Parmigiano Reggiano contaminato da aflatossina: sequestrate 2440 forme

Le aflatossine contenute nel mais scadente e dato come mangime alle mucche da latte ha contaminato 2440 forme di parmigiano Reggiano prontamente sequestrato dai NAS di Parma469560541-620x350

Sono scattati gli arresti domiciliari per 4 persone, ovvero Sandro Sandri direttore del centro servizi per l’agroalimentare di Parma e tre imprenditori agricoli per la presenza di aflatossina oltre i limiti imposti dalla legge in 2440 forme di parmigiano Reggiano. Dovranno rispondere delle accuse di associazione a delinquere finalizzata al falso in atto pubblico e alla commercializzazione di sostanze alimentari nocive e tentata truffa aggravata finalizzata alla ricezione di pubbliche erogazioni per il latte qualità. Le indagini dei NAS di Parma hanno portato anche all’iscrizione nel registro degli indagati di 63 persone poiché il latte usato per la produzione del Parmigiano Reggiano era contaminato da aflatossine entrate nella catena alimentare delle mucche da latte dal mangime a base di mais. Gli inquirenti ritengono che tutte le persone siano coinvolte nella falsificazione delle analisi omettendo i controlli e lasciando che latte contaminato fosse usato per produrre uno tra i più nobili formaggi simbolo del Made in Italy. la presenza della micotossina, hanno reso noto i NAS di Parma era superiore di ben due volte ai limiti comunitari. Le aflatossine sono micotossine cancerogene prodotte da due funghi che si sviluppano in ambiente caldo umido. Le aflatossine possono contaminare arachidi, frutta a guscio, granoturco, riso, fichi, frutta secca, spezie, oli vegetali grezzi e semi di cacao prima o dopo la raccolta.

Maurizio Martina ministro per le Politiche agricole ha commentato:

L’operazione della Procura di Parma e dei Nas a tutela della salute dei consumatori e del Parmigiano Reggiano è la conferma che il nostro sistema di controlli funziona. Abbiamo gli anticorpi giusti per contrastare con efficacia chi viola le regole, creando danni enormi alla reputazione dei nostri prodotti. Dobbiamo anche ribadire che non c’è al mondo un sistema di verifiche come quello previsto per i prodotti di qualità italiani. Solo nel 2013 abbiamo condotto più di 130 mila controlli e tra i prodotti DOP e IGP il tasso di contraffazione mostra percentuali molto basse. Il Governo è totalmente impegnato al fianco dei produttori che rispettano la legge e sono protagonisti di quel grande successo che è il Made in Italy agroalimentare, che vale oltre 33 miliardi di euro solo di export. Allo stesso tempo l’obiettivo primario resta quello di garantire la salute e la fiducia dei consumatori italiani ed internazionali.

Fonte:  RaiNews

© Foto Getty Images

Una sola specie (indovinate quale) consuma quasi il 30% della produzione vegetale di tutta la Terra

Si tratta ogni anno di oltre una tonnellata di Carbonio per abitante. Nelle zone maggiormente antropizzate il prelievo supera il 70%.

 

Quanto pesa l’umanità su questo pianeta?

Oltre alla ormai celebre impronta ecologica, un buon sistema di misura è il cosiddetto HANPP (Human Appropriation of Net Primary Productivity), ovvero l’appropriazione umana della produttività primaria netta (cioè vegetale) in termini di raccolti, pascoli, mangime, legno, biofuel. Secondo uno studio dell’Istituto di Ecologia Sociale di Klagenfurt, Austria, l’uomo ogni anno si appropria in un modo o nell’altro del 28,8% di tutta la biomassa che cresce al di sopra del terreno (1). Questo equivale ad un prelievo di 1,2 tonnellate di Carbonio per ogni abitante del pianeta. Si tratta naturalmente di un valore medio, perchè come si può vedere dalla mappa qui sotto, nelle zone più antropizzate l’appropriazione supera in genere il 70%. L’India spicca per l’ enorme prelievo di biomassa su tutto il suo territorio e mostra chiaramente l’impatto dei consumi, ancorchè sobri, di un miliardo di persone. Tra le altre zone critiche, la Cina, l’Australia, il modwest americano, la Nigeria, il Rwanda e varie regioni di Europa, tra cui la pianura padana In certi casi (aree in azzurro nella mappa, corrispondenti alle zone irrigate in Egitto, Pakistan, Uzbekistan) i cambiamenti indotti dall’uomo hanno causato un’aumento della produzione vegetale rispetto allo stato naturale, per cui l’appropriazione si presenta con un  segno meno davanti. Questo non significa però che le cose stiano andando bene, visto che tle risultato è stato ottenuto al prezzo di un insostenibile prelievo di acqua.HANPP

(1) Il valore risulta un po’ più basso se si considera anche la biomassa sotterranea, da cui i prelievi sono minori (radici, tuberi, bulbi).  L’HANPP è la somma della biomassa effettivamente utilizzata dall’umanità e della biomassa  persa per i cambiamenti rispetto ad un ecosistema indisturbato. Il video in alto proviene da un’altra fonte (NASA) e per questo i colori del globo sono leggermente diversi dalla mappa qui sopra.

Fonte: ecoblog.it

USA: il 44% del mais è destinato a biofuel

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Negli USA la terra arabile è sempre più usata per produrre biofuel invece che cibo. Come si vede dal grafico, la produzione di mais per bioetanolo è letteralmente esplosa nell’ultimo decennio ed ormai interessa il 44% della superficie destinata a questo cereale, per un’area pari a oltre 150 000 km², ovvero un’estensione maggiore dell’intero stato dell’Iowa.(1)  La quota rimanente è in massima parte destinata ad essere usata come mangime negli allevamenti intensivi.

La pressione generata dai biofuel sta aggredendo  un’importante area naturale quale la grande prateria, in particolare in South Dakota e Iowa.  Secondo una ricerca di Wright e Wimberly negli ultimi 5 anni oltre 5300 km² di prateria sono stati messi a coltivazione per il mais. In questo modo sono stati distrutti habitat importanti per gli uccelli, in particolare le anatre selvatiche.

Ma la follia del bioetanolo non si ferma qui.

Primo: l’attuale produzione di bioetanolo, pari a 22,6 Mtep, copre appena il 3% dei consumi di petrolio degli USA. Nemmeno se tappezzassero tutta l’Unione di campi di mais, gli americani potrebbero soddisfare la loro economia ultra energivora.

Secondo: il mais per il bioetanolo è coltivato con grandi input fossili (fertilizzanti, trasporto, trattamento chimico) e il guadagno energetico è modesto, in genere di qualche punto percentuale.

Terzo: i cambiamenti climatici potrebbero ridurre in modo significativo la resa agricola negli USA e quindi occorrerà più terra per produrre lo stesso cibo: la terribile siccità dell’estate del 2012 potrebbe essere solo un’avvisaglia di quello che ci aspetta.

(1) Fonti: Renewable Fuel Association e Faostat. I dati relativi alla produzione e alle rese del 2012 provengono invece da USDA.

 

Fonte: ecoblog