Produttori pera igp: “Vogliamo strumenti per nuovi mercati esteri”

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 “In Italia produciamo 700 mila tonnellate di pere, siamo il primo produttore europeo e mondiale. Siamo interessatissimi a sviluppare il flusso delle nostre pere che si producono per lo più in Emilia-Romagna tra le tre province di Ferrara, Bologna e Modena. Le vogliamo esportare sempre di più verso nuovi mercati esteri perché lì ci stanno possibilità di sviluppo importantissime”, ha spiegato il presidente di Centro Servizi Ortofrutticoli, Paolo Bruni, al Festival Internazionale di Ferrara che si è svolto nel week end. In questa occasione è stato fatto il punto sull’andamento del mercato agroalimentare e in particolare della produzione e della vendita della pera che ha ripreso a crescere negli ultimi due anni.

“Abbiamo ritenuto che la pera regina abate ci stesse benissimo tra i sostenitori di questa grande iniziativa culturale i cui temi sono spesso combacianti con quelli del disciplinare di produzione della pera igp dell’Emilia-Romagna che significa rispetto dell’ambiente, sostenibilità, rispetto delle norme dei diritti umani per le lavorazioni, l’impatto occupazionale che la pera determina”,

ha continuato Bruni. Diversi i settori coinvolti nella produzione e commercializzazione della pera igp. Recentemente un team di ricercatori e cuochi di dell’Istituto Vergani Navarra di Ferrara, ha ideato nuove ricette e nuove modalità di utilizzo della frutta, in particolare in enologia. La pera made in Italy è conosciuta in tutto il mondo, in particolare in Nord Africa e nei paesi del Far East. Serve, però, una strategia per superare i confini dei paesi emergenti come la Cina, con la quale si potrebbe stabilire un accordo di scambio con export di per e import di kiwi.

Fonte: Askanews

 

Cibo made in Italy: è boom sui mercati esteri. E la crisi diventa un’opportunità

Il cibo italiano piace sempre di più e, in tempi di crisi, fuori dai confini nazionali, diventa ciò che l’alta moda, le auto di lusso e i prodotti di design sono stati in passato: un sistema di business.

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Nonostante l’erosione di quote di mercato generate dall’italian sounding, ovverosia dal cibo italiano taroccato, dal Parmesan statunitense ai formaggi Asiago prodotti nel Wisconsin (dove sì ci sono belle montagne e vacche floride, ma siamo abbastanza lontani dagli altipiani veneti), l’industria alimentare italiana è l’unica che fa segnare un segno positivo. E che segno! Un incremento da record del 5,7% con una particolarità non trascurabile: quella di essere l’unico comparto produttivo con il segno più. Le buone notizie vengono soprattutto dall’Oriente dove il cibo italiano è un “cult”, tanto quanto lo sono gli abiti di Valentino e Armani, anch’essi vittime di pesanti azioni di plagio e contraffazione. I numeri provengono da un’analisi di Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi al fatturato dell’industria italiana nel gennaio 2013: a fronte di una diminuzione generale del 3,4% e di una diminuzione del 5,5% del mercato interno, l’export cresce dell’1,2% e la spesa per gli alimentari del 5,7% (comprendendo mercato interno ed estero). Non c’è da stupirsi, dunque, se qualcuno chiede una poltrona di ministro per personaggi come Carlin Petrini e Oscar Farinetti che con Slow Food ed Eataly hanno avuto l’intuizione di promuovere il cibo italiano nel mondo. Come il turismo anche l’enogastronomia non è delocalizzabile, ma in questo particolare momento storico mentre il primo annaspa, il secondo conquista quote di mercato sempre più vaste. In gennaio l’export alimentare ha fatto registrare un + 8,7%, risultato che conferma il trend 2012, annata chiusa con un fatturato di 31,8 miliardi di euro per il settore agroalimentare. Il vino è naturalmente il prodotto più esportato con un valore di 4,7 miliardi di euro, seguito da ortofrutta, pasta e olio di oliva, vale a dire gli alimenti base della dieta mediterranea. L’Italia vince sul mercato globale anche grazie al primato continentale in termini di sicurezza alimentare, visto che soltanto lo 0,3% dei prodotti presenta tassi di residui chimici oltre i limiti consentiti. E quando accade gli sforamenti sono comunque cinque volte inferiori alla media europea, dove il tasso di irregolarità è dell’1,5%. Controlli della qualità e strategie di marketing e in un panorama che gioca al risparmio (vedi lo scandalo della carne di cavallo) diventano i punti cardine per trasformare la crisi in opportunità. Mentre all’estero la concorrenza abbassa la guardia, il cibo e il vino italiani di qualità si lanciano alla conquista del mondo.

Fonte: Coldiretti