla sostanza tossica per lunghi periodi. Va inoltre ricordato che la malattia ha un periodo di latenza che può essere di quarant’anni dal momento dell’esposizione alle fibre. Nonostante le proteste degli studenti e l’indagine di Guariniello, la presenza di amianto è stata accertata solamente nel 2003: non solo crisotilo, ma anche amianto blu. A dodici anni da quegli accertamenti, l’amianto continua a essere presente a Palazzo Nuovo. Lavoratori e sindacati sono scettici: possibile che si possa rimediare in soli cinque giorni effettivi, visto che di mezzo ci sono due week end e il ponte del 25 aprile? Le criticità sono parecchie, dai linoleum sbrecciati agli impianti di condizionamento da ripulire o sostituire. Secondo gli esperti servirebbero alcune settimane, non cinque giorni e nemmeno dieci, qualora la ditta a cui è stata affidata la bonifica decida di lavorare anche al sabato e nei festivi. Mercoledì pomeriggio, in seguito al sopralluogo disposto dal pm Raffaele Guariniello, gli ispettori dell’Asl To1 hanno imposto la chiusura delle scale, degli uffici amministrativi, di magazzini e depositi adiacenti alle aule. Nel 2012 Guariniello aveva aperto un’indagine sulle morti di Mombello e Brero a causa di mesotelioma pleurico. In questi tre anni sono state effettuate numerose verifiche alle quali sono seguite prescrizioni da adottare per la messa in sicurezza dell’edificio e il provvedimento di questi giorni è, secondo gli investigatori, la dimostrazione che l’ateneo non ha fatto abbastanza. Anche ieri Guariniello ha dovuto inviare gli ispettori perché l’inagibilità delle scale era stata comunicata con un cartello e un nastro, con studenti e lavoratori che continuavano a utilizzarle come sempre. Nel pomeriggio sono arrivate le transenne e i varchi sono stati sbarrati. Per evitare ulteriori sottovalutazioni del problema, Palazzo Nuovo (sede nella quale transitano 16mila persone fra studenti, professori e lavoratori) è stato chiuso. Ora l’Università dovrà sistemare studenti, professori e lavoratori fra il Campus Einaudi, la vicina Cavallerizza e altri spazi ancora da individuare.

palazzo-nuovo-620x324

Fonte:  La Stampa

Foto | Google Earth

Amianto, allarme mesotelioma pleurico in Lazio

Il Registro regionale dei mesoteliomi maligni del Lazio del dipartimento di Epidemiologia del Sistema sanitario regionale ha registrato 1042 casi di mesotelioma maligno fra il 2001 e il 2014. Oltre mille casi di mesotelioma pleurico dal 2001 al 2014, molti comuni con un’incidenza della malattia notevolmente superiore alla media e, secondo le stime più recenti, un milione di tonnellate di materiale da rimuovere in siti da bonificare. La Regione Lazio prende atto che la questione amianto è una delle priorità del proprio sistema sanitario regionale e pensa a una nuova legge regionale e a un monitoraggio aereo con droni per individuare le coperture sulle quali intervenire. È Cristiana Avenali, già dirigente di Legambiente e ora consigliera regionale Pd, a proporre una legge che affronti “in maniera concreta e sistemica i problemi legati all’esposizione all’amianto” e sopperisca ai ritardi. Il Registro regionale dei mesoteliomi maligni del Lazio del dipartimento di Epidemiologia del Sistema sanitario regionale ha registrato 1042 casi di mesotelioma maligno, con il 70% di casi fra gli uomini e il 30% fra le donne, con una prevalenza della fascia d’età 65/74 anni. In alcuni comuni il tasso di incidenza (ovverosia il numero di persone malate ogni 100.000 abitanti) è particolarmente elevato: Campagnano di Roma (TI 6,6), Rignano Flaminio (TI 5,9), Sezze (TI 5,6), Capena e Colleferro (TI 5,5), Pomezia (TI 5,2), Gaeta (TI 5,1), Civitavecchia (TI 4,7), Frascati (TI 4,2). Nella capitale il TI è di 2,8 fra gli uomini e di 1 fra le donne. Il Centro Regionale amianto ha analizzato il 12% del territorio fino a oggi e la stima della presenza complessiva di materiale contenente l’asbesto è quantificata in un milione di tonnellate. Verosimilmente potrebbe trattarsi di una stima per difetto visto il ritardo dei monitoraggi. L’abbattimento del vecchio Velodromo capitolino, la bonifica della sede Rai di viale Mazzini e l’asbesto nelle tubature dell’acquedotto di Roma Nord sono i tre casi più rilevanti di inquinamento da amianto emersi negli ultimi anni, ma si è ancora molto lontani da una giusta definizione dei confini del problema. Fra le proposte di Avenali anche quella di un nucleo amianto che coordini le azioni e recuperi le risorse necessarie per finanziarle.55803120-586x390

Fonte:  Repubblica

© Foto Getty Images

Amianto, import fuorilegge in Italia: Guariniello apre un’inchiesta

Il pm Raffaele Guariniello apre un’inchiesta per vederci chiaro su un report indiano secondo il quale l’Italia sarebbe stato il principale importatore di amianto indiano fra 2011 e 2012. In Italia la produzione, distribuzione e vendita di amianto sono diventate fuorilegge nel 1992. Ventitré anni fa, con la legge 257 del 27 marzo 1992 il nostro Paese ha detto basta all’asbesto, mentre altri Paesi hanno continuato a produrre questo materiale. In questi vent’anni si è pensato alle bonifiche e a risarcire gli ammalati o i familiari che li hanno seppelliti. L’amianto sembrava appartenere al passato, pur con il suo fardello incombente proiettato sul futuro, quello del mesotelioma che continuerà a mietere vittime per tanti altri anni ancora. Ma lo stesso uomo che ha portato alla sbarra i vertici dell’Eternit, il pm Raffaele Guariniello, ha aperto ora un’indagine esplorativa per un caso che potrebbe rivelarsi scottante non solo in termini giudiziari, ma anche in termini politici. Nonostante i divieti vigenti dal 1992, nel 2012 l’Italia ha importato ingenti quantità di amianto dall’India, Paese che è attualmente uno dei principali produttore di manufatti in asbesto. Anzi, secondo i dati in possesso dell’Agenzia delle Dogane, l’Italia sarebbe stato il maggiore importatore di amianto con 1040 tonnellate di asbesto. Al momento non vi sono né indagati, né ipotesi di reato, ma un’inchiesta per chiarire se vi siano eventuali responsabilità politiche sia per ciò che riguarda l’importazione di asbesto, sia per quel che concerne l’impiego del materiale. Le 1040 tonnellate importate fra 2011 e 2012 sarebbero finite in una decina di imprese che lo avrebbero trasformato e impiegato nella produzione di manufatti quali lastre di fibrocemento, pannelli, guarnizioni per freni e frizioni di automezzi. Il caso è stato segnalato alla Procura di Torino quando qualcuno sui è accorto che nell’Indian Minerals Yearbooks 2012 – Asbestos – Final Release, un rapporto pubblicato dall’ufficio centrale del Ministero delle risorse minerarie indiano, figurava l’Italia fra i Paesi destinazione delle quantità di amianto estratte in India. Anzi secondo il rapporto l’Italia sarebbe stato il primo partner commerciale (con 1040 tonnellate importate sulle 1296 esportate nel biennio in questione) e si presume che l’import sia continuato sino al 2014. Il secondo paese importatore sarebbe il Nepal con 124 tonnellate, il terzo la Nigeria con 38. D’altronde è proprio in India che sono finite molte delle macchine utilizzate nelle fabbriche italiane chiuse dopo l’entrata in vigore della legge 257. Impossibilitata a produrre sul proprio territorio, insomma, l’industria dell’asbesto avrebbe guardato al Far East indiano per continuare nel vecchio business. Ma c’è un aspetto più inquietante: l’amianto è vietato ma può entrare grazie a deroghe ministeriali? Questo è l’aspetto principale che l’inchiesta dovrà chiarire: mentre a Torino si consumava il processo di Torino all’Eternit la politica italiana ha dato il lasciapassare a più di mille tonnellate di un materiale tossico e fuorilegge da più di vent’anni?138888260-586x390

Fonte:  La Stampa

© Foto Getty Images

Amianto, un carciofo per sconfiggere il mesotelioma pleurico

Istituto Regina Elena e McMaster University al lavoro per prevenire e curare le patologie connesse all’esposizione all’amianto. Duemila nuove diagnosi all’anno e un picco che, come ha ricordato quest’oggi Edo Ronchi, arriverà nel 2018: il mesotelioma pleurico è un’emergenza sanitaria e in certi luoghi, quelli segnati dall’industria dell’amianto, come Casale Monferrato, una piaga sociale. Anche se è stato bandito 22 anni fa, l’amianto continua a essere presente nei fabbricati di tutta Italia: 32 milioni di tonnellate, pari a 5 quintali a cittadino. All’International Workshop on metabolism, diet and chronic tenutosi a Roma è stato presentato un progetto “made in Italy” guidato dall’Istituto Regina Elena e sostenuto dalla canadese McMaster University che sperimenterà un composto a base di carciofo su persone con forti fattori di rischio, come placche polmonari da asbesto.

Nel nostro studio sperimentiamo, primi al mondo, la chemioprevenzione con una sostanza naturale dal costo contenuto. Se le nostre intuizioni venissero confermate apriremmo la strada a una rivoluzione,

ha dichiarato Giovanni Blandino, responsabile del Laboratorio di Oncogenomica Traslazionale del Regina Elena.
Secondo i ricercatori occorre lavorare anche su di un corretto stile di vita poiché

le statistiche parlano chiaro: le neoplasie più diffuse sono quelle che risentono in misura rilevante anche di un’alimentazione sbagliata, della sedentarietà e del fumo. Partiamo da qui per cambiare il futuro,

ha aggiunto Blandino.

Ma come funziona la sperimentazione? A spiegarlo è Paola Muti, ricercatrice italiana che lavora in Canada presso il Dipartimento di Oncologia della McMaster University:

È appena partita la sperimentazione di fase due condotta su lavoratori canadesi esposti all’asbesto. L’obiettivo è dimostrare che l’estratto, realizzato in laboratorio semplicemente prendendo le foglie del carciofo ed “elaborandole”, impedisce che le cellule esposte ad amianto esprimano a pieno il potenziale cancerogeno, prolifichino e diano luogo a effettivamente un tumore. I partecipanti, ad alto rischio di sviluppare il mesotelioma e già sofferenti di altre patologie benigne dovute all’amianto, vengono trattati con quattro compresse di estratti di carciofo al giorno, del tutto prive di effetti collaterali. E sono monitorati con cadenza trimestrale, attraverso biomarcatori sierici (piccoli RNA non-codificanti e una proteina secreta dal mesotelio, la mesotelina). In particolare la mesotelina è prodotta dal mesotelio, esposto a infiammazione, ed è molto aumentata nel caso di esposizione all’asbesto e nel mesotelioma. L’ipotesi di questo trial è quella che il carciofo sia in grado di ridurre il livello di mesotelina sierica. In sostanza, si tratta di usare la mesotelina come biomarcatore di efficacia anti-cancerogena dell’estratto vegetale146635841-586x390

Fonte:  Corriere

Foto © Getty Images

Processo Eternit in Cassazione: udienza fissata per il 19 novembre

L’udienza alla Suprema Corte di Cassazione porrà fine a un percorso iniziato quarant’anni fa, con le prime rivendicazioni sulla sicurezza sul luogo di lavoro dei sindacalisti di Casale Monferrato

Il processo Eternit arriva all’ultimo atto, all’udienza fissata per il 19 novembre alla Suprema Corte di Cassazione di Roma che potrà confermare o rigettare il verdetto dell’appello espresso lo scorso 3 giugno dal Tribunale di Torino. Undici mesi fa l’appello si era concluso con la condanna dell’imprenditore elvetico Stephan Schmidheiny a 18 anni di reclusione per disastro ambientale doloso omissione dolosa di misure di sicurezza. Nell’ambito del processo d’appello i risarcimenti erano stati fissati in 30,9 milioni di euro per il Comune di Casale Monferrato, in 20 milioni di euro per la Regione Piemonte, in 350mila euro per la Regione Emilia Romagna, in 100mila euro per la Afeva, in 5 milioni di euro per l’Asl di Alessandria, più le provvisionali per i singoli, per altri comuni interessati e per i singoli. L’Afeva (Associazione Familiari Vittime Amianto) che ha coordinato le parti civili che hanno preso parte ai due gradi di giudizio attende con fiducia la conclusione di un lungo cammino iniziato quarant’anni fa, con le rivendicazioni dei sindacati casalesi relative alla sicurezza sul luogo di lavoro, proseguito con il processo iniziato nell’aprile 2009 e concluso nel febbraio 2012, quindi con l’appello del giugno 2013:

La lotta per il pieno raggiungimento della giustizia per tutte le vittime, della bonifica e della ricerca sanitaria per sconfiggere il mesotelioma, deve ancora vedere la straordinaria partecipazione degli ammalati, famigliari e cittadini.

Le autorità di Governo e tutte le Istituzioni devono considerare molto più concretamente il proprio ruolo in proposito, cioè quello di non lasciare le vittime da sole in questo immane impegno civile.

morti per amianto in Italia sono 4000 all’anno, 50 di questi a Casale Monferrato, di gran lunga la località maggiormente interessata dal fenomeno.85861640-586x389

Foto © Getty Images

Fonte: ecoblog.it

Allarme amianto a Genova: all’Ansaldo 135 casi di mesotelioma

Fra il 1994 e il 2010 sono stati registrati 135 casi di mesotelioma fra i lavoratori e gli ex lavoratori136193809-586x390

Genova potrebbe scoppiare un nuovo caso amianto. Il processo Eternit ha scoperchiato il vaso di Pandora di un’industria che per anni ha negato l’evidenza per non doversi confrontare con i costi delle bonifiche. Si è fatto finta di niente, come all’Olivetti o alla Solvay, ditte nelle quali non si contano i morti per mesotelioma. Ora è un’intera città, anzi una regione, a confrontarsi con il dramma dell’amianto e del mesotelioma pleurico. Negli ultimi giorni la Regione Liguria e il Comune di Genova hanno ricevuto un dossier che spiega come l’incidenza del mesotelioma pleurico sia quattro volte superiore alla media nazionale. Lo studio effettuato dal Centro operativo regionale del registro mesoteliomi è stato coordinato da Valerio Gennaro e ha analizzato l’impatto di quella malattia suddividendo per le più importanti aziende attive in provincia. I risultati sono inequivocabili: dal 1994 al 2010 sono stati registrati 135 casi di mesotelioma fra lavoratori ed ex lavoratori di Ansaldo, in modo particolare fra coloro che hanno prestato servizio nella caldareria. Ma se si considera il periodo sino al 2012 si contano un centinaio di casi anche nelle acciaierie Ilva, più una decina di ammalati alla Stoppani. Si sta cercando di capire quanti casi siano emersi fra i dipendenti della Fincantieri.

Naturalmente, considerati i lunghi tempi di latenza della malattia (che varia dai 15 ai 45 anni), è probabile che l’incidenza quadrupla rispetto alla media nazionale sia, purtroppo, una statistica in difetto. Il dossier è diventato oggetto di un vertice tenutosi ieri mattina a Palazzo Tursi fra i rappresentanti della giunta, il governatore Claudio Burlando e il deputato genovese del Pd Mario Tullo.

 

fonte: Il Secolo XIX

Amianto: la denuncia della figlia di un militare morto per mesotelioma

La figlia di un dipendente dell’Arsenale de La Maddalena morto per mesotelioma ha sporto denuncia per disastro ambientale alla Procura di Padova129039503-586x332

Giuseppina Bartolozzi, figlia di un dipendente dell’Arsenale, morto nel 1984 a causa di unmesotelioma pleurico, ha sporto denuncia per disastro ambientale alla base militare de La Maddalena, in Sardegna, dove suo padre

ha lavorato in assenza di qualsiasi informazione sul rischio cui era esposto e senza essere munito di alcuna protezione in un ambiente di lavoro, chiuso, dove non venivano aspirate le polveri nè confinati i luoghi in cui c’era la dispersione di fibre di amianto.

Giulio, il padre della donna, era addetto alle pulizie delle celle frigorifere, dove l’amianto veniva utilizzato come materiale isolante.

A oggi il sito non è stato ancora bonificato e la sottoscritta chiede che l’autorità giudiziaria accerti chi, volontariamente e scientemente, ha disposto di sfregiare il territorio di La Maddalena con un disastro ambientale che è sotto gli occhi di tutti,

scrive nel suo esposto Giuseppina Bartolozzi, assistita dall’avvocato Ezio Bonanni con il supporto di Ona, Osservatorio nazionale amianto. La donna aggiunge che i materiali di amianto e altri rifiuti delle officine di base della Marina militare della Maddalena sono stati gettati in mare, inquinando la zona, tanto che il transito nell’area contaminata è stato vietato alle imbarcazioni. Proprio a Padova, nel 2005, ci fu la prima inchiesta sull’amianto presente a bordo delle navi militari, conseguente ai decessi del capitano di vascello Giuseppe Calabrò e del meccanico di bordo Giovanni Baglivo. Da quel momento sono circa seicento le cartelle cliniche depositate nelle mani degli inquirenti padovani: se la Procura torinese è diventata il punto di riferimento per le rivendicazioni dei lavoratori e dei cittadini “contaminati” dalle attività dell’Eternit, la Procura di Padova è il punto di riferimento per quanto riguarda l’utilizzo dell’amianto da parte della Marina Militare italiana.

Fonte: Unione Sarda

 

Amianto alla Solvay, a Cinemambiente l’incubo del mesotelioma nel corto Il fosso bianco

Il cortometraggio di Tommaso Ausili, presentato nella giornata d’apertura, racconta la tragedia degli operai della Solvay di Rosignano

fosso-bianco-586x390

Amianto non vuol dire soltanto malattia, amianto significa anche l’incubo persistente di non sapere se o quando morirai per avere inalato una fibra mille volte più piccola di un capello. Non ci sono certezze: può succederti perché hai giocato in una spiaggia inquinata dalle scorie e può non accadere anche se sei stato coperto di “polverino” per anni. Il fosso bianco, cortometraggio di Tommaso Ausili, racconta la contaminazione di Rosignano Solvay da parte dell’omonima azienda che ne ha compromesso il territorio. Il racconto è quello degli operai miracolosamente sopravvissuti dopo essere stati ricoperti di polverino, delle mogli che piangono le precoci morti dei loro compagni di vita, dei figli che hanno seppellito padri ancora giovani. Un paio d’anni fa era toccato a Polvere di Nicolò Bruna e Andrea Prandstraller scuotere la platea di Cinemambiente, oggi nella giornata d’apertura lo farà questo film che non fa sconti né agli intervistati, né agli spettatori, perché certe storie hanno un solo modo di essere raccontate e Il fosso bianco è una di queste. A Livorno si sta consumando un processo che vede imputato per omicidio colposo Piero Guadenzi, oggi 93enne, all’epoca direttore dello stabilimento Solvay di Rosignano. Oggetto del procedimento è la morte di Romano Posarelli, l’operaio che dopo aver lavorato alla Solvay negli anni Settanta è morto di mesotelioma pleurico. Anche in Piemonte, eclissato dal ben più articolato processo d’appello Eternit che giungerà alla conclusione proprio lunedì 3 giugno, prosegue il procedimento contro i dirigenti dello stabilimento Solvay di Spinetta Marengo (Al) che di quello torinese sembra la riproduzione in scala. Nel processo in corso di svolgimento ad Alessandria sono ben otto i dirigenti che rischiano una condanna a quindici anni di reclusione per aver sversato una ventina di veleni tossici e cancerogeni (fra cui il cromo esavalente) nel territorio circostante. Più dei risarcimenti, insomma, sono i costi della bonifica di un milione di metri cubi di veleni immessi nell’ambiente a preoccupare gli azionisti di Bernard de Laguiche. Un’altra brutta storia che ha dimostrato come l’azienda, nonostante fosse a conoscenza dei danni che stava facendo all’ambiente, abbia continuato ad avvelenare dolosamente il territorio. Portando malattia e inquinamento laddove avrebbe dovuto portare lavoro e benessere. Purtroppo è una storia sentita già troppe volte.

Fonte:  Cinemambiente