Gas scisto più ecologico delle energie rinnovabili. Ma a dirlo è Bp

Christoph Ruehl, capo economista della British Petroleum sostiene che uno spostamento dell’1% dal carbone al gas farebbe risparmiare su scala globale quanto un aumento dell’11% delle rinnovabili

Il dibattito sul gas scisto resta aperto: la tecnica con la quale gli Stati Uniti vorrebbero svincolarsi dalla dipendenza energetica dal Medio Oriente (nel quale perdono giorno dopo giorno posizioni) è fortemente contestata dai gruppi di ambientalisti per gli effetti che provoca sulle falde acquifere e sulla stabilità dei terreni “trattati”. Eppure c’è chi è pronto a sostenere che il gas scisto sia più ecologico rispetto alle energie rinnovabili. Si tratta di Christoph Ruehl, il capo economista della British Petroleum, non propriamente la persona più equidistante e imparziale che possa discutere sull’argomento. Nel suo Energy Outlook 2035 che spinge il proprio sguardo oltre il prossimo ventennio si parla di uno shale gas che dovrebbe rappresentare il 21% di tutto il gas prodotto, contro l’8% del 2012. Ruehl sostiene che il gas scisto sia una soluzione “economicamente efficace” per ridurre le emissioni di gas che alterano il clima, teoria alla quale gli attivisti anti-fracking si oppongono sostenendo come l’utilizzo di prodotti chimici e la possibile emissione di metano rappresentino un potente gas serra. Secondo il capo economista della Bp la diffusione del gas scisto avrebbe un impatto benefico molto più veloce rispetto a quello dell’energia rinnovabile, perché il gas naturale emette la metà di carbonio di quella emessa dal carbone. Sempre secondo i numeri in mano al “guru” dell’economia di Bp, uno spostamento globale dal carbone al gas basterebbe a garantire un risparmio energetico pari a quello offerto da un aumento dell’11% delle energie rinnovabili a livello mondiale.

Fonte:  Reuters

Energie rinnovabili: i Paesi emergenti scommettono sulla green economy

Secondo il Worldwatch Institute dal 2005 a oggi il numero di Paesi con investimenti consistenti nelle energie rinnovabili è passato da 48 a 127175646103-586x389

Paesi emergenti scommettono sulle energie rinnovabili, consci del fatto che le risorse fossili siano al capolinea o, quantomeno, inferiori a quelle di un Pianeta che galoppa verso gli 8 miliardi di abitanti. Secondo una ricerca del Worldwatch Institute dal 2005 a oggi il numero di Paesi con investimenti consistenti nelle energie rinnovabili è passato da 48 a 127, ma il dato più evidente è che sono soprattutto i paesi emergenti a scommettere sul futuro della green economy. Otto anni fa il 58% degli Stati che finanziavano le energie sostenibili erano in Europa e Asia centrale, nel 2013 i Paesi di queste due aree pesano solamente per poco più di un terzo del totale. Le sorprese vengono dall’Africa Sub-sahariana, con ben 25 stati che hanno fatti grandi investimenti per il passaggio alle energie pulite. C’è grande vivacità anche nell’area caraibica e nel Centro America (17 paesi) e fra Medio Oriente e Nord Africa (12 paesi). Europa, Nord America e Asia hanno invece subito una forte battuta d’arresto dovuta alla crisi economica che ha frenato gli incentivi. Le modalità con le quali i singoli paesi promuovono le energie rinnovabili vanno dal tax credit (sgravio fiscale sulla produzione energetica green) alle deduzioni, dal feed-in tariff (simile al nostro conto energia) e il renewable portfolio standard (l’obbligo per i produttori di ottenere determinate percentuali di energia da fonti rinnovabili). Ma la vera sfida per gli Stati e per le utilities è riuscire a integrare in maniera armonica e produttiva le vecchie fonti in esaurimento e le nuove in via di sviluppo in un unico sistema.

Fonte:  Worldwatch Institute