Isde: “Grave l’inquinamento da traffico aereo, a rischio la salute di chi vive vicino agli aeroporti”

Malattie cardiovascolari, respiratorie, neoplastiche, disturbi della sfera neuro-comportamentale, disturbi dell’apprendimento e dell’attenzione nei bambini: per l’Associazione italiana medici per l’ambiente sono queste le conseguenze del vivere a distanza ridotta da un aeroporto. “Ridurre il numero dei voli”379515

Il trasporto aereo provoca inquinamento atmosferico, acustico ed elettromagnetico. Un dato ormai riconosciuto scientificamente e comprovato in modo incontrovertibile da decenni di studi e ricerche. Ad affermarlo è l’Associazione italiana medici per l’ambiente (Isde) di Viterbo. “Le popolazioni che vivono in prossimità degli aeroporti, come quelle residenti a CiampinoMarino e nel X Municipio di Roma – proseguono gli esperti – pagano pertanto, in termini di malattie e cause di morte correlate anche a questa particolare forma d’inquinamento, il prezzo più alto di scelte che hanno spesso messo al primo posto il profitto di pochi invece che la salute dei cittadini”.
L’Isde, che ha partecipato a Ciampino al convegno ‘Aeroporto, ambiente, salute, territorio’ promosso dal Comitato per la riduzione dell’impatto ambientale dell’aeroporto di Ciampino, cita come riferimenti studi già realizzati e in corso di Arpa-Lazio, delDipartimento di epidemiologia e prevenzione della Regione Lazio, dell’Università Sapienza di Roma e dell’Università Tor Vergata di Roma.
“In questi lavori scientifici – ha indicato nella sua relazione Antonella Litta, rappresentante dell’Isde di Viterbo – sono stati rilevati e studiati molti degli effetti sanitari già noti e generati dal trasporto aereo, soprattutto negli anni che hanno registrato un forte incremento del numero di voli sull’aeroporto di Ciampino, ovvero:malattie cardiovascolari, respiratorie, neoplastiche, disturbi della sfera neuro-comportamentale, disturbi dell’apprendimento e dell’attenzione nei bambini, e – aggiunge – una riduzione della qualità della vita per compromissione della qualità del sonno a causa delle operazioni aeroportuali svolte nelle ore notturne”.
La dottoressa Litta ha poi evidenziato come il trasporto aereo, incrementato dai voli ‘low-cost’ per lo più al servizio del cosiddetto ‘turismo mordi e fuggi’, “provochi gravissimi danni al clima (per i gas serra e le polveri generate dai combustibili utilizzati per la propulsione degli aerei), e come il surriscaldamento climatico e le sue conseguenze (alluvioni, desertificazioni, cicloni sempre più violenti, recrudescenze di particolari malattie infettive, riduzione della disponibilità di acqua potabile), abbiano ricadute drammatiche sull’intera umanità ed in particolare sulle popolazioni più povere del pianeta, quelle che per la stragrande parte non usufruiscono e non possono usufruire del trasporto aereo ma ne subiscono le nocive conseguenze e che vengono costrette a forzate migrazioni sanitarie”.
La rappresentante dell’Isde Viterbo lancia una appello alle istituzioni “affinché subito siano drasticamente ridotti i voli sull’aeroporto di Ciampino, prospettandone anche la possibile chiusura, in considerazione – avverte – della preoccupante situazione sanitaria determinata dalla lunga esposizione della popolazione a molteplici fattori d’inquinamento ambientale, di cui gran parte generata proprio dalle attività aeroportuali”.

Fonte: ecodallecittà.it

Tirreno Power, ecco perché la centrale è stata sequestrata

Dati lacunosi e inattendibili, e quando presenti, non sempre in linea con le possibilità offerte dalle Migliori tecnologie disponibili. Controlli super partes praticamente assenti, altre prescrizioni disattese. Tutti i motivi del sequestro della centrale a carbone di Vado Ligure378508

Dati lacunosi e inattendibili, e, quando presenti, non sempre in linea con le possibilità offerte dalle MTD (Migliori tecnologie disponibili, BAT in inglese) prescritte invece dai procedimenti autorizzativi. Controlli super partes praticamente assenti, altre prescrizioni disattese. Sono queste, in ultima analisi, le motivazioni alla base del sequestro della centrale termoelettrica Tirreno Power di Vado Ligure disposto dal GIP Fiorenza Giorgi sulla base di diverse perizie e analisi effettuate sull’impianto a carbone.

Dati mancanti e non allineati alle Migliori tecnologie disponibili

«Il gestore non ha fornito al consulente le medie mensili delle concentrazioni di SO2, polveri ed NOx per gli anni dal 2000 al 2012 per le unità a carbone VL3 e VL4 – si legge nel decreto di sequestro emesso dal GIP – Inoltre non sono stati forniti dati né sul CO (Monossido di Carbonio, ndr) per tali unità né sui macroinquinanti relativamente alle unità turbogas VL51 e VL52 (anche se i dati relativi agli anni 2010 e 2011 sono comunque disponibili tra la documentazione presente sul sito del Ministero dell’Ambiente dedicato all’AIA statale)». Fino al 2012, in realtà, non era stata ancora emessa l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), il cui iter, che per legge dovrebbe durare non più di 180 giorni, ha richiesto addirittura cinque anni per la centrale di Vado Ligure. Fino all’emissione dell’AIA, comunque, l’impianto era vincolato alle prescrizioni dei precedenti provvedimenti autorizzativi, emessi nel 1993 e nel 2001 e modificati nel 2002. Anche quando i dati sono presenti, in ogni caso, risultano, almeno per quanto riguarda l’SO2 e il CO, non allineati alle concentrazioni ottenibili applicando le cosiddette Migliori tecnologie disponibili (MTD), messe a punto, e continuamente aggiornate, dalla comunità scientifica per ridurre l’impatto sull’ambiente di certe attività industriali. E obbligatorie per l’impianto di Vado Ligure.

Dubbi sui controlli interni

A parte i dati mancanti, il Giudice per le indagini preliminari sottolinea che tutti i dati relativi alle emissioni di inquinanti «sono stati registrati e monitorati dal gestore in assoluta autonomia e nella totale carenza di controlli da parte delle autorità preposte». Ottemperando a quanto prescritto dai provvedimenti autorizzativi, infatti, Tirreno Power ha installato a Vado Ligure un Sistema di monitoraggio delle emissioni automatico, SME in acronimo. Che non sembra, secondo il perito Stefano Scarselli incaricato dal Pubblico Ministero di effettuare dei controlli sulla centrale, aver fornito misurazioni attendibili. Dalla relazione dell’esperto, rilasciata il 14 dicembre 2012, emergono, per quanto riguarda le polveri, discrepanze significative tra i dati registrati dai tecnici ARPAL a fine 2013 e quelli interni dello SME, mentre corrispondono Monossido di Carbonio (CO), Ossidi di Zolfo (Sox) e di Azoto (Nox).

«I valori di concentrazione misurati manualmente risultano mediamente assai più alti di quelli contemporaneamente forniti dal sistema di monitoraggio automatico del gestore (SME) – scrive Scarselli – inoltre, a differenza dei dati SME, le misure manuali di controllo rilevano anche una notevole disomogeneità compositiva dei fumi, dimostrata dall’ampia variabilità di dati tra le diverse prove di un medesimo campionamento, peraltro con picchi di concentrazioni orari ben al di sopra del limite autorizzato in entrambe le sezioni». Questo, secondo il perito dell’accusa, pone «seri interrogativi sull’affidabilità del SME in uso, almeno per le polveri». Dubbi sull’affidabilità dei controlli interni sono stati sollevati anche da Gabriella Minervini, direttore del Dipartimento Ambientale della Regione Liguria, che l’8 maggio del 2012 ha dichiarato : «La rete delle centraline di rilevamento viene gestita da Tirreno Power e non viene calibrata secondo gli standard previsti dalla recente normativa».

Assenza di verifiche

Altre lacune sono emerse, secondo il GIP, a proposito della certificazioni Iso 14001 e della registrazione EMAS prescritte dall’AIA. Anche se sono state effettivamente ottenute, le informazioni provviste dal gestore garantiscono «l’esistenza di un sistema di gestione conforme dal punto di vista documentale, ma non la corretta attuazione dello stesso. Mancano infatti certificati di taratura/calibrazione e i rapporti di verifica/controllo oltre ai registri di manutenzione della strumentazione». Non c’è traccia, inoltre del “protocollo condiviso” con le autorità di controllo locali (Provincia di Savona) e/o ARPA Liguria, né di ispezioni di controllo effettuate da queste ultime all’impianto, previsti dai provvedimenti autorizzativi della Centrale. In sostanza, nonostante fosse espressamente previsto già dal provvedimento autorizzativo precedente, fino all’entrata in vigore dell’AIA è mancato del tutto un piano di monitoraggio e controllo condiviso, nonostante.

Altre prescrizioni violate

L’assenza di controlli – o la loro inattendibilità – non sono comunque le sole violazioni che hanno spinto il GIP a disporre il sequestro. Nel decreto del Ministero dell’Ambiente di non assoggettabilità alla VIA emesso nel 2001 erano previste altre prescrizioni, che risultavano ancora non ottemperate nel 2011. Si va dalla riduzione dei consumi idrici (che sarebbero dovuti scendere da un milione a 800.000 metri cubi) all’avvio di un impianto di teleriscaldamento e all’applicazione di misure per la riduzione del rumore. Soprattutto, osserva il magistrato nel decreto di sequestro, la Tirreno Power non ha provveduto a limitare la dispersione di polveri durante la movimentazione del carbone in fase di stoccaggio. Il parco carbone della centrale, infatti, nel 2011 era ancora a cielo aperto, e la dispersione di polveri era tenuta sotto controllo «meramente tramite procedura di compattazione dei cumuli ed un sistema di nebulizzatori per il lancio a distanza di acqua micronizzata all’interno dell’ara del parco». L’olio combustibile utilizzato, inoltre, conteneva una quantità di zolfo superiore a quella massima indicata nell’AIA.

Migliori tecnologie disponibili non utilizzate

In conclusione, il sequestro è stato disposto perché, secondo il giudice Giorgi, la Tirreno Power ha gestito senza alcuna verifica un Sistema interno di monitoraggio delle emissioni. «Gli indagati hanno sempre esercitato l’impianto con dati emissivi molto prossimi al tetto massimo previsto dalla legge, ma con livelli di emissioni molto distanti, seppure limitatamente ad alcuni parametri (SO2 e CO, ndr), da quelli stabiliti dalle BAT (in italiano MTD, migliori tecniche disponibili), nonostante la normativa italiana ne facesse espresso, seppur non immediatamente vincolante, richiamo».Una scelta dolosa, secondo il GIP, dal momento che «la gestione dell’impianto a livelli nettamente superiori, almeno per alcuni parametri, a quelli imposti dalle BAT e l’inidoneità delle misure volte al contenimento delle emissioni con convogliate è attribuibile a una precisa scelta gestionale della società». Secondo il magistrato, pertanto, la centrale a carbone ha avuto un ruolo decisivo nei ripetuti superamenti del valore limite degli ossidi di Azoto che hanno interessato il comune di Vado Ligure, nonché nei «numerosi superamenti del limite giornaliero del PM10 (sebbene sempre entro il limite di legge in termini di numero gg/ anno)». E, soprattutto, nelle migliaia di ricoveri per malattie respiratorie e cardiovascolari segnalate dal procuratore Francantonio Graner.

Fon tre: ecodallecittà.it

Smog, dopo infarto e tumore ora il diabete: continuano gli studi sull’aumento di rischio

Tumore, malattie respiratorie e cardiovascolari, e ora anche il diabete: un nuovo studio danese ha fatto emergere la connessione tra esposizione agli inquinanti atmosferici e insorgenza del diabete. Un elemento nuovo nella ricerca, di cui si cerca ora di indagare le cause biologiche377938

La connessione tra smog e malattie respiratorie era intuibile. Quella tra l’esposizione all’inquinamento atmosferico e l’insorgenza di tumori malattie cardiovascolari è stata ormai provata da decine di studi. Ora però al processo allo smog si è aggiunto un nuovo capo di imputazione, difficile da immaginare: il diabete. Ad accorgersene sono stati alcuni ricercatori delle università di Aarhus Copenhagen, impegnati in un’analisi sullo stato di salute della popolazione danese al variare della qualità dell’aria da una zona all’altra. Confrontando i dati messi a disposizione dalle autorità sanitarie e i livelli di inquinanti registrati nelle diverse città è emersa una connessione finora mai indagata: all’aumentare dell’esposizione alle polveri aumenterebbero anche i casi di diabete tra i cittadini. Solo una coincidenza?
Molto difficile, per quanto le possibili relazioni tra smog e diabete siano ancora tutt’altro che chiare agli stessi ricercatori. “Che ci potesse essere una connessione tra inquinamento dell’aria e diabete è stata una sorpresa per noi – ha ammesso Ole Hertelesperto di chimica atmosferica che ha guidato lo studio – Si tratta di un elemento nuovo nella ricerca sullo smog, a cui dovremo cercare di dare una spiegazione biologica. E’ un risultato inaspettato che dimostra quanto sia importante analizzare i dati in modo accurato in questo campo, senza tralasciare nessun dettaglio”.
Un altro aspetto interessante della questione è che l’insorgenza di patologie derivate – o aggravate – dall’esposizione alle polveri sia visibile perfino in un Paese come la Danimarca, paradiso di ogni ambientalista urbano e metro di confronto per le politiche ecologiche di tutta Europa. Per avere un’idea del confronto, Aarhus, la città da cui è partito lo studio, ha una media annuale di Pm2.5 pari a 13,9 mcg/m3: praticamente la metà della soglia massima consentita dalla legge, che è 25 mcg/m3Torino e Milano ne hanno più del doppio34,4 e 31,7 mcg/m3.  Una considerazione che porta nella stessa direzione degli allarmi lanciati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dai ricercatori del progetto europeo Escape: le soglie previste dalle direttive europee sono obsolete e non garantiscono più un’adeguata protezione sanitaria, nemmeno nei Paesi che occupano i primi posti della classifica tra i più virtuosi del mondo. Si potrà facilmente immaginare la situazione in Paesi come l’Italia, dove ancora si arranca per non esaurire il bonus annuale di sforamenti già a febbraio. (Torino è, come ogni anno, sulla buona strada: siamo a quota 16, e gennaio non è nemmeno finito).
Lo studioUtilizing Monitoring Data and Spatial Analysis Tools for Exposure Assessment of Atmospheric Pollutants in Denmark

Fonte: ecodallecittà

Smog, dopo infarto e tumore ora il diabete: continuano gli studi sull’aumento di rischio

Tumore, malattie respiratorie e cardiovascolari, e ora anche il diabete: un nuovo studio danese ha fatto emergere la connessione tra esposizione agli inquinanti atmosferici e insorgenza del diabete. Un elemento nuovo nella ricerca, di cui si cerca ora di indagare le cause biologiche377938

La connessione tra smog e malattie respiratorie era intuibile. Quella tra l’esposizione all’inquinamento atmosferico e l’insorgenza di tumori malattie cardiovascolari è stata ormai provata da decine di studi. Ora però al processo allo smog si è aggiunto un nuovo capo di imputazione, difficile da immaginare: il diabete. Ad accorgersene sono stati alcuni ricercatori delle università di Aarhus Copenhagen, impegnati in un’analisi sullo stato di salute della popolazione danese al variare della qualità dell’aria da una zona all’altra. Confrontando i dati messi a disposizione dalle autorità sanitarie e i livelli di inquinanti registrati nelle diverse città è emersa una connessione finora mai indagata: all’aumentare dell’esposizione alle polveri aumenterebbero anche i casi di diabete tra i cittadini. Solo una coincidenza?
Molto difficile, per quanto le possibili relazioni tra smog e diabete siano ancora tutt’altro che chiare agli stessi ricercatori. “Che ci potesse essere una connessione tra inquinamento dell’aria e diabete è stata una sorpresa per noi – ha ammesso Ole Hertelesperto di chimica atmosferica che ha guidato lo studio – Si tratta di un elemento nuovo nella ricerca sullo smog, a cui dovremo cercare di dare una spiegazione biologica. E’ un risultato inaspettato che dimostra quanto sia importante analizzare i dati in modo accurato in questo campo, senza tralasciare nessun dettaglio”.
Un altro aspetto interessante della questione è che l’insorgenza di patologie derivate – o aggravate – dall’esposizione alle polveri sia visibile perfino in un Paese come la Danimarca, paradiso di ogni ambientalista urbano e metro di confronto per le politiche ecologiche di tutta Europa. Per avere un’idea del confronto, Aarhus, la città da cui è partito lo studio, ha una media annuale di Pm2.5 pari a 13,9 mcg/m3: praticamente la metà della soglia massima consentita dalla legge, che è 25 mcg/m3Torino e Milano ne hanno più del doppio34,4 e 31,7 mcg/m3.  Una considerazione che porta nella stessa direzione degli allarmi lanciati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dai ricercatori del progetto europeo Escape: le soglie previste dalle direttive europee sono obsolete e non garantiscono più un’adeguata protezione sanitaria, nemmeno nei Paesi che occupano i primi posti della classifica tra i più virtuosi del mondo. Si potrà facilmente immaginare la situazione in Paesi come l’Italia, dove ancora si arranca per non esaurire il bonus annuale di sforamenti già a febbraio. (Torino è, come ogni anno, sulla buona strada: siamo a quota 16, e gennaio non è nemmeno finito).
Lo studioUtilizing Monitoring Data and Spatial Analysis Tools for Exposure Assessment of Atmospheric Pollutants in Denmark

Fonte: ecodallecittà

Allarme integratori: possono provocare infarti e malattie cardiovascolari

Dopo 86 segnalazioni di malattie e morti fra consumatori di integratori contenenti dimetilamilamina, la Food & Drug Administration ha lanciato un allarme su scala globale 85827400-594x350

Il business degli integratori è una delle branche più insondate delle mafie di tutto il mondo. Il doping amatoriale che ha una gamma vastissima che va dal semplice “aiutino” vitaminico al doping sanguigno e addirittura genetico è il vero business di un mercato che è in parte il business ombra delle case farmaceutiche e in parte il core business di molte organizzazioni criminali di Asia, Africa Sud e Centro America. Il primo step di questa discesa agli inferi dello sport sono gli integratori, il corrispettivo delle cosiddette “droghe leggere” nel mondo del doping. Ora la Food & Drug Administration, l’ente governativo statunitense per il controllo dei farmaci, lancia l’allarme dopo 86 segnalazioni di malattie e morti legate al consumo di prodotti contenenti dimetilamilamina (dmaa), uno stimolante naturale utilizzato in diversi prodotti utilizzati per perdere peso e migliorare le proprie performance. La dimetilamilamina può essere molto pericolosa specialmente se assunta in concomitanza con la caffeina. Messa al bando nel 2009 dalla Wada (l’Agenzia Mondiale Anti Doping) la dmaa si può acquistare facilmente su Internet e gli integratori che la contengono continuano a essere distribuiti in trentaquattro Paesi europei fra cui l’Italia. Nonostante gli sforzi della FDA (che ha chiesto a 11 aziende di sospendere la produzione e il commercio degli integratori con dmaa) e del Dipartimento della Difesa Americano (che a rimosso i prodotti con dmaa dalle basi militari dopo la morte di due soldati). Per tutti i consumatori di integratori per lo sport il consiglio è di leggere con attenzione la composizione, la dimetilamilamina, infatti, si può nascondere sotto altri nomi come metilexanamina, estratto di radice di geranio, olio di geranio, 1,3 dimetilamilamina, pentilamina, geranamina, fortano, 2-amino-4-metilexano.

Fonte:  Ansa

Bibite gassate: il succo della questione

Siamo l’Italia del buon vino, certo, ma nel nostro Paese si bevono anche parecchie bibite: 23 milioni di italiani consumano bevande gassate e 6,5 milioni (quasi un italiano su dieci) dichiara di farlo regolarmente.

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L’indagine Censis-Coldiretti prende spunto da uno studio condotto in occasione dell’American Heart Association’s Epidemiology and Prevention/Nutrition, Physical Activity and Metabolism 2013 in corso di svolgimento a New Orleans nel quale si stima che 183mila morti l’anno, in tutto il mondo, siano da collegarsi al consumo di bibite zuccherate: 133 mila a causa del diabete, 44mila per malattie cardiovascolari e 6 mila per tumore. Un allarme globale che in Italia ha trovato terreno fertile in Coldiretti, la quale ha chiesto che venga resa immediatamente operativa la legge Balduzzi già approvata dal parlamento e che prevede l’aumento obbligatorio della quantità di succo dal 12 al 20% nelle bibite. Con questo aumento, secondo Coldiretti, in Italia dovrebbero consumarsi 200 milioni di arance in più all’anno. L’allarme sul consumo delle bibite è amplificato dall’abbandono dei principi base della dieta mediterranea che comprende, naturalmente, anche il consumo di agrumi. Arance, pompelmi, mandarini e limoni, sono veri e propri serbatoi di vitamine, mentre le bibite a base di agrumi degli agrumi hanno spesso solamente il colore (ottenuto grazie ai coloranti) e il sapore, ma non l’essenza visto che meno di un ottavo della bevanda (il 12%, appunto) è succo di frutta. La scorsa estate il Ministro Renato Balduzzi aveva anche proposto l’introduzione di un contributo straordinario, a carico dei produttori di bevande analcoliche con zuccheri aggiunti ed edulcoranti, di 7,16 euro ogni 100 litri immessi sul mercato, di 50 euro ogni 100 litri per i produttori di superalcolici. La proposta, però, non era stata accolta in Parlamento, lasciando comunque soddisfatto il ministro dimissionario che sottolineò – all’inizio di settembre – come il dibattito avesse comunque contribuito a far emergere nell’opinione pubblica una maggiore consapevolezza riguardo alle problematiche connesse al consumo dei cosiddetti “junk drink”.

Fonte: Coldiretti

 

Verso un’alimentazione vegetariana o vegana: arriva il Vegancoach

Secondo il Rapporto Eurispes 2013, ogni anno aumenta in Italia il numero dei vegetariani e vegani per una maggiore empatia verso gli animali, per il benessere del pianeta e di se stessi. Tutti coloro che vogliono ridurre i consumi di carne e di altri prodotti di origine animale o desiderano alimentarsi correttamente nell’ambito di un regime vegetariano o vegano possono ora rivolgersi ad un Vegcoach, nuova figura professionale ideata dalla Dott.ssa Roberta Bartocci, biologa nutrizionista.

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Il 6% degli italiani ha scelto di diventare vegetariano (4,9%) o vegano (1,1%). Pur essendo una percentuale molto bassa rispetto al 94% degli onnivori, “è in aumento di due punti percentuali rispetto alla rilevazione dello scorso anno”, secondo il Rapporto Eurispes 2013presentato a gennaio presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma. “Sono soprattutto le donne – si legge dal rapporto – ad essere disposte a praticare questo stile di vita, in virtù di una spiccata sensibilità per gli animali (66,7% contro il 30,8% degli uomini), mentre gli uomini scelgono di essere vegetariani o vegani prevalentemente per il benessere fisico e per la salute”. Per tutti coloro che vogliono ridurre il consumo di carne e di altri prodotti di origine animale o che vogliono alimentarsi correttamente a prescindere dalle motivazioni, nasce una nuova figura professionale, il Vegcoach: un esperto di alimentazione, nutrizione e lifestyle vegetariano e vegano per avvicinarsi ad un alimentazione più green. Abbiamo incontrato la Dott.ssa Roberta Bartocci, biologa nutrizionista e ideatrice di questa nuova professione.

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Per l’ambiente. Con un solo pasto 100% vegetale rispetto ad uno con carne ma a parità di apporto nutrizionale è possibile risparmiare fino a 3,2 Kg di CO2 e oltre 1500 litri di acqua/kg di cibo. Se tutti gli italiani si impegnassero a sostituire un pasto con carne una volta a settimana o se ai 2 milioni di bambini e ragazzi che mangiano in mensa venisse somministrato un pasto a base di carne in meno si risparmierebbero tonnellate di CO2 senza spendere un euro e con benefici immediati sull’ambiente. Per non parlare poi del fatto che un bovino produce deiezioni quanto 16 umani, un suino quanto 4: un allevamento con 10.000 suini equivale ad una cittadina di 40.000 persone senza rete fognaria!

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Per gli animali. Le atrocità commesse sugli animali non umani per alimentare un mercato non necessario sono letteralmente disumane: sfido anche il più arrogante degli onnivori a non inorridire di fronte a quanto subiscono circa 1 miliardo di animali ogni anno (questa la cifra approssimativa di quelli terrestri allevati solo in Italia) e a non rabbrividire se si considera che la quasi totalità sono uccisi appena cuccioli. Su questo argomento non mi dilungo oltre visto che è possibile approfondirlo facilmente sul web; mi preme però, sottolineare che la scelta del cibo ha anche una dimensione inconscia e che scegliere assecondando non solo la pancia e il palato ma anche il cuore e lo spirito dà al cibo tutto un altro sapore e un’altra energia che si ripercuote sulle nostre cellule. Per la salute. Le molecole riconosciute come anticancerogene sono tutte di origine vegetale e se c’è un principio su cui qualsiasi nutrizionista concorda è quello che consumare abbondanti quantità di cibi vegetali a scapito di quelli animali preserva da diversi tipi di cancro, diabete, malattie cardiovascolari, sovrappeso e malattie a base infiammatoria. Escludendo del tutto carne e derivati e pianificando in modo adeguato l’alimentazione i benefici sono massimi.

Le produzioni animali inoltre rappresentano una fonte energetica (per chi considera gli animali cibo) troppo lontana da quella primaria di energia: il sole. I passaggi fino al consumatore finale sono molti di più rispetto alle produzioni vegetali e questo si presta a speculazioni che si ripercuotono sulle popolazioni dei paesi in via di sviluppo.

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Vegcoach è il nome della professione da lei ideata. Cosa significa e che cosa ricevono le persone?

Sono una biologa nutrizionista che ha provato sulla propria pelle l’alimentazione a base vegetale da molti anni. Ho deciso di inventare questa professione perché credo che questo sia il momento storico giusto per sostenere quanti desiderino avvicinarsi a stili alimentari sostenibili e per facilitare chi già si è avvicinato al green food e necessita di un supporto. In più di 15 anni ho provato stili alimentari, ricette e prodotti vegetali di ogni tipo; posso, così, consigliare i marchi migliori da acquistare, il tipo di preparazione di un certo alimento che non è stato mai provato prima. Cosa ricevono le persone che si rivolgono a me? Prima di tutto attenzione perché considero positivamente chi decide di alimentarsi in modo più green, mettendo a proprio agio coloro che troppo spesso non si sentono compresi o che vengono addirittura scoraggiati nel perseguire uno stile alimentare etico. Per i privati, oltre a consulenze nutrizionali, propongo corsi di cucina a tema, supporti familiari, conferenze di approfondimento anche per piccoli gruppi; per le imprese della ristorazione, anche lontane dalle esigenze del consumatore green, studio menu, ricette esclusive e propongo percorsi di formazione ed eventi.

Il singolo che ha bisogno di una sua consulenza cosa deve fare?

Contattarmi via mail o telefonicamente per spiegarmi l’esigenza. Ricevo a Roma su appuntamento in Via Flaminia Vecchia, il venerdì. Per chi mi contatta da fuori Roma è possibile effettuare colloqui via Skype previo appuntamento. Sul mio sito web Vegcoach, sotto la voce ‘Contatti’, potete trovare tutti i riferimenti utili.

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Gli sportivi possono avere un suo supporto?

Certamente. Collaboro e mi interfaccio però con altre figure professionali se la persona che mi contatta pratica uno sport a livello agonistico.

In che cosa consiste la visita?

La prima visita ha la durata di circa un’ora e prevede la raccolta di dati antropometrici: peso, altezza, circonferenze, plicometria e bioimpedenziometria per la valutazione della composizione corporea e un lungo colloquio che include anamnesi del peso, dello stile alimentare, dell’attività fisica e degli obiettivi. Al termine vengono fornite indicazioni in base alle esigenze del paziente oppure su richiesta, dopo circa una settimana dalla visita, viene organizzato un secondo colloquio durante il quale viene consegnato e illustrato al paziente il documento contenente il programma con le indicazioni alimentari personalizzate, compresi suggerimenti di ricette e modalità di cottura dei cibi e viene effettuato un colloquio con tecniche di counseling per supportare l’adozione di comportamenti corretti in modo efficace ed attivo, rendendo l’alimentazione sana un piacere!

Ha un bellissimo bambino. È vegetariano o vegano?

Mio figlio, che ha 4 anni, mangia vegano a casa e vegetariano all’asilo perché i menu della ristorazione scolastica romana non contemplano in modo adeguato la scelta vegana e non è possibile fargli portare cibo da casa. Ad ogni modo seguo diverse mamme e bimbi nello svezzamento, periodo tanto delicato e importante quanto sprovvisto di figure professionali di riferimento, soprattutto nel centro e sud Italia.

Vogliamo sfatare alcuni miti? Iniziamo da osteoporosi e latte…

Latte e derivati hanno una composizione in minerali e proteine tale da produrre scorie acidificanti in grado di indebolire ossa e denti. Per rinforzare lo scheletro non è importante solo il calcio, ma anche il magnesio, di cui sono ricchi i vegetali e che invece scarseggia nel regno animale. È fondamentale inoltre, l’attività fisica ed una adeguata esposizione solare per produrre la vitamina D, indispensabile per la salute delle ossa. Consumare elevate quantità di derivati del latte predispone ad infiammazioni intestinali e inoltre è stata dimostrata la correlazione con l’insorgenza di cancro ad ovaie, seno e prostata.

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Ferro e carne…

Nel regno vegetale c’è abbondanza di ferro, che viene assorbito a seconda dei bisogni dell’organismo; una percentuale di quello contenuto nelle carni invece, chiamato ferro eme, viene assorbito anche se i depositi di ferro già presente nell’organismo sono elevati, cosa positivamente correlata all’insulino-resistenza, predisponendo quindi al diabete.

Vitamina B12 sì vitamina B12 no per i vegani e vegetariani…

La risposta può essere molto differente a seconda che ci si riferisca ad individui o ad una popolazione. Premettendo che l’alimentazione vegan non richiede alcuna supplementazione, mi sento tuttavia di consigliare un’integrazione per i vegani, solo ed esclusivamente per via della qualità media del cibo a cui si ha accesso oggi e della relativa necessità di proteggerne l’igiene. A livello individuale si può valutare la necessità dell’integrazione in considerazione della variabilità genetica e ambientale di ogni persona.

I vantaggi di una dieta vegetariana o vegana?

A parità di apporto energetico rispetto ad un regime onnivoro, gli stili alimentari prevalentemente o esclusivamente vegetali proteggono dalle principali patologie degenerative al primo posto nelle statistiche di mortalità e morbilità dei paesi industrializzati: diversi tipi di cancro, sovrappeso e obesità, diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari e sindrome metabolica, osteoporosi.

L’unico stile onnivoro compatibile con una eccellente salute del resto è quello in cui i cibi di origine animale sono consumati sporadicamente e in quantità residuali. Chiaramente anche la qualità dei cibi ha una rilevanza fondamentale: stagionalità, grado di lavorazione e raffinazione, metodo di coltivazione.

Fonte: il cambiamento