Capo Frasca: manifestazione No Servitù, per restituire la Sardegna ai sardi

Migliaia di sardi a Capo Frasca si uniscono sotto la bandiera No Servitù: bonifiche immediate, chiusura dei poligoni militari, restituzione dei territori

Capo Frasca è stato tristemente ribattezzato “immondezzaio bellico”. Non è raro su queste magnifiche spiagge sarde incappare, ogni tanto, nel bussolone metallico di qualche missile inesploso durante un’esercitazione militare. In Sardegna sono i militari a farla da padrone, ma non i militari dell’Esercito Italiano: la Sardegna, terra meravigliosa che si racconta essere stata formata dall’Onnipotente con il suo sandalo a darle forma, è infatti la regione più militarizzata d’Europa. Qui si addestrano americani, israeliani, turchi, britannici, qui provano tecnologie belliche ed arsenali gli eserciti di mezzo mondo: 35mila ettari di territorio sardo sono infatti ipotecati sotto vincolo militare. La Sardegna ha, a Salto di Quirra, il poligono militare più grande d’Europa: 13000 ettari che il popolo sardo ha gentilmente concesso ai fanatici di tutto il pianeta. Ma c’è un limite che sembra essere stato superato: il 26 agosto scorso due tornado tedeschi aprono il fuoco su Capo Frasca nel corso di un’esercitazione militare, mandando in fumo circa 26 ettari di territorio. Quell’episodio, apparentemente senza conseguenze e considerato “normale attività” di addestramento, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: oggi centinaia di cittadini sardi si sono radunati ai margini del poligono di Capo Frasca per chiedere l’immediato stop delle servitù militari in Sardegna e la chiusura di tutte le basi ed i poligoni militari, con la loro bonifica e la riconversione delle aree interessate ad altro scopo. Della manifestazione c’è anche una (un po’ ballerina) diretta streaming qui.

L’iniziativa è nata grazie all’impegno, profuso per anni, di molti indipendentisti come A manca pro s’Indipendentzia e ProgRes, un impegno che ha sfondato il muro di omertà popolare durato anni: grazie anche al quotidiano Unione Sarda, che in edicola ha distribuito ai suoi lettori delle bandiere con la scritta “No Servitù”.

“L’occupazione militare della Sardegna rappresenta un sopruso che dura da sessanta anni e che non siamo più disposti a tollerare. La nostra terra è ridotta a un campo di sperimentazione militare in cui diventa lecita qualsiasi soglia di inquinamento e viene testata qualsiasi tecnica di sterminio. Col passare del tempo lo Stato italiano intensifica il ritmo e il peso delle esercitazioni militari. L’occupazione militare rappresenta la negazione più evidente della nostra sovranità nazionale e impedisce uno sviluppo socio-economico indipendente del nostro popolo, condannando la Sardegna all’infamante ruolo di area di servizio della guerra. Vogliamo che la Sardegna diventi un’isola di pace e che il suo territorio sia assolutamente indisponibile per le esercitazioni di guerra, di qualunque esercito (compreso quello italiano) e sia interdetto a qualunque attività o presenza connesse con chi usa la guerra per aggredire altri popoli o per crimini contro i civili, colpendo ospedali, scuole, rifugi per sfollati e abitazioni civili. Chiediamo che la Sardegna sia  immediatamente e per sempre interdetta all’aviazione militare israeliana. Invitiamo tutto il popolo sardo, le associazioni, i partiti e i comitati ad aderire e partecipare alla manifestazione indetta a Capo Frasca il prossimo 13 di settembre per pretendere a gran voce: – Il blocco immediato di tutte le esercitazioni militari.
– La chiusura di tutte le servitù, basi e poligoni militari con la bonifica e la riconversione delle aree interessate.”

La manifestazione No Servitù è il primo appuntamento di una protesta (e proposta) che quest’autunno e quest’inverno, complici anche i numerosi focolai di guerra sparsi per il mondo, faranno certamente notizia sui giornali nazionali. Ad oggi, a parte i quotidiani locali e qualche sito di informazione online, sulla manifestazione e sulle richieste degli attivisti in questo momento sulle dune di Capo Frasca non c’è una singola riga sui quotidiani nazionali. Noi di Ecoblog ci siamo più volte occupati delle esercitazioni militari in Sardegna, dei rischi connessi alla salute per i metalli utilizzati nelle esercitazioni (come l’uranio) e delle indagini della magistratura per fare luce sulla pericolosità e sugli illeciti commessi dagli ufficiali dell’Esercito; il documentario Materia Oscura è, in questo senso, un vero e proprio pugno nello stomaco, che ci dimostra come la correlazione tra esercitazioni militari, la morte del territorio, l’avvelenamento degli uomini e la morte degli animali ci sia un tragico fil rouge che unisce tutto. Di fatto la guerra comincia in Sardegna e finisce in Iraq, in Libia, in Sudan, ovunque l’uomo bombardi: uno scempio che non è più tollerabile per un paese al quale piace definirsi “bello” e che nella propria Costituzione ripudia la guerra. La terra sarda appartiene da secoli ai suoi abitanti, che non necessitano in alcun modo delle esercitazioni militari perchè non portano lavoro, non portano soldi e non portano altro che malattie.

Video | Global Info Actioncapogfrasca-620x350

Fonte: ecoblog.it

Cambogia: l’esercito sopprime nel sangue la manifestazione dei 500 mila operai del tessile

Phnom Penh capitale della Cambogia è stata teatro oggi di una cruda repressione su 500 mila manifestanti, tutti operai del settore tessile che chiedono un salario più elevato, ma l’esercito ha soppresso la manifestazione nel sangue sparando sulla folla dei lavoratorimanifestazioni-in-cambogia-3

 

Oggi a Phnom Penh è stata una giornata di sangue: l’esercito ha soppresso la manifestazione dei 500 mila operai del tessile sparando sulla folla. Il settore tessile è la fonte principale di reddito per questo paese che offre la sua manodopera a un costo più basso di quella cinese alle multinazionali dell’abbigliamento e anche alle grandi firme. I lavoratori tessili protestano affinché gli sia riconosciuto il raddoppio del salario minimo, ossia ottenere almeno 160 dollari usa mensili contro gli attuali 80 dollari mensili Usa, ma il governo cambogiano ha offerto un aumento di circa 100 dollari Usa mensili. Il portavoce della polizia militare Kheng Tito ha detto alla AFP che la polizia ha posto un giro di vite sui manifestanti dopo che nove poliziotti sono rimasti feriti negli scontri:

Avevamo paura per la sicurezza e quindi abbiamo dovuto reprimere la manifestazione … Se gli permettiamo loro di continuare lo sciopero diventerà l’anarchia.

Gli scontri segnano una svolta violenta dopo due settimane di scioperi relativamente pacifici con marce e dimostrazioni a cui hanno preso parte un gran numero di lavoratori e senza precedenti in Cambogia con le forze di sicurezza, che hanno una reputazione di tolleranza pari zero, che fino a stamane si erano mantenute moderate. I lavoratori tessili, la cui industria fornisce un contributo del valore di 5 miliardi di dollari all’anno per l’economia, si sono uniti nelle proteste coordinati dal partito dell’opposizione il CNRP, ovvero il Cambogia Rescue National Party (CNRP , che sostiene di essere stato vittima di brogli elettorali e di essere stato privato di oltre 2 milioni di voti alle elezioni dello scorso luglio. Gap, Adidas, Nike e Puma sono tra i grandi marchi che hanno delocalizzato la produzione di calzature e abbigliamento alle fabbriche cambogiane, in parte per la maggiore convenienza rispetto alla Cina. Per cui quando acquisteremo un prodotto straniero controlliamo l’etichetta e se c’è scritto Made in Cambodia, mettiamoci una mano sulla Coscienza.

Fonte:  BBC, Reuters

Com’è andata la manifestazione dell’11 maggio contro l’inceneritore del Gerbido di Torino

Circa 700 i manifestanti da Beinasco a Piazza d’Armi di Torino. Il corteo aperto dallo striscione “Inceneritore=morte”. L’impianto ha iniziato a funzionare parzialmente ad aprile374872

Si è svolta nel pomeriggio di sabato 11 maggio la manifestazione contro il termovalorizzatore del Gerbido. Circa 700 partecipanti hanno sfilato da Beinasco a piazza d’Armi a Torino. Diversi i comitati e le sigle che hanno aderito alla giornata di protesta. Oltre al coordinamento “No Inc – Rifiuti Zero”, promotore dell’evento, erano presenti “Rivalta sostenibile”, “Salviamo il paesaggio”, “USB – Unione sindacale di base”. Molti manifestanti mostravano spille e bandiere “No TAV”. Un lungo striscione nero con la scritta “inceneritore = morte” apre il corteo, seguito da “cancrovalorizzatore”, “vogliamo scegliere l’aria che respiriamo”. Alcuni bambini sfilano reggendo bare bianche di polistirolo. “Questo inceneritore è un mostro, non ci sono altre parole per descriverlo -dice una manifestante-, è assurdo che si scelga di bruciare i rifiuti pur sapendo quanto si inquina”. I rischi per la salute sono uno dei motivi principali della protesta. “Adesso che l’inceneritore è in funzione la diossina e i metalli pesanti inquineranno tutta la zona per un raggio di 5 km -aggiunge la proprietaria di una cascina di Grugliasco- i nostri animali saranno danneggiati, i raccolti pure. E’ davvero questo il posto dove vogliamo far crescere i nostri bambini?”.
“Quello dell’inceneritore è un problema che non riguarda solo Torino e comuni limitrofi -afferma un altro partecipante- perchè l’impianto è vicino ai mercati generali, dove passa tutta la frutta e la verdura che viene consumata in provincia”. L’opinione prevalente tra i manifestanti su come trattare i rifiuti è che qualsiasi alternativa al termovalorizzatore del Gerbido sarebbe stata migliore. “La soluzione giusta è riciclare -sostiene un ragazzo- perchè si potrebbe recuperare il 90% di quello che si butta. E il restante 10% non lo si dovrebbe proprio produrre. Ma con l’inceneritore i comuni abbandoneranno la strada della raccolta differenziata”. Oltre al riciclo anche il trattamento meccanico-biologico viene citato più volte. “L’obiettivo rifiuti zero non è un’utopia -afferma una giovane coppia- ma l’unica soluzione davvero sostenibile”.

Fonte: eco dalle città

#Mobilitànuova: alla manifestazione del 4 maggio verrà lanciata una legge d’iniziativa popolare

Presentata in una conferenza stampa la Rete per la #MobilitàNuova: 150 sigle tra associazioni e comitati che danno appuntamento il 4 maggio a Milano per una grande manifestazione nazionale. Tra le richieste: spostare le risorse pubbliche degli investimenti in mobilità verso le aree urbane374661

Il comunicato stampa della rete Mobilità Nuova
La grande ubriacatura delle gigantesche opere pubbliche in Italia ha lasciato sul campo una Legge Obiettivo che, a dodici anni dalla sua approvazione, risulta attuata solo per il 9%, pur essendo stati dilapidati 1,5 miliardi solo per studi e progettazioni preliminari. Ma è nei suoi fondamentali che l’approccio alle opere strategiche era e resta sbagliato e dannoso, non solo per l’ambiente che subisce gli effetti di eterne cantierizzazioni, ma anche per l’economia dei trasporti: non c’è niente di più sbagliato che investire risorse strategiche in settori in cui la domanda è latitante, lasciando invece sguarniti i grandi agglomerati urbani, in cui vivono 25 milioni di italiani e in cui si concentra l’80% della domanda di spostamento delle persone. Città congestionate, aria inquinata, tassi di motorizzazione e di incidentalità stradale molto più alti della media europea: non c’è dubbio che in Italia ad essere mancate sono state le politiche della mobilità. E’ a partire da questa realtà, che è sotto gli occhi di tutti, che nasce la rete #MobilitàNuova, una rete di 150 sigle tra associazioni e comitati, che si propone di mettere al centro le esigenze di mobilità di persone e merci per immaginare e rivendicare una Italia in cui la mobilità urbana e il trasporto regionale tornino ad essere governate, si facciano infrastrutture utili, si investa nel trasporto ferroviario delle merci, le città si dotino di servizi competitivi e realmente capaci di togliere traffico dalle strade per far muovere meglio le persone e, con loro, l’economia che dipende anche da un sistema di mobilità fluido, efficace, governato.
Lo slogan della manifestazione parte da quelli che sono i protagonisti dimenticati della mobilità urbana: pedonipedali pendolari: “Partiamo dalla constatazione che la sfida di una mobilità efficiente deve essere impostata a partire dai bisogni reali degli utenti, che oggi in Italia sono largamente insoddisfatti e per i quali il ricorso all’automobile costituisce un ripiego e non una scelta -dichiara Simone Dini, portavoce della Rete Mobilità Nuova– è nelle aree urbane che si concentra l’80% della domanda di spostamento delle persone, ed invece le risorse in infrastrutture strategiche viaggiano su tutt’altre direttrici, che si tratti di nuovi e improbabili raccordi autostradali o di linee ad alta velocità che costano il triplo di quanto costerebbero se realizzate in qualsiasi altro Paese europeo”.
C’è chi non è più disposto ad accettare questo squilibrio: è il popolo di chi per spostarsi usa il treno o le proprie gambe. La loro richiesta è chiara: non vogliono più essere considerati cittadini di serie B rispetto agli automobilisti o agli utenti business dell’Alta Velocità, ma chiedono che in Italia si apra una stagione di rinnovamento che faccia i conti anche con le diverse disponibilità di risorse economiche delle famiglie, che sempre più numerose –per necessità più che per scelta– stanno ridimensionando il consumo di chilometri in auto. Così pedoni, pedalatori e pendolari si sono dati appuntamento il prossimo 4 maggio, nel piazzale della stazione Centrale, per far partire la ‘mobilità nuova’ con una manifestazione nazionale che si snoderà nelle vie di Milano, il centro della più grande area metropolitana italiana.
All’appello per la manifestazione hanno già confermato la loro presenza oltre 150 sigle diverse tra associazioni nazionali, sindacati, circoli e comitati locali, sotto il segno della trasversalità. Da Libera Slow Food, da Cittadinazattiva Touring Club, da Legambiente Coldiretti, da Fiab Euromobility, dai comitati pendolari a quelli che si battono contro la realizzazione di alcune grandi infrastrutture stradali e ferroviarie: quella che si è data il nome di Mobilità Nuova è una coalizione variegata che testimonia che il tema degli spostamenti non è solo smog e congestione, ma anche qualità dell’ambiente urbano e del territorio, efficienza del trasporto pendolare e di quello pubblico urbano, km0 in agricoltura, consumo di suolo zero e qualità ambientale, valorizzazione turistica delle città e del paesaggio, diritti dei consumatori ed equità nell’accesso ai servizi di mobilità. Ma è anche legalità, opposizione alla realizzazione di grandi e inutili opere autostradali o ferroviarie e sviluppo degli spostamenti non motorizzati. E ancora sicurezza stradale, riduzione delle emissioni di gas serra, dipendenza petrolifera, costi economici, sociali, sanitari e ambientali.
“Il settore del trasporto pubblico è dilaniato da tagli di risorse, inefficienze e chiusure monopolistiche –dichiara Dario Balotta, portavoce di Legambiente– nel Paese che si appresta a far viaggiare treni a 400 km/ora tra Milano e Roma, la velocità commerciale dei treni pendolari è tra le più basse d’Europa, 35,5 km/h contro i 51,4 della Spagna e i 48,1 della Germania. Eppure l’utenza pendolare, che ogni giorno riempie uffici, fabbriche e scuole, non è certo meno strategica di quella business. E che dire del trasporto ferroviario delle merci, che in soli 6 anni si è dimezzato, facendo crollare la sua incidenza a meno del 6% della movimentazione merci, contro una media europea del 15%? A cosa serviranno i nuovi grandi tunnel di valico, se quando saranno pronti il trasporto merci in Italia sarà completamente desertificato?”
I perché della manifestazione sono stati spiegati in una conferenza stampa a Milano, che ha scelto simbolicamente come luogo per la conferenza il Punto Expo del mezzanino del passante ferroviario a Porta Garibaldi.
“La metropoli che accoglierà Expo 2015 continua a soffrire di patologie da traffico e smog e ad essere vistosamente sottodotata di infrastrutture e servizi di mobilità collettiva, in particolare per quanto riguarda i collegamenti con i comuni di cintura, eppure stiamo devastando le nostre campagne per realizzare opere autostradali di cui nessuno, neanche i finanziatori, sentono un reale bisogno –dichiara Luigi Visigalli, portavoce dei comitati No TEM– la Lombardia si è indebitata per raddoppiare la sua rete autostradale proprio nel momento in cui la domanda di trasporto automobilistico è arrivata all’apice e sta ormai declinando, lasciando intravedere enormi buchi per i project financing inventati per giustificare l’inesistente sostenibilità finanziaria di queste opere.”
La #MobilitàNuova si propone di avviare una trasformazione e una rigenerazione della società che va molto al di là della semplice trasformazione degli stili di mobilità individuale e punta a un deciso ridimensionamento del binomio auto+alta velocità. Una scelta che va contro quello che fino ad oggi è stato il pensiero unico dei grandi investimenti infrastrutturali, che ha generato voragini di spesa pubblica inefficiente, e che ha prodotto inquinamento, incidentalità stradale, danni sanitari, congestione, consumo di suolo, aggressione al patrimonio storico delle città, iniquità sociale, alienazione e inaridimento delle relazioni sociali. Al contrario una #MobilitàNuova che ruota attorno a tre perni –l’uso delle gambe con o senza pedali; l’uso del trasporto pubblico locale e della rete ferroviaria; l’uso virtuoso e il più possibile condiviso dell’automobile– modifica lo spazio pubblico e la sua destinazione d’uso, rafforza i legami comunitari tra le persone e tra le persone e il luogo dove vivono, studiano e lavorano, stimola le economie di prossimità, crea lavoro stabile, contribuisce a far crescere la percezione di sicurezza attraverso strade e piazze più vissute e frequentate. In altre parole rende le città e il territorio più bello e migliora la qualità della vita.
“Così -concludono i rappresentanti delle associazioni promotrici della #MobilitàNuova– sabato 4 maggio a Milano manifestiamo per imporre ai decisori politici una rivoluzione della mobilità che parta proprio da un riequilibrio delle scelte politiche e delle risorse destinate al settore dei trasporti, dando insieme visibilità e sostegno alle vertenze nazionali e locali contro quelle opere pubbliche stradali, autostradali e ferroviarie inutili e dannose per il Paese. Dal giorno dopo la manifestazione di Milano lanceremo insieme una raccolta di firme per una legge d’iniziativa popolare (obiettivo un milione di adesioni) che vincoli almeno i tre quarti delle risorse statali e locali disponibili per il settore trasporti a opere pubbliche che favoriscono lo sviluppo del trasporto collettivo e di quello individuale non motorizzato. La nostra proposta prevederà inoltre l’introduzione di target nazionali vincolanti per le amministrazioni locali che definiscano (sul modello della raccolta differenziata) obiettivi percentuali per l’insieme degli spostamenti effettuati con mezzi diversi dall’auto privata all’interno dei centri urbani”. Il compito di elaborare, e condividere con le altre associazioni, il testo della proposta di legge sarà affidato a un Comitato di Garanzia formato da Simone Dini,Alberto FiorilloValeria PulieriMarta De Lorenzo.

Fonte: eco dalle città

Abruzzo, migliaia in piazza contro le trivellazioni petrolifere

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È stata la più grande manifestazione che l’Abruzzo ricordi negli ultimi anni quella che si è tenuta sabato scorso a Pescara contro il progetto ‘Ombrina Mare’ di Medoilgas che prevede la realizzazione di una piattaforma petrolifera a largo delle coste abruzzesi e molisane. Oltre 40.000 persone tra ambientalisti, associazioni di categoria, centinaia di amministrazioni locali, movimenti e singoli cittadini hanno aderito spontaneamente al corteo per fermare il progetto di trivellazioni petrolifere. In migliaia si sono ritrovati sin dalla tarda mattinata al porto di Pescara per animare la manifestazione ‘No petrolio’. Un lungo corteo colorato e pacifico ha attraversato tutto il lungomare nord per raggiungere la centrale Piazza Primo Maggio, dove un comizio ha concluso la giornata di mobilitazione. In mare, poco distante dal punto di arrivo del corteo, c’era anche la barca a vela di Greenpeace, la stessa utilizzata per la protesta in Sicilia, con scritto sulla randa in siciliano “u mari nun si spirtusa”. “C’è tutto l’Abruzzo in piazza”, ha affermato con soddisfazione il presidente regionale del Wwf, Luciano Di Tizio, che, insieme alle altre associazioni ambientaliste, ha promosso l’evento. “Ci aspettavamo buoni risultati – ha aggiunto – ma il successo ottenuto va oltre ogni aspettativa. Siamo qui non solo per dire no al petrolio, ma anche per dire sì a un Abruzzo diverso”. Gli organizzatori hanno annunciato la loro intenzione di attivarsi tempestivamente per evitare la deriva petrolifera facendo in modo che venga imposto nell’immediato il limite di 12 miglia per le piattaforme e che in futuro venga bloccato definitivamente il petrolio in Adriatico. “Oggi è stata rappresentata la volontà del popolo abruzzese e non si può non tenerne conto”, dichiarano gli organizzatori dell’evento. “Dalla manifestazione di oggi contro la piattaforma petrolifera di Ombrina Mare, la più grande mai organizzata nella regione, arriva un segnale fortissimo: l’Abruzzo rifiuta questo intervento nella maniera più assoluta e vuole uno sviluppo legato alla tutela del suo mare e del suo territorio. Ma la straordinaria partecipazione lancia un messaggio altrettanto chiaro anche a livello nazionale: gli italiani sono stanchi di una strategia energetica nazionale che continua a puntare sulle fonti fossili e sulla ricerca di idrocarburi, e chiedono una nuova economia sostenibile e rispettosa del nostro straordinario patrimonio ambientale. Decisori e amministrazioni a tutti i livelli non possono non tenere conto di una volontà espressa con tanta forza”. È questo il commento di Dante Caserta, presidente nazionale del WWF Italia. Il progetto di trivellazioni petrolifere ‘Ombrina Mare’ della società inglese Medoilgas vedrebbe sorgere al largo della Costa dei Trabocchi – gioiello naturalistico del litorale abruzzese individuato sin dal 2001 dal Parlamento italiano come Parco Nazionale – una piattaforma di produzione posta a soli 5 km dalla costa con 6 pozzi, 36-42 km di tubazioni sottomarine e una grande nave raffineria FPSO di 320 metri di lunghezza ormeggiata a 10 km dalla costa per almeno 24 anni. Proprio a largo dell’Abruzzo soltanto qualche mese fa è avvenuto uno sversamento di petrolio. A gennaio, infatti, una chiazza di idrocarburi stimata in circa mille litri è stata avvistata davanti al campo petrolifero Rospo Mare, al largo delle coste tra Abruzzo e Molise. A rendere nota la perdita è stata la Edison, la società che opera nella piattaforma petrolifera.

A minacciare le coste italiane sono 9 piattaforme e 68 pozzi petroliferi, che estraggono mediamente circa 650.000 tonnellate di greggio l’anno.

Fonte: il cambiamento