Il segreto della longevità tra i monti di Vilcabamba dove la vecchiaia è d’oro

Sesso, fumo e rum per i centenari del Paese09-IMG_2480_672-458_resize

VILCABAMBA (Ecuador) – C’era un uomo che in 127 anni di vita è stato in ospedale una sola notte, l’ultima, quando è morto. C’è una donna che fa la sarta e, superati i novanta, riesce ancora a infilare il filo nell’ago senza mettersi gli occhiali. E ci sono infine dei baldanzosi vecchietti che non hanno mai smesso di far sesso, se non è leggenda il fatto che uno di loro, nonagenario, ha regalato ben tre figli alla sua giovane sposa. Cose straordinarie che accadono qui a Vilcabamba, più che una città un grande sperduto borgo della Sacra Valle, nel Sud dell’Ecuador, che a 1.500 metri sul livello del mare gode di una perenne primavera con temperatura costante dai 19 ai 25 gradi; e ha come sfondo la scintillante cordigliera delle Ande. È dai primi anni Settanta che, grazie alle ricerche del prof. Alexander Leaf della Harvard University, Vilcabamba incuriosisce il mondo: e insieme a lei altre due località, ugualmente remote e sconosciute (Hunza, arroccata sulla catena del Caucaso, e Ogimi, nell’isola di Okinawa, in Giappone), vengono considerate capoluoghi della longevità, poiché ciascuna delle due annovera tra i propri abitanti una dozzina di persone che hanno superato i cent’anni. Credevo di avere ancora i garretti saldi, alla mia età, fino a quando, l’altro giorno, mi sono imbattuto a Vilcabamba in Timoteo Arboleda Hurtado, 98 anni portati bene: la fronte adombrata dall’ala del cappello, schiacciato in testa, l’occhio furbo, mento e mandibole adornate da un’ispida barbetta bianca. Ogni giorno fa dieci chilometri a piedi: cinque di buon mattino per raggiungere la sua tenuta in montagna e cinque la sera per tornare a casa, in tutto due ore abbondanti di strada. La moglie, racconta, è morta qualche anno fa ma lui non si sente solo, circondato com’è dallo stuolo chiassoso di figli, nipoti e nipotini, cui è legato – dice – dal «filo di ferro dell’affetto». E aggiunge: «Dio permettendo, vorrei restare ancora un poco in questa valle di lacrime». Un po’ meno tosto José Manuel Picoita Rojas, all’incirca 105 anni, che ha 6 figli e molti acciacchi: «Soffro di cuore e di cervello — lamenta — e ho la pressione alta. Mia moglie è volata in cielo tredici anni fa e io abito ora con l’una o l’altro dei nostri ragazzi e le loro famiglie. Quand’ero giovane camminavo molto, partivo il lunedì e tornavo il sabato. Domenica la messa, anche se ero un poco di buono. E mi son pure divertito, señoritas, vino e tabacco. Adesso è come se il mio corpo si fosse addormentato». Quattro passi più in là, le due donne che incontro sono sfuocate come stampe, antiche e quasi non respirano, ciascuna con un secolo alle spalle. Sella Adolphina Parapineda ha un che d’aristocratico e d’autoritario ed è più grigia del muro della sua casa davanti al quale sta rigidamente seduta. Dei 9 figli che ha avuto ne sono rimasti tre. Ha conosciuto la povertà e la solitudine. Qualche evasione? «Sono andata una volta a Quito». Ciò che invece spaventa in Ermelinda Castillo è la pelle del volto e delle braccia, che tiene scoperte: tutta una fitta ragnatela di rughe, nere e profonde, come si vedono negli antichi crateri. In compenso esibisce una mini-palizzata di denti d’oro e gli orecchini. Il marito, morto quattro anni fa, le ha lasciato 6 figli: «Uno di loro — bisbiglia — è sparito dopo il servizio di leva, credo sia stato ammazzato lungo la frontiera col Perù durante una battaglia contro i guerriglieri Farc della Colombia».02-IMG_8993_672-458_resize03-IMG_2381_672-458_resize04-IMG_9022_672-458_resize05-IMG_9070_672-458_resize06-IMG_2364_672-458_resize

Nel 1971, quando Vilcabamba contava solo 819 abitanti (oggi, circa cinquemila), già nove ultracentenari passeggiavano per le sue strade: e alla base della longevità – spiega un medico di Quito – non c’è niente di arcano ma una semplice dieta che consiste in 1.200 calorie al giorno, con basso contenuto di grassi e colesterolo, per ridurre l’insidia delle malattie cardiache. Alla salute della gente contribuiscono l’alimentazione (grande consumo dei prodotti locali) così come l’acqua di sorgente della Sacra Valle, che è «speciale». È fuori strada chi pensa che il buon stato di salute esibito dagli ultracentenari sia da attribuirsi alla morigeratezza dei costumi e del modo di vivere. Niente di più falso. Gli abitanti di Vilcabamba e dintorni – fanno notare i sociologi – sono inclini per indole agli eccessi peggiori: fumano come turchi e bevono come cosacchi naufragando in sbornie colossali, apocalittiche. Il loro tabacco preferito si chiama «Chamico», i cui effetti secondo gli esperti sono anche più gravi di quelli provocati dalla marijuana e dalla cocaina, allucinazioni, perdita della memoria, eccitazione, furia distruttiva. Se poi al fumo si aggiunge l’alcool, tracannando un «puro», un’aguardiente d’alta gradazione simile al rum, allora apriti cielo, non c’è più limite a niente, si entra nel ciclone della follia. Per evitare di esserne coinvolto – è il più ovvio consiglio rivolto al turista straniero – tieniti il più lontano passibile dal «Chamico» come dal «puro». Una piacevole singolarità di Vilcabamba è che la popolazione femminile supera quella maschile: il rapporto è di tre dame per due caballeros. Ma i compilatori dì statistiche avvertono che sono stati sempre gli uomini a superare il limite di oltre 130 anni di età. Contrariamente a quanto avviene nel resto del Pianeta Terra, nella Sacra Valle dell’eterna primavera gli uomini vivono più a lungo delle donne. Però ci sono le eccezioni. È il caso di Maria Josefa Ocampo Rojas, che ha raggiunto i 1O3 anni ed è stata proclamata Madre Centenaria, mentre il marito, Miguel Leon, la precedette nella tomba ad appena cent’anni. Le donne si sono aggiudicate primati eccezionali. Alcune signore avrebbero partorito dopo i 50 e perfino, in rarissimi casi, dopo i 60. Non poteva mancare, affrontando il tema della longevità, la tentazione di attribuirla a poteri magici, come quelli emanati dal Mandango, la montagna degli dei dove s’erano stabiliti gli Incas, che diffondeva ondate di beatitudine. Alla fine, però, sarà necessario rinunciare all’arcano, e seguire, dal ’69 in poi, l’indagine del cardiologo ecuadoriano Miguel Salvador che a Vilcabamba esaminò 338 persone, tra uomini, donne e bambini per scoprire che nessuno di loro non solo non era affetto da arteriosclerosi e disfunzioni cardiache ma neanche dal cancro, dal diabete e dall’Alzheimer. E potè anche constatare, in quella circostanza, che gli uomini sopra i 65 anni erano «straordinariamente sani». Come viene ricordato nel libro «Eterna Juventud», Vilcabamba è ormai entrata a far parte, a pieno merito, dell’Ecoturismo e le sue strade come le verdi balconate oltre i duemila metri sono diventate mete assidue di turisti provenienti da ogni parte del mondo, dall’Europa come dalla Cina, dal Canada come dal Sud America. Non deve quindi sorprendere che, mentre si parla di eterna gioventù si stia lanciando una proposta, anche se vaga: per un Istituto Nazionale di Gerontologia dal momento che gran parte della popolazione è costituita da super-vegliardi. Se è vero quanto si racconta in giro, un distinto signore ultra novantenne si sarebbe spontaneamente sottoposto all’indagine di una giovane scienziata tedesca che voleva accertare se e fine a che punto la libidine degli anziani della regione avrebbe resistito agli assalti del tempo. Per il dottor Wilson Correa, da 25 anni medico condotto a Vilcabamba, non esiste alcun problema di erezione tra i vecchi del contado, se mai occorre spegnere gli erotici furori: come il giorno che si trovò di fronte quell’energumeno di Eulogio Carpio, convolato a nozze, lui novantenne, con Giulia Leon, una «muchacha jovencita», quel che si dice una ragazzina, cui diede tre figli. «Ebbene, dopo aver parlato con lui e con altri come lui — ricorda ora Wilson come fosse ieri — giunsi a questa conclusione: che il sesso dei centenari è frequente e di buona qualità». Mi è capitato spesso di parlare con donne che vengono da me per un consiglio e talvolta mi pregano di dar loro qualcosa, ma invece che per se stesse per i rispettivi mariti che non le lasciano mai in pace, sempre smaniosi di portarsele a letto». Ogni qualvolta ti affacci a una casa, in quel di Vilcabamba, ti offrono una tazza di tè, fatto — assicurano — con erbe miracolose che hanno la facoltà di disinfettare i reni e senti raccontare a lungo la storia dell’eremita Johnny Lovewisdon che fece del villaggio una specie di «Shangri-la», qualcosa di simile a un paradiso himalayano edificato negli anni Trenta dalla fantasia dello scrittore inglese James Hilton nel suo romanzo Orizzonti Perduti. A Vilcabamba, sostiene il Dr. Correa, «la gente mangia sano», cioè fa ricorso a un’alimentazione naturale, con prodotti genuini della terra, frutta e verdure, e in una zona dove gli alberi ossigenano di continuo l’atmosfera e l’aria è limpida e pura: sono proprio tutte queste cose messe insieme ad assicurare la longevità. Ma basta un furgone che passa a velocità sparata nella piazza vomitando ritmi e canzoni a tutto volume che la calma e la serenità agreste vengono spazzate via d’un colpo. Altro che «Shangri-la». Gli stessi repentini mutamenti sarebbero in corso a Hunza, sulla sponda del Mar Morto, in Georgia (ex Unione Sovietica), dove Stalin ebbe i natali e dove il grande Capo Shirali Muslimov mise incinta la moglie quand’era un giovanotto di appena 136 anni e sarebbe poi morto di vecchiaia a 168. Come quella di Vilcabamba, l’acqua di Hunza conterrebbe minerali con effetti antiossidanti che a loro volta agirebbero contro il processo di invecchiamento degli esseri umani: fenomeno che tuttavia non è stato ancora scientificamente accertato. Camminando lungo l’Avenida e nella città dell’eterna giovinezza oltre che dentro il turbine dei tuoi pensieri, la riflessione che subito ti aggredisce è che di eterno non c’è proprio nulla. Ed è penoso chiudere una così bella giornata con uno di quei verdetti dell’Ecclesiaste che grondano amarezza da tutte le parti.

Fonte: corriere della sera

La frutta è un elisir: fa vivere tre anni in più

Una ricerca del Karolinska Institutet di Stoccolma, pubblicata sull’ American Journal of Clinical Nutrition, prova il rapporto di causalità fra consumo di frutta e verdura e longevità1407427431-586x369

La frutta allunga la vita. Dal Karolinska Institutet di Stoccolma alle pagine dell’American Journal of Clinical Nutrition, uno studio conferma quello che antichi proverbi già immaginavano, ma da un generico medico che si “leva di torno”, i ricercatori arrivano addirittura a fornire una cifra ben precisa: quella dei tre anni di vita in più garantita da una dieta ricca di frutta. Lo studio dell’Università svedese è stato curato da un team di ricercatori, guidato da Andrea  Bellavia dell’Istituto di Medicina Ambientale (IMM), che, per ben tredici anni, ha monitorato un campione di 71.706 volontari (38.221 uomini e 33.485 donne).

L’associazione tra consumo di frutta e verdura e mortalità è stato raramente analizzato da grandi studi. I risultati dei pochi studi disponibili sono incoerenti. L’obiettivo è stato quello di esaminare la relazione tra la dose di frutta e verdura consumata e la mortalità, sia in termini di tempo che di frequenza, in un ampio campione di uomini e donne svedesi

hanno spiegato i ricercatori nell’abstract dello studio. Nella fascia di età compresa fra i 45 e gli 83 anni, i più longevi sono risultati coloro che consumavano ingenti quantità di frutta e verdura. Anche fra chi non ne consumava proprio e chi ne consumava quantitativi minimi la differenza è risultata essere di un anno e mezzo. Fra i consumatori “forti”, quelli da 5 porzioni al giorno, e quelli a digiuno il tasso di mortalità era superiore del 53% nei secondi e la differenza nell’aspettativa di vita di 36 mesi. Per chi aveva consumato 3 porzioni al giorno il gap è stato di 32 mesi in più rispetto a chi se ne fosse privato. Lo studio ipotizza che nei momenti di maggiore stress, l’organismo richieda un quantitativo maggiore di frutta. Attualmente non ci sono dati in merito, così come lo studio non è stato in grado di chiarire se sia un salvavita più potente la frutta biologica o quella trattata, quella maturata sulla pianta o no.

Fònte:  American Journal of Clinical Nutrition

 

I vegetariani vivono più a lungo dei carnivori, un nuovo studio lo dimostra

I vegetariani vivono più a lungo dei carnivori. Questo il risultato dello studio pubblicato su JAMA Internal Medicineveggie1-620x350

Lo studio pubblicato su JAMA, Journal of the American Medical Association, rivela che i vegetariani vivono più a lungo dei carnivori. I medici sono giunti a questo risultato avendo seguito 73.308 membri della Chiesa avventista del settimo giorno per quasi sei anni. La chiesa è nota per la promozione di una dieta vegetariana (anche se non tutti seguono queste indicazioni) per cui si raccomanda:

l’uso generoso di pane di grano intero, cereali e pasta, un abbondante uso di verdure fresche e frutta, un uso moderato di legumi, noci e semi.

I ricercatori hanno diviso le persone in quattro grandi categorie: i non-vegetariani, i semi-vegetariani, ossia che mangiano carne più di una volta al mese ma meno di una volta alla settimana e poi i vegani che non mangiano carne, latte e tutti i derivati animali come le uova o il miele. Infine c’è chi mangia pesce ma non mangia carne, anche se consuma latticini e uova e i ricercatori hanno messo assieme quest’ultimo gruppo di persone sotto la voce “vegetariani”. I ricercatori hanno seguito le diete dei partecipanti al monitoraggio concentrandosi su vegetariani e non-vegetariani e hanno analizzato poi le cause della morte. Ebbene nel periodo di controllo è stato riscontrato il 12& di decessi in meno dei vegetariani. Dunque le scelte alimentari sembrano aver giocato un ruolo importante nel proteggere le persone da malattie cardiovascolari per cui i vegetariani hanno il 19% delle probabilità in meno di morire rispetto a coloro che assumono carne. Si sono riscontrati anche un numero inferiore di decessi legati a patologie quali diabete o insufficienza renale. L’apporto calorico non sembra avere importanza. I diversi gruppi partecipanti hanno introdotto circa la stessa quantità di calorie giornaliera e i ricercatori hanno riscontrato che i benefici dunque non erano legati alla quantità. Il vantaggio è apparso più consistente negli uomini rispetto alle donne, la cui dieta non sembra fare una sostanziale differenza. Mangiare cibi vegetali non sembra proteggere contro il cancro, che ha colpito sia i vegetariani sia i non-vegetariani approssimativamente in eguale misura. Lo studio è stato redatto dai ricercatori della Loma Linda University in California, è molto ampio e fa riferimento anche a ricerche precedenti. Nella ricerca viene spiegato che non si conosce ancora la causa per cui una dieta a base vegetariana abbia un effetto protettivo. Probabilmente la ragione riguarda la maggiore presenza di fibre e un basso contenuto di grassi saturi. I vegetariani tendono ad essere più sottili, altro fattore benefico e peraltro i partecipanti alla ricerca facevano scarso uso di alcool e tabacco. La dieta vegetariana in ogni caso è efficace se viene seguita correttamente, ossia con l’assunzione di tutte le sostante nutritive fondamentali quali ferro, zinco, calcio e vitamina B12.

Fonte:  WSJ