Giù le mani dalla valle di Susa, è il Gezi Park italiano

Dalla Turchia all’Italia, da Gezi Park alla Val di Susa: abbattere alberi per far posto ad una grande opera inutile. Ad accomunare la mobilitazione dei giovani turchi e quella del movimento No Tav è la protesta contro la devastazione dell’ambiente e la difesa della democrazia.val_susa_9

Tutta la grande informazione ha seguito con trepidazione e simpatia la mobilitazione popolare in Turchia. Quel grande movimento democratico è esploso attorno alla protesta di centinaia di giovani che volevano impedire l’abbattimento di alcuni alberi in Gezi Park, un parco di Istanbul destinato ad essere cancellato per far posto a qualche grande opera. In Valle Susa sinora sono stati abbattuti oltre 5000 alberi, molti secolari, in uno scempio di cui ho personalmente potuto rendermi conto prima che tutta quell’area venisse chiusa al mondo diventando così una zona rossa, un altro di quei buchi neri che da Genova in poi ingoiano la nostra democrazia. Contro quella devastazione, e contro l’opera che la ispira, ancora una volta si sono mobilitati i militanti del movimento No Tav, cercando giustamente di provare a fermarle, come i giovani turchi di Gezi Park. Ma nella grande informazione sono apparsi subito come violenti, fiancheggiatori del terrorismo, nemici del bene comune. Contro quella mobilitazione si sono scatenate azioni che ricordano quelle alla Diaz a Genova. A Torino è in corso un procedimento giudiziario nei confronti di decine di attivisti costruito come se gli imputati fossero mafiosi o terroristi. Leggi e regole speciali, l’occupazione militare del territorio si applicano sempre più spesso in una valle dove il consenso popolare alla lotta contro la Tav non è mai, mai venuto meno. Ma il rifiuto persistente e generalizzato dell’opera non provoca assolutamente una riflessione, un ripensamento nel palazzo e nella informazione di regime. Le ragioni di mercato dell’opera non esistono oramai nemmeno negli imbrogli più sfacciati. La Francia sta liquidando la sua parte di opera inutile; i convogli delle merci, diradati e ridotti per la crisi, passano altrove. Il buco in Valle Susa è un devastante e costosissimo percorso verso il nulla, ma bisogna farlo comunque. Come con gli F 35, bisogna spendere a vuoto decine di miliardi perché così si è deciso, punto e basta. Bisogna farlo perché il potere deve dimostrare la sua forza di fronte a chi lo contesta. Non si cede alla piazza. Non si può ammettere che i No Tav abbiano ragione, sarebbe un precedente pericolosissimo che potrebbe dar luogo ad un contagio democratico tra tutte e tutti coloro che oggi non ne possono più. La democrazia è diventata un bene di esportazione, non è che dobbiamo averla anche noi qui. E così si continuano ad abbattere alberi e diritti, a sprecare montagne di soldi perché indietro non si può tornare, tutto il palazzo ci perderebbe la faccia. Se qualcuno vuole comprendere perché il Partito Democratico sia diventato artefice della distruzione dei valori della sinistra in questo paese e con quali affinità governi oggi con Berlusconi, vada in Valle Susa, parli con quei pericolosi terroristi che sono i NoTav e capirà tutto. Torniamo tutti in valle alla marcia popolare sabato prossimo. E cominciamo a far sì che quei luoghi diventino il Gezi Park del popolo italiano.

Articolo tratto da LIBRE

Fonte: il cambiamento

Incendi boschivi: il decreto “svuota carceri” favorisce i piromani

Legambiente lancia un forte appello alla Commissione Giustizia del Senato, dove in questi giorni è in corso la discussione per la conversione del decreto legge cosiddetto ‘svuota carceri’ che, tra l’altro, prevede la concessione delle misura alternative per i criminali incendiari, condannati alla pena definitiva.incendi_boschi

“Sembra assurdo ma è così: proprio nel periodo estivo, il più difficile sul fronte dell’emergenza incendi boschivi, si propone di derubricare il reato di incendio boschivo cancellando, di fatto, il ruolo deterrente della pena carceraria. Non si può tutelare il paesaggio, l’ambiente e il patrimonio boschivo e forestale, facendo sconti a chi ha l’obiettivo di distruggerlo, accentuando inoltre il gravissimo fenomeno del dissesto idrogeologico del già fragile territorio italiano”. Con queste parole Legambiente lancia un forte appello alla Commissione Giustizia del Senato, dove in questi giorni è in corso la discussione per la conversione del decreto legge cosiddetto ‘svuota carceri’ che, tra l’altro, prevede la concessione delle misura alternative per i criminali incendiari, condannati alla pena definitiva. “È un grave errore di valutazione non avere inserito il 423 bis, che punisce con la reclusione chi si rende responsabile degli incendi boschivi tra i delitti di particolare allarme sociale, per i quali non possono scattare gli sconti di pena previsti dal decreto”, dichiara il presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza. “Non si tiene conto, in questo modo dei gravissimi danni causati da queste attività criminali, dietro i quali si muovono forti interessi speculativi e mafiosi, ma soprattutto si finisce per azzerare l’efficacia preventiva di sanzioni adeguate. Ogni anno vanno in fumo in Italia decine di migliaia di ettari di bosco, causando vittime, danni al paesaggio e alle risorse naturali, alle economie locali delle aree interne. Basti pensare che negli ultimi trent’anni è andato distrutto il 12% del patrimonio forestale nazionale, tra i più importanti d’Europa per ampiezza e varietà di specie”. Solo nel 2012, come rivela l’ultimo Rapporto Ecomafia di Legambiente, sono stati ben 8.304 gli incendi che hanno colpito il patrimonio boschivo del nostro paese, con 742 persone denunciate, 21 arresti e 154 sequestri. Numeri in crescita rispetto al 2011, che pure era stato un anno pesantissimo, con un +4,6% di roghi. Non a caso, nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia) si concentra il 48,4% di incendi. “Per fermare questa emergenza criminale – ha aggiunto Cogliati Dezza – devono essere messi in campo tutti gli strumenti possibili, senza mai abbassare la guardia: dalla vigilanza delle aree boschive, che deve essere rafforzata, a un sistema di interventi tempestivi per lo spegnimento dei roghi; dalle attività investigative e di contrasto del fenomeno, anche queste da potenziare, fino alla realizzazione e l’aggiornamento da parte di tutti i Comuni del catasto delle aree percorse dal fuoco, uno strumento indispensabile per disincentivare le molte speculazioni sulle aree bruciate. In questo contesto sarebbe davvero incomprensibile depotenziare l’efficacia della pena prevista dal 423 bis. Siamo convinti che la Commissione Giustizia del Senato e lo stesso ministero correggeranno un grave errore di valutazione sull’effettiva pericolosità di questi fenomeni criminali, che il Paese rischia di pagare molto caro”.

Fonte: il cambiamento