Lungomare Canepa, dove il cemento ha tolto il mare alla gente

Il comitato Lungomare Canepa prende il nome proprio dal Lungomare che si trovava alle spalle della Lanterna. Oggi questo sodalizio vuole riqualificare il quartiere, valorizzare un territorio deturpato e soprattutto tutelare i residenti che un tempo si svegliavano con lo sciabordio delle onde sulla battigia e oggi devono convivere con un traffico costante a tutte le ore. La parola “lungomare” fa pensare a passeggiate in riva al mare, gelati in compagnia, serate a contemplare il tramonto. A Genova, fino a un secolo fa, poco distante dal centro, nella parte ovest della città, c’era un bellissimo borgo marinaro sulla cui riva i bambini sguazzavano, guardando la Lanterna. Chiudiamo gli occhi e proviamo a immaginarlo: ci ritroveremmo nelle orecchie gli schiamazzi di quei bambini, che la domenica si riunivano con i compagni di classe per un picnic sulla spiaggia, e le risate dei ragazzi al sole. Oggi, lungo quel litorale sabbioso tanto apprezzato sfrecciano auto, moto e mezzi pesanti. Un incubo da cui gli anziani sampierdarenesi più nostalgici sembrano non volersi svegliare. L’attuale Lungomare Canepa è la strada nata coprendo interamente la costa con il materiale della demolizione del colle di san Benigno, poco più in là, un progetto attuato a partire dal 1929 con l’intento di facilitare il collegamento tra il centro di Genova e Sampierdarena. Ma perché eliminare quella splendida spiaggia che ha dato il nome alla città (oggi quartiere) di San Pier d’Arena? Per il progresso, sotto forma di nuovo bacino portuale. Un’operazione tanto utile al porto di Genova, quanto deleteria per San Pier d’Arena, che da allora ha perso per sempre l’accesso al mare. Negli ultimi anni l’arteria stradale è stata ulteriormente potenziata, per sgravare il tratto di A10 più interconnesso con la città, trasferendo parte del traffico su una nuova infrastruttura che si affianca all’esistente. A quale costo?

Oggi esiste un Comitato, che prende il nome proprio da quel Lungomare alle spalle della Lanterna, che vuole riqualificare il quartiere e valorizzare un territorio con un grande potenziale. E soprattutto tutelare i cittadini residenti qui, che si affacciano ogni mattina sul costante traffico della nuova grande arteria del ponente, dove con un occhio si vedono i condomini e con l’altro veicoli incolonnati e asfalto rovente. Ho intervistato la presidente, Silvia Giardella, per farmi raccontare i loro progetti e se il quartiere ha una speranza di rivedere quell’arenile tanto amato. Ogni giorno parliamo di uno dei migliaia di progetti che costellano il nostro paese. Vorremmo raccontarne sempre di più, mappare tutte le realtà virtuose, e magari anche la tua, ma per farlo abbiamo bisogno che ognuno faccia la sua parte.lungomare canepa ridimens

Lungomare Canepa: com’era e com’è oggi

Come e perché è nato il Comitato Lungomare Canepa?

Il Comitato è nato nel 2018, quando l’avanzare dei lavori di realizzazione della nuova tangenziale – la “Gronda a mare” – sembrava contraddire palesemente le premesse di riqualificazione che i residenti avevano ricevuto e che avevano indotto altri genovesi a trasferirsi in Via Sampierdarena. La nuova strada è andata a occupare tutta la distanza tra gli edifici e il porto, fino a lambire i palazzi. Era chiaro che il progetto non concedeva alcuno spazio a una fascia di rispetto, a alberi e a spazi pubblici ricreativi. Le altre aree sarebbero diventate area di parcheggio: l’asfalto avrebbe dominato ovunque. Nessuna misura è stata prevista per la tutela della salute dei cittadini residenti per l’aumento dei tassi d’inquinamento, sia acustico che ambientale.

Cento anni fa Sampierdarena era un borgo marinaro e Lungomare Canepa era molto differente rispetto a oggi: quale pensi possa essere un compromesso per poter mantenere l’attività portuale e valorizzare questo territorio, così deturpato? 

Bisogna innanzitutto passare attraverso la risoluzione delle criticità esistenti ed è necessario che non ne vengano create di nuove. Questo percorso, a nostro avviso, comporta sicuramente la realizzazione di una fascia di rispetto che tuteli l’abitato dalle attività portuali e che restituisca, almeno in parte, il mare a Sampierdarena: Calata Concenter (Area Lanterna) e Foce del Polcevera sono i due possibili accessi al mare.

Lungomare Canepa: com’era e com’è oggi

Come e perché è nato il Comitato Lungomare Canepa?

Il Comitato è nato nel 2018, quando l’avanzare dei lavori di realizzazione della nuova tangenziale – la “Gronda a mare” – sembrava contraddire palesemente le premesse di riqualificazione che i residenti avevano ricevuto e che avevano indotto altri genovesi a trasferirsi in Via Sampierdarena. La nuova strada è andata a occupare tutta la distanza tra gli edifici e il porto, fino a lambire i palazzi. Era chiaro che il progetto non concedeva alcuno spazio a una fascia di rispetto, a alberi e a spazi pubblici ricreativi. Le altre aree sarebbero diventate area di parcheggio: l’asfalto avrebbe dominato ovunque. Nessuna misura è stata prevista per la tutela della salute dei cittadini residenti per l’aumento dei tassi d’inquinamento, sia acustico che ambientale.

Cento anni fa Sampierdarena era un borgo marinaro e Lungomare Canepa era molto differente rispetto a oggi: quale pensi possa essere un compromesso per poter mantenere l’attività portuale e valorizzare questo territorio, così deturpato? 

Bisogna innanzitutto passare attraverso la risoluzione delle criticità esistenti ed è necessario che non ne vengano create di nuove. Questo percorso, a nostro avviso, comporta sicuramente la realizzazione di una fascia di rispetto che tuteli l’abitato dalle attività portuali e che restituisca, almeno in parte, il mare a Sampierdarena: Calata Concenter (Area Lanterna) e Foce del Polcevera sono i due possibili accessi al mare.

Il Comitato Lungomare Canepa

Come stanno rispondendo le Istituzioni alle vostre proposte?

L’ascolto istituzionale c’è stato e c’è tuttora. Questo, secondo noi, è dovuto alla nostra spiccata attitudine alla propositività, derivante dallo studio accurato sia dei problemi che della documentazione. Anche nei frangenti più complicati e di maggiore attrito con chi proponeva le opere, siamo sempre riusciti a indicare possibili soluzioni. Tuttavia, confidiamo che questo ascolto sia seguito da un concreto miglioramento del territorio e questa è la sfida che poniamo alle Istituzioni con cui ci confrontiamo. La vicenda della tangenziale sarà uno tra i primi esempi di “concretizzazione ambientale”, poiché le nostre rimostranze sono state ufficialmente riconosciute come fondate ed è stata appurata la necessità di un intervento. Vediamo però anche segnali di un qualche attivismo istituzionale rispetto alla creazione di uno o più nuovi accessi al mare e ne saremo vigili guardiani.

Quali sono i vostri progetti futuri?

Il futuro dell’azione del nostro Comitato è implicito nel presente, perché la vivibilità del territorio si potrà ottenere solo gettando oggi solide basi di studio e di azione per raccoglierne domani i frutti. Non possiamo però non notare che l’azione del nostro Comitato è accompagnata, anzi sospinta, da un crescente desiderio dei cittadini di partecipare e di incidere sulle scelte della vita pubblica. Manifestare la propria opinione sul territorio in cui si vive è moralmente e legittimamente dovuto. Convogliare positivamente questi “desiderata” è il compito faticoso ma gratificante che ci siamo dati. Gli scambi di informazioni, di esperienze, ma anche di umanità, sono la garanzia della nostra azione futura, che si manifesta con l’adesione dei giovanissimi diciottenni, finalmente, coinvolti e artefici del proprio futuro. Un particolare cenno va fatto alle sinergie collaborative che si stanno consolidando tra quartieri diversi: Cornigliano, Palmaro, Prà, San Teodoro, Di Negro, Campasso, Albaro (Via Piave), Nervi, San Martino, Albisola, Arenzano, Bolzaneto, Fegino e altri. Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/05/lungomare-canepa-cemento-mare/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Archeoplastica: i rifiuti restituiti dal mare diventano reperti da museo

Un museo virtuale in cui esporre online centinaia di reperti plastici raccolti sulle spiagge, dopo che il mare li ha restituiti: questa l’idea alla base del progetto Archeoplastica. Un’iniziativa importante per riflettere sul lento processo di degradazione della plastica e sugli effetti disastrosi che l’uso smodato di questo materiale ha sull’ambiente. Quanto tempo dura la plastica? Quanto sopravvive nei nostri mari, trasportata lungo le rotte tracciate dalle correnti? La sua è una storia infinita. Per averne una minima percezione, basti pensare che nei nostri mari galleggiano, ancora intatti, flaconi e bottiglie che hanno l’età dei nostri genitori o addirittura dei nostri nonni. È ormai noto che – come conferma una relazione della Ellen MacArthur Foundation, in collaborazione con il World Economic Forum – entro il 2050 negli oceani vi sarà più plastica che pesci. Questo materiale da forme, colori e usi diversi, protagonista della nostra vita quotidiana, è diventato nel tempo la peggiore minaccia per l’ecosistema marino e non solo. Lo sa bene Enzo Suma, fondatore dell’associazione Millenari di Puglia, una realtà dell’alto Salento impegnata da sempre nella valorizzazione e tutela del territorio e in attività di educazione ambientale. Guida naturalistica e cercatore seriale di rifiuti plastici, raccoglie da tempo quanto riversato sulle spiagge dalle mareggiate, anche perché da Ostuni, la sua città, raggiunge facilmente la costa tutti i giorni. «Da due anni, però, ho iniziato a catalogare questi rifiuti, conservando quelli più vecchi e riciclando gli altri», racconta Enzo.

Enzo Suma

Un Ajax vetri del ‘68, un Cif detergente di fine anni ‘70 e una lattina di Coca-Cola limited edition dedicata ai mondiali di calcio in Argentina del ‘78. Questi sono solo alcuni degli oltre duecento oggetti collezionati da Enzo. Da questi reperti scaturisce una narrazione di usi e abitudini legati a questo materiale: una sorta di ricostruzione archeologica o meglio archeoplastica, secondo la fortunata espressione con cui Enzo cataloga i rifiuti plastici più antichi e, per una ragione o un’altra, degni di nota. Nasce così l’idea di dar vita a un museo virtuale online in cui esporre i reperti archeoplastici datati dai trenta agli oltre cinquant’anni fa. «Ero incredulo quando trovai il primo reperto archeoplastico: una bomboletta spray Ambra Solaire di fine anni ‘60, su cui si leggeva perfettamente il prezzo in lire, nonostante fosse passato tutto quel tempo», racconta Enzo. «Quando ne pubblicai la foto su facebook, molte furono le riflessioni degli altri utenti sul tema della plastica e dell’inquinamento causato da questo materiale», prosegue l’ideatore del progetto. La mostra sarà accessibile a tutti. Attraverso la tecnica della fotogrammetria verranno realizzate delle riproduzioni virtuali in 3D di questi reperti, in modo da apprezzarne ogni minimo dettaglio. Obiettivo dell’iniziativa è mantenere vivo l’interesse sul problema dell’inquinamento da plastica, con un occhio particolare ai più giovani. Oltre al museo virtuale, infatti, Enzo vorrebbe realizzare una mostra itinerante in cui esporre i reperti archeoplastici, cercando di raccontare la storia di ciascuno di questi. «Mi piacerebbe portarla nelle scuole e magari anche nel resto d’Italia, promuovendo attività di educazione ambientale e sensibilizzazione sul problema della plastica».

È giusto che i più piccoli, e di conseguenza le loro famiglie, siano sempre più consapevoli di quanto a lungo la plastica sopravvive nei nostri mari. Si frantuma per effetto degli agenti atmosferici ed entra così nella catena alimentare sotto forma di microplastiche, che «funzionano come delle spugne: assorbono sostanze tossiche, che a loro volta si accumulano nei tessuti dei pesci che le ingeriscono».

In questo progetto Enzo non è da solo, anche perché non è sempre immediato il processo di datazione e identificazione dei rifiuti raccolti. Spesso è il tam-tam sui social network ad aiutarlo nella sua impresa. Dietro a ogni oggetto c’è un lungo lavoro di ricerca, tra video e spot pubblicitari in cui quelli che oggi sono solo rifiuti appaiono come sgargianti prodotti all’ultimo grido dell’igiene casa e persona. Per uno dei suoi reperti, Enzo ha impiegato più di un anno prima di riuscire a identificarlo. «È un flacone molto insolito, forse uno dei più belli che colleziono – mi racconta – un corpulento omino di plastica azzurrina, vestito con un frac e trasfigurato da varie incrostazioni di anellidi». Proprio grazie alla visibilità sui social network, oggi questo reperto archeoplastico ha finalmente il proprio identikit completo: «Grazie a un utente facebook ne ho scoperto un altro esemplare tra gli oggetti di un collezionista francese. Si tratta di un bagnoschiuma degli anni ‘60, tutto rosso in origine».

I reperti archeoplastici collezionati da Enzo non arrivano solo dal passato, ma anche da posti lontani, complice la vicinanza alle coste balcaniche. «Mi è capitato di raccogliere un prodotto dell’Ava risalente agli anni ‘60 con l’etichetta in greco. Il maestrale e la tramontana, infatti, portano sulla nostra costa rifiuti di Grecia e Albania e viceversa, quando i venti spingono verso le loro coste». Alcuni degli oggetti della collezione arrivano dal Veneto e dal ferrarese, «grazie alla proficua collaborazione con altri raccoglitori e collezionisti di rifiuti plastici. L’obiettivo è quello di fare rete e aiutarsi vicendevolmente».

Tra i vari oggetti raccolti, Enzo colleziona formine, palette e secchielli dimenticati dai bambini in spiaggia nel corso del tempo. Con questi si lancia in simpatici giochi artistici, disegnando sulla sabbia giganteschi esemplari della fauna marina. Tartarughe e cetacei sono i soggetti più rappresentati, ovvero «gli animali più vulnerabili e colpiti proprio dall’inquinamento da plastica».

Il progetto Archeoplastica è collegato a una campagna di crowdfunding lanciata da Enzo su Produzioni dal Basso. Con un piccolo aiuto di tutti, si potranno finalmente realizzare il museo virtuale e acquistare l’occorrente per la mostra itinerante, per raccontare la storia della plastica e riflettere su un suo uso più moderato e consapevole.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/03/archeoplastica-rifiuti-mare-diventano-reperti/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Nuove trivellazioni di petrolio: a rischio tutta l’Italia

Il rischio di nuove trivellazioni di petrolio è nazionale: non solo il Mar Ionio, ma anche l’Adriatico centro meridionale ed il canale di Sicilia sono sotto attacco dalle compagnie petrolifere. È quanto denuncia Legambiente in merito al dibattito di questi giorni sulle autorizzazioni alle prospezioni petrolifere nel mar Ionio da parte del Ministero dello Sviluppo Economico. “Questa strada è sbagliata: il Governo abbandoni le fonti fossili”.

“Il rischio di nuove trivellazioni di petrolio è nazionale: non è solo il Mar Ionio ad essere sotto attacco delle compagnie petrolifere, anche l’Adriatico centro meridionale e il canale di Sicilia sono oggetto di richieste di prospezione e ricerca di petrolio nei fondali marini. Dal Governo di M5S e Lega che insieme a noi hanno sostenuto il Sì alla campagna referendaria del 17 aprile 2016 contro le trivellazioni di petrolio ci aspettiamo 5 atti concreti: lo stop immediato a nuove trivellazioni in mare e a terra a partire dalle 96 richieste di prospezione, ricerca e coltivazione in attesa di via libera; il taglio dei 16 miliardi di euro di sussidi annuali alle fonti fossili; la legge che vieta l’uso dell’airgun per le prospezioni, per cui il M5S si era tanto battuto durante la discussione parlamentare dell’allora disegno di legge sugli ecoreati; un piano energetico nazionale per il clima e l’energia che definisca un percorso concreto per la decarbonizzazione dell’economia; la riconversione delle attività di Eni, società a prevalente capitale pubblico, dalle fonti fossili all’efficienza energetica e alle rinnovabili”. È questo il commento di Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente sulle polemiche di questi giorni sulle autorizzazioni alle prospezioni petrolifere nel mar Ionio da parte del Ministero dello Sviluppo Economico.
L’Italia, infatti, continua la sua insensata corsa all’oro nero. A confermarlo gli ultimi dati aggiornati da Legambiente che fotografano la situazione attuale: ad oggi su 16.821 kmq sono ben 197 le concessioni di coltivazione, tra mare (67) e terra (130), alle quali si potrebbero aggiungere ben 12 istanze di concessione di coltivazione (7 in mare e 5 a terra).  E poi su un totale di 30.569 kmq sono attivi 80 permessi di ricerca, ai quali si potrebbero aggiungere 79 istanze di permessi di ricerca su un totale di 26.674 kmq, e 5 istanze di prospezione a mare su un totale di 68.335 kmq.

L’associazione ambientalista da questo Governo si aspetta più coerenza e fatti concreti sulla lotta ai cambiamenti climatici e contro le trivellazioni di petrolio, sui quali soprattutto il Movimento 5 Stelle si è tanto speso in campagna elettorale e anche nella scorsa legislatura quando era all’opposizione. Per arrestare i cambiamenti climatici, ma anche per ridurre e combattere l’inquinamento atmosferico e migliorare la qualità di vita dei cittadini è di fondamentale importanza uscire dalla dittatura delle fonti fossili, ancora oggi al centro del sistema energetico del nostro Paese. Per questo l’Esecutivo deve avere il coraggio di imprimere una svolta alla politica energetica nazionale, perché quello che serve all’Italia è un efficace e ambizioso Piano per il clima e l’energia che punti alla decarbonizzazione dell’economia per un futuro più rinnovabile e libero dalle fonti fossili che vengono sussidiate dallo Stato (16 miliardi di euro all’anno per le fossili). (In media tra il 2017 e i primi mesi del 2018 il 30% del gas estratto in Italia e il 10% del petrolio è stato esentasse  Elaborazione Legambiente su dati Mise).  

“Dovremo ridurre sensibilmente – aggiunge Ciafani – i consumi di gas nel settore elettrico e civile, attraverso una generazione sempre più distribuita e rinnovabile. Così come dovremo ridurre quelli di petrolio nei trasporti. Una prospettiva che si scontra anche con le attività del più grande gruppo industriale italiano, ENI, che continua a fare scelte e investimenti nella direzione opposta e rischia di diventare uno dei campioni delle fonti fossili e tra i nemici numero uno della lotta ai cambiamenti climatici. Stiamo parlando di un’azienda energetica, di proprietà anche dello Stato, che dovrebbe a pieno titolo entrare nell’agenda di governo dopo Ilva.

Nel 2018, dopo che il mondo ha deciso di prendere la strada della decarbonizzazione dell’economia, ENI continua a trivellare per estrarre petrolio e gas, in Italia e nel resto del mondo. Da noi lo fa in Val d’Agri, in Basilicata, nel più grande giacimento petrolifero a terra di tutta Europa, con non pochi problemi ambientali. Lo fa nei mari che circondano il Belpaese, da sola o in partnership con altre aziende, come nel caso della piattaforma Vega con Edison nel canale di Sicilia, di cui è stato presentato il progetto di raddoppio, bocciato dalla Commissione Via del Ministero dell’ambiente, ma mai ufficialmente ritirato. Lo fa in paesi in tutto il mondo, dal Portogallo all’Egitto, dalla Nigeria all’Artico. Noi pensiamo – conclude Ciafani – che questa strada sia sbagliata e chiediamo al governo italiano di essere coerente con gli impegni sottoscritti a livello internazionale, indirizzando l’attività futura di Eni verso le tecnologie pulite che non hanno nulla a che fare con gas e petrolio”.

Contro i sussidi alle fonti fossili e le trivellazioni in mare, Legambiente invita a firmare la petizione
#NoOil – Stop alle trivellazioni in mare: fermiamo il business del petrolio!”

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/01/nuove-trivellazioni-di-petrolio-a-rischio-tutta-italia/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Ministro Costa: presto leggi ad hoc sulla plastica in mare

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“Penso di incardinare nelle prossime settimane la prima legge sulla plastica in mare e nelle more del recepimento della Direttive Ue sul tema della plastica monouso, e dal momento che per averla dovranno passare almeno tre-quattro anni, noi che abbiamo questa forte coscienza ecologica, le anticipiamo in italia”

Lotta alla plastica in mare. La promette il ministro dell’Ambiente Sergio Costa intervenendo a ‘Mediterraneo da remare’ – organizzato dalla Fondazione Univerde in collaborazione con Marevivo e l’adesione della Guardia costiera – facendo presente che presto saranno presentate due leggi ad hoc, una per anticipare l’Europa sulla riduzione della plastica monouso e l’altra per consentire ai pescatori di portare a terra i rifiuti che raccolgono in acqua.

“Penso di incardinare nelle prossime settimane la prima legge che parla in particolare della plastica nel mare – spiega Costa – e nelle more del recepimento della Direttive Ue sul tema della plastica monouso, e dal momento che per averla dovranno passare almeno tre-quattro anni, noi che abbiamo questa forte coscienza ecologica, le anticipiamo in italia. Ma non è una legge contro qualcuno – dice Costa – inseriamo anche un primo step sull’economia circolare, e puntiamo sul riuso della plastica; sono persuaso che gli imprenditori saranno dalla nostra parte, tutelando allo stesso tempo l’ambiente”.

Poi “ci sarà un altro passo successivo- prosegue il ministro- ci diamo una mano con i pescatori, che sono una grande risorsa del paese. Attualmente non possono portare a terra i rifiuti che raccolgono quando pescano con le reti”. Invece aiutandoli con questa norma “potranno pulire il mare senza rischiare conseguenze giuridiche, facendo un servizio sociale, alimenteranno i consorzi del riciclo, e svilupperanno la filiera dell’economia circolare”. Sui tempi dei provvedimenti il ministro non si sbilancia rispondendo a chi gli chiede se arriveranno prima dell’estate: “ci sto provando – osserva – voglio prima incontrare tutti gli attori coinvolti e il mondo dell’imprenditoria, per evitare di inciampare e poter camminare insieme”. In questo senso rilancia la campagna, “un appello a costo zero”, rivolta ai cittadini per raccogliere quest’estate un pezzo di plastica a testa dalle spiagge.

Fonte: ecodallecitta.it

 

Giornata Mondiale dell’Ambiente: Greenpeace lancia il Plastic Radar

Il tema di quest’anno della Giornata Mondiale dell’Ambiente è l’inquinamento da plastica, soprattutto in mare. Ecco una iniziativa Greenpeace per combatterlo.http _media.ecoblog.it_5_5d3_giornata-mondiale-ambiente-plastica-green-peace

Si svolge oggi la Giornata Mondiale per l’Ambiente promossa dall’ONU e il tema che la caratterizza quest’anno è la lotta all’inquinamento da plastica nei mari e sulla terra ferma. Le stime parlano chiaro: ogni anno finiscono in mare almeno 8 milioni di tonnellate di rifiuti plastici. Per la stragrande maggioranza si tratta di imballaggi monouso, o uso e getta se preferite, derivanti dal consumo di acqua e bibite in bottiglia di plastica o fustini di detersivi liquidi. Greenpeace non perde occasione per dichiarare che i principali responsabili di questo inquinamento sono Coca-Cola, Unilever, Nestlé e Procter&Gamble: “È necessario che i governi e le grandi multinazionali riconoscano che il riciclo non è la soluzione del problema – spiega Graham Forbes, responsabile della campagna plastica di Greenpeace – Bisogna fermare l’inquinamento da plastica prima che sia troppo tardi. In tutto il mondo, migliaia di persone si battono quotidianamente contro l’inquinamento da plastica, ma questa crisi ambientale necessita di interventi urgenti e azioni concrete per ridurre la produzione e il consumo di plastica monouso”.

Secondo l’associazione ambientalista la soluzione non sta nella raccolta differenziata e nel riciclo, ma nella non produzione dei rifiuti: alcuni imballaggi in plastica sono del tutto evitabili e il consumo di acqua minerale e bibite zuccherate (che tra l’altro, queste ultime, fanno anche male alla salute) deve essere nettamente ridotto.

Nel frattempo Greenpeace Italia ha lanciato l’iniziativa Plastic Radar: se trovi un rifiuto plastico in spiaggia puoi fotografarlo, attivando la geolocalizzazione, e inviarlo all’associazione che raggrupperà le segnalazioni raccolte per stilare una mappa dell’inquinamento delle coste italiane. Il tutto funziona tramite WhatsApp, quindi l’operazione è alla portata di tutti. L’importante, spiega Greenpeace, è che si veda il simbolo che identifica il tipo di plastica, la marca del prodotto imballato in plastica, e che sia attivata la localizzazione GPS. Greenpeace insiste sul fatto che si fotografi la marca: “Negli ultimi mesi, McDonald’s, Starbucks, Procter & Gamble, Nestlé, Coca-Cola, Pepsi e Unilever hanno pubblicato piani volontari relativi all’inquinamento da plastica, ma nessuna delle aziende ha adottato interventi drastici per ridurre la produzione di imballaggi monouso“.

Una mappa contenente l’indicazione di chi ha prodotto il rifiuto non fa altro che mettere nero su bianco chi sta inquinando le nostre coste e i nostri mari.

Fonte: ecoblog.it

Da Oceanus e Exxpedition, l’impegno contro la plastica nei mari

Prosegue la campagna di Oceanus contro i sacchetti di plastica monouso che stanno compromettendo gli ecosistemi marini di tutto il mondo. E a giugno un nuovo equipaggio di ricercatrici di Exxpedition partirà per studiare le conseguenze del Pacific Trash Vortex e proporre nuovi rimedi a uno dei più gravi problemi che minaccia la salute del Pianeta. Oltre un miliardo di sacchetti di plastica monouso continuano a essere utilizzati ogni giorno nel mondo, buona parte dei quali finisce per essere smaltito (si fa per dire) nei mari. Secondo i dati più recenti, negli oceani sono presenti attualmente 8 milioni di tonnellate di plastica, una quantità impressionante che ogni anno cresce sempre di più.IMGA0909red

Foto tratta dal sito di Exxpedition

Tra le conseguenze macroscopiche più rilevanti di questo disastro ci sono sicuramente le immense isole di plastica che galleggiano sotto la superficie di tutti gli oceani. Fra queste, il Pacific Trash Vortex, nell’Oceano Pacifico, le cui dimensioni – difficilmente stimabili – sono valutate tra i 700mila e i 10 milioni di km² (ossia tra la grandezza della Penisola Iberica e quella degli USA). Secondo il rapporto The New Plastics Economy – Rethinking the future of plastics, pubblicato dalla Ellen MacArthur Foundation con il World Economic Forum, se non cambiamo abitudini nel 2050 ci sarà più plastica che pesce negli oceani. Gli effetti di questa sciagurata attività umana, che paradossalmente è anche fra le più comuni e quotidiane, non sono certamente solo estetici. Oceani e mari, infatti, producono più del 50% dell’ossigeno del pianeta, soprattutto grazie a fitoplancton (piccoli organismi acquatici vegetali) e alghe, sono i regolatori dell’atmosfera terrestre e del clima globale e sono fondamentali per la vita dell’uomo: il 60% della popolazione mondiale vive entro 60 km dalle coste e 3 miliardi di persone basano il 15-20% della loro dieta sui prodotti ittici. In un pianeta dai mari malati è pertanto a rischio la presenza stessa dell’uomo sulla Terra, oltre che quella della maggior parte delle altre specie viventi.Exxpedition

Foto tratta dal sito di Exxpedition

In questi anni l’attività di sensibilizzazione delle ONG operanti a livello internazionale per la transizione verso l’economia circolare e per la protezione dell’ambiente si è fatta sempre più fitta, a testimonianza della priorità data dal variegato mondo ecologista al problema. Tra queste iniziative, segnaliamo il progetto Exxpedition, attraverso il quale un gruppo di 24 scienziate donne, in partenza a fine giugno dalle Isole Hawaii, studierà l’isola di plastica del Pacifico per scoprire i danni che ha provocato finora e quelli che potrà portare in futuro alla Terra e alla salute degli esseri umani.27459279_10156238061617722_1214251493526704644_n

Foto tratta dalla pagina Facebook di Oceanus

Un’altra iniziativa da citare è quella di Oceanus, l’organizzazione ambientalista che promuove e divulga la ricerca scientifica e l’informazione a favore e salvaguardia degli ecosistemi marini e della salute del Pianeta. Fin dal 2009 Oceanus ha raccolto l’invito dell’Unione Europea ai suoi Stati membri di bandire le buste di plastica e ora, attraverso la campagna internazionale di sensibilizzazione ambientale “No More Plastic Bags”, lavora per sostituire gli inquinanti sacchetti di plastica con borse ecosostenibili. Laddove i soci della ONG sono maggiormente attivi, o dove, più semplicemente, le amministrazioni si mostrano accoglienti, Oceanus organizza una vera e propria distribuzione gratuita di shopper in cotone ai cittadini. Chiunque abbia un’attività commerciale può contattare support@oceanus.it per sostituire i classici shopper in plastica con quelli in tela!

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/03/oceanus-exxpedition-impegno-contro-plastica-mari/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Food ReLOVution, il film. Cosa mangiamo e cosa si nasconde dietro a ciò che mangiamo

“Food reLOVution” è il nuovo film del regista Thomas Torelli. Il filo logico che percorre questo lavoro è la parola “connessione”. Ed è proprio un pensiero di connessione che manca alla maggior parte di noi. Connessione con il pianeta che ci ospita: con la terra, il mare, l’aria che respiriamo, gli altri esseri umani, gli animali, le piante.9508-10264

E la connessione manca perché troppi sono ormai i passaggi tra noi e ciò che mangiamo. Abbiamo perso i profumi, le forme, il contatto con ciò che mettiamo nel piatto. Non siamo più in grado di capire di cosa ci nutriamo tanto è trattato, trasformato, reso appetibile e “buono” in modo artificiale, spesso irriconoscibile. Food Relovution è un’opera di perfetto equilibrio che riesce a parlare delle verità nascoste dietro il consumo di carne senza sembrare un prodotto da crociata vegana, che riesce a porre la questione della produzione e del consumo del cibo a livello mondiale evidenziandone le mostruosità senza usare la facile leva della sola emotività momentanea e superficiale. Il consumo di carne negli ultimi anni è cresciuto in modo esponenziale ed è andato di pari passo con l’aumento delle malattie cardiovascolari, dell’obesità, del diabete, del cancro. Il consumo di carne, però, non significa solo questo. E’, appunto, connesso anche allo sfruttamento senza limiti e senza sosta delle risorse naturali, all’emissione di gas serra così pericolosi per l’equilibrio ambientale e climatico e a un approccio profondamente disumano nei confronti degli animali.locandina-foodrelovution_a3_print300

Ma non basta ancora: la produzione di carne ha costi elevatissimi anche per un enorme numero di persone costrette a morire di fame. La fame è un fenomeno talmente lontano da noi che pensiamo non ci riguardi affatto e di cui, soprattutto, non percepiamo una responsabilità diretta. Tutto, invece,  è strettamente collegato. Pochissimi di noi riescono a vedere in una bistecca o in un bicchiere di latte, l’allevamento intensivo dal quale proviene: allevamenti neppure degni di questo nome ma vere e proprie industrie il cui scopo non è nutrire ma guadagnare. E’ difficile riuscire a capire che dietro la nostra richiesta sempre maggiore di carne ci debba essere una ricerca continua di terra da disboscare e poi coltivare a cereali per nutrire gli animali che mangiamo. La maggior parte dei cereali coltivati nel mondo non viene, infatti, usata per nutrire le persone ma per quegli animali destinati alle nostre tavole. La fame da una parte, lo spreco di cibo dall’altra (che arriva al 50 per cento, globalmente), l’obesità e la malnutrizione che si presentano spesso insieme nei nostri malati dando origine a degli obesi denutriti, l’enorme aumento delle malattie degenerative e l’aspettativa di vita, per la prima volta in calo in alcuni paesi occidentali sono facce dello stesso fenomeno. Si tratta di un sistema che si regge su un’economia basata sullo sfruttamento senza limiti di altri esseri viventi e sulla distruzione sistematica delle risorse. Un’economia che, nonostante le informazioni false, fuorvianti e ingannevoli che ci arrivano attraverso la  pubblicità che invade ogni spazio della nostra vita, non può che avere i giorni contati. Thomas Torelli fa parlare medici, scienziati ed esperti di fama mondiale: Franco Berrino, Colin e Thomas Campbell, Marilù Mengoni, Vandana Shiva, Frances Moore Lappé, Carlo Petrini, Peter Singer, James Wildman. Attraverso la loro testimonianza e le splendide illustrazioni animate di Michele Bernardi (il tratto e i colori sono perfetti), le bellissime musiche di Giulio del Prato, l’autore accompagna chi guarda senza giudizi di sorta, con l’unico intento di offrire elementi che facciano scattare quella “connessione” nello spettatore. Venire a conoscenza delle conseguenze di ogni nostra, anche minima, scelta alimentare è il punto nodale del film: scoprire cosa si cela dietro il cibo che compriamo ogni giorno può renderci persone finalmente consapevoli, farci pensare con attenzione, responsabilità e amore a ciò che vogliamo essere e diventare. Per noi stessi, per i nostri figli, per il pianeta, per ogni essere vivente. Intervenire criticamente attraverso le nostre scelte quotidiane significa crescere in consapevolezza. E la consapevolezza, si sa, è il primo passo per il cambiamento.

Guarda il trailer

Fonte: ilcambiamento.it

 

Sardegna, l’isola di Budelli torna pubblica

L’isola di Budelli, nell’arcipelago della Maddalena e famosa per la spiaggia rosa, non sarà più messa all’asta e non finirà in mano a privati. Il tribunale di Tempio Pausania ha assegnato definitivamente l’isola all’Ente Parco La Maddalena.

Si è chiusa finalmente la complessa vicenda immobiliare dell’Isola di Budelli. Il Giudice per le esecuzioni immobiliari di Tempio Pausania ha stabilito oggi che la proprietà passerà al Parco Nazionale della Maddalena.budelli

L’isola di Budelli non sarà più messa all’asta e non finirà in mano a privati

Ma il sogno della IIB della Scuola Media di Mosso, piccola cittadina montana del biellese, di fare di Budelli l’isola dei Giovani resta. Un sogno che il WWF continuerà a sostenere, come ha fatto appoggiando il progetto di cittadinanza attiva dei giovani studenti pronti a raccogliere fondi per l’acquisto qualora il Tribunale di Tempio avesse confermato l’impossibilità di prelazione del Parco e Budelli fosse stata rimessa all’asta. Un’isola contesa, che oggi merita di trovare il suo futuro in un modello di gestione e di valorizzazione a misura del paradiso straordinario ma fragile qual è.

 

“Ci auguriamo che da oggi si possa scrivere la nuova storia di Budelli – ha dichiarato la Presidente del WWF Italia Donatella Bianchi . Il WWF Italia, con le sue competenze e la sua esperienza, con le sue 100 Oasi e i suoi 50 anni di impegno per la tutela della natura italiana, è a disposizione per un progetto di conservazione condiviso ed innovativo. Sarebbe fantastico se un progetto di conservazione partisse dal basso, fosse condiviso e partecipato e realizzato in collaborazione con gli Enti proposti, quindi con il Parco della Maddalena, il Ministero dell’Ambiente e la Regione Sardegna”.

Fonte:  http://www.italiachecambia.org/2016/03/sardegna-isola-di-budelli-torna-pubblica/

Trivelle in mare, la Consulta autorizza il Referendum

Dichiarato ammissibile uno dei quesiti e altri due sono al momento in ‘stand-by’ per conflitto di attribuzione. Tre dei sei quesiti erano invece stati superati dall’approvazione della legge di stabilitàgettyimages-479387824

La Consulta ha dichiarato ammissibile uno dei sei quesiti referendari presentati in materia di estrazioni petrolifere, promossi da nove regioni italiane: Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise. Originariamente le regioni promotrici erano 10, ma all’ultimo è venuto meno il sostegno dell’Abruzzo. Il quesito che verrà sottoposto agli elettori riguarda la durata delle autorizzazioni già rilasciate per esplorazioni e trivellazioni dei giacimenti. Al momento le autorizzazioni sono “fino alla durata utile del giacimento” mentre le sei regioni chiedono che sia stabilita una durata non superiore a 30 anni per le estrazioni e a 6 anni per le attività di ricerca. La decisione della Consulta ha fatto esultare i presidenti delle succitate regioni, in modo particolare il pugliese Emiliano che su questo tema è da sempre in netto contrasto con l’esecutivo nazionale pur essendo un esponente del PD. Queste le sue parole: “Mi auguro che la paura della coincidenza di questo referendum con quello delle riforme costituzionali non stronchi questa discussione. Certo il governo può fare un’altra norma ‘uccidi-referendum’. Mi auguro che a questo punto la eviti perché la campagna referendaria è partita oggi stesso e bisogna evitare che gli italiani pensino che di queste cose non si può discutere nel nostro Paese… i consigli regionali per la prima volta nella storia di Italia hanno capito che basta che cinque di essi non siano d’accordo su una legge dello Stato perché sia possibile chiedere il parere ai cittadini. E questa possibilità va utilizzata anche per altre leggi sopratutto quando, come succede in questo periodo, spesso i governi legiferano senza un adeguato coinvolgimento dal basso degli organismi intermedi e più in generale dei partiti”.

Soddisfazione anche da parte di Enzo Di Salvatore – il costituzionalista di riferimento delle regioni per questa campagna referendaria – che ha spiegato come altri due quesiti abbiano ancora chance di passare: “Tre quesiti erano stati superati in senso positivo dalle nuove norme poste in Legge di Stabilità, due andranno di fronte alla Corte per il conflitto di attribuzione, uno è passato: al momento il fronte referendario è sul 4-2 con Renzi. Il Governo voleva far saltare i referendum per non sovrapporli alle amministrative, visto che i sondaggi davano la vittoria anti trivelle al 67%. Ora restano in piedi i quesiti su Piano Aree e durata titoli: secondo me la Corte Costituzionale dichiarerà ok anche gli altri due, quindi se il Governo non vuole i referendum, dovrà modificare la legge anche stavolta a nostro favore. Siamo soddisfatti anche perché ripeto che lo scenario più probabile è che il Governo, che vuole a tutti i costi evitare i referendum, modificherà anche queste norme la decisione di oggi rende più forte il conflitto di attribuzione, e se passa quello sul ripristino del Piano Area, a quel punto abbiamo messo una bella ipoteca sullo stop alle trivelle in mare Adriatico per sempre”. Prosegue: “la paura di un referendum in materia energetica ha avuto il suo peso, non è la legge elettorale. Per ora c’è lo stop nelle 12 miglia, col Piano Area si riapre la partita in terraferma e sul mare continentale, laddove enti locali, regioni e governo si devono mettere d’accordo: questo sarà il referendum decisivo per il mare. Se Renzi lo vuole evitare, dovrà cambiare la norma e dire no alle trivelle”.

Fonte: ecoblog.it

Allarme inquinamento a Rosignano Solvay

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Il nome di Rosignano Solvay torna nelle pagine di cronaca per un altro caso di presunto inquinamento. Nel pomeriggio di sabato, al largo della costa della località del livornese, è apparsa una grande chiazza bianca. Alcune persone che si trovavano nel tratto di mare antistante alle Spiagge bianche hanno notato lo strano fenomeno, una schiuma bianca in risalita dal fondale alla superficie marina. I timori dei cittadini sono legati agli scarichi del vicino stabilimento Solvay, ben noto alle cronache ambientali del livornese. Secondo le testimonianze di coloro che hanno dato l’allarme, sembra che la chiazza schiumosa non contenesse materiali di alcun tipo, ma evidenziasse una sorta di movimento “ascensionale” dal basso verso l’alto. Sia l’Arpat che altri soggetti deputati al controllo ambientale non hanno indicato particolari situazioni di criticità. Un’altra delle possibilità ventilate dagli organismi di controllo è che la chiazza anomala sia connessa all’attività del vicino depuratore, ma allo stato attuale delle cose non è stato provato alcun rapporto di causalità. Anche in questo caso, come ha spiegato al Tirreno il vicesindaco Daniele Donati, non ci sarebbe alcun motivo di allarmarsi.

Fonte: Il Tirreno